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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-04-15 ad oggi 2010-05-09 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

2010-05-04 L'annuncio in Conferenza stampa. la procura di perugia: "non è indagato"

Scajola si dimette: "Devo difendermi" Berlusconi: "Ha senso dello Stato"

Il ministro dello Sviluppo economico dice addio al governo: "Sto soffrendo". Il premier: "Ministro capace"

8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto

Scajola, il ministro che si dimise 2 volte

Il titolare dello Sviluppo Economico aveva abbandonato l'incarico anche nel 2002 quando era titolare dell'Interno

8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto

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Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

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2010-05-02 il ministro per la Semplificazione Legislativa alla trasmissione "in Mezz'ora"

Calderoli: Berlusconi può andare avantiIn alternativa ci sono solo le elezioni

Su Fini: "Perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo".

Unità d'Italia: "Non so se saremo a celebrazioni"

MILANO - "Il governo ha i numeri per andare avanti e fare le riforme, in alternativa ci sono solo le elezioni". Lo afferma Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione legislativa, ospite della trasmissione "In mezz'ora". A una domanda dell'Annunziata sulla possibilità che la Lega partecipi a un governo tecnico per fare le riforme guidato da Giulio Tremonti, la risposta è netta: "No. L'elettorato ha dato il proprio consenso a una persona che è Berlusconi. E poi la prima persona che sarebbe contraria è Tremonti stesso".

2010-04-30

2010-04-25 LIBERAZIONE Celebrato il 25 aprile, Berlusconi sceglie la tv "Scriviamo assieme una nuova pagina di storia"

Il capo dello Stato all'Altare della Patria: "Il clima sia sereno". A Roma Contestata la Polverini

Zingaretti la difende. A Milano fischi per la Moratti. Sequestrati 4000 manifesti con l'effige del duce

Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile"

24 aprile 2010 Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile"

Berlusconi sul 25 aprile: ora scrivere pagina condivisa

Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna"

150 anni Italia Napolitano scrive a Berlusconi: "Serve chiarimento"

Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa"

La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile"

Fini: non esco e non starò zitto

Il doppio incarico dell'onorevole a volte diventa triplo

23 aprile 2010 Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera"

Sulle riforme istituzionali "ognuno deve rinunciare a piantare la propria bandiera" e questo "vale tanto per il centrodestra quanto per il centrosinistra". Lo sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in un intervento all'Istituto Stensen di Firenze. Intervistato dal docente di Relazioni Internazionali, Luciano Bozzo, Fini ha spiegato che "questo dibattito oggi non appassiona più perché non ha dato frutti.

"Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini

di Elysa Fazzino

"Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini

Una scena "senza precedenti", un "match urlato", una "rottura in diretta tv".

La stampa straniera ne ha certamente viste tante in Italia, ma lo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl ha sorpreso anche gli osservatori più blasé.

"La faida interna di Berlusconi esplode in uno scontro tv" è uno dei titoli sul sito web del Financial Times. Le divisioni nel partito sono esplose in un congresso "degenerato in un match urlato", scrive Guy Dinmore.

17 aprile 2010 Berlusconi in visita al Salone del mobile a Milano

Il Times elogia Tremonti, "buon candidato a miglior ministro delle finanze europeo"

Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti"

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

"Opa" di Bossi sulle banche del Nord

Alfano non esclude il voto e dice che con Fini serve una soluzione definitiva

2010-04-16 PDL DIVISO Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi" Incontro e scontro con Berlusconi

Duro faccia a faccia tra il premier e l'ex leader di An che invita "a non appiattirsi sulla Lega"

"Berlusconi deve governare, ma Pdl badi alla coesione nazionale".

Il Cavaliere chiede 48 ore

Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi" Incontro e scontro con Berlusconi

ROMA - E' scontro aperto tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. La giornata che doveva servire al chiarimento finisce con parole che suonano come minacce e ultimatum ai limiti della crisi istituzionale.

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

Il Ministro Scagliola si è dimesso motivando le dimissioni con il dubbio sorto in questi giorni che qualcuno possa aver pagato, a sua insaputa, una parte della casa di 180 m2 da lui acquistata nel 2004 nei pressi del Colosseo.

Il valore che il Ministro dice di aver pagato di tasca propria per quella casa è pari a quella di una casa del Centro Storico di Martina Franca, una Cittadina del meridione di 50000 abitanti.

Ma come può aver vissuto per oltre 5 anni il Ministro senza rendersi conto del valore reale della casa da lui acquistata ?

Se non è stato capace di valutare economicamente il valore della sua casa, come può essere ritenuto capace di svolgere le sue funzioni di Ministro, ed in particolare del Ministro dello Sviluppo Economico dell'Italia ?

Come si può pensare che sia capace di pensare ad una politica Energetica Nazionale, che sia capace di sapere quali sono i costi reali del Nucleare, delle dismissione del Vecchio Nucleare, dei Costi del Deposito delle Scorie fino ad oggi e nei millenni a venire, del Ponte di Messina, di quanto è costata l'Alta Velocità, il cui costo avrebbe dovuto essere dei privati, ma che in realtà è stato a carico dello stato, con una quadruplicazione dei costi oltre agli altri 30 Mld. di indebitamento finanziario che peseranno per sulle spalle dei cittadini per altri 30 anni.

Per non parlare di quali capacità abbia per valutare gli accordi sul Nucleare di Vecchia o Nuova Generazione.

E' chi lo doveva controllare non si è mai accorto di quello che stava succedendo nella lievitazione abnorme delle spese ?

Purtroppo ci sono stati altri esempi nella aggiudicazione di lavori per il G8 e delle emergenze, chi doveva controllare le spese non si è mai accorto che i prezzi lievitavano in maniera talmente spropositata, che invece qualsiasi direttore ed assistente dei lavori se ne sarebbe accorto, e avrebbe, disgusatato, rigettato i nuovi prezzi e li avrebbe denunziati pubblicamente, escludendo gli appaltatori disonesti dai futuri appalti .

Lo stesso è capitato nella Mala Sanità Lombarda, vantata come eccellenza, per interventi da day ospital che diventavano da ricovero, di operazioni non necessarie che mettevano a rischio la vita dei pazienti, ecc. Se il metro della Buona Sanità è quello dei costi della Sanità Lombarda, poveri noi.

Il metro della buona Sanità va visto con i costi di una Eccellenza Oculista quale è l'Ospedale Pubblico S. Maria degli Angeli di Putignano, dove per 2 volte mi hanno salvato la vista senza essere stato io paziente del primario di ieri e di quello di oggi, dove il tutto si svolge in una struttura degli anni '50, dove c'è il pienone senza che le liste di attesa siano spropositate, ma anzi vengono valutate attentamente, accelerando quelle urgenti, e dove stanno attuando quello che andrebbe fatto a Taranto, ovvero utilizzare la nuova legge sull'Edilizia, merito, questo si del Presidente Berlusconi, per ampliare e ristrutturare l'esistente, ed adeguarlo alla realtà Professionale dei Medici e del personale ausiliario, veramente eccellenti, tanto che per i degenti sembra essere in un albergo di 3 categoria, e non in un'Ospedale.

Nel Frattempo però qualcuno sta anche cercando di far passare per Buona Sanità quella di portare la Sanità privata a Taranto, con investimento da 250 Mld, mentre ne basterebbe investire 100 nelle strutture esistenti (ospedale S. Annunziata nel centro della Città per servirte egregiamente la Città senza disagi per i cittadini, ed ospedale Nord, sottoutilizzato male da 20 anni al 30 % delle capacità, decentrato forse per interessi privati o incapacità di giudizio in un una zona assurda. Con il risparmio dei restanti 150 Mld si potrebbe fare vera Prevenzione Sanitaria, quale quella del disinquinamento e riduzioni delle Emissioni tossiche, aiutando l'ILVA, invece di chiederne la chiusura come qualcuno vorrebbe fare con un referendum ( bastano appena 1000 firme per indire il referendum su una popolazione interessata di oltre 400000 abitanti), e mettendo a posto anche i depuratori che non funzionano.

Che iattura tremenda sarebbe chiudere l'ILVA, significherebbe mandare sul lastrico oltre 20000 famiglie, indebitarsi con costi sociali enormi, oltre che danneggiare l'intera economia Tarantina e Pugliese, ma anche quella Italiana che ha bisogno dell'Acciaio, il cui utilizzo viceversa andrebbe accentuato in periodo di crisi favorendone l'uso nell'edilizia.

Perché non si chiede inoltre di utilizzare parte dei terreni interni dello stabilimento per altre iniziative industriali sane, non inquinanti, utilizzando i servizi energetici dell'ILVA e la professionalità esistente, adottando anche strumenti di recupero e risparmio energetico, oltre che l'uso di energie alternative ?

E per Bari, perché sperperare 750 Mln per l'interramento della Ferrovia, quando ne basterebbero meno di 100 per incrementare i servizi di trasporto pubblici. Fra l'altro andrebbero adottate le metropolitane di superfice a costo zero, dimezzando i tempi di percorrenza (p.e. Martina-Bari) dimezzando le fermate, alternandole per servire tutti i paesi, spendendo pochissimo per trasformare il servizio, quadruplicando il traffico dei treni con conseguente enorme riduzione di quello privato su gomma, e grandissimi ritorni e vantaggi per la collettività, studenti, imprenditori, lavoratori, con un incremento degli scambi socio-economici e culturali.

Gli altri 650 Mln si potrebbero spendere proficuamente per:

  • Il collegamento con l'alta velocità, dalla quale la Puglia è esclusa, nonostante gli enormi sperperi, alta velocità che che fino ad oggi è servita per un traffico di appena 1000000 di viaggiatori l'anno
  • Aiutare la Giustizia con assunzione, da parte della Regione per 5 anni, di 2000 lavoratori da distaccare a supporto degli Uffici dei Tribunali e per fare prevenzione contra la malavita, delinquenza, corruzione, per la vivibilità delle città da restituire ai cittadini, con conseguenti ritorni economici per le Aziende, Artigiani, Commercianti, con conseguente incremento del traffico Turistico, ecc .
  • Aiutare la scuola Superiore adottando a spese della Regione il Tempo pieno a costi ridotti, utilizzando personale altamente professionalizzato, con oltre 30 anni di esperienza, in mobilità e cassa integrazione, per trasferire Know-how ai giovani, creare il collante con il mondo del lavoro e le istituzioni, favorire "l'Online" degli Appalti e delle Gestione degli Enti Pubblici, creando Centri Servizi, risparmiando cifre esorbitanti di una formazione fasulla molto costosa (100 Euro/ora attuali contro i 30-40 possibili), e soprattutto aprendo il mercato del lavoro a giovani altamente professionalizzati da una scuola migliore, senza sperpero di denaro per una formazione fasulla, e soprattutto perdere le enormi energie potenziali dei giovani, che viceversa oggi avviene con un rallentamento del loro ingresso nel mondo del lavoro, che nei fatti si è instaurato da oltre 20 anni
  • Facendo dell'AQP Ente Acquedotto Puugliese leader mondiale oltre che nell'acqua, anche nell'Energia, coinvolgento in questa iniziativa regioni meridionali e settentrionali, oltre che aprendolo in misura minoritaria all'eccellenza dell'Ingegneria Privata che si sta lasciando morire, proiettando invece l'Ente a livello Mediterraneo, del Medio Oriente, Cina India, ecc., oltre che renderlo giustamente leader Europeo essendo il più grande ente pubblico al Mondo.
  • Pensare anche come Puglia possa crearsi e concretizzare nei fatti un ruolo importante per l'EXPO 2015, dandogli la vera Valenza del Made in ITALY, grazie alla laboriosità di una Nazione creatasi in 3 millenni di storia e realizzatasi in uno Stato dall'Unità d'Italia di 160 anni fa', nei fatti concreti della Cultura, Laboriosità, Lavoro, Intelligenza di tutti gli ITALLIANI e non nelle vacuità leghistA del Federalismo del 1800, quando invece già Mazzini sognava una Europa Unita.

C'è TANTISSIMO ALTRO DA DIRE E SOPRATTUTTO FARE CONCRETAMENTE,

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-04-15 ad oggi 2010-05-09

AVVENIRE

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2010-05-06

6 Maggio 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

Appalti in Sardegna indagato Verdini

L’acquisizione di documenti di due giorni fa da parte dei Carabinieri nella banca da lui presieduta, il Credito cooperativo fiorentino, era l’anticipazione della notizia confermata ieri: Denis Verdini, uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione, nell’ambito di un’inchiesta sull’assegnazione di una serie di appalti pubblici, riguardanti in particolare progetti per la diffusione dell’energia eolica in Sardegna.

L’ipotesi accusatoria è quella di corruzione in concorso con altre cinque persone, il cui coinvolgimento era già noto: si tratta dell’imprenditore Flavio Carboni (il cui nome rimbalza nelle cronache giudiziarie degli ultimi 30 anni), il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu dell’Udc, il direttore generale dell’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa) della Sardegna Ignazio Farris e il geometra Pasquale Lombardi, già componente di commissioni tributarie.

Le indagini, condotte dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli, s’intreccerebbero in parte con quelle sui Grandi eventi della procura di Firenze, altra vicenda giudiziaria che vede coinvolto Verdini. Il quale assicura di "non aver mai conosciuto Anemone", il costruttore ritenuto una delle figure chiave dell’inchiesta fiorentina.

E si professa "totalmente estraneo" a "ogni ipotesi di comportamenti penalmente o anche moralmente rilevanti", rispetto a quelle che definisce "una serie di notizie interessate che cercano d’infangare la sua reputazione". Il dirigente del Pdl si dice comunque determinato a "battersi fino in fondo in tutte le sedi" e "disponibile" a fornire spiegazioni ai magistrati, lamentandosi tuttavia "dell’abitudine, ormai invalsa, di sistematiche violazioni del segreto istruttorio per colpire determinati soggetti politici".

Di seguito, conversando con alcuni giornalisti a Montecitorio, Verdini usa anche termini più pesanti per descrivere "il circo mediatico" intorno a certe inchieste. Forse pensa anche al caso di Claudio Scajola. Lui, però, non ha intenzione di lasciare l’incarico al vertice del partito: "Non ho l’abitudine, non fa parte della mia mentalità e non ho necessità di farlo. Vado avanti, sono abituato a cominciare da capo tutte le settimane".

Sembra non mettere in conto, Verdini, che potrebbe essere il presidente del Consiglio a chiedergli di mollare: "Berlusconi è un uomo d grande serenità. Da vent’anni è abituato a questo massacro. In questi casi il migliore alleato è proprio lui".

Solidarietà, intanto, gli giunge da diversi esponenti del Pdl, tutti provenienti da Forza Italia. Tra questi un altro dei coordinatori, Sandro Bondi, e il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. Il primo parla di "qualcosa di poco chiaro in questa nuova ondata d’inchieste", il secondo avverte "un clima generale assai inquietante". Per il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, invece, "non c’è nulla di nuovo sotto al sole: la maggioranza ha la cultura dell’illegalità".

Danilo Paolini

 

 

 

 

 

6 MAGGGIO 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

Berlusconi: "Ci attaccheranno ancora. E solo per disarcionarmi"

"Tutto è così poco chiaro, così...". Silvio Berlusconi si ferma su quella parola. Cerca lo sguardo di Denis Verdini e riprende: "... Così allarmante". Con il premier e il coordinatore c’è solo Fabrizio Cicchitto che ascolta silenzioso un atto d’accusa appena agli inizi. "Scajola... Ora te... E se ascoltassi le voci...". Il Cavaliere usa frasi brevi. Messaggi netti. "Questa nuova ondata di inchieste, tutte contro di noi, non può essere un caso". Dubbi. Sospetti. Scanditi in mille "faccia a faccia" riservati. Sussurrati, nella notte tra martedì e mercoledì, in una cena con i "suoi" senatori a Palazzo Grazioli. "Siamo solo all’inizio... Attaccheranno ancora. Proveranno ancora a colpire esponenti di governo e uomini che mi sono da sempre vicini... Lo hanno fatto e lo faranno ancora". Tutti si guardano. Si chiedono se i nomi che ha in testa il premier sono anche quelli che girano nei palazzi della politica. "C’è una congiura di un sistema esterno al governo che ha in mano delle carte". Che le usa. Le diffonde. E lo fa con un solo obiettivo: "Tentare di disarcionare l’esecutivo".

È solo uno l’argomento. Il Cavaliere ragiona a voce alta. Parla di un "gruppo quasi organizzato" che minaccia l’azione del governo. Racconta le sue impressioni. Come quella di un "dossier" aperto a rate. "Ogni mattina, aprendo i giornali, mi aspetto un nuovo capitolo", confida il Cavaliere che si chiude la bocca ed evita di fare nuovi collegamenti tra Gianfranco Fini e i nuovi attacchi giudiziari. Tace Berlusconi, ma molti nel Pdl "berlusconiano" agitano il Grande Sospetto: forse il presidente della Camera ha fatto quello che ha fatto perché sapeva con anticipo quello che sarebbe successo? Tutti parlano con tutti. Tutti riflettono sulla prossima mossa di Fini e un ministro di serie A avverte: se ci dovesse essere un altro Scajola Fini lascia il Pdl dicendo "scappo da questo partito di ladri".

Il quadro è nero. Congiura? Complotto? Gasparri e Quagliariello, tornano sulla cena delle rivelazioni e provano a fare chiarezza: "Non si è mai parlato di nulla di simile", ripetono in una nota. Ma il tema è quello e il chiarimento arriva tardi. Fini e Bossi hanno già stoppato il Cavaliere che però continua a dire di non vederci chiaro. Parla di "vicende giudiziarie nebulose".

E azzarda un parallelo che il portavoce Daniele Capezzone ufficializza: "Il 25 aprile del 2009, con Silvio Berlusconi applaudito ad Onna e al vertice di consenso e di popolarità, qualcuno fece scattare la catena del gossip e una campagna mediatica durata mesi, poi svanita nel nulla. Quest’anno, dopo la vittoria alle regionali si ritenta una operazione diversa negli strumenti ma convergente nell’obiettivo politico". Ecco, tutto in quattro settimane. "Un piccolo diluvio di attacchi esterni...". Berlusconi sottoscrive anche la chiosa del portavoce: "E il caso Scajola rischia di essere una tappa di un percorso più ampio, un ingranaggio di una macchina che ha obiettivi più ambiziosi: colpire complessivamente l’azione della maggioranza, mettere tra parentesi il voto degli italiani".

Arturo Celletti

 

 

 

 

 

2010-05-05

5 Maggio 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

Appalti in Sardegna, Verdini

indagato per corruzione

Il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini è indagato per corruzione dalla procura di Roma nell'ambito di un'inchiesta su un presunto comitato d'affari che avrebbe gestito l'assegnazione di una serie d'appalti in Sardegna. Lo hanno detto oggi fonti giudiziarie. Per Verdini, già indagato a Firenze in un'indagine per l'assegnazione degli appalti nelle Grandi Opere, viene ipotizzato il reato di corruzione, lo stesso che i pm romani Rodolfo Sabelli e Ilaria Calò contestatno ad altre quattro persone; l'imprenditore sardo Flavio Carboni, Ignazio Farris, consigliere per l'Arpa della Sardegna, il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu e il magistrato tributario Pasquale Lombardo.

Nei giorni scorsi è stata perquisita la sede del Credito Cooperativo di Firenze, di cui Verdini è presidente, per verificare la destinazione finale di un giro di assegni di cui si sospetta la provenienza illecita.

4 Maggio 2010

L'INCHIESTA SUL G8

Scajola si fa da parte

Interim a Berlusconi

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto nel pomeriggio al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, che gli ha sottoposto per la firma il decreto con il quale si accettano le dimissioni dell'onorevole Claudio Scajola da Ministro dello sviluppo economico e si affida l'interim del dicastero allo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri.

L'ULTIMO GIORNO

L’autobus che torna al capolinea sosta davanti al ministero per lo Sviluppo economico di prima mattina. Claudio Scajola sa bene di non poter attendere oltre e sa anche che – alla seconda esperienza di dimissioni in corso d’opera – questo potrebbe essere il viaggio senza ritorno sulla scena politica. A fianco ha i suoi due figli Lucia e Piercarlo, arrivati con lui nella sede di via Veneto. Il ministro, tirato in ballo nelle indagini di Perugia sugli appalti per le Grandi opere per l’acquisto di un appartamento con vista sul Colosseo, ma per ora non indagato, appare visibilmente scosso. Qualche telefonata, qualche lacrima che non trattiene, ma ormai è pronto ad affrontare le telecamere. Le opposizioni lo vorrebbero in aula, per vederci chiaro in una vicenda intricata. Scajola va oltre e presenta le dimissioni.

"Per difendermi non posso continuare a fare il ministro", esordisce. La svolta appare necessaria: da giorni "sto vivendo una situazione di grande sofferenza. Sono al centro di una campagna mediatica e non sono indagato". Una situazione imbarazzante, che ha suscitato le proteste dell’opposizione, ma pure malumori nella maggioranza.

Il ministro ha sentito il gelo intorno, in queste ore. Non ci sta e a sera, da Porta a porta,si difende: "Sarebbe illogico e oltretutto una cosa assolutamente cretina, oltre che volgarmente tremenda" aver compiuto gli atti contestatigli, spiega. "Se la cosa è avvenuta, non lo so, sarà avvenuta prima, sarà avvenuta dopo, ma certamente non con me e con il notaio".

Scajola si tiene completamente fuori dalla vicenda. "Se ho una colpa – dice – è quella di essere stato troppo superficiale".

E a distanza di sei anni da quel rogito, "ho difficoltà a ricostruire tutta la vicenda" . Ovvero, "non so se Zampolini ci fosse o meno; quello che so lo sto leggendo dai giornali e da quello che ricordo. C’erano il notaio le sorelle e altre persone, parlano anche di un funzionario di banca, può darsi". Il ministro ripercorre la linea delle accuse rimbalzate sui giornali e le ricostruzioni che lo vogliono coinvolto nell’acquisto illecito dell’appartamento nel cuore della Capitale: "Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri, senza saperne io il motivo e l’interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per annullare il contratto".

Ma al punto in cui sono le cose, il ministro sa di doversi dimettere, per consentire "all’esecutivo di poter andare avanti". Il lavoro fin qui fatto soddisfa il ministro, che traccia un rapido bilancio. Scajola spiega le sue mosse e saluta in fretta. Ormai restano solo le formalità burocratiche. La lettera che in serata arriverà al Quirinale e la telefonata al presidente Napolitano. Ma ci tiene a chiarirsi ancora una volta a quattr’occhi con il premier.

Berlusconi lo difende, ma solo a dimissioni avvenute, secondo il ministro, che avrebbe sperato in qualcosa di più. "Il ministro Scajola – dice il premier – ha assunto una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato". Le dimissioni serviranno per "poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti, e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito".

Roberta D’Angelo

 

 

 

 

 

2010-05-04

 

4 Maggio 2010

APPALTI G8

Inchiesta Grandi Opere

Il ministro Scajola si dimette

Claudio Scajola si è dimesso da ministro dello Sviluppo economico, dopo le notizie sull'acquisto dell'appartamento al Colosseo. Una decisione sofferta, ha spiegato il ministro durante la conferenza stampa: "devo difendermi. E per difendermi, non posso più continuare a fare il Ministro". "Sono certo - ha proseguito - che le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con il lavoro che anche io ho contribuito a fare in questi due anni".

"Non potrei mai abitare in una casa comprata con i soldi di altri", ha affermato. Per la prima volta in dieci giorni, Scajola ha però preso in considerazione l'ipotesi che gli assegni che gli vengono contestati siano effettivamente stati versati: "Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l'annullamento del contratto", ha affermato. Il procuratore di Perugia, Federico Centrone, ha confermato che al momento Scajola non è indagato e che sarà ascoltato come persona informata dei fatti.

Il ministro ha riferito di aver ricevuto attestati di stima da Berlusconi, dai ministri e dalla sua maggioranza. La maggioranza ha solidarizzato, mentre l'opposizione ha accolto con soddisfazione le dimissioni. E già circolano nomi di possibili successori del ministro, da Paolo Romani a

Giancarlo Galan.

Dal Pdl il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto ha ribadito la solidarietà a Scajola ed ha tuonato contro il fenomeno delle "sentenze anticipate" che "ha rappresentato uno degli elementi più inquietanti della vicenda italiana". Stessa linea da parte della maggioranza Pdl, che parla anche di "gogna mediatica".

Dalla Lega toni più pacati, con il capogruppo al Senato Federico Bricolo che parla di "dimissioni volontarie" che bloccheranno le "inutili e dannose strumentalizzazioni politiche di questi giorni".

Di dimissioni "inevitabili" parla il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che le ritiene anche "uno scossone per la maggioranza". "Mi pare che le cose che Scajola ha detto fin qui non sono convincenti per nessuno. Mi auguro questo verminaio di appalti venga scavato fino in fondo perchè questa vicenda francamente intollerabile". Bersani, che si è detto "sconcertato" per quanto emerso, ha parlato di "uno scossone piuttosto forte in una fase di impasse politica della maggioranza. Siamo tra la palude delle decisioni del governo e il rischio di precipitare della situazione politica. È un

passaggio complicato, la situazione si sta facendo complicata e paludosa". E Dario Franceschini, capogruppo Pd alla Camera, ha anche polemizzato con Idv che ha presentato ieri la mozione di sfiducia: "La gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Se ci fosse stata la mozione difficilmente oggi ci sarebbero state le dimissioni".

Ma Idv esulta, anche se ritiene le dimissioni "tradive". Esse sono comunque "una vittoria delle opposizioni ed una lezione per la Casta: nessuno è intoccabile". Ora, chiede il capogruppo alla Camera Massimo Donadi "governo e Parlamento non possono far finta di niente, è indispensabile

portare in Aula al più presto il Ddl Anticorruzione".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-30

29 Aprile 2010

CAMERA

Pdl, Bocchino si dimette

Stavolta la decisione è irrevocabile

Nuova lettera di dimissioni di Italo Bocchino al gruppo parlamentare, stavolta però "definitive", dalla carica di vicepresidente del gruppo del Pdl. È quanto ha annunciato il gruppo per sms a tutti i deputati che erano impegnati nella seduta d'aula. Alcuni finiani interpellati al riguardo hanno assicurato che le dimissioni del vicario sono "irrevocabili".

Pertanto è stata annullata l'assemblea del gruppo parlamentare prevista per oggi, che aveva come oggetto la sua lettera di dimissioni e quella successiva di revoca.

 

 

 

 

29 APRILE 2010

ROMA

Lavoro, il ddl passa alla Camera

Primo giro di boa per il collegato lavoro che taglia il traguardo di Montecitorio passando così al Senato. Un provvedimento 'riccò di capitoli delicati come quello dell'arbitrato secondo equità su cui si è soffermato, fra gli altri, anche il Capo dello Stato nel messaggio di rinvio.

Il nuovo testo presenta, quindi, modifiche significative solo alle parti citate dal Presidente della Repubblica: la norma sui danni da amianto per i lavoratori a bordo del naviglio di Stato che ora dà loro certezza di risarcimento; la norma sull'arbitrato che introduce nuovi paletti volti a garantire l'effettiva volontarietà delle parti di farvi ricorso; la norma sui licenziamenti individuali che ora prevede l'obbligo di comunicazione in forma scritta e la norma sui rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che ora obbliga l'azienda a stipulare un contratto a tempo indeterminato al collaboratore che abbia vinto la causa.

Resta per il momento irrisolto il conflitto di interpretazione dell'emendamento Damiano (Pd) su cui il governo è stato battuto in Aula. Si tratta di una modifica all'articolo sull'arbitrato in base alla quale le commissioni di certificazione devono accertare l'effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie già insorte (e non che eventualmente dovessero insorgere). Un participio passato che, stando all'interpretazione del Pd, significa che le parti devono dichiarare se vogliono affidarsi ad un arbitro non prima dell'insorgere di una controversia (come prevedeva il testo della Commissione), ma solo dopo. Interpretazione bocciata però da governo e maggioranza che ritengono invece ininfluente la modifica.

 

 

 

 

 

2010-04-27

27 APRILE 2010

GRUPPI PARLAMENTARI

Pdl, Bocchino: "Mi candido alla presidenza"

"Caro Fabrizio, dopo quanto accaduto in direzione nazionale credo sia opportuno favorire un

chiarimento all'interno del gruppo parlamentare anche al fine di accogliere la richiesta di mie dimissioni reiteratamente avanzata dal presidente Berlusconi attraverso te e a mezzo stampa".

Inizia così la lettera che Italo Bocchino, capogruppo vicario alla Camera del Pdl, ha scritto ieri e consegnato oggi al capogruppo Fabrizio Cicchitto, con il quale ha avuto un lungo colloquio.

"Ti comunico pertanto - si legge nella lettera - che è mia intenzione avviare il percorso che porterà alla formalizzazione di queste dimissioni nell'assemblea del gruppo, che dovremo convocare per eleggere i nuovi vertici. Il regolamento, infatti lega il destino del presidente al vicario (simul stabunt simul cadent) ed è inevitabile il ricorso all'assemblea, cosa assai utile anche per favorire l'espressione democratica dei colleghi deputati e per dare la possibilità alla minoranza di contare le proprie forze".

"Prima di convocare congiuntamente l'assemblea del gruppo - aggiunge Bocchino - ti prego di favorire un mio incontro con il presidente Berlusconi anche alla presenza del coordinatore Verdini affinchè si possa dare vita ad un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare".

"Visto il rapporto che ci lega - conclude - ho il dovere di comunicarti che all'assemblea del gruppo presenterò la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Ciò non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso".

Cicchitto. "Ho preso atto della lettera di dimissioni", ha detto il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, precisando che "è evidente" che il problema delle dimissioni deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito. L'associazione di Italo Bocchino vicina a Fini, Generazione Italia, ha intanto annunciato che sono 400 gli amministratori locali che hanno aderito alla campagna "io sto con Fini".

 

 

 

 

2010-04-25

24 Aprile 2010

MILANO

Resistenza, Napolitano: far uscire l'Italia

dalle contrapposizioni indiscriminate

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenendo in occasione del 65esimo anniversario della Liberazione, ha auspicato uno sforzo collettivo per far uscire l'Italia da una spirale di contrapposizioni indiscriminate e per il superamento degli "steccati" e delle polemiche quotidiane.

"La complessità dei problemi che si sono venuti accumulando nei decenni dell'Italia repubblicana - talvolta per eredità di un più lontano passato - esige un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità. Questa esigenza non può essere respinta, quello sforzo non può essere rifiutato come se si trattasse di rimuovere ogni conflitto sociale e politico, di mortificare la naturale dialettica in particolare tra forze di maggioranza e forze di opposizione", ha detto il capo dello Stato nel suo discorso al teatro La Scala, dopo aver ricordato - commuovendosi - l'attività partigiana dell'ex presidente della Repubblica Sandro Pertini.

"Si tratta invece di uscire da una spirale di contrapposizioni indiscriminate, che blocca il riconoscimento di temi e impegni di più alto interesse nazionale tali da richiedere una limpida e mirata convergenza tra forze, destinate a restare distinte in una democrazia dell'alternanza", ha continuato, interrotto di tanto in tanto dagli scroscianti applausi della platea, nella quale sedevano anche il premier Silvio Berlusconi e il sindaco di Milano Letizia Moratti.

"All'auspicabile crearsi di questo nuovo clima, può contribuire non poco il diffondersi tra gli italiani di un più forte senso dell'identità di unità nazionale. Così ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, al di là degli steccati e delle quotidiane polemiche che segnano il terreno della politica", ha proseguito.

Napolitano ha aggiunto che "le condizioni sono ormai mature per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più condivisa e duratura. Vedo in ciò una premessa importante di quel libero e lungimirante confronto e di quello sforzo di raccoglimento unitario di cui ha bisogno il Paese".

 

 

 

 

2010-04-24

24 APRILE 2010

CRISI NEL PDL

Bossi alza la voce:

"A rischio l’alleanza"

Non bastava Gianfranco Fini ad agitare i sonni di Silvio Berlusconi. Ci ha pensato pure Umberto Bossi, leader della Lega Nord, che preoccupato per quanto successo nel Popolo della libertà, ha attaccato sulla Padania (senza poi smentire) Fini (accusato di essere "rancoroso e invidioso della Lega" e "da cacciare dal Pdl") ed ha avvisato con decisione il premier sui tempi dell’agenda politica, avanzando, in caso di forti ritardi, anche l’ipotesi "crisi" e quella più funebre di un "esecutivo che se ne va a casa".

Il Cavaliere, preoccupato per la sortita leghista, a margine del Consiglio dei ministri di ieri mattina ha voluto subito rassicurare sulla road map delle riforme e del federalismo il triumvirato del Carroccio: Bossi, Calderoli e Maroni. E in serata lo stesso Bossi ha ridimensionato in parte la portata delle sue uscite. "Andremo avanti", ha detto. Acqua sul fuoco anche dal ministro degli Esteri Franco Frattini. "La provocazione del ministro Bossi serve a fare più in fretta, non a far cadere il governo – ha precisato Frattini –. Dopo aver approvato la legge deroga sul federalismo fiscale non possiamo avere gruppetti e gruppuscoli all’interno del Parlamento che la boicottano. Il federalismo fiscale va approvato subito".

Ma sul tema del federalismo, elemento centrale del programma di governo siglato prima delle elezioni del 2008, la Lega Nord non intende sentir ragioni. Anche perché, si vocifera nel quartier generale milanese del Carroccio in via Bellerio, non è affatto piaciuto il documento conclusivo della direzione nazionale del Pdl. Nel testo infatti non c’era nessun richiamo al federalismo, sul quale Fini ha attaccato duramente. "Siamo subalterni alla Lega, il federalismo danneggia il Meridione" è stato in sintesi il pensiero dell’ex leader di Alleanza nazionale. E c’è anche chi, come il sindaco di Verona Flavio Tosi, teme imboscate in aula, con richieste di "voto segreto" e apparizioni magiche di "franchi tiratori".

"Io sono per la mediazione ma la gente del Nord no, ha perso la pazienza", ha detto Umberto Bossi, che da un lato si ritaglia il ruolo di mediatore, ma nel contempo avverte Berlusconi: "Il federalismo resta la via, ma bisogna farlo subito". Anche perché già ieri sulla <+corsivo>Padania<+tondo> lo stesso Bossi ha paventato il rischio di una fine della alleanza Pdl-Lega in caso di ritardi. Insomma, c’è da stare attenti.

Taglia corto Bossi quando gli si chiede se abbia voluto dar fuoco alle polveri, se abbia deciso di cavalcare il fermento manifestato dal popolo leghista, che da due giorni ai microfoni aperti di Radio Padania non risparmia bordate durissime a Fini e anche delusione e perplessità nei confronti di Berlusconi, oltre al timore per la sorte delle riforme. Dice il Senatur: "Niente benzina sul fuoco, però ma noi vogliamo fare le riforme, i miei vogliono le riforme e io devo interpretare le richieste della base, della gente che è stufa".

È questo l’avviso, se così si può chiamare, che lancia il leader del Carroccio al premier. Non parla più di crisi di governo nell’immediato, ma preme con forza sul Pdl, dicendo in pratica che "non è il caso di tirare troppo la corda con noi", perché sennò si va casa..

Davide Re

 

 

 

24 APRILE 2010

LA CRISI NEL PDL

Berlusconi e Fini s’ignorano: indifferenza dopo la tempesta

Nel primo giorno da separati in casa, dopo la lite in cui sono volati (verbalmente) i piatti, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si ignorano bellamente. Il primo si è concesso a telecamere e macchine fotografiche, ma non ai giornalisti, nel cortile di Palazzo Chigi, provando un nuovo modello di automobile russa. Una battuta, salendo a bordo: "C’è un meraviglioso predellino, ma – ha detto il presidente del Consiglio, riferendosi alla fondazione del Pdl certe cose non si ripetono". E quando i cronisti hanno provato a chiedergli come stava, sperando di tirargli fuori commenti sul duro scontro in direzione, ha risposto placidamente: "Si lavora, si lavora sempre troppo...".

Il secondo ha rivestito i panni di presidente della Camera ed è andato a parlare a un corso di formazione a Firenze. Anche da parte di Fini nessun riferimento alla giornata di giovedì. Ma solo una lunga lezione sulle riforme istituzionali, durante la quale, però, ha ribadito i suoi punti di vista che coincidono poco o nulla con quelli del Cavaliere. Ovvero: opzione preferenziale per il ritorno al collegio uninominale, quando Berlusconi ha fatto sapere che la legge elettorale non si tocca. Ancora, il capitolo dell’immigrazione, con qualche indiretta stoccata alla Lega: "I problemi relativi a questo tema se affrontati in modo un po’ provinciale, da volantino, in modo un po’ propagandistico non portano molto lontano. E questo perché si tratta di questioni destinate a cambiare il volto delle nostre società occidentali". O, ancora, l’appello a fare riforme condivise, lodando esplicitamente il premier per averne parlato: "Se vogliamo trovare il bandolo della matassa invece che contrapporre i modelli, dobbiamo bandire la tentazione di fare riforme che siano convenienti da una parte e non gradite all’altra".

Ma il silenzio pubblico dei due leader copre un intenso lavorio politico e il reciproco risentimento che continua a covare sotto la cenere. Berlusconi ha ricevuto a Palazzo Chigi il sindaco di Roma Gianni Alemanno, ex An schierato con la maggioranza del Pdl, che si è comunque offerto per un ruolo di mediazione. E ha incaricato i suoi di sondare le intenzioni dell’Udc, i cui voti alle Camere potrebbero, in caso di defezione dei finiani, diventare preziosi per approvare provvedimenti del governo. Fini è rimasto in stretto contatto con i suoi, in vista delle prossime decisioni.

L’impressione è che entrambi i due leader aspettino che sia l’altro, magari facendo un passo falso, a decretare la rottura definitiva. Il documento approvato dal Pdl tollera che ci sia una minoranza interna. Ma fa intendere chiaramente che non si accetteranno voti difformi in Parlamento. Per questo è stata, al momento, congelata la raccolta di firme per sfiduciare Italo Bocchino, fedelissimo dell’ex presidente di An, dall’incarico di vicecapogruppo alla Camera.

Tra i due fronti contrapposti non mancano scaramucce. Il berlusconiano Giro definisce il discorso del presidente della Camera "distruttivo, lacerante e nichilista". Il finiano Bocchino "stizzita e non prevista" la replica di Berlusconi. E interviene di nuovo il presidente del Senato Renato Schifani, stavolta per spargere a piene mani parole di conciliazione: "Mi auguro che dopo la tempesta arrivi la quiete, perché il Paese ha bisogno di un clima meno teso e meno conflittuale".

Giovanni Grasso

 

 

 

 

23 Aprile 2010

DECRETO INCENTIVI

La Lega: test d'italiano agli stranieri

che vogliono aprire un negozio

Gli extracomunitari che vogliano aprire un negozio devono prima aver superato un esame di italiano: è quanto chiede la Lega, attraverso un emendamento al decreto legge incentivi, affidando alle Regioni il potere di introdurre i nuovi paletti. "Le Regioni – si legge nella proposta a firma della deputata leghista Silvana Comaroli – possono stabilire che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di commercio al

dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente qualora sia un cittadino extracomunitario di un certificato attestante il superamento dell'esame di base della

lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati".

La proposta ha sollevato immediatamente molte polemiche. "A sentire molti degli esponenti del Carroccio che vanno in, tv un corso d'italiano con relativo esame sarebbe utile proprio a tanti di loro", commenta ironico il senatore del Pd, Roberto Di Giovan Paolo, che aggiunge. Sulla stessa lunghezza d'onda il portavoce nazionale dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando: "L'emendamento conferma la deriva d'intolleranza dell'attuale maggioranza, fortemente condizionata dalla "cultura" della Lega".

Un altro emendamento al decreto legge, presentato in Commissione dal capogruppo della Lega Maurizio Fugatti, prevede che se per conseguenza delle misure per gli incentivi messe in campo dal governo le aziende si trovassero a dover fare nuove assunzioni, esse sarebbero "obbligate ad assumere prioritariamente personale con cittadinanza di uno degli Stati appartenenti all'Unione europea". Un ulteriore emendamento della Lega, sempre a firma di Maurizio Fugatti, prevede che i bonus stanziati dal decreto legge siano concessi "alle aziende che si impegnano a non delocalizzare al di fuori dei Paesi membri dello Spazio economico europeo la produzione dei beni per i quali sono previsti gli incentivi".

 

 

 

 

 

 

2010-04-21

 

21 Aprile 2010

LA CRISI NEL PDL

"Berlusconi ora

accetti il dissenso"

Il Pdl "deve essere libero e non può essere il partito nato dal predellino". Gianfranco Fini si ritaglia uno spazio di iniziativa dentro e fuori il Popolo delle libertà. Fa la conta dei fedelissimi e prenota una contro-relazione per domani, alla direzione del Pdl allargata ai gruppi parlamentari che si terrà nell’auditorium della Conciliazione, dal nome vagamente beneaugurante.

Doveva essere, ieri, il giorno del varo della sua corrente e invece ne nascono due. Con Fini 14 senatori (nessuna new entry, smentisce l’adesione l’ex forzista Enrico Musso) e 39 deputati. Sono in 54, per la precisione i parlamentari che aderiscono all’appello di Fini nella blindatissima sala Tatarella (a proposito, chissà con chi si sarebbe schierato l’ideologo di Alleanza nazionale), ma qualcuno – come Manlio Contento e Carla Castellani – prende la parola solo per spiegare perché non firmerà. In compenso qualcun altro (come Nicola Cristaldi) fa sapere che la sua firma ci sarà, anche se non era presente. Da Strasburgo si schierano con Fini 5 eurodeputati, fra cui la Muscardini e la Angelilli. Ma intanto vanno alla conta anche i suoi ex colonnelli, i La Russa, i Gasparri, i Matteoli, che imbarcano anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno (fin qui spesosi nel ruolo di mediatore) e il ministro Giorgia Meloni (oltre all’ex ministro Landolfi e il sottosegretario Mantovano) e alla fine di firme ne contano 74: 41 deputati e di 33 senatori, per la precisione. Propongono, come mossa distensiva, un "congresso entro l’anno, per superare le quote interne". Congresso che auspica anche Fini, ma per la ragione opposta, per rimarcare meglio le distanze.

Praticamente Fini si ritrova ad essere minoranza, prima che nel Pdl, nella sua stessa componente di ex An, ma questo forse lo aveva messo nel conto. Quel che non immaginava, semmai, è che gli ex amici andassero a caccia di firme proprio in contemporanea. E a poco vale che lui stesso, e con lui il fido Italo Bocchino dicano – curiosamente all’unisono con Alemanno – che quelle firme non sono "contro". "Anzi in cuore loro sono con me", si lascia sfuggire Fini con la Velina rossa. Ma se non contro di lui – verrebbe da dire – sono certamente per Berlusconi, e di questi tempi il risultato non cambia di molto.

Ma che al suo fianco non ci sia più An, Fini lo sa. Sa, certo, che quelli che restano sarebbero sufficienti a fare gruppo sia alla Camera che al Senato, ma sa anche (e alcuni interventi lo rimarcano chiaramente) che i numeri diventerebbero più esigui proprio, paradossalmente, con la prospettiva reale di andare da soli: "La fase del 70 a 30 è finita. Mi auguro che Berlusconi accetti che esista un dissenso interno nel Pdl", si limita allora a dire ai suoi riuniti. "Nessuna scissione – e nemmeno gruppi autonomi –, no al voto anticipato, ma ora confronto costruttivo", certifica il documento, attento a misurare le parole per non perdere altri pezzi per strada al momento della firma. Ma Fini resta determinato a marcare le differenze, ogni qual volta ce ne sarà – di nuovo – bisogno. E ne dà un anticipo su Roberto Saviano, argomento che subito, appena trapela, apre nuove polemiche: "Come è possibile dire che con il suo libro ha incrementato la Camorra? Come si fa a essere d’accordo?", dice Fini.

"Ci sono momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio, e io l’ho fatto", spiega ancora. "Ma non ho voglia né di togliere il disturbo, né di stare zitto". Assicura che quello che pone è un problema politico, "non di organigrammi". Niente contro GiulioTremonti, assicura ("Senza di lui saremmo come in Grecia"), e neppure contro la Lega, "alleato strategico ma che non può essere dominus". Resta tuttavia la sensazione che lo scontro sia solo rinviato. Forse già a domani, in direzione.

Angelo Picariello

 

 

 

 

 

2010-04-17

 

17 Aprile 2010

LA CRISI NEL PDLO

Fini, Berlusconi rilancia:

"Nuovo gruppo è scissione"

"Ho cercato di capirlo, di assecondarlo, di convincerlo... Ma è lui a voler fare i gruppi separati, è lui a voler andare per quella strada...". Silvio Berlusconi parla, restando in piedi, davanti all’ufficio di presidenza riunito d’urgenza a Palazzo Grazioli. C’è silenzio. Attesa. "... Se fosse davvero così, se Fini non capisse, la rottura sarebbe definitiva e nessuno scenario potrebbe essere escluso. Nemmeno il voto che è un’eventualità assolutamente da scongiurare". Il Cavaliere racconta l’ultimo "faccia a faccia" con Fini in maniera quasi asettica. Senza aggettivi. Senza considerazioni personali. Poi ascolta silenzioso gli interventi che si accavallano. Sono ore di riflessione. Ore per decidere una strada e renderla ufficiale. Più tardi, quando manca una manciata di minuti alle 20, il premier, davanti alle telecamere, invita l’ex capo di An a fermarsi.

"...Abbiamo approvato all’unanimità un documento nel quale invitiamo Fini a desistere" dal costituire gruppi parlamentari autonomi. "...A fermarsi per continuare insieme la grande avventura del Pdl in cui si ritrovano gli italiani che non stanno con la sinistra". È un segnale, ma non è una mano tesa. Berlusconi non concede molto. Anzi non concede quasi nulla. Perchè vuole un chiarimento vero, profondo, definitivo. Perchè – ripete nelle conversazioni più private – "non è possibile ritrovarsi tra due settimane punto a capo... Io devo solo pensare a governare". E allora, prima scandisce l’avvertimento: "Se fa i gruppi è scissione". Poi assicura: "Il governo andrebbe comunque avanti lo stesso". Uno dopo l’altro, Berlusconi usa le domande che si accavallano nell’inattesa conferenza stampa per fissare i punti fermi su cui Fini sarà costretto a riflettere. Uno su tutti. Il ruolo di presidente della Camera è compatibile con quello di capo di un gruppo parlamentare? Berlusconi scuote la testa: "No, francamente no".

I toni ultimativi si alternano a segnali distensivi. "Credo che verranno superate le incomprensioni", ripete il premier che va avanti così: "Continuiamo ma senza far vedere posizioni che facciano pensare ad un partito" litigioso quando invece, "il Pdl è coeso e democratico". Già, democratico. Perchè ora si terrà un ufficio di presidenza ogni quindici giorni, una direzione nazionale ogni due mesi e il prossimo congresso entro un anno. E l’appiattimento sulla Lega denunciato da fini? Berlusconi non ci sta: "Con la Lega abbiamo un’alleanza robusta, solida e stabile... La Lega è portatrice di esigenze talvolta del Nord ma non c’è mai stato in Cdm un solo argomento di distanza con il Pdl". A tarda sera le telecamere sono spente e c’è solo spazio per i ragionamenti privati. "Fini mi ha chiesto di togliere Gasparri da capogruppo al Senato. Ma Gasparri è stato eletto dai senatori, non lo posso certamente togliere. Questa è democrazia", racconta sottovoce il Cavaliere che va avanti e si sfoga: "La verità è che Fini da un anno e mezzo dice sempre cose opposte a quelle che dico io e poi c’è la Bongiorno che in Commissione Giustizia alla Camera crea sempre problemi". Insomma la tensione c’è ancora e il premier pretende una svolta: "Questo stillicidio deve finire. O si trova un accordo oppure ognuno va per la propria strada... Perchè deve finire questa storia di mostrare divisioni che invece non ci sono... Perchè è ora di voltare definitivamente pagina".

Arturo Celletti

 

 

2010-04-16

16 Aprile 2010

ALLEANZA IN BILICO

Bossi: possibili elezioni

se le cose non vanno a posto

"Quale scenario? Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni": lo ha detto Umberto Bossi, rispondendo alla domanda su quali possano essere gli scenari possibili nel caso non si ricomponga la frattura tra Berlusconi e Fini.

Vertice Pdl. È cominciato da qualche minuto a Palazzo Grazioli l'ufficio di presidenza del Pdl, convocato per ascoltare "comunicazioni urgenti" del presidente Silvio Berlusconi. "Questa legislatura è nata dal Pdl che Berlusconi ha proposto per realizzare un bipartitismo pieno. Se si spacca il Pdl, penso che sia estremamente difficile proseguire la legislatura". Lo dice ai cronisti, arrivando a Palazzo Grazioli, il ministro per l'Attuazione di programma di governo Gianfranco Rotondi, che aggiunge. "Spero di no, stiamo lavorando perchè non avvenga. I nostri elettori - rimarca il ministro Rotondi - si aspettano che il governo porti a termine il programma presentato agli elettori e si aspettano che il Pdl aiuti il governo a completare la legislatura".

Per Rotondi "questa scissione andrebbe contro non la volontà di Berlusconi ma dei cittadini italiani". Quanto alla posizione del presidente della Camera Gianfranco Fini, Rotondi spiega: "Non do giudizi, dico però che bisogna lavorare tutti insieme per rispettare il programma di governo. Un programma - conclude Rotondi - che è pure la ragione sociale del mio ministero".

"La situazione è critica, ma bisogna ricomporre l'unità del Pdl. No accetto l'idea di scissione , il Pdl è appena nato, deve trovare tempi e modi per strutturarsi trovando l'equilibrio tra le diverse posizioni". Lo dice il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ai cronisti, arrivando a Palazzo Grazioli. A chi gli chiede del ruolo di "pontiere", in questo momento fra le parti, Alemanno replica: "Mi sono autoincaricato di questo ruolo.Spero che già da questo ufficio di presidenza - conclude il sindaco di Roma - possa venir fuori un canale di dialogo per risolvere i problemi aperti".

 

 

 

 

 

 

16 Aprile 2010

RETROSCENA

Schifani: se ci dividiamo si torna alle urne

Il premier: è così, non mi farò mai ricattare

"Leggo in queste ore della costituzione di eventuali gruppi diversi dal Pdl. E io ritengo che quando una maggioranza si divide al proprio interno non resta che ridare la parola agli elettori". È Renato Schifani ad agitare il fantasma delle elezioni anticipate. È lui, il presidente del Senato, a disegnare la prospettiva che ha in testa il presidente del Consiglio. Voto, avverte l’inquilino di Palazzo Madama, perché "quando una maggioranza eletta sulla base di un programma elettorale condiviso si divide al proprio interno" questa è l’unica strada possibile. Voto, perché davanti a uno strappo come quello minacciato da Fini, "non resta che ridare la parola agli elettori e ripresentarsi a questi con nuovi progetti ed eventualmente nuove alleanze".

Sono ore complicate. Ore di tensione. I tg rilanciano il messaggio di Schifani; Berlusconi, a quell’ora, passa da una telefonata all’altra. È a Palazzo Grazioli e con lui c’è lo stato maggiore del Pdl. Il premier cammina avanti e ripercorre il "faccia a faccia" con Fini. Poi riflette e si interroga: "Mi ha ripetuto di escludere il voto... Vuole fare un gruppo e pensa di condizionarmi... Ma questo non sarà possibile, io non mi faccio ricattare". Su una scrivania nella residenza-ufficio di via del Plebiscito ci sono le ultime agenzie di stampa. Su una c’è una dichiarazione di Italo Bocchino, il vero braccio destro di Fini. Poche righe per replicare a Schifani. Per chiarire che "a Costituzione attualmente vigente in Italia si va alle elezioni anticipate soltanto in caso di assenza di una maggioranza". Poche righe per inviare a Palazzo Grazioli e anche a Palazzo Madama il messaggio che conta: "E vale la pena ribadire che nessun parlamentare vicino al presidente Fini farà mai mancare la fiducia al governo Berlusconi in base al mandato ricevuto dagli elettori".

Berlusconi legge e riflette ancora. Poi, mentre una smorfia di fastidio gli attraversa il volto, scandisce un messaggio che Fabrizio Cicchitto fa suo e rilancia sulle agenzie di stampa: "Le parole del presidente Schifani costituiscono un ammonimento che va preso sul serio, molto sul serio: mettono in evidenza i rischi insiti nella situazione, che non può essere affrontata con leggerezza o con motivazioni puramente tattiche o contrattualistiche e che poi, alla fine, può sfuggire di controllo". Oramai è una sfida dura. Anche nelle dichiarazioni. "La minaccia di elezioni anticipate è un’arma spuntata", ripete Bocchino che si chiede come "Berlusconi possa andare al Quirinale, dare le dimissioni, essere rinviato alle Camere, non farsi votare dai suoi parlamentari e come fa a pensare che possa esserci una maggioranza diversa...". Quei pensieri sono gli stessi del Cavaliere che solo oggi farà capire la prossima mossa. E nella notte confessa solo amarezza e sconcerto: "Le scelte di Fini sono incomprensibili... Solo incomprensibili".

Arturo Celletti

 

 

 

 

 

16 Aprile 2010

L'escalation tra Berlusconi-Fini e l'asse Lega-Pdl

Sull'orlo del riequilibrio (o forse di un'inattesa rottura)

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sono arrivati all’orlo della rottura irreparabile, se è vero – come pare – che il presidente della Camera ha parlato nell’incontro con il premier della "secessione" dei suoi sostenitori dai gruppi parlamentari del Popolo della libertà, ricevendo come risposta la richiesta di dimettersi dalla sua carica. Successivamente si è cercato di gettare acqua sul fuoco da ambo le parti, Fini ha ribadito il diritto di Berlusconi di portare a termine la legislatura e l’esigenza di rafforzare, non di distruggere, il partito che è stato fondato dalla coppia degli odierni antagonisti, Berlusconi ha negato di aver chiesto a Fini di lasciare la poltrona più alta di Montecitorio.

Comunque vada a finire, è chiaro che la navigazione nell’ultima fase della legislatura, che appariva abbastanza tranquilla dopo l’esito delle elezioni regionali e amministrative, ritorna in acque assai agitate.

Fini considera troppo stretto e in un certo senso subalterno il rapporto di Berlusconi con Umberto Bossi e intende esercitare nel partito una funzione determinante, anche e soprattutto sui temi della riforma istituzionale. Berlusconi sostiene che la discussione deve comunque avere come premessa l’accettazione, da parte di chi resta in minoranza nel Pdl, delle scelte che hanno ottenuto la maggioranza, il che confina i sostenitori di Fini in una condizione di inferiorità strutturale. L’ipotesi della costituzione di gruppi parlamentari autonomi sarebbe la conseguenza più traumatica di questa impasse attualmente insolubile. Berlusconi, a quanto trapela, si sarebbe dato un paio di giorni di tempo per fornire una risposta definitiva alle richieste del cofondatore del Popolo della libertà e, probabilmente, attende anche di conoscere la dimensione che assumerebbe l’eventuale secessione prima di prendere qualunque decisione. Altrettanto probabilmente, il presidente del Consiglio cercherà anche di convincere Bossi dell’esigenza di lasciare uno spazio sufficiente perché le esigenze politiche di Fini e dei suoi sostenitori incidano in qualche modo nelle scelte concrete della maggioranza. Il leader leghista è interessato alla continuazione di una legislatura che è nella condizione di portare a compimento la trasformazione federale del sistema fiscale e, forse, di quello istituzionale, e potrebbe quindi accettare una mediazione di Berlusconi, che in questo modo confermerebbe il suo ruolo di leader e punto di equilibrio della coalizione.

Non si può neanche escludere, però, che le tensioni accumulate per mesi finiscano per mettere in moto un processo di rottura inarrestabile, con conseguenze difficili da valutare anche sul piano della stabilità del governo e della continuità della legislatura. Il presidente del Senato ha sostenuto che, in caso di rottura della maggioranza, l’unica risposta sarebbe il ricorso anticipato alle urne, e questo ammonimento fin troppo realistico potrebbe diventare il copione di una imprevista crisi politica dagli effetti dirompenti.

Sergio Soave

 

 

2010-04-15

15 Aprile 2010

VERTICE TESO

Fini incontra Berlusconi

C'è aria di rottura

L'incontro di oggi fra il presidente della Camera Gianfranco Fini ed il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stato "tumultuoso" e Fini si sarebbe detto pronto alla rottura se il Cavaliere non mostra di essere autonomo rispetto a Bossi. È quanto riferisce una fonte vicina alla componente di An nel Pdl. "Fini chiede a Berlusconi di scegliere in modo chiaro se continuare a costruire il Pdl con lui o se preferirgli invece il rapporto con Umberto Bossi", dice la fonte.

Secondo la fonte "non siamo alla rottura, ma dipenderà da cosa succederà nelle prossime ore".

Da quel che è trapelato Fini si sarebbe detto pronto a propri gruppi parlamentari autonomi, cosa che secondo Berlusconi equivarrebbe a uscire dal Pdl. Probabile una riflessione di qualche giorno prima della decisione definitiva.

 

 

 

15 Aprile 2010

LA LINEA DELLA LEGA

La sfida di Bossi: le banche

del Nord ai nostri uomini

La Lega straripa. Cabina di regia sulle riforme, sindaco di Milano nel 2011 e ora anche Palazzo Chigi, nel 2013. E soprattutto, banche del Nord. È un fiume in piena - giusto un Po - Umberto Bossi. Che sceglie, non a caso, l’insolita location di Montecitorio per lanciare i suoi segnali. Segnali evidentemente destinati al Palazzo, più che al suo popolo: "È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice "prendete le banche" e noi lo faremo", avverte con il suo solito periodare che non conosce perifrasi. Lo fa, paradossalmente, nell’unico giorno in cui - a memoria - accetta di rinunciare a una posizione che era saldamente sua, come il ministero dell’Agricoltura. Rivelatosi una gallina dalle uova d’oro, in termini di consensi, nel settore agricolo. Un mondo che il senatur non ha alcuna voglia di abbandonare, e un dicastero che ora anche Giancarlo Galan guarda con più interesse rispetto a qualche mese fa, e infatti ha scelto di accettare.

"Un primo ministro leghista nel 2013? Vedremo, tutto è possibile. Abbiamo dimostrato che tutto è possibile", è l’altro affondo di Bossi. Solo un segnale. Per ora, almeno: "La Lega ha già tante poltrone e non ce ne interessa una in più", frena. Se ne parlerà a tempo debito, insomma. Nel frattempo ci sono le riforme da fare subito. Segnali, più diretti, allora, il senatur li lancia su questo, di fatto rivendicando, nuovamente, la cabina di regia. "La legge elettorale non si tocca", replica indirettamente a Gianfranco Fini, sposando in pieno la linea di Berlusconi. "Perché bisogna cambiare la legge elettorale? Va così bene questa! La gente ha dimostrato di non voler tornare a votare dopo due settimane", tuona Bossi. E rilancia: "Si tratta di togliere il doppio turno anche alle comunali". Il capo della Lega e il presidente della Camera parlano due lingue diverse. Uno degli argomenti usati da Fini, infatti, è sull’introduzione del Senato federale, che sembra richiedere un sistema meno "centralista" dell’attuale.

Ma proprio sul Senato federale Bossi ne ha anche per il presidente del Senato Renato Schifani: "Non ha detto che non vuole il Senato federale. Ha detto che il Senato non deve diventare una Camera di seconda serie e non lo diventerà". E quanto all’obiettivo di realizzarle in maniera condivisa, che lo stesso Schifani rilancia (dopo che anche Fini aveva preso in considerazione, invece, l’ipotesi di farle a maggioranza) Bossi conferma la <+corsivo>road map <+tondo>già indicata da Berlusconi: "Si parte dal Consiglio dei ministri, che approva una legge, poi si vedono le modifiche che porta la sinistra". Ma resta il nodo vero, sullo sfondo: se l’opposizione, a quel punto, presenterà un contro-progetto, fino a che punto Bossi sarà disposto a spingersi nella trattativa con la minoranza parlamentare, pur di evitare il referendum?

E c’è una doccia gelata anche per Berlusconi. Dal Pdl avevano ipotizzato una federazione, con la Lega. "No, la Lega sta da sola", avverte Bossi.

Angelo Picariello

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-05-09

"abbiamo in mente un nuovo partito, un partito della nazione"

Casini: "Un governo tecnico, di salute pubblica, prima o poi è inevitabile"

Il leader Udc: "L'Italia ha bisogno di riforme". Calderoli: "È il popolo decide

"abbiamo in mente un nuovo partito, un partito della nazione"

Casini: "Un governo tecnico, di salute pubblica, prima o poi è inevitabile"

Il leader Udc: "L'Italia ha bisogno di riforme". Calderoli: "È il popolo decide

Pier Ferdinando Casini con Lucia Annunziata

Pier Ferdinando Casini con Lucia Annunziata

MILANO - "Un governo tecnico, di salute pubblica, prima o poi è inevitabile e sarebbe una scelta di grande responsabilità politica". Lo dice il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini a "In 1/2 ora" il programma di Lucia Annunziata. "E una cosa inevitabile - ha aggiunto Casini - e prima o poi si porrà perchè l'Italia ha bisogno di riforme, a partire dalla riforma delle pensioni alle liberalizzazioni, che nessuna maggioranza pro tempore farà mai per timore di perdere voti. Alla domanda se possa essere Tremonti a guidare un governo tecnico, Casini ha risposto: "questo non lo so, non sono il Capo dello Stato".

NUOVO PARTITO - Casini ha poi detto che punta a un nuovo partito, per la riconciliazione, aperto a laici e cattolici. Il "partito che abbiamo in mente di fare - ha detto Casini - è un partito della nazione. La parola della Lega è Padania, quella di Idv l’anti-Berlusconismo, la nostra è unità della nazione", con l’obiettivo di una "concordia nazionale".

CALDEROLI - A Casini risponde il Ministro per la Semplificazione Normativa e Coordinatore delle Segreterie Nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli: "È il popolo che decide con il voto chi deve governare e non i giochi di palazzo". "Il bipolarismo da noi è ormai un dato di fatto per scelta della politica - aggiunge - ma soprattutto per scelta del popolo, e questo esclude, sul nascere qualunque tipo di governi tecnici o di salute pubblica, che a casa mia si traducono in Roma o Spagna pur che se magna. È veramente desolante dover riscontrare che chi utilizza una crisi economica di dimensioni ancora non quantificate per fare i propri interessi di bottega, magari arruolando anche gli scarti del mondo dell'impresa. Se vogliono parlare di federalismo fiscale porte aperte, accettiamo qualunque tipo di contributo - conclude - se invece, con la scusa della crisi economica, qualcuno cerca di farci ripiombare nella Prima Repubblica, allora verrà schiacciato come il serpente...".

Redazione online

09 maggio 2010

 

 

 

L'inchiesta sulla "Cricca"

Una casa pagata da Anemone

per l'uomo delle Infrastrutture

Da Zampolini mezzo milione di euro a Ercole Incalza

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Una casa pagata da Anemone

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Da Zampolini mezzo milione di euro a Ercole Incalza

Diego Anemone, il costruttore considerato una delle figure centrali dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i grandi eventi

Diego Anemone, il costruttore considerato una delle figure centrali dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i grandi eventi

PERUGIA — Oltre mezzo milione di euro per comprare un appartamento a Ercole Incalza, potente funzionario del dicastero delle Infrastrutture. È questa la nuova operazione immobiliare gestita nel 2004 dall’architetto Angelo Zampolini per conto di Diego Anemone. Dopo le case acquistate per il ministro Claudio Scajola e per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, l’indagine condotta dai magistrati di Perugia rivela che anche l’attuale capo della "Struttura tecnica di missione", uno dei collaboratori più stretti del ministro Altero Matteoli, ha goduto dei favori del costruttore ora indagato per corruzione. E l’ha fatto sei anni fa, quando era consulente di Pietro Lunardi, che all’epoca occupava la stessa poltrona.

L’affare per il genero

L’operazione sospetta segnalata dalla Banca d’Italia porta la data del 7 luglio 2004. Per il professionista deve essere stato un periodo di lavoro intenso, visto che neanche 24 ore prima ha chiuso la compravendita per Scajola. Quel giorno, così come risulta dai documenti contabili, Zampolini versa sul proprio conto presso l’agenzia Deutsche Bank 520.000 euro in contanti messi a disposizione da Anemone e preleva subito dopo 52 assegni circolari da 10.000 euro l’uno intestati a Maurizio De Carolis. L’uomo viene rintracciato qualche settimana fa e racconta di aver venduto un appartamento al centro di Roma ad un certo Alberto Donati, per 390.000 euro. Il rogito è stato stipulato di fronte al solito notaio, quel Gianluca Napoleone che si è occupato anche delle altre compravendite chiuse con la stessa procedura. E pure in questo caso la cifra appare davvero troppo bassa per una dimora lussuosa che si trova al centro di Roma — in via Emanuele Gianturco 5 — ed è composta da cinque camere e servizi. E infatti il prezzo finale, tenendo conto della cifra versata "in nero" da Zampolini, supera i 900.000 euro. Manca però il tassello successivo e cioè verificare come mai Anemone abbia deciso di mettere a disposizione il denaro. La risposta la fornisce lo stesso Donati: "Ho fatto l’affare grazie a mio suocero Ercole Incalza. Fu lui a dirmi di mettermi in contatto con Zampolini che mi avrebbe aiutato per l’acquisto dell’appartamento". Per chi indaga quello di Incalza è un nome noto visto che nel febbraio 1998, quando era amministratore delegato della Tav, fu arrestato proprio dai magistrati di Perugia. L’inchiesta era quella sugli appalti delle Ferrovie che portò in carcere anche l’allora presidente Lorenzo Necci e il finanziere Francesco Pacini Battaglia. L’identità del beneficiario viene comunicata ai pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, titolari dell’indagine, che adesso dovranno decidere la data di convocazione per l’interrogatorio. Incalza dovrà infatti chiarire come mai Anemone decise di elargire in suo favore una somma tanto ingente mentre lui era consigliere del ministro delle Infrastrutture Lunardi. Spiegare che rapporti aveva il costruttore con il dicastero, quali appalti ottenne in quel periodo. Il resto lo sta facendo Zampolini che — come hanno confermato i magistrati perugini davanti al tribunale del Riesame — "sta ricostruendo i flussi finanziari che arrivavano dall’imprenditore". Una collaborazione preziosa per l’indagine perché consente di ricostruire il percorso dei soldi, e dunque il nome di chi ne ha beneficiato, che gli ha evitato la richiesta di arresto.

Le bugie del generale

Lo aveva già fatto nei casi che riguardano Scajola e Pittorru. La scorsa settimana il generale è stato interrogato dai pm. Ha ammesso di aver ricevuto da Anemone, sempre tramite Zampolini, 800.000 euro per l’acquisto di due case. "Ma era un prestito — ha cercato di giustificarsi —sono pronto a fornirvi le prove. I documenti sono conservati in Sardegna e ve li consegnerò entro una settimana". Una versione ritenuta non credibile dagli inquirenti che hanno comunque concesso all’alto ufficiale indagato per corruzione la possibilità di mantenere il suo impegno. Ma dopo sette giorni Pittorru ha fatto sapere che quelle carte gli erano state rubate e dunque non sarebbe stato in grado di dimostrare quanto aveva sostenuto. Anche al commercialista Stefano Gazzani e al commissario per i mondiali di nuoto Claudio Rinaldi viene contestato di aver fornito versioni false rispetto ai propri rapporti con Anemone. E per questo Sottani e Tavernesi hanno ribadito la necessità che entrambi vengano arrestati. "La competenza è della Procura di Perugia, qui deve rimanere l’inchiesta", hanno dichiarato di fronte al tribunale che deve pronunciarsi sulla decisione del gip secondo il quale il fascicolo dovrebbe essere trasmesso a Roma e sulla richiesta degli avvocati difensori Bruno Assummma e Titta Madia che sostengono la completa estraneità dei propri assistiti alle attività illecite della "cricca".

Fiorenza Sarzanini

12 maggio 2010

 

 

 

Nota del legale del collaboratore del ministro Matteoli

Casa pagata da Anemone ?

Incalza: "Sono tranquillo"

Sull'acquisto dell'appartamento "fornirò tutti i chiarimenti necessari alle autorità competenti"

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Ercole Incalza (Ansa)

Ercole Incalza (Ansa)

PERUGIA - "È una vicenda che mi lascia assolutamente tranquillo". Così l'ingegner Ercole Incalza, capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, ha commentato la notizia del presunto acquisto di un appartamento di via Emanuele Gianturco a Roma, in parte pagato - secondo i magistrati di Perugia che indagano sulla cricca degli appalti - con i fondi neri dell'imprenditore Diego Anemone. Lo ha fatto in una nota diffusa dal suo legale, l'avvocato Titta Madia. "Se mai sarò chiamato a spiegarla - ha detto ancora Incalza - fornirò tutti i chiarimenti necessari alle autorità competenti".

COINVOLTO E PROSCIOLTO PER "GRANDI OPERE" - Alla fine degli anni Novanta, Incalza, come ex amministratore delegato della Tav, venne coinvolto, e poi prosciolto, nell' inchiesta condotta sempre dalla procura di Perugia sulla cosiddetta Tangentopoli due. Un presunto giro di mazzette per l'assegnazione di lavori per grandi opere, in particolare del Gruppo Ferrovie e dell'Eni, che ruotava intorno ala figura del banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia. "Per Incalza - ha sottolineato l'avvocato Madia - ci sono stati 14 proscioglimenti e mai una condanna. Un vero e proprio record-man".

12 maggio 2010

 

 

 

 

 

CONFERENZA STAMPA A CATANIA DOPO LA NOTIZIA RIPORTATE DA UN QUOTIDIANO

La procura smentisce la richiesta d'arresto per Raffaele Lombardo

"Non è stata avanzata nei confronti del governatore o di altri politici"

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"Non è stata avanzata nei confronti del governatore o di altri politici"

Raffaele Lombardo

Raffaele Lombardo

CATANIA - La procura di Catania ha smentito in modo netto la notizia di una richiesta d'arresto nei confronti del presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, diffusa da un quotidiano. "Con riferimento a notizie pubblicate sull'edizione odierna del quotidiano La Repubblica - si legge nella nota diffusa dal procuratore Vincenzo D'Agata - al fine di evitare inopportune strumentalizzazioni delle attività dell'ufficio, in vista di finalità che gli sono assolutamente estranee e alle quali non intende prestarsi, la Procura distrettuale di Catania precisa quanto segue: l'ufficio - afferma il procuratore D'Agata - non ha avanzato alcuna richiesta nei confronti del governatore Lombardo o di altri politici; ogni differente notizia al riguardo, comunque diffusa e a qualsiasi personaggio politico riferita - sottolinea il magistrato - è pertanto del tutto priva di ogni fondamento.

STOP ALLE ILLAZIONI - Allo scopo, infine, di evitare che attraverso iniziative mediatiche, anche dal doveroso riserbo dell'Ufficio si tenti di trarre illazioni circa gli orientamenti, le valutazioni o le determinazioni del medesimo, la Procura distrettuale - conclude il procuratore D'Agata - non interloquirà più in alcun modo sull'argomento". Nell'inchiesta, aperta dalla Procura di Catania dopo indagini svolte dal Ros che ha presentato una rapporto di circa 5 mila pagine al vaglio della Dda etnea, sono indagate circa 70 persone, compresi alcuni politici".

12 maggio 2010

 

 

 

 

2010-05-06

L’inchiesta - Le carte

Case a prezzi stracciati

inchiesta su 15 vendite

Tutti gli affari, i bonifici al commissario dei mondiali di nuoto

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Tutti gli affari, i bonifici al commissario dei mondiali di nuoto

L'appartamento di Scajola (Ansa)

L'appartamento di Scajola (Ansa)

ROMA — Ci sono altre quindici operazioni sospette nel fascicolo della procura di Perugia che indaga sugli appalti pubblici concessi per i Grandi Eventi. Passaggi di denaro sui conti gestiti dai componenti della "cricca" che secondo gli inquirenti nascondono compravendite di abitazioni, proprio come è avvenuto per il ministro Claudio Scajola. E fanno presumere, viste le cifre impegnate, che anche i nomi dei beneficiari possano essere dello stesso calibro. La verifica della documentazione bancaria è affidata agli investigatori della Guardia di Finanza. E almeno una parte sembra riconducibile all’architetto Angelo Zampolini, il collaboratore dell’imprenditore Diego Anemone che ha già ammesso di aver accettato di mettere a disposizione i propri depositi per questo tipo di pratiche. È stato l’esame dei documenti forniti dagli istituti di credito a rivelare invece tre bonifici effettuati nel 2007 dallo stesso Anemone a Pietro Rinaldi, il commissario per i Mondiali di Nuoto indagato per corruzione. Versamenti per un totale di 500.000 euro che secondo l’accusa sono il prezzo della corruzione. Verifiche e accertamenti sono stati delegati dai pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi anche sul ruolo dell’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, al quale, secondo il racconto di Laid Ben Hidri Fathi— il tunisino che per anni è stato autista di Angelo Balducci e il factotum dell’imprenditore—furono consegnate alcune buste, alcune anche tramite la figlia.

Gli assegni per le case

Incrociando i risultati dei controlli effettuati presso "l’Anagrafe dei rapporti con gli operatori finanziari " con quelli negli istituti di credito sono stati scoperti alcuni "transiti " anomali di soldi da un conto corrente ad altri. E adesso si indaga su queste transazioni che si ritiene possano nascondere il versamento di tangenti, sia pur mascherato. Ad insospettire gli inquirenti è stata soprattutto la scelta di ricorrere sempre alle stesse persone per concludere gli affari: il funzionario della Deutsche Bank che provvedeva a trasformare i contanti depositati in assegni circolari sempre di piccolo taglio—dunque con la speranza di eludere i controlli antiriciclaggio — e il notaio che si occupava delle stipule. Tutti i rogiti sono registrati con una cifra minima, sempre molto inferiore al valore effettivo dell’immobile. Possibile che il pubblico ufficiale non abbia mai avuto il dubbio che ci fosse un passaggio di titoli e dunque una consistente parte del prezzo versata "in nero"? È presumibile che al termine delle verifiche su queste operazioni, spetti proprio a lui chiarire di fronte ai pubblici ministeri che cosa è accaduto in occasione delle compravendite. Anche perché alcuni trasferimenti sarebbero stati occultati utilizzando società per non svelare l’effettivo beneficiario dell’acquisto.

Le buste di Lunardi

Hidri Fathi ha parlato di "vari soggetti, anche ministri" destinatari delle buste inviate da Anemone e Balducci, ma l’unico nome che ha fatto è quello di Lunardi. Lo ha accusato di aver preso "il 10 per cento dell’importo di ogni progetto approvato da Balducci che poi lo affidava ad Anemone". Per riscontrare le sue dichiarazioni si stanno esaminando tutti gli appalti che il costruttore si è aggiudicato in quegli anni e sulle procedure seguite, verificando anche il ricorso alla trattativa privata. Ma i controlli affidati ai carabinieri del Ros si concentrano anche su altre circostanze. Passaggi di società e compravendite di immobili che potrebbero nascondere interessi comuni con alcuni protagonisti della "cricca". In particolare desta sospetto l’acquisto effettuato da Claudio Rinaldi di un appartamento in via Sant’Agata dei Goti, al quartiere Monti di Roma, di un appartamento di proprietà del figlio di Lunardi. L’immobile era infatti in pessime condizioni e gli investigatori vogliono stabilire se davvero, come sostiene Rinaldi, il prezzo pattuito gli abbia consentito di "fare un affare" o se invece la vendita sia servita a schermare una divisione di denaro tra i due. L’indagine dovrà anche chiarire i termini dell’acquisto da parte della famiglia Lunardi di un intero palazzo in via dei Prefetti, sempre nella Capitale, dall’ente religioso Propaganda Fide del quale Balducci era consigliere. A occuparsi del rogito fu, pure in questo caso, il notaio che aveva firmato quello di Scajola e tutti gli altri atti.

I bonifici a Rinaldi

Case, soldi, utilità: il gruppo Anemone si conferma un pozzo che appare senza fondo. E nuovi indizi emergono contro Rinaldi. Tra le contestazioni non ci sono soltanto le autorizzazioni concesse alle strutture sportive dell’amico costruttore in vista dei Mondiali di Nuoto. Perché nel 2007, quando era uno dei vice di Balducci con delega alle Infrastrutture, il funzionario ha ricevuto da lui tre bonifici. Uno da 250.000 euro, gli altri due da 50.000 euro ciascuno, che si sommano a 150.000 euro trasferiti a San Marino. Per trasferire questi fondi sarebbe stata utilizzata la società "Iniziative speciali srl" intestata alla madre di Rinaldi, Mimma Giordani. Durante il suo interrogatorio Rinaldi li ha giustificati come il provento di consulenze. "Il mio assistito — spiega l’avvocato Titta Madia — ha sempre svolto attività professionale privata e in questa veste ha collaborato con il gruppo Anemone". Una spiegazione che non ha convinto i magistrati e che sembra evidenziare un conflitto di interessi.

Fiorenza Sarzanini

06 maggio 2010

 

 

 

 

La famiglia Papa "Lì un tempo c'era anche un bed and breakfast. L'appartamento fa schifo"

"Le mie figlie ingenue con quegli assegni"

Il padre delle venditrici della casa a Scajola: si sentivano tranquille con il ministro

La famiglia Papa "Lì un tempo c'era anche un bed and breakfast. L'appartamento fa schifo"

"Le mie figlie ingenue con quegli assegni"

Il padre delle venditrici della casa a Scajola: si sentivano tranquille con il ministro

ROMA — "Io le capisco, Beatrice e Barbara: se vendi la casa a un ministro pensi di stare tranquillo, questo è chiaro. Le mie figlie, però, sono state due ingenue, ecco la verità. Come si fa ad accettare un pagamento in nero fatto con assegni circolari? Se almeno m'avessero telefonato, avrei potuto dar loro qualche consiglio. Dopotutto, faccio il costruttore da una vita: edilizia residenziale, campi da golf...".

Iniziali - Sul citofono di casa Scajola ci sono solo le iniziali del suo nome e cognome

Iniziali - Sul citofono di casa Scajola ci sono solo le iniziali del suo nome e cognome

Antonio Papa, 70 anni, finalmente apre il cancello della sua villa vicino all'Appia Antica. Posto da favola, immerso nel verde, cani da guardia che abbaiano intorno: a pochi metri da qui ci sono le case del sarto Valentino e del regista Franco Zeffirelli. Case per modo di dire: due regge. "Le costruì mio padre Sabatino, il nonno di Barbara e Beatrice", racconta Antonio con giusto orgoglio. Ma è di un'altra casa che con lui, adesso, vogliamo parlare: l'appartamento di via del Fagutale numero 2, quello con vista sul Colosseo, venduto nel 2004 dalle sorelle Papa all'ex ministro Scajola: "Io la conosco bene quella casa — sospira il costruttore — la gestii, infatti, per una decina d'anni quando ero ancora sposato con la mamma di Beatrice e Barbara, Fiamma Maglione, morta all'inizio del 2003. Fiamma a un certo punto lo divise anche in due, ci aprì un bed and breakfast per i turisti. Però, sia chiaro, niente di eccezionale. Anzi è un appartamento piuttosto scrauso, direi, rispetto per esempio a quelli di Raoul Bova o Lory Del Santo che stanno ai piani alti. Quelle sì che sono case fantastiche. Invece qui stiamo parlando di un mezzanino senza neppure il balcone, che insiste sulla strada, insomma fa schifo, non è sicuramente un posto dove andrei a vivere io. E non è nemmeno un posto da ministro. Però, ecco, se son vere le cose che ho letto sui giornali, diciamo che Scajola avrà avuto le sue buone ragioni. A caval donato, come si dice, non si guarda in bocca...". Il palazzo di via del Fagutale fu comprato negli anni Cinquanta dal papà di Fiamma Maglione, il grande banchiere napoletano Mario Maglione, già proprietario dell'Hotel Vesuvio, che in questo modo regalò un appartamento a ciascuno dei suoi figli, Furio, Mario, Rita e Fiamma.

Dei quattro, oggi, solo Mario è ancora vivo, ma ormai si è trasferito in Australia dove commercia nel ramo delle automobili. Quando morì Mario Maglione, la moglie Liliana venne a vivere a Roma, nella villa a fianco di quella dei Papa. Ecco come si conobbero Fiamma e Antonio. La loro storia comincia così: "Praticamente inciampammo uno sull'altra — scherza adesso lui — Eravamo giovanissimi, avevamo vent'anni, io ero paracadutista, lei studiava al liceo artistico. Poi nacquero loro, Beatrice nel '64 e Barbara nel '68. Le mandammo a studiare in un collegio svizzero, quindi Barbara prese l'indirizzo artistico (oggi ha due figlie piccole e lavora nel campo discografico, ndr) e Beatrice il classico (la primogenita convive con un antiquario vicino piazza Farnese, ndr). Fiamma, la madre, era un'artistoide, innamorata del cinema, donna vulcanica, eccezionale. Poi però il nostro matrimonio è finito, io mi sono risposato, ho avuto altri due figli e con Barbara e Beatrice ci siamo allontanati. Mi dispiace molto...". Il viso dell'uomo ora s'incupisce, si capisce che sta soffrendo per le traversìe delle sue figlie maggiori: "Speriamo solo che non patiscano troppe conseguenze per questa compravendita irregolare — conclude il signor Antonio —. Si sa, però, che la responsabilità è di chi compra. È chi compra che, di solito, preferisce pagare un tot in nero per evadere la tassa di registro. Purtroppo, in Italia, sembra diventata una consuetudine...".

Fabrizio Caccia

06 maggio 2010

 

 

 

POCHE REGOLE, SCARSA TENSIONE MORALE

Alle radici della corruzione

POCHE REGOLE, SCARSA TENSIONE MORALE

Alle radici della corruzione

Un tumore maligno annidato in un organismo senza anticorpi. Ecco come i vertici della Corte dei conti definivano la corruzione che infesta il nostro Paese non più tardi di qualche settimana fa, quando già infuriava lo scandalo per gli appalti del G8 della Maddalena. Si fa fatica a pensare che cosa potrebbero affermare ora, dopo le ultime clamorose scoperte. Va detto subito che sui fatti spetterà alla magistratura fare chiarezza. Ma lo scenario che lasciano intravedere gli squarci aperti in questi giorni, al di là delle responsabilità individuali, è agghiacciante: se si trattava di un sistema generalizzato, dove si potrà arrivare? Anzi, dove si è già arrivati? La stessa Corte dei conti ha stimato in 60 miliardi di euro la "tassa occulta" che gli italiani pagano ogni anno a causa della corruzione: una somma che basterebbe quasi a ripagare gli interessi del nostro enorme debito pubblico. Una stima magari esagerata, come qualcuno sostiene.

Resta il fatto che nel solo 2009 la Guardia di finanza ha accertato un aumento del 229% per i reati di corruzione e del 153% per quelli di concussione. E che nella classifica stilata da Transparency International sulla corruzione nel mondo l’Italia è scivolata in un solo anno dal cinquantacinquesimo al sessantatreesimo posto. A fianco dell’Arabia Saudita, e in fondo alle nazioni europee. Si dirà che queste classifiche lasciano il tempo che trovano, e forse è vero. Comunque, la dicono lunga sulla nostra reputazione internazionale in questa materia. Come non bastasse, le notizie che tristemente hanno affollato le cronache nell’ultimo anno ci informano che a diciott’anni dalla esplosione di Tangentopoli la corruzione italiana avrebbe raggiunto la maturità attraverso una inquietante "mutazione genetica ". Se una volta era soprattutto lo strumento per finanziare illecitamente i partiti, adesso serve esclusivamente all’arricchimento personale. Non che rubare per il partito anziché per il proprio portafoglio sia meno grave. Il reato è identico. Ma questa "mutazione genetica", soprattutto se saranno confermati i sospetti sulla dimensione dilagante del fenomeno, denuncia un crollo ulteriore della tensione morale e del profilo etico di parte della nostra classe politica. Che dovrebbe essere seriamente preoccupata, anche per le conseguenze a cascata che un simile andazzo può avere per un Paese già disorientato dalla crisi economica.

E invece reagisce facendo spallucce. Illuminante la dichiarazione di Denis Verdini, coordinatore del Pdl tirato in ballo per alcuni appalti in Sardegna, il quale a chi gli chiedeva se avesse intenzione di dimettersi imitando Claudio Scajola ha risposto: "Non ho questa mentalità". Come se l’etica pubblica foss e u n a q u e s t i o n e d i mentalità… Appena insediato, il governo ha abolito l’Autorità anticorruzione, che con le poche risorse e i magri poteri di cui disponeva non poteva fare molto. Ma il "Servizio anticorruzione e trasparenza " istituito al suo posto, alle dipendenza del ministro Brunetta, può finora rivendicare un bilancio migliore? Il primo marzo il consiglio dei ministri, sull’onda degli scandali del G8, ha approvato un disegno di legge per combattere la piaga. Poi gli scandali sono spariti dalle prime pagine e anche quella promessa sembrava finita nel dimenticatoio. Due mesi dopo sta finalmente per iniziare l’iter parlamentare: un’occasione imperdibile per mandare un segnale chiaro agli italiani. Invece si è rivelato subito un nuovo pretesto per litigare all’interno del Pdl. Se ne sentiva proprio il bisogno.

di SERGIO RIZZO

06 maggio 2010

 

 

 

l'inchiesta sugli appalti in sardegna

Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia

Tutto questo è chiasso mediatico"

Il coordinatore Pdl: "Avrò fatto qualche telefonata, ma nulla di illegittimo. Una congiura? Legittimo sospettarlo"

l'inchiesta sugli appalti in sardegna

Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia

Tutto questo è chiasso mediatico"

Il coordinatore Pdl: "Avrò fatto qualche telefonata, ma nulla di illegittimo. Una congiura? Legittimo sospettarlo"

Denis Verdini

Denis Verdini

MILANO - "Non ho fatto nulla di illegittimo; avrò fatto qualche telefonata, ma non c'è niente di sostanziale". Denis Verdini, indagato nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti in Sardegna, chiarisce di "non aver ricevuto alcun avviso di garanzia". Il coordinatore del Pdl, intervistato da Maurizio Belpietro alla 'Telefonata' su Canale 5, afferma poi di essere sottoposto a un "processo mediatico". "Come sempre c'è una violazione costante del segreto istruttorio - aggiunge - e nessuno dice niente su questo argomento. Sono esposto a un processo mediatico al quale non voglio stare perché non è certo questa la sede opportuna".

CHIASSO MEDIATICO - Verdini insiste: "Si reclama sempre che i politici vogliono sfuggire ai processi, ma in realtà sono i processi che vengono fatti altrove e non nelle sedi opportune". Verdini spiega di sentirsi "tranquillo sia da un punto di vista morale sia materiale" e si è difende: "Non ho fatto nulla di illegittimo; avrò fatto qualche telefonata ma non c'è niente di sostanziale. Non potevo e non posso fare nulla di concreto: quelle emerse sono opinioni dei magistrati che sono pronto a confutare". Il coordinatore del Pdl nega di conoscere l'imprenditore Anemone, coinvolto nell'inchiesta degli scandali per i grandi appalti: "Mai visto e conosciuto". E se la prende con "il chiasso mediatico".

"Ci sarà una congiura? - prosegue. - Non lo so, ma certo si ripetono sempre gli stessi fatti e con puntualità. E quando una cosa si ripete puntualmente diventa scientifica ed è legittimo anche sospettare delle cose". A Maurizio Belpietro che gli chiede se intenda dimettersi come Claudio Scajola, Verdini risponde: "Io da cosa mi dimetto? Non ho responsabilità di governo, ma solo politica nel partito. Non posso fare niente".

Redazione online

06 maggio 2010

 

 

 

Pdl, Verdini indagato per corruzione

Lui replica: "Non mi dimetto"

Il coordinatore coinvolto nell'inchiesta su illeciti negli appalti pubblici, tra cui progetti sull'eolico in Sardegna

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Appalti, Denis Verdini indagato a Firenze (15 feb'10)

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Truffa ai danni dello Stato, indagato il senatore Pdl Ciarrapico (4 mag'10)

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Verdini e Fusi, quindici anni di affari (M.Gerevini, 10 aprile 2010)

ROMA - Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione nell'ambito dell'inchiesta riguardante un presunto comitato d'affari che si sarebbe occupato, in maniera illecita, di appalti pubblici, in particolare dei progetti sull'eolico in Sardegna. Secca la replica del coordinatore: "Totale estraneità, mi batterò fino in fondo in tutte le sedi". Verdini non ha alcuna intenzione di dimettersi da coordinatore del Pdl, parlando con i giornalisti alla Camera, a chi gli chiede se lui farebbe come Claudio Scajola, il coordinatore del Pdl risponde: "Non ho questa abitudine, e neppure questa mentalità. E poi dimettersi dal lavoro è difficile. E le mie responsabilità politiche sono di lavoro".

Denis Verdini (Photomasi)

Denis Verdini (Photomasi)

L'INDAGINE - L’iscrizione di Verdini sul registro degli indagati è stata decisa dai responsabili degli accertamenti, i pm Ilaria Calò, Rodolfo Sabelli ed il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Nei giorni scorsi è stata anche perquisita la sede del Credito cooperativo fiorentino, di cui Verdini è presidente. Oltre a Carboni, nelle scorse settimane hanno ricevuto l’avviso proroga dell’inchiesta altre quattro persone: il costruttore Arcangelo Martino; Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias; Ignazio Farris, consigliere dell’Arpa della Sardegna; e un giudice tributario, Pasquale Lombardo. Molte delle ipotesi accusatorie sarebbero basate su intercettazioni, ma anche su un giro di assegni. Per questo si è proceduto al controllo dell’istituto di credito e di conti lì intestati. Le verifiche dei magistrati e dei carabinieri, sarebbero concentrate su diversi appalti pubblici, tra cui alcuni in Sardegna, connessi allo sviluppo di energie alternative. A questo filone è legato un blitz compiuto due settimane fa dai Carabinieri del Nucleo operativo di Roma nel palazzo di viale Trento della Regione Autonoma della Sardegna.

IL MISTERO DEGLI ASSEGNI - Gli investigatori erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali gli inquirenti intendono accertare la provenienza e la destinazione. In procura c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso. Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia. Verdini è già indagato a Firenze in un'indagine per l'assegnazione degli appalti nelle Grandi Opere.

"TOTALE ESTRANEITA'" - Denis Verdini affida inizialmente il suo commento a una nota: "Di fronte a una serie di notizie interessate che cercano di infangare la sua reputazione, ribadisce la sua totale estraneità a ogni ipotesi di comportamenti penalmente o anche moralmente rilevanti e continua a essere disponibile, com'è suo costume, a favorire nelle sedi opportune il pronto accertamento della verità da parte della giustizia, che metta nel nulla tutta una serie di illazioni, falsità e costruzioni giornalistiche". Secondo Verdini "l'abitudine, ormai invalsa, di sistematiche violazioni del segreto istruttorio per colpire determinati soggetti politici attraverso pirotecnici, fantasiosi e incontrollati - e per questo parziali e pilotati - processi mediatici che, prescindendo da ogni serio accertamento, cercano di emettere sentenze precostituite, non è più sopportabile". Contro di esse, il coordinatore dichiara di "volersi battere fino in fondo in tutte le sedi, convinto della propria totale trasparenza".

"DESCRITTO COME UN BOSS MAFIOSO" - Ma poi, alla Camera Verdini si sfoga con i giornalisti è molto più loquace: "Vengo descritto come un boss mafioso o un burattinaio che mette tutti insieme. Magari. Ma i fatti sono fatti". Il coordinatore del Pdl è un fiume in piena: "Questo lo voglio dire: io sarei diventato una specie di crogiuolo che mette insieme cose che insieme non stanno. Ma io voglio rispondere dei fatti e non di questo sputtanamento generale. I fatti sono fatti e ci si difende da questi, non dallo sputtanamento". L'esponente del Pdl contesta duramente la violazione del segreto istruttorio: "È una violazione continua. Non è colpa dei magistrati, non è colpa dei giornalisti e non è colpa della forze dell'ordine. Ma allora di chi è la colpa? In questi giorni sono costretto a rispondere di cose di cui non so niente. Io sono abituato a rispondere ai magistrati quando vengo chiamato. Non mi piace invece il circo mediatico e ora dico 'bastà". Verdini dice di non credere a un complotto, ma solleva perplessità sui tempi dell'inchiesta e della fuga di notizie. "C'è una serie di concomitanze abbastanza palesi e osservabili- dice Verdini- così ripetibili che Galileo direbbe che costituiscono un fatto scientifico. È un fenomeno che si ripete costantemente e quindi è scientifico", dice a proposito della violazione del segreto istruttorio. "E pensare che c'è chi vuole ridurre le tutele per gli indagati. Io dico che è il partito dei matti".

Redazione online

05 maggio 2010(ultima modifica: 06 maggio 2010)

 

 

 

 

2010-05-05

In un'intervista in diretta a Sky tg24

Fini: "Non c'è congiura

dei giudici contro il governo"

Il presidente della Camera: "Dovere di tutti tutelare il valore della legalità in Italia"

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Fini: "Non c'è congiura

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Il presidente della Camera Gianfranco Fini (Fotogramma)

Il presidente della Camera Gianfranco Fini (Fotogramma)

MILANO - "Non c'è nessuna congiura o accanimento dei giudici contro l'esecutivo" ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nel corso di un'intervista a ruota libera e in diretta su SkyTg24. Il presidente della Camera, il giorno dopo le dimissioni del ministro Scajola e nel giorno dell'avviso di garanzia che ha raggiunto il coordinatore del Pdl Denis Verdini, stavolta si trova d'accordo con il leader della Lega Bossi ("Mi sembra che i magistrati facciano solo il loro lavoro") ma coglie anche l'occasione per rilanciare il ddl anti-corruzione. "È stato un disegno di legge voluto dal governo, quindi sarebbe bene che avesse una corsia preferenziale. Il direttivo del gruppo del Pdl non ha accolto la richiesta fatta dall'onorevole Bocchino, ma - aggiunge Fini - spero che ci sia un ripensamento".

VERDINI- Poi alla giornalista che gli chiedeva se a suo avviso Verdini dovrebbe fare un passo indietro da coordinatore del Pdl il presidente della Camera ha risposto: "No. La storia recente è zeppa di episodi in cui dopo l'avviso di garanzia le accuse si sono dimostrate non sussistenti".

LIBERTÀ DI STAMPA- Parlando del ddl intercettazioni e del fatto che con questo provvedimento non si potrà pubblicare più nulla a cominciare dagli atti delle indagini, Fini ha aggiunto: "Non credo che in una democrazia ci sia mai troppa libertà di stampa. Il problema comunque non è quello della quantità della stampa, ma della sua qualità". Anche se questa, spesso è "connessa alla qualità della politica". Ed è anche vero, ha sottolineato, che vista la qualità della politica questa " farebbe bene a guardare se stessa prima di fare le pulci agli operatori dell'informazione".

IL GIORNALE - Il passo per parlare de Il Giornale è breve: "Il problema per Il Giornale è l'evidente conflitto in cui si trova l'editore" ha detto Fini tornando sulle polemiche sollevate da alcuni articoli del quotidiano molto critici nei confronti suoi e dei finiani. "Berlusconi ha detto in modo pubblico - ha proseguito Fini - che è consapevole dei seri problemi politici che quel giornale ha determinato, basti pensare alla vicenda Boffo. Da un lato c'è l'interesse dell'editore, dall'altro c'è l'interesse del presidente del Consiglio, che sono nella stessa famiglia. Anche questo è un caso di conflitto di interessi. Ci sono momenti in cui bisogna privilegiare l'interesse generale sul piano politico o quello editoriale". Per il presidente della Camera "nel momento in cui si è chiamati a occuparsi dell'interesse generale va messo da parte l'interesse particolare". Fini ricorda dunque che il giornale appartiene alla famiglia del presidente del Consiglio e che questa non ha voluto mettere in discussione l'attuale direzione. "L'editore - afferma il presidente della Camera - ha ritenuto che fosse molto, molto importante avvalersi di uno staff che fa vendere migliaia di copie...". Poi, a proposito del direttore de Il Giornale, Fini ribadisce che questo usa la "penna come se fosse una clava". Il presidente del Consiglio, aggiunge il numero uno della Camera, "ha ammesso pubblicamente di essere consapevole dei problemi politici che quel giornale ha determinato, basti pensare alla vicenda Boffo". Ma, sottolinea Fini, "da un lato c'è l'interesse dell'editore, dall'altro c'è l'interesse del presidente del Consiglio, che sono nella stessa famiglia". E anche questo, sostiene, "è un caso di conflitto di interessi". E invece, conclude, "nel momento in cui si è chiamati a occuparsi dell'interesse generale va messo da parte l'interesse particolare".

FISCO - Un argomento per sottolineare la distanza da Berlusconi è quello relativo al fisco: "Se si dice che le tasse sono troppo alte e quindi è naturale evadere io rovescio il ragionamento, cominciamo a colpire chi evade così ci sono le risorse per abbassare le tasse. Le tasse sono troppo alte per tutti perché è troppo alta l'evasione. È vero - ha aggiunto - che è anche perché le tasse sono molto alte, ma se vogliamo ridurre le tasse avviamo una durissima fase di lotta all'evasione. È essenziale una sorta di etica repubblicana in questo senso, anche questo è un modo per ricordare l'unità d'Italia". "Io - ha concluso - ho detto più volte che dovremmo citare come esempio meritorio i tantissimi italiani che ogni giorno fanno il loro dovere. Qualche volta si privilegia finendo per dare ragione a Prezzolini che diceva: meglio furbi che fessi...".

LEGA - E infatti sulla necessità di impegnarsi per le celebrazioni avviate mercoledì per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia Fini ha detto che le posizioni della Lega Nord all'interno della maggioranza sono minoritarie ed isolate. "Le posizioni leghiste sono minoritarie, isolate", ha detto Fini. "Lasciamo da parte le polemiche. "La Lega è un alleato importante, con il quale il Pdl ha presentato un programma, ma è essenziale nel momento in cui si sta insieme non andare a rimorchio di un movimento rispettabilissimo ma che è presente in alcune zone del Paese". Poi sui 150 anni d'Italia: "Le celebrazioni per 150 anni dell'Unità d'Italia sono iniziate nel modo migliore, il Capo dello Stato ha fatto un discorso alto sottolineando che non c'è nulla di retorico, non è tempo sprecato ma un doveroso ricordo delle nostre radici". Fini ha osservato che mercoledì il premier Berlusconi non era presente a Quarto ma ha lodato i discorsi dei ministri Bondi e La Russa, sottolineando che a questo punto le polemiche "vanno lasciate da parte", ma in ogni caso si è detto "lieto di aver posto quel problema" a suo tempo.

IL RUOLO - Infine a difesa delle sue esternazioni ha precisato: "Io ho il preciso dovere di essere imparziale nella conduzione dei lavori dell'Aula ma proprio perché non ho vinto un concorso, ho anche il diritto come i miei predecessori di avere delle opinioni politiche e porle all'attenzione nel mio partito".

Redazione online

05 maggio 2010

 

 

 

L'inchiesta - Pm al lavoro sui flussi di denaro

Dimissioni Scajola, Napolitano

affida l'interim a Berlusconi

Bossi: "Nessuno scossone. Il ministero? Decide il premier". Bersani: "Vicenda torbida, fare luce"

L'inchiesta - Pm al lavoro sui flussi di denaro

Dimissioni Scajola, Napolitano

affida l'interim a Berlusconi

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Claudio Scajola (Ansa)

Claudio Scajola (Ansa)

MILANO - Un incontro di circa quaranta minuti, durante il quale Giorgio Napolitano ha firmato il decreto in cui si accettano le dimissioni di Claudio Scajola da ministro dello Sviluppo economico e si affida l’interim al premier, Silvio Berlusconi. Durante il colloquio al Quirinale - presenti Gianni Letta e Donato Marra - il presidente del Consiglio avrebbe spiegato al capo dello Stato di essere stato "colto alla sprovvista" dalle dimissioni di Scajola, di non avere intenzione di mantenere a lungo nelle sue mani la responsabilità del dicastero, ma allo stesso tempo avrebbe chiesto "più tempo" per presentare il nome del nuovo ministro. In particolare, il premier avrebbe parlato di spinte contrapposte all’interno della maggioranza e della necessità di cercare una "soluzione di sintesi" che metta d’accordo tutti. Lo stesso Berlusconi - a quanto si apprende - non avrebbe fatto nomi ma sottolineato che "ci sono molti candidati".

LA MAGGIORANZA - La vicenda Scajola resta ovviamente al centro del dibattito politico. Umberto Bossi non ha dubbi sulla tenuta della coalizione di governo dopo l'addio del ministro: "La maggioranza non è spaccata - assicura il leader della Lega. - Nessuno scossone, c'è solo un ministro in meno. Certo, la gente ci rimane male...". Il Senatùr non si espone più di tanto sulla possibilità che il ministero dello Sviluppo economico vada adesso alla Lega: "Berlusconi è il presidente del Consiglio - risponde il Senatùr. - Decide lui". E a proposito della possibilità che il posto di Scajola sia occupato da Emma Marcegaglia, è lo stesso presidente di Confindustria a smentire: "Assolutamente no, non esiste assolutamente, anche perché io faccio il presidente di Confindustria e sono contenta di questo".

L'OPPOSIZIONE - In Transatlantico continuano a rincorrersi le voci di ulteriori sviluppi dell'inchiesta di Perugia sul G8 e lo stesso Berlusconiora teme un possibile effetto-domino. Il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, torna intanto all'attacco. "Mi pare che siamo in presenza, al di là delle doverosissime dimissioni di Scajola, a una vera giostra di Stato, appalti secretati, pubblici ufficiali corrotti, soldi trasferiti illegalmente all’estero e poi a quanto pare ripuliti con lo scudo fiscale" è l'affondo del segretario dei democratici. "Davanti a una cosa del genere non si può dire che tocca solo alla magistratura, qui tocca al governo venirci a dire cosa c’è nel sottoscala di questa Repubblica e di fare veramente chiarezza su una vicenda - è l'appello di Bersani - che può essere ancora più torbida di quello che abbiamo visto fin qui". "Se ci dovessero essere addirittura tre o quattro ministri in una situazione simile a quella di Scajola credo che l'intero governo dovrebbe andare a casa al più presto" dice fuori dai denti il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. A chi gli chiede un'opinione sulla tenuta del governo, l'ex pm risponde: "Credo sia un bene per il paese che questo governo vada a casa. Quindi non è un rischio, è un bene. Ci auguriamo che al più presto possibile questo governo piduista e fascista vada a casa".

PM AL LAVORO - Nel frattempo a Perugia i pm Federico Centrone, Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi sono al lavoro per chiarire la provenienza dei contanti con i quali l'architetto Angelo Zampolini ha ottenuto gli assegni circolari utilizzati poi, secondo la procura di Perugia, per contribuire all'acquisto di diverse case tra le quali quella dell'ex ministro Claudio Scajola. Gli inquirenti sospettano che i fondi possano essere riferibili al costruttore Diego Anemone, considerato uno dei personaggi centrali dell'inchiesta sugli appalti per i Grandi Eventi. Nel capo d'imputazione contestato a Zampolini è indicato che il denaro era provento di delitti contro la pubblica amministrazione. Ora gli investigatori sono impegnati a ricostruire il percorso del flusso di denaro fino alla trasformazione in assegni circolari. L'attenzione della procura di Perugia è inoltre concentrata sugli appalti ottenuti dal gruppo Anemone per verificare eventuali irregolarità. Nelle carte dell'inchiesta perugina non ci sarebbero nomi di altri politici oltre a quello di Scajola e dell'ex ministro Pietro Lunardi. A carico di entrambi non è stato comunque preso al momento alcun provvedimento.

Redazione online

05 maggio 2010

 

 

 

procura di roma

Pdl, Verdini indagato per corruzione

Lui replica: "Non mi dimetto"

Il coordinatore coinvolto nell'inchiesta su illeciti negli appalti pubblici, tra cui progetti sull'eolico in Sardegna

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ROMA - Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione nell'ambito dell'inchiesta riguardante un presunto comitato d'affari che si sarebbe occupato, in maniera illecita, di appalti pubblici, in particolare dei progetti sull'eolico in Sardegna. Secca la replica del coordinatore: "Totale estraneità, mi batterò fino in fondo in tutte le sedi". Verdini non ha alcuna intenzione di dimettersi da coordinatore del Pdl, parlando con i giornalisti alla Camera, a chi gli chiede se lui farebbe come Claudio Scajola, il coordinatore del Pdl risponde: "Non ho questa abitudine, e neppure questa mentalità. E poi dimettersi dal lavoro è difficile. E le mie responsabilità politiche sono di lavoro".

Denis Verdini (Photomasi)

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L'INDAGINE - L’iscrizione di Verdini sul registro degli indagati è stata decisa dai responsabili degli accertamenti, i pm Ilaria Calò, Rodolfo Sabelli ed il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Nei giorni scorsi è stata anche perquisita la sede del Credito cooperativo fiorentino, di cui Verdini è presidente. Oltre a Carboni, nelle scorse settimane hanno ricevuto l’avviso proroga dell’inchiesta altre quattro persone: il costruttore Arcangelo Martino; Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias; Ignazio Farris, consigliere dell’Arpa della Sardegna; e un giudice tributario, Pasquale Lombardo. Molte delle ipotesi accusatorie sarebbero basate su intercettazioni, ma anche su un giro di assegni. Per questo si è proceduto al controllo dell’istituto di credito e di conti lì intestati. Le verifiche dei magistrati e dei carabinieri, sarebbero concentrate su diversi appalti pubblici, tra cui alcuni in Sardegna, connessi allo sviluppo di energie alternative. A questo filone è legato un blitz compiuto due settimane fa dai Carabinieri del Nucleo operativo di Roma nel palazzo di viale Trento della Regione Autonoma della Sardegna.

IL MISTERO DEGLI ASSEGNI - Gli investigatori erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali gli inquirenti intendono accertare la provenienza e la destinazione. In procura c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso. Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia. Verdini è già indagato a Firenze in un'indagine per l'assegnazione degli appalti nelle Grandi Opere.

"TOTALE ESTRANEITA'" - Denis Verdini affida inizialmente il suo commento a una nota: "Di fronte a una serie di notizie interessate che cercano di infangare la sua reputazione, ribadisce la sua totale estraneità a ogni ipotesi di comportamenti penalmente o anche moralmente rilevanti e continua a essere disponibile, com'è suo costume, a favorire nelle sedi opportune il pronto accertamento della verità da parte della giustizia, che metta nel nulla tutta una serie di illazioni, falsità e costruzioni giornalistiche". Secondo Verdini "l'abitudine, ormai invalsa, di sistematiche violazioni del segreto istruttorio per colpire determinati soggetti politici attraverso pirotecnici, fantasiosi e incontrollati - e per questo parziali e pilotati - processi mediatici che, prescindendo da ogni serio accertamento, cercano di emettere sentenze precostituite, non è più sopportabile". Contro di esse, il coordinatore dichiara di "volersi battere fino in fondo in tutte le sedi, convinto della propria totale trasparenza".

"DESCRITTO COME UN BOSS MAFIOSO" - Ma poi, alla Camera Verdini si sfoga con i giornalisti è molto più loquace: "Vengo descritto come un boss mafioso o un burattinaio che mette tutti insieme. Magari. Ma i fatti sono fatti". Il coordinatore del Pdl è un fiume in piena: "Questo lo voglio dire: io sarei diventato una specie di crogiuolo che mette insieme cose che insieme non stanno. Ma io voglio rispondere dei fatti e non di questo sputtanamento generale. I fatti sono fatti e ci si difende da questi, non dallo sputtanamento". L'esponente del Pdl contesta duramente la violazione del segreto istruttorio: "È una violazione continua. Non è colpa dei magistrati, non è colpa dei giornalisti e non è colpa della forze dell'ordine. Ma allora di chi è la colpa? In questi giorni sono costretto a rispondere di cose di cui non so niente. Io sono abituato a rispondere ai magistrati quando vengo chiamato. Non mi piace invece il circo mediatico e ora dico 'bastà". Verdini dice di non credere a un complotto, ma solleva perplessità sui tempi dell'inchiesta e della fuga di notizie. "C'è una serie di concomitanze abbastanza palesi e osservabili- dice Verdini- così ripetibili che Galileo direbbe che costituiscono un fatto scientifico. È un fenomeno che si ripete costantemente e quindi è scientifico", dice a proposito della violazione del segreto istruttorio. "E pensare che c'è chi vuole ridurre le tutele per gli indagati. Io dico che è il partito dei matti".

Redazione online

05 maggio 2010

 

 

 

 

2010-05-04

L'annuncio in Conferenza stampa. la procura di perugia: "non è indagato"

Scajola si dimette: "Devo difendermi"

Berlusconi: "Ha senso dello Stato"

Il ministro dello Sviluppo economico dice addio al governo: "Sto soffrendo". Il premier: "Ministro capace"

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Il ministro dello Sviluppo economico dice addio al governo: "Sto soffrendo". Il premier: "Ministro capace"

ROMA - "Mi devo difendere, per difendermi non posso fare il ministro come ho fatto in questi due anni". Claudio Scajola si dimette. Sotto pressione per il coinvolgimento nelle indagini di Perugia sugli appalti per le Grandi Opere, il ministro per lo Sviluppo economico ha annunciato l'addio al governo in un incontro con i giornalisti. "Sto vivendo da dieci giorni una situazione di grande sofferenza. Sono al centro di una campagna mediatica senza precedenti e non sono indagato (particolare quest'ultimo confermato dal procuratore di Perugia, Federico Centrone, ndr). Mi ritrovo la notte e la mattina ad inseguire rassegne stampa per capire di cosa si parla" ha detto Scajola, finito al centro di polemiche per aver acquistato un appartamento a Roma, pagato in parte, secondo quanto emerge dall'inchiesta della Procura di Perugia, con 900mila euro versati dal costruttore Diego Anemone.

VERTICE COL PREMIER - "Ho avuto attestati di stima da Berlusconi, da colleghi di governo e da tutta la maggioranza" ha affermato Scajola, ricevuto poi nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Nessun alt alle dimissioni da parte del presidente del Consiglio, secondo il quale "Scajola ha assunto una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito". "Al ministro Scajola - ha aggiunto il premier - va l'apprezzamento mio e di tutto il governo per come ha interpretato il ruolo di ministro dello Sviluppo economico in una fase difficile e delicata che, anche grazie al suo contributo, l'Italia sta superando meglio di altri Paesi". In precedenza, incontrando il presidente del Ppe Joseph Daul, il Cavaliere aveva espresso "forte solidarietà" a Scajola: "Oggi si è dimesso un ministro très capable (molto capace, ndr)", aveva detto.

Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto"

"LA MIA CASA PAGATA IN PARTE DA ALTRI, NON POTEVO SOSPETTARLO" - "Un ministro non può sospettare di abitare in una casa pagata in parte da altri". È questa la "motivazione più forte" che ha indotto Scajola a fare un passo indietro. "Sono convinto - ha aggiunto durante la conferenza stampa al ministero - di essere estraneo alla vicenda e la mia estraneità sarà dimostrata. Ma è altrettanto certo che, siccome considero la politica un'arte nobile, con la 'P' maiuscola, per esercitarla bisogna avere le carte in regole e non avere sospetti". "Se dovessi acclarare - ha promesso poi Scajola - che la mia abitazione fosse stata in parte pagata da altri senza saperne il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciteranno le azioni necessarie per l'annullamento del contratto di compravendita". Ma "per esercitare l'arte nobile della politica - ha concluso il ministro - non ci devono essere sospetti, le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con l'importante lavoro da svolgere per il Paese al quale fino ad oggi anch'io ho contribuito".

GIORNALISTI - "Mi trovo esposto ogni giorno - ha detto Scajola - a ricostruzioni giornalistiche contraddittorie. In questa situazione che non auguro a nessuno io mi devo difendere. E per difendermi non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni, senza mai risparmiarmi. Ne siete testimoni, ho dedicato tutte le mie energie e il mio tempo commettendo sbagli ma pensando di fare il bene". Scajola ha ricordato di aver ricoperto l'incarico ministeriale "dedicando tutte le mie energie, tutto il mio tempo, commettendo anche sbagli, ma sicuramente pensando di fare il bene". Poi Scajola ha aggiunto: "In questi due anni ho avviato dei dossier importanti, fondamentali per la crescita dell'Italia: nel campo energetico, la liberalizzazione del mercato del gas, le grandi progettazioni di infrastrutturazione per far pagare l'energia di meno, il ritorno al nucleare nel nostro Paese; abbiamo - ha continuato - appena definito il Piano Berlusconi per il Sud; abbiamo impegnato ogni risorsa possibile per la riforma degli incentivi per dare innovazioni ai prodotti italiani al fine di farli competere nel mondo; ci siamo impegnati - ha aggiunto Scajola - con grande dedizione alla gestione di tavoli difficili per le crisi industriali, più do centocinquanta, con l'obiettivo di risolvere ciò che era possibile nella riorganizzazione industriale per mantenere il nostro paese all'avanguardia".

IL GOVERNO - Poi ha concluso: "Sono certo che le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con il lavoro che anche io ho contribuito". Finita la sua dichiarazione Claudio Scajola saluta i giornalisti e se ne va. A questo punto i cronisti protestano rumorosamente perché non hanno avuto modo di fare nemmeno una domanda.

REAZIONI - Immediate le reazioni del mondo politico alle dimissioni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta si è allontanato dalla sala stampa, senza voler aggiungere alcun commento, salutando i giornalisti con una battuta: "Parliamo dell'Aquila". All'attacco il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ha definito "una scelta giusta" quella di Scajola, perché "quello che ha detto non è mai stato convincente".

I GIORNALI DEL CENTRODESTRA - La posizione del ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola si era fatta sempre più delicata e il pressing non veniva più solo dal centrosinistra. Anche il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, intervenendo a "La Telefonata", su Canale 5 aveva preso le distanze. "Scajola credo che debba riflettere sul modo nel quale la sua difesa possa essere condotta meglio, se con l'incarico di ministro o senza". Sulla vicenda Scajola, ha detto Gasparri, "c'è una grande libertà di stampa, anche i giornali di centrodestra indagano su questa vicenda, non so se quelli vicini alla sinistra farebbero lo stesso a parti invertite". Gasparri si riferiva ai due editoriali dei direttori de "Il Giornale" e "Libero" che lo invitavano a chiarire la sua posizione. Vittorio Feltri chiedeva al ministro di "fugare ogni sospetto" subito "o finirà male".

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

 

Rotondi: "Le dimissioni? Concessione alla demagogia"

Scajola lascia. Bersani: scossone per il Pdl

Il leader Pd: maggioranza in empasse. L'Idv: gesto tardivo e dovuto. E la Lega chiede il ministero

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Il leader Pd: maggioranza in empasse. L'Idv: gesto tardivo e dovuto. E la Lega chiede il ministero

MILANO - Le dimissioni di Scajola?. "Direi proprio che è la scelta giusta". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani non usa mezzi termini nel commentare la decisione del ministro dello Sviluppo di lasciare il governo. "Le cose che ha detto fin qui - spiega il segretario dei democratici in collegamento telefonico con Repubblica Tv - non sono convincenti per nessuno". Nel governo e nella maggioranza sono in molti ad esprimere solidarietà al ministro dimissionario, sotto pressione da giorni per il suo coinvolgimento nelle indagini sulle Grandi Opere: Fabrizio Cicchitto parla di "sentenza mediatica" e Mariastella Gelmini rinnova la stima e fiducia al collega. L'opposizione, d'altra parte, accoglie di buon grado la scelta di Scajola. Bersani in particolare si dice "sconcertato" dalle spiegazioni del ministro e attacca il governo. Il leader del Pd considera le dimissioni uno "scossone piuttosto forte" nell'esecutivo nel governo" e parla di "fase di empasse politica per la maggioranza" anche alla luce dello scontro tra Fini e Berlusconi. "Siamo davanti a uno scenario - sostiene il segretario dei democratici - in cui l’alternativa è tra la palude e il blocco delle decisioni e il rischio di una precipitazione della situazione politica, un passaggio delicato, è evidente che dopo la vicende di Fini e quella sulla corruzione la situazione è intricata, paludosa e confusa".

"GESTO TARDIVO E DOVUTO" - Di "gesto tardivo e atto dovuto" parla invece l'Italia dei Valori con Leoluca Orlando. "Un uomo delle istituzioni, sul quale gravano testimonianze e pesanti indizi, avrebbe dovuto avere l'onestà intellettuale e la dignità di dimettersi subito, senza aspettare che l'Italia dei Valori presentasse la sua mozione di sfiducia" dice il portavoce Idv. I dipietristi chiedono che il governo vada comunque in Parlamento a "spiegare il perché di un comportamento tanto vile". Intanto la Lega non nasconde di puntare alla poltrona lasciata vuota da Scajola. "È presto per fare ipotesi, certo che la Lega avrebbe gli uomini e le donne giuste, esperti di azienda e di attività produttive, in grado di portare avanti il ministero" dice il segretario provinciale Matteo Salvini. E a proposito del successore, il ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan smentisce le voci su un suo possibile impegno in tal senso. "Le notizie secondo le quali sarei interessato a succedere all'amico Claudio Scajola sono da ritenersi assolutamente infondate e mi pongono in uno stato d'animo in cui avverto un insopportabile senso di sgradevolezza" spiega.

"CONCESSIONE ALLA DEMAGOGIA" - Colleghi del governo ed esponenti di maggioranza difendono l'operato del ministro dimissionario. "La mia stima per Scajola non potrebbe essere maggiore, ma ritengo queste dimissioni un errore e una concessione alla demagogia" è il pensiero del ministro per l'Attuazione del Programma di governo, Gianfranco Rotondi. "Quelle di Scajola sono parole apprezzabili. In questo Paese non si dimette mai nessuno, il fatto che uno si assuma la responsabilità in prima persona è già un dato positivo" afferma il deputato finiano Enzo Raisi. Di tuttaltro tenore il commento di Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci: "Dopo la scandalosa gestione del G8 di Genova del 2001, il caso Marco Biagi e gli appartamenti con vista sul Colosseo ci permettiamo di suggerire a Scajola di ritirarsi dalla vita politica. Le sue dimissioni sono comunque una bella notizia: la cultura dell'arroganza e della prepotenza, propria del berlusconismo, riceve finalmente un durissimo colpo". Ironico il pd Ermete Realacci. "Adesso è chiaro. I conti del nucleare in Italia sono come quelli dichiarati sull'acquisto della casa di Scajola al Colosseo: si reggono solo con la truffa e con l'inganno".

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

LE CARTE

Le sorelle che hanno venduto la casa

"Ecco le prove di quegli 80 assegni"

Accertamenti su 30 conti intestati alla segretaria di Anemone. I pm: schermo per altre operazioni

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LE CARTE

Le sorelle che hanno venduto la casa

"Ecco le prove di quegli 80 assegni"

Accertamenti su 30 conti intestati alla segretaria di Anemone. I pm: schermo per altre operazioni

ROMA — Nuovi documenti bancari smentiscono la versione del ministro Claudio Scajola. Li hanno consegnati alla Guardia di Finanza le sorelle Beatrice e Barbara Papa, proprietarie dell'appartamento con vista sul Colosseo venduto il 6 luglio 2004. Estratti conto e altri attestati finanziari per dimostrare che non sono loro ad aver mentito sul prezzo, nè sulle modalità di consegna del denaro. Le testimonianze si incrociano con quelle dell'architetto Angelo Zampolini, l'uomo di fiducia del costruttore Diego Anemone che dopo aver rivelato di aver consegnato personalmente a Scajola gli 80 assegni circolari per un totale di 900.000 euro ha aggiunto: "Ero presente alla stipula e ho assistito alla consegna dei titoli alle venditrici". Adesso bisogna scoprire come mai il notaio decise di non registrare il rogito a Roma, ma di portarlo all'Anagrafe tributaria di Civitavecchia. Gli investigatori si concentrano sulle verifiche negli istituti di credito e su nuovi conti che Anemone, imprenditore beneficiato da appalti pubblici milionari compresi quelli dei Grandi Eventi, avrebbe intestato a una sua collaboratrice. Sono trenta depositi, 23 tuttora aperti, che — dice l'accusa — sarebbero serviti ad Anemone per veicolare tangenti a politici e funzionari in grado di assicurargli un ruolo privilegiato nella spartizione dei lavori.

"Cerchi casa? Chiedi a Scajola": lo striscione è stato srotolato vicino all'appartamento delle polemiche a Roma (Ansa)

"Cerchi casa? Chiedi a Scajola": lo striscione è stato srotolato vicino all'appartamento delle polemiche a Roma (Ansa)

Le ricevute dei versamenti

Il 25 aprile scorso, Beatrice Papa viene convocata al comando delle Fiamme Gialle. Conferma di aver venduto una casa di 180 metri quadri con vista sul Colosseo al ministro Claudio Scajola e consegna una copia dell'atto. La cifra indicata è di 610.000 euro, ma la signora subito ammette che non si tratta del costo reale. E si riserva di fornire i documenti per dimostrarlo. Non sa che una "Segnalazione di operazione sospetta" inviata dalla Banca d'Italia ha già rilevato una strana movimentazione su uno dei depositi intestati a Zampolini presso l'agenzia 582 della Deutsche Bank. Il 6 luglio l'architetto ha infatti richiesto l'emissione di 80 assegni circolari "di cui 40 intestati a Beatrice Papa e 40 a Barbara Papa per rispettivi 450.000 euro cadauna", ma — come sottolineano i pubblici ministeri — "da visure effettuate presso le banche dati finanziarie, non è emerso alcun rapporto giuridico tra lui e le beneficiarie dei titoli". Tocca dunque alla signora Papa raccontare che cosa si celi dietro quell'operazione e lei non si sottrae. Anzi, una settimana dopo, è il 30 marzo, porta la documentazione bancaria che serve da controprova sia per il versamento dei titoli, sia per quello di 100.000 euro in contanti avvenuto tempo prima. "Mia sorella — sottolinea — ne ha avuti altri 100.000. Si tratta dell'acconto che il ministro ci ha consegnato". Una versione che Scajola ha negato con decisione affermando che "non ci fu alcun preliminare".

L'atto a Civitavecchia

A confermarla ci pensa invece Barbara Papa, la sorella. E pure lei fornisce i documenti bancari che la riguardano, aggiungendo poi un particolare prezioso per effettuare i riscontri: "Al momento del rogito erano presenti varie persone, compreso un funzionario della Deutsche Bank". I dettagli li racconta Zampolini: "Sono rimasto per tutto il tempo all'interno di quella stanza del ministero in via della Mercede e con me c'era effettivamente il funzionario Luca Trentini. Diedi gli assegni al ministro che a sua volta li consegnò alle venditrici, come era stato pattuito". A stipulare l'atto fu il notaio Gianluca Napoleone che decise di non registrarlo nella capitale. La prova è in un'annotazione inviata dalle Fiamme Gialle ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi: "Da visure effettuate all'Anagrafe tributaria, il contratto di compravendita è stato registrato in data 13 luglio 2004 presso l'ufficio delle Entrate di Civitavecchia per un valore dichiarato di 610 mila euro". Una scelta che il ministro probabilmente chiarirà la prossima settimana, quando sarà interrogato dai pubblici ministeri come persona informata sui fatti. L'11 maggio sarà invece il tribunale del Riesame a dover stabilire se la competenza su questo filone di indagine sia di Perugia, come ritengono i magistrati dell'accusa. O se invece il fascicolo debba essere trasferito a Roma, come ha ritenuto il giudice delle indagini preliminari che si è dichiarato incompetente e per questo ha respinto la richiesta di arresto presentata nei confronti dello stesso Zampolini, dell'ex commissario per i Mondiali di nuoto Claudio Rinaldi e per il commercialista di fiducia di Anemone Stefano Gazzani. Il ruolo di quest'ultimo viene considerato strategico nella ricostruzione delle movimentazioni di denaro dell'imprenditore, soprattutto alla luce di quanto è stato scoperto nelle ultime settimane dalla Guardia di Finanza.

I conti della segretaria

Nell'informativa trasmessa il primo aprile scorso si dà conto degli accertamenti bancari avviati nei confronti di tutti i familiari di Anemone e di coloro che si ritiene possano essere diventati i suoi "prestanome". Persone di massima fiducia alle quali il costruttore avrebbe intestato alcuni conti sui quali far transitare il denaro delle operazioni che non dovevano lasciare tracce, proprio come quelle per l'acquisto di appartamenti che sarebbero state affidate a Zampolini. In questo quadro si inserisce la segnalazione nei confronti di Alida Lucci che — come dimostrano le intercettazioni telefoniche — di Anemone era una delle collaboratrici più fedeli. "La donna — evidenziano gli investigatori della Finanza — risulta aver intestati 30 conti correnti bancari, di cui 23 attualmente accesi. Tale dato non appare coerente con i redditi dalla stessa dichiarati al fisco e con la sua posizione di dipendente della "Impresa Anemone Costruzioni srl". Risulta infatti che nel 2006 ha dichiarato 33.150 euro di imponibile, nel 2007 è salita a 56.353 euro e nel 2008 è arrivata a 58.825 euro". Un po' poco per aprire decine di depositi bancari. Proprio come Zampolini, che certamente guadagna più della Lucci ma ha già ammesso — di fronte alle precise contestazioni dei pubblici ministeri — che le decine di conti a lui intestati erano in realtà alimentati da Anemone. Finora si è scoperto che li ha utilizzati per acquistare quattro appartamenti (oltre a quello di Scajola gliene vengono contestati due per il generale Francesco Pittorru e uno per il figlio di Angelo Balducci). Il sospetto è che molte altre compravendite di immobili saranno scoperte quando tutte le banche avranno fornito la documentazione richiesta.

Fiorenza Sarzanini

04 maggio 2010

 

 

 

8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto

Scajola, il ministro che si dimise 2 volte

Il titolare dello Sviluppo Economico aveva abbandonato l'incarico anche nel 2002 quando era titolare dell'Interno

8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto

Scajola, il ministro che si dimise 2 volte

Il titolare dello Sviluppo Economico aveva abbandonato l'incarico anche nel 2002 quando era titolare dell'Interno

Claudio Scajola (Ansa)

Claudio Scajola (Ansa)

MILANO - Un caso che non ha molti precedenti, sicuramente nessuno da quando esiste la cosiddetta "Seconda Repubblica". Per la seconda volta Claudio Scajola è costretto a rassegnare le dimissioni da ministro.

LE DIMISSIONI DEL 2002 - Era già successo nel 2002: in quel caso Scajola era ministro dell'Interno del Governo Berlusconi. Il "casus belli" avviene il 29 giugno. Il ministro è in visita istituzionale a Cipro. Con lui alcuni giornalisti. Scajola si lascia andare ad alcune esternazioni su Marco Biagi, il consulente del ministero del Lavoro ucciso dai terroristi quello stesso anno. "Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza": è la frase di Scajola, riportata il giorno dopo dal Corriere della Sera e dal Sole 24 ore, che fa scatenare l'uragano. Dopo alcuni giorni di roventi polemiche, il 4 luglio il ministro rassegna le dimissioni (qui la lettera). In precedenza, Scajola si era dimesso anche da sindaco di Imperia. Era il 12 dicembre 1983 e l'allora primo cittadino democristiano viene arrestato dai carabinieri con l'accusa di concussione aggravata. Il giorno dopo si dimette. In seguito viene prosciolto dalle accuse.

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

 

l'inchiesta

Grandi appalti, la procura

chiede il giudizio immediato

La procura di Firenze ha depositato la richiesta di giudizio immediato per Angelo Balducci, Fabio De Santis, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Guido Cerruti

FIRENZE - La procura di Firenze ha depositato la richiesta di giudizio immediato per Angelo Balducci, Fabio De Santis, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Guido Cerruti, arrestati nell’ambito dell’indagine sull’appalto per la scuola marescialli dei carabinieri di Firenze, filone toscano dell’inchiesta sui Grandi eventi. Le posizioni degli altri indagati sono state stralciate.

RICHIESTA DEPOSITATA AL GIP - Secondo quanto previsto dal codice di procedura penale il pubblico ministero può richiedere il giudizio immediato, entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura, "per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini". La richiesta è stata depositata al gip, che ha cinque giorni per emettere il decreto con il quale dispone il giudizio immediato o rigetta la richiesta, ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

POTREBBERO SLITTARE LE CARCERAZIONI - Con la richiesta di giudizio immediato, i termini della misure cautelari potrebbero allungarsi di sei mesi, facendo quindi slittare le scarcerazioni, previste per domenica, di Angelo Balducci e Fabio De Santis, oltre al ritorno in libertà di Guido Cerruti e Francesco Maria De Vito Piscicelli, che sono ai domiciliari. È quanto spiega Gabriele Zanobini, uno dei difensori di Balducci. "Se il gip di Firenze accoglie la richiesta di giudizio immediato - spiega - scattano nuovi termini per le misure cautelari, che sono di sei mesi. Quindi, Balducci e De Santis non escono dal carcere e Cerruti e Piscicelli rimangono ai domiciliari".

04 maggio 2010

 

 

il direttivo boccia l'ipotesi di una "corsia preferenziale" per il disegno di legge

Bocchino: "Subito il ddl anti-corruzione"

No del Pdl: "Contrari all'iter veloce"

Il finiano: "Il caso Scajola ripropone la questione della trasparenza di chi amministra la cosa pubblica"

il direttivo boccia l'ipotesi di una "corsia preferenziale" per il disegno di legge

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No del Pdl: "Contrari all'iter veloce"

Il finiano: "Il caso Scajola ripropone la questione della trasparenza di chi amministra la cosa pubblica"

MILANO - Il Parlamento approvi subito, "con consenso bipartisan", il ddl anti-corruzione varato il primo marzo scorso dal Consiglio dei ministri. È questo l'appello che dal sito di Generazione Italia, il neo-movimento vicino a Gianfranco Fini, lancia Italo Bocchino. Il parlamentare del Pdl, uno dei fedelissimi del presidente della Camera, fa esplicito riferimento al caso Scajola. La sua vicenda, secondo il deputato, "ripropone la questione della trasparenza di chi amministra la cosa pubblica". "Il ministro dello Sviluppo economico è persona capace e navigata e saprà dimostrare dinanzi alla magistratura l'innocenza che reclama" scrive Bocchino. Sottolineando tuttavia che "il Pdl, essendo il più grande partito italiano, ha anche il dovere di dare una risposta all'opinione pubblica sul tema della corruzione e ha le carte in regola per farlo".

NO DEL DIRETTIVO PDL - L'appello di Bocchino è destinato però a restare lettera morta, visto il no dei vertici del Pdl all'iter veloce per il ddl anti-corruzione. Il direttivo del gruppo alla Camera ha infatti bocciato l'ipotesi di una "corsia preferenziale" al disegno di legge. "È un errore politico", ha replicato il finiano Carmelo Briguglio ricordando che "il ddl è un atto proprio del governo" e non "un'iniziativa della minoranza finiana".

"APPROVARE SUBITO IL DDL" - "Il primo marzo scorso - ha ricordato Bocchino sul sito di Generazione Italia -, su proposta di Berlusconi, il governo ha approvato il ddl anticorruzione che dà importanti risposte sull'argomento, punendo chi sbaglia con la più dura delle sanzioni, che è l'espulsione dalla politica. Adesso è il momento giusto affinchè l'idea di Berlusconi diventi patrimonio di tutti e Generazione Italia propone al Pdl di farsi promotore di una battaglia parlamentare per approvare subito questo provvedimento, che è stato firmato dal presidente Napolitano e inviato alle Camere".

"CONSENSO BIPARTISAN" - Bocchino ha anche spiegato che "serve una moratoria legislativa di una settimana che il Pdl deve proporre a maggioranza e opposizione per accantonare tutti i provvedimenti in esame e approvare con consenso bipartisan il ddl anticorruzione. Basterebbe dedicare la prossima settimana a questa legge, tre giorni alla Camera e tre al Senato, magari lavorando anche il sabato e la domenica per far comprendere ai cittadini quanto ci teniamo a garantire più trasparenza. E sarebbe difficile per l'opposizione sottrarsi, dopo aver commentato favorevolmente - conclude il parlamentare finiano - quello che da tutti viene definito un passo in avanti sull'argomento".

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

 

 

Il Giornale, l’intervista

e la presa di distanza

Il direttore Feltri: Scajola chiarisca o si dimetta. E il vice Porro: "Non credo a ciò che mi ha detto"

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L’editoriale

Il Giornale, l’intervista

e la presa di distanza

Il direttore Feltri: Scajola chiarisca o si dimetta. E il vice Porro: "Non credo a ciò che mi ha detto"

Vittorio Feltri (LaPresse)

Vittorio Feltri (LaPresse)

MILANO — "Scajola, chiarisci o dimettiti". Stamattina, in testa all’editoriale del direttore, i lettori del Giornale leggeranno questo titolo. Ieri Vittorio Feltri l’ha mandato in stampa e poi si è concesso una serata a teatro, spiegando — un attimo prima di entrare in sala — che "al ministro per lo Sviluppo economico non ci crede nessuno".

Dalla prima pagina del suo quotidiano, Feltri indirizza una lettera aperta all’interessato che al Corriere sintetizza così: "Caro ministro, fai bene a indignarti per essere stato messo alla sbarra senza neanche risultare indagato. Nessuno può darti torto per questo. Ma nelle tue risposte sul caso ci sono punti di un’evidenza spiazzante che andrebbero chiariti. Numero uno: il prezzo di questo tuo appartamento al Colosseo non è di mercato, e se tu ne avessi denunciato solo il valore catastale faresti bene a dirlo. Numero due: questi assegni circolari ci sono, vogliamo spiegare la questione? Numero tre: come la mettiamo con le testimonianze delle due proprietarie dell’immobile e con quella dell’architetto Zampolini?". La conclusione non può che essere una sola: "O chiarisci questi punti importanti che hanno lasciato perplessa l’opinione pubblica o rassegnati all’evidenza e, visto che ci sei, rassegna anche le tue dimissioni".

Ad essere giudicate insufficienti sono state proprio le risposte che lo stesso ministro aveva rilasciato al Giornale. Del resto, il vicedirettore Nicola Porro, che sabato primo maggio aveva firmato l’intervista, già domenica pomeriggio postava sul suo blog un commento dal titolo eloquente — "Non credo a Scajola" — stigmatizzando l’evolversi del caso: "Di questi assegni si sa che esistono davvero, sono stati in effetti incassati dalle signore, sono di taglio piccolo e dunque sotto la soglia della segnalazione alla Banca d’Italia". Porro si concentra sul prezzo dell’appartamento: "Dico subito che non credo al ministro che ho intervistato —scrive —. Non dico che debba andare in galera. Non dico che debba essere indagato. Dico una cosa banale: 610 mila euro per 180 metri quadri nel centro di Roma non sono il prezzo di mercato. Ho forse delle prove? Nessuna. Ma il punto è che il ministro continua a dire che il prezzo giusto di quell’appartamento è quello ridicolmente fissato a 3.400 euro a metro quadro. È un insulto alla nostra intelligenza. Poi, se avesse detto "L’ho pagata 610 mila euro e il resto li ho dati in nero", sarebbe stato ammettere un’evasione fiscale che in molti fanno. Non un bel gesto da parte di un ministro della Repubblica. Ma prenderci per i fondelli è peggio". Queste argomentazioni — sostiene adesso il vicedirettore — sono state anche espresse nelle successive riunioni di redazione dove hanno trovato coincidenza con la linea del giornale. In più, ai lettori che sul blog gli chiedevano come mai non le avesse riportate direttamente a Scajola, Porro ha risposto secco: "Un’intervista è un’intervista. Un’opinione è un’opinione, espressa, tra l’altro, dal fondo che quel giorno il direttore ha pubblicato accanto al mio pezzo".

Se il primo maggio Feltri scriveva di non essere ancora in grado di giudicare, oggi qualche elemento in più sostiene di averlo: "Il ministro non ha chiarito in modo persuasivo. Tra l’altro, so che si trova in Tunisia. Ecco, forse gli conviene restare ad Hammamet".

Elsa Muschella

04 maggio 2010

 

 

 

 

Berlusconi presenta i risultati positivi del rapporto Ocse sulla protezione civile

Il premier e la libertà di stampa

"In Italia ne abbiamo fin troppa"

Frecciata sul rapporto Freedom House: "Indiscutibile libertà". Il Pd: "Parole irresponsabili"

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Silvio Berlusconi (Inside)

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MILANO - "Se c'è una cosa" che è "sotto gli occhi di tutti" è che in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". All'indomani della bocciatura contenuta nel rapporto di Freedom House, che vede il nostro Paese al 72esimo posto nel mondo in fatto di libertà di stampa e al 24esimo tra le 25 nazioni dell'Europa occidentale, il premier Silvio Berlusconi si toglie un sassolino dalla scarpa. E lo fa approfittando della presentazione del rapporto Ocse, commissionato dal governo italiano, sul sistema della protezione civile italiano e sulla capacità di risposta alle catastrofi naturale, rapporto molto favorevole all’Italia. Al segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Angel Gurria, il presidente del Consiglio si rivolge per dirgli grazie "per la sua squisitezza personale e per la scelta dei collaboratori che lo hanno assistito in questo lavoro non facile, del quale siamo curioso di vedere i risultati". "Altre volte - osserva poi il Cavaliere - abbiamo avuto degli esami fatti al nostro sistema e cito l'ultimo fatto sulla libertà di stampa e ci siamo visti mettere in situazione di grande distanza dai primi: ora credo che se c'è una cosa in Italia che è sotto gli occhi di tutti e su cui c'è la sicurezza di tutti è che abbiamo fin troppa libertà di stampa: credo che questo - ha aggiunto - sia un fatto che non è discutibile".

LE CRITICHE - Per il senatore del Pd Vincenzo Vita le parole del presidente del Consiglio sono "irresponsabili" e "fanno pensare a battute tipiche dei regimi dittatoriali". "Berlusconi vorrebbe realizzare un sistema fascista e piduista senza voci libere" è l'affondo del leader Idv Antonio Di Pietro. Critiche al premier anche dal Pdci. "La libertà di stampa non è mai troppa. La lingua di Berlusconi evidentemente batte dove il dente duole. Per chi ha chiamato il suo partito Popolo della libertà un'espressione del genere è una clamorosa ammissione della vocazione autoritaria, plebiscitaria e antidemocratica del premier" ha detto Jacopo Venier.

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

 

 

La Finanza gli sequestra immobili, conti e la barca

Truffa ai danni dello Stato,

indagato l'editore Ciarrapico

Il senatore del Pdl è accusato di aver percepito indebitamente contributi pubblici per 20 milioni

Giuseppe Ciarrapico (Emblema)

Giuseppe Ciarrapico (Emblema)

ROMA - Il senatore del Pdl e imprenditore Giuseppe Ciarrapico è stato indagato dalla Procura di Roma per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. La stessa accusa è contestata al figlio Tullio e ad altre cinque persone, tra cui alcuni collaboratori dell’ex presidente della Roma.

CONTRIBUTI PER 20 MILIONI - Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, dal 2002 al 2006 Ciarrapico avrebbe avuto contributi per l’editoria pari a circa 20 milioni. Medesima cifra è stata posta sotto sequestro dai militari del Nucleo speciale di polizia valutaria di Guardia di finanza.

L'INCHIESTA - I "gravi fatti di fraudolente percezioni di contributi all’editoria - è stato spiegato a piazzale Clodio - per importi complessivi pari a circa 20 milioni di euro dal 2002 al 2007 e per analoghi tentativi susseguitisi fino all’anno in corso, in danno dello Stato - presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per l’informazione" da parte delle società editrici "Nuova Editoriale Oggi srl" e "Editoriale Ciociaria Oggi srl". Beni sequestrati e affidati a un curatore, che non dovrà comunque interrompere l'attività lavorativa delle due società. "Editoriale Ciociaria Oggi Srl", con sede a Roma, pubblica "Nuovo Oggi Molise" mentre "Nuova Editoriale Oggi Srl" pubblica il giornale di Frosinone "Ciociaria Oggi".

I SEQUESTRI - I militari della Guardia di finanza, nucleo speciale di polizia valutaria, diretti dal colonnello Leandro Cuzzocrea e su disposizione del pm Simona Marazza, responsabile dell’inchiesta, hanno eseguito sequestri preventivi a Roma, Milano e in altre città, di immobili, quote societarie e conti correnti ed una imbarcazione di lusso, che era ormeggiata a Gaeta. Gli accertamenti sono stati coordinati dal procuratore aggiunto della Capitale, Pietro Saviotti.

LA REAZIONE DEL SENATORE - "Un avviso di garanzia non invecchia mai e può far sempre comodo se si tratta di un senatore del Popolo della libertà". Il senatore Giuseppe Ciarrapico commenta così all'Adnkronos l'inchiesta che lo vede indagato. "Oggi gli organi di informazione parlano di un'indagine per truffa a carico del senatore Giuseppe Ciarrapico. È la stessa indagine del 2005 - sottolinea il parlamentare del Pdl - promossa dalla dottoressa Marazza, pm nota per la sua contiguità con il pubblico ministero De Magistris concorrente politico di Di Pietro". Un'indagine, rileva Ciarrapico, "dormiente a tutt'oggi e oggi guarda caso ritirata fuori per aumentare i rumors giudiziari a carico del Pdl. Chi più ne ha più ne metta", conclude.

redazione online

04 maggio 2010

 

 

Il presidente della Camera: "Grave che il Pdl non prenda sue iniziative"

150 anni dell'Unità d'Italia,

nuovo duello Bossi-Fini

Il leader della Lega: "Celebrazioni inutili e retoriche. Andrò se me lo chiede Napolitano"

Il presidente della Camera: "Grave che il Pdl non prenda sue iniziative"

150 anni dell'Unità d'Italia,

nuovo duello Bossi-Fini

Il leader della Lega: "Celebrazioni inutili e retoriche. Andrò se me lo chiede Napolitano"

Umberto Bossi (Ansa)

Umberto Bossi (Ansa)

MILANO - Divisi. Su terreni diametralmente opposti. Uno dice bianco e l'altro risponde nero. Uno legato al Tricolore, l'altro al Sole delle Alpi. Fini da una parte e Bossi dall'altra. Il presidente della Camera e il leader della Lega Nord nonché ministro delle Riforme sulla carta fanno parte della stessa alleanza politica ma a leggere i quotidiani di oggi sembrano uno l'opposizione dell'altro. Oggetto del contendere le celebrazioni i 150 anni dell'Unità d'Italia.

BOSSI - "A naso mi sembrano le solite cose un po' inutili e un po' retoriche. Non so se ci andrò, devo ancora decidere. Ma se Napolitano mi chiama...". Intervistato da La Repubblica, Umberto Bossi spera di arrivare ai festeggiamenti dell'Unità d'Italia "con il federalismo fatto, che sia legge e diventi finalmente realtà", perché "questo è l'unico pezzo che manca al compimento della storia del nostro Paese". E lascia aperto uno spiraglio alla sua presenza ai festeggiamenti: "Il presidente Napolitano mi è sempre stato simpatico".

Gianfranco Fini (Fotogramma)

Gianfranco Fini (Fotogramma)

FINI - La risposta di Fini? Della Lega "depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell'unità nazionale", dice l'ex leader di An a La Stampa: "però non mi sorprende affatto". Poi aggiunge: "Considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l'Unità". Fini definisce anche "un'inezia" i 35 milioni di euro stanziati dal governo per le celebrazioni, "prova della miopia di quanti - afferma - nel mio partito dicono: stiamo già facendo". E ricorda che si sta lavorando all'ipotesi di celebrarlo anche con una seduta comune del Parlamento, in cui prenderà la parola il Capo dello Stato". Poi cita il suo intervento alla Direzione del Pdl, "che tante polemiche suscitò, mi ero permesso di chiedere: per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario? E non sarà perché gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?".

LA STORIA - "Cavour era federalista, la promessa e l'impronta federalista sono state fondamentali nel percorso di unificazione del Paese", riflette il leader della Lega. "Poi il re in qualche modo ha tradito perché ha imposto il centralismo, ma oggi è arrivato il momento di riprendere quella promessa e mantenerla compiendo davvero la storia. Non perderemo questa occasione per raddrizzare il Paese". Fini spiega invece che l'Italia è già unita. Sul federalismo fiscale "siamo ancora nella fase di raccolta dati, bisogna capire che cosa comporta in termini di costi e di coesione sociale. Non è allarme rosso, e nemmeno disco verde a prescindere".

LA POLITICA - "Se andiamo avanti di questo passo avremo troppi sindaci e troppi presidenti di regione che buttano via i soldi", avverte Bossi. "Non si può continuare così perché con questo andazzo rischiamo di finire male, come un'altra Grecia ma di grandi dimensioni e con esiti disastrosi per tutti". Contro il rischio di tracollo la ricetta, sostiene, è il federalismo, "perché significa dare delle regole che faranno bene sia al Nord che al Sud: il Nord smetterebbe di pagare e il Sud di buttare via i soldi". "Se la politica perde la dimensione pedagogica, non è più buona politica", prosegue Fini. "Diritti e doveri, credo che dovremmo rileggere Mazzini, perché qui a volte si ha l'impressione di vivere nella società del Grande Fratello, dove tutto è lecito a condizione di farla franca. Invece dovremmo mostrare ai figli che rende più l'onestà della disinvoltura". L'anniversario, sostiene Fini, può essere il perno di una riflessione condivisa, "perché impatta ad esempio sul tema della cittadinanza e dei nuovi italiani, questione che nel Pdl viene vista come fumo negli occhi e mi fa mettere all'indice ogni qualvolta la sollevo". Insomma un po' Fratelli d'Italia e un po' Fratelli coltelli.

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

 

 

CENTRODESTRA

Viterbo: si dimette Marcello Meroi,

il nuovo presidente della Provincia

Troppe lotte intestine nella maggioranza Pdl e Udc. Meroi: "I partiti trovino una soluzione"

Carlo Giovanrdi: ai suoi Popolar-liberali fa riferimento la formazione Popolo Etrusco che ha un ruolo centrale nella crisi a Viterbo

Carlo Giovanrdi: ai suoi Popolar-liberali fa riferimento la formazione Popolo Etrusco che ha un ruolo centrale nella crisi a Viterbo

ROMA - Si è dimesso prima ancora di ricevere la "fiducia" dal nuovo consiglio provinciale Marcello Meroi, eletto al primo turno presidente della provincia di Viterbo il 30 marzo scorso con 93 mila voti, pari il 54,6%. Le dimissioni di Meroi, depositate nelle mani del segretario generale dell'ente, diventeranno operative dopo la comunicazione ufficiale al consiglio provinciale, che dovrebbe riunirsi alla fine della prossima settimana. Dopodiché il presidente avrà 20 giorni di tempo per ritirarle o confermarle. Una decisione, quella Meroi, scaturita dalle lotte intestine nella maggioranza di centrodestra (Pdl e Udc) sulla composizione della giunta. Meroi ha assegnato 3 assessorati all'Udc e 3 al Pdl, tutti ex Forza Italia, lasciandone uno a disposizione dei 4 consiglieri ex An. Ma questi ultimi, alleati con l'unico rappresentante del Popolo Etrusco nel Pdl, una declinazione locale dei Popolari-Liberali di Carlo Giovanardi, che avevano presentato una propria lista ottenendo circa il 5%, ritengono di essere stati penalizzati per dare spazio all'Udc, che ha ottenuto il 12% dei voti e 4 consiglieri e si rifiutano di votare la ratifica della giunta in consiglio. Decorsi i 20 giorni, se la maggioranza non si ricomporrà, verrà nominato il commissario prefettizio e, dopo qualche mese, saranno indette le elezioni anticipate.

"MANCA L'ACCORDO" - Le motivazioni della scelta arrivano dallo stesso Meroi. "Non siamo riusciti a trovare un accordo nella maggioranza. Ne prendo atto e mi dimetto". Così il neo presidente della Provincia di Viterbo, ha annunciato che non ci sono le condizioni per dare inizio alla legislatura scaturita dalle urne il 28 e 29 marzo scorso. "L'unica via d'uscita è che le segreterie provinciali e regionali del Pdl e dell'Udc si impegnino per individuare una soluzione che, credo, possa ancora essere trovata". La segreteria regionale del Pdl viene chiamata in causa da Meroi perchè "sono stati proprio il coordinatore e il vice coordinatore del Lazio ad aver sottoscritto l'accordo che assegna 3 assessorati all'Udc nel corso delle trattative da cui è scaturito il sostegno dei centristi alla candidata governatrice Renata Polverini. Abbiamo l'obbligo di rispettare il mandato che ci hanno affidato i cittadini - ha concluso Meroi -, se non dovessimo riuscirci dimostreremmo grandi limiti".

I COMMENTI - "Per stare tranquilli c’è bisogno di andare una settimanella a Rieti...Berlusconi dia uno sguardo al suo partito nel Lazio, quel che accade è allucinante. A Roma si balla in Campidoglio, a Frosinone si marcia contro la Polverini, a Latina si è buttata giù la giunta, alla Provincia di Viterbo la disarciona il presidente. Così non si va da nessuna parte. Sos politica...", questo il commento caustico di Francesco Storace, consigliere regionale del Lazio e segretario nazionale de La Destra. Dall'opposizione si leva la voce di Ileana Argentin, membro della direzione regionale del Pd laziale: "Le dimissioni del neoeletto presidente della Provincia di Viterbo aggravano il caos interno al Pdl laziale dopo le minacce secessioniste degli amministratori di Frosinone e Latina e le dimissioni del sindaco di Latina. Uno scenario davvero inquietante che, schiavo di logiche interne e di lotte senza quartiere tra fazioni di ex An ed ex Forza Italia, rischia di compromettere il lavoro che ancora deve iniziare Renata Polverini. Tutto ciò dimostra la fragilità e l'irresponsabilità di una classe dirigente laziale che ha poco a cuore i problemi dei cittadini e gli interessi generali ed in nome di rivendicazioni di fazione paralizza l'attività amministrativa in Regione".

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

 

le accuse: corruzione, turbativa d'asta e truffa

Prosperini patteggia la pena

"In silenzio, senza ammissioni"

Tre anni e 5 mesi per l'ex assessore che a marzo ha tentato il suicidio: "Mi dedicherò al volontariato"

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Prosperini al momento dell'uscita dal carcere di Voghera (Fotogramma)

Prosperini al momento dell'uscita dal carcere di Voghera (Fotogramma)

MILANO - "È un patteggiamento silenzioso, senza ammissioni". Lo ha affermato l'ex assessore regionale lombardo Pier Gianni Prosperini prima di entrare nell'ufficio del giudice di Milano, Gloria Gambitta, che ha ratificato l'accordo di patteggiamento raggiunto dal politico con la procura di Milano, in relazione al giro di tangenti sulla promozione televisiva del turismo che lo ha visto coinvolto, con le accuse di corruzione, turbativa d'asta e truffa. Prosperini ha patteggiato una pena di 3 anni e 5 mesi di reclusione. "Come stiamo? Stiamo bene", ha detto ai cronisti l'ex assessore, che il 25 marzo scorso ha tentato il suicidio mentre si trovava a casa agli arresti domiciliari. "Siamo un po' esterrefatti e toccati - ha proseguito -, colpiti e offesi, così siamo".

IN DIALETTO - Rispondendo a una domanda dei cronisti sugli altri stralci di indagine aperti, tra cui uno che lo vede indagato per corruzione internazionale, Prosperini ha risposto: "Tutti i giorni ce n'è una nuova", pronunciando la frase in dialetto lombardo, come suo solito. Riguardo il suo coinvolgimento in una vicenda di traffico d'armi verso l'Iran (il politico al momento non è indagato), l'ex assessore ha detto: "Una nazione estera, con il permesso dei ministeri esteri e della polizia, è andata dalla Beretta e ha preso 50 fucili". Richiamato dai suoi avvocati per l’inizio dell’udienza, alla domanda dei cronisti su come stia vivendo questo periodo, Prosperini ha risposto: "Pregando".

"FARO' VOLONTARIATO" - "D'ora in poi mi dedicherò al volontariato per i meno fortunati, i disabili e per chi ha difficoltà motorie, attraverso l'ippoterapia in cui credo molto", ha poi aggiunto l'ex assessore, all'uscita. E la politica? "Per un po' niente politica", ha ribadito l'ex assessore, aggiungendo che il suo non è un "no" definitivo alla politica, ma che "sarà difficile tornare" in questo campo. D'ora in avanti, ha aggiunto Prosperini, la sua "sarà una vita di lavoro e di dedizione per i meno fortunati". In particolare, si dedicherà all'ippoterapia, mettendo in campo le sue conoscenze "tecniche, equestri e di medico" per aiutare i bambini. Il giudice gli ha concesso la possibilità, sebbene ancora in regime di arresti domiciliari, di frequentare il centro ippico "La Colombera" di Binasco e di fare volontariato. Comincia ora, ha ribadito Prosperini, "una nuova vita".

SOCCORSO A UNA DONNA SVENUTA - L'occasione di rendersi utile si è presentata subito: Prosperini, mentre si preparava a lasciare il Palazzo di Giustizia dopo aver salutato i giornalisti, si è imbattuto in una donna che si era sentita poco bene nei corridoi del primo piano. Prosperini, con la sua esperienza di medico, ha notato la donna svenuta e si è fermato a prestarle soccorso, facendola distendere e sollevandole le gambe. Un episodio in linea con le dichiarazioni rese poco prima.

Redazione online

04 maggio 2010

 

 

 

 

l'avvocato: "i malati usati come un mezzo per ottenere rimborsi"

Santa Rita, la Regione chiede al primario

due milioni di euro come risarcimento

"Danni morali e di immagine" contestati a Brega Massone. Un milione a testa per i due aiuti

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La Cassazione respinge il ricorso, Brega Massone si presenta in carcere

MILANO - La Regione Lombardia ha chiesto un risarcimento per i danni morali e di immagini di due milioni di euro a Pier Paolo Brega Massone, l'ex primario della clinica Santa Rita di Milano. La richiesta è arrivata oggi, attraverso l'avvocato Antonella Forloni, nel processo con al centro la casa di cura milanese e che vede imputato l'ex primario, assieme ad altre otto persone. Il legale, che rappresenta la Regione costituitasi parte civile nel processo con al centro casi di truffa e lesioni, nel concludere il suo intervento, ha chiesto due milioni di euro di danni non patrimoniali a Brega Massone e un milione di euro a testa, sempre di danni morali e di immagine, anche per Pietro Fabio Presicci e Marco Pansera, che lavoravano nell'equipe di chirurgia toracica assieme a Brega Massone. Inoltre, l'avvocato della Regione ha chiesto risarcimenti morali e di immagine anche ad altri cinque imputati, con cifre che vanno dai cento mila ai trecento mila euro. Infine, ha fatto richiesta per la Regione di un risarcimento del danno patrimoniale di oltre trecentoventimila euro nei confronti di Brega, Presicci e Pansera, in solido.

DIRITTI VIOLATI E CRUDELTA' - Nelle sue conclusioni l'avvocato Forloni ha parlato di "disprezzo per le condizioni dei pazienti" da parte degli imputati e della violazione "del diritto alla salute delle persone". I malati, secondo l'avvocato, "sono stati un mezzo per ottenere rimborsi e non un fine" e Brega e i suoi aiutanti hanno dimostrato "crudeltà". Brega Massone, che nei giorni scorsi è tornato in carcere su decisione della Cassazione per un'inchiesta ancora aperta che lo vede indagato anche per omicidio, non era presente oggi in aula. In udienza hanno parlato anche altri avvocati di parte civile, in rappresentanza di alcuni pazienti che avrebbero subito danni fisici dagli interventi chirurgici ritenuti inutili dall'accusa. (fonte: Ansa)

04 maggio 2010

 

 

 

OPERAZIONE DELLA FINANZA

Arrestato imprenditore alberghiero

proprietario del "Dolomiti" a Cortina

Accusato di bancarotta fraudolenta: avrebbe svuotato

le casse di una società con operazioni fittizie

ROMA - Arrestato per bancarotta fraudolenta un noto imprenditore alberghiero. L'uomo, del quale non erano state rese note le generalità, ma solo le iniziali - S.C. - è stato bloccato dagli uomini della Guardia di Finanza nella Capitale. Si tratterebbe di Simone Chiarella - genero di Gaetano Caltagirone -, coeditore de Il Domenicale di Marcello Dell'Utri.

L'imprenditore è titolare tra gli altri immobili di un famoso albergo di Cortina, l'Hotel Dolomiti (un tre stelle, ex Motel Agip), attraverso la società Ennea s.r.l. La sua vicenda ricorda con singolari coincidenze quella narrata nell'ultimo film di Pupi Avati, "Il figlio più piccolo"

L'Hotel Dolomiti a Cortina (foto da internet)

L'Hotel Dolomiti a Cortina (foto da internet)

QUOTE SEQUESTRATE - L'operazione, condotta dal nucleo di polizia tributaria su disposizione dalla procura della Repubblica di Roma, ha portato all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare disposta dal sostituto procuratore Stefano Fava dopo una complessa indagine. Nel corso dell'operazione sono stati, inoltre, sequestrati le quote del capitale di una società immobiliare facente capo all'arrestato e l'albergo sito in Cortina d'Ampezzo, per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro.

FALLIMENTO PILOTATO - L'imprenditore è sospettato di aver pilotato il fallimento di una azienda a lui riconducibile, conducendola deliberatamente al dissesto e svuotandola del suo patrimonio, in particolare delle quote del capitale sociale della Ennea srl - con sede anche nella Capitale, cui fa capo l'Hotel Dolomiti di via Roma 118 a Cortina- e di un immobile adibito ad albergo a Cortina d'Ampezzo, in favore di un'altra società allo stesso riconducibile. Lo svuotamento delle società è avvenuto attraverso fittizie operazioni di riorganizzazione societaria, passaggi di quote azionarie e operazioni commerciali simulate.

L'Hotel Dolomiti si trova "a soli 300 metri dal centro di Cortina e dalle piste da sci, ubicato in una delle zone più famose delle Dolomiti", come pubblicizza un sito internet di prenotazioni, ma è chiuso dalla fine della scorsa stagione invernale e sull'immobile verterebbe un grande progetto di ristrutturazione.

Redazione online

04 maggio 2010

 

2010-05-02

il ministro per la Semplificazione Legislativa alla trasmissione "in Mezz'ora"

Calderoli: Berlusconi può andare avanti

In alternativa ci sono solo le elezioni

Su Fini: "Perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo". Unità d'Italia: "Non so se saremo a celebrazioni"

il ministro per la Semplificazione Legislativa alla trasmissione "in Mezz'ora"

Calderoli: Berlusconi può andare avanti

In alternativa ci sono solo le elezioni

Su Fini: "Perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo". Unità d'Italia: "Non so se saremo a celebrazioni"

MILANO - "Il governo ha i numeri per andare avanti e fare le riforme, in alternativa ci sono solo le elezioni". Lo afferma Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione legislativa, ospite della trasmissione "In mezz'ora". A una domanda dell'Annunziata sulla possibilità che la Lega partecipi a un governo tecnico per fare le riforme guidato da Giulio Tremonti, la risposta è netta: "No. L'elettorato ha dato il proprio consenso a una persona che è Berlusconi. E poi la prima persona che sarebbe contraria è Tremonti stesso".

FINI DELFINO - Calderoli coglie l'occasione per parlare dei rapporti interni alla maggioranza: "Molti dei problemi attorno a Fini nascono dal suo perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo. Ma prima i galloni se li deve guadagnare sul campo all'interno del Pdl. La peggior cosa per una leadership così forte è prenderla di punta". Il ministro leghista boccia poi l'ipotesi avanzata da Bobo Craxi di un "complotto" guidato dagli Usa dietro all'iniziativa politica di Fini ("qualcuno ha mangiato funghi allucinogeni, non credo a queste cose"). E sul federalismo fiscale: "Fini ha sollevato perplessità sulla coesione sociale e sull'unità del Paese; ma io gli ho fatto notare che già oggi non c'è coesione sociale né unità del Paese. Inoltre i relatori in Parlamento sono pugliesi, il presidente della Commissione è siciliano: il Meridione è presenze".

UNITÀ D'ITALIA - Altro argomento, il 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Calderoli dice che non è sicura la presenza della Lega a Genova il 5 maggio con il presidente Napolitano: "La celebrazione in sé ha poco senso. L'anniversario deve essere il momento per approntare le soluzioni, non solo per alzare la bandiera. Io sarò a lavorare per realizzare il federalismo, la cui attuazione è il miglior modo per festeggiare l'unità d'Italia".

Redazione online

02 maggio 2010

 

 

sul caso scajola: "mi auguro che chiarisca"

Bocchino: "Contratti Rai? A Berlusconi"

L'ex vice presidente del Pdl alla Camera si difende dagli attacchi del Giornale alla moglie, che fa la produttrice tv

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Bocchino: "Contratti Rai? A Berlusconi"

L'ex vice presidente del Pdl alla Camera si difende dagli attacchi del Giornale alla moglie, che fa la produttrice tv

MILANO - "I contratti più importanti della Rai vanno a Silvio Berlusconi e ai suoi figli, proprietari della Endemol. Ma non lo trovo scandaloso: la Endemol è una grande società che fa produzione, ricchezza e audience". Lo dice, in un'intervista a Maria Latella su Sky Tg24 Italo Bocchino, ex vice presidente finiano del gruppo Pdl alla Camera, finito in prima pagina del Giornale il 30 aprile per il contratto di produzione assegnato dalla Rai alla moglie ("I soldi Rai alla moglie di Bocchino"). "Quello che troverei scandaloso - sottolinea Bocchino - sarebbero scelte al di fuori della normativa vigente". "Se vogliamo fare un codice etico per cui con la Rai non possono avere nulla a che fare i parenti fino al sesto grado di chi siede in Parlamento sarei d'accordissimo: però il maggior colpito sarebbe Berlusconi, che è il maggior beneficiario insieme ai sui figli". Per quanto riguarda la moglie Gabriella Buontempo, Bocchino ricorda che quando l'ha conosciuta già lavorava con la Rai e che nell'articolo del Giornale "non c'è nessuna accusa, si dice che fa la produttrice, lo fa bene e a prezzi di mercato". Riguardo agli articoli del giornale della famiglia Berlusconi non solo su sua moglie ma anche sulla suocera di Gianfranco Fini, il giudizio di Bocchino è netto: "È solo spazzatura, sono non notizie che servono a bastonare chi dissente nel Pdl".

"SCAJOLA CHIARISCA" - Bocchino ha poi parlato del caso Scajola: "Gli esprimo solidarietà umana e mi auguro che riesca a chiarire quanto prima questa vicenda" ha detto riferendosi all'acquisto di un appartamento a Roma da parte del ministro dello Sviluppo economico, accusato di aver usato soldi di uno degli imprenditori coinvolti nell'inchiesta sul G8. L'esponente finiano rinnova l'invito ad approvare subito il ddl anti corruzione quando, dopo la firma del presidente della Repubblica, arriverà alla Camera: "La politica deve essere trasparente, non ci deve essere nemmeno un centimetro quadrato di ombra per l'opinione pubblica. Quindi mettiamo subito all'ordine del giorno il ddl anti corruzione e, con un voto bipartisan approviamolo il prima possibile. È prioritario e questo deve fare un partito serio". Alla domanda che cosa faranno i finiani se la maggioranza del Pdl non farà questa scelta risponde: "Ne prenderemmo atto e faremmo la nostra parte. Noi non facciamo agguati, il ruolo della minoranza in un grande partito è quello di stimolo. Il problema è che il Pdl non deve essere un partito grande ma un grande partito".

Redazione online

02 maggio 2010

 

 

 

Il caso - "La capitale ci schiaccia, nasca la Ventunesima regione"

"Secessione da Roma" Frosinone e Latina giurano a Fossanova

Referendum insieme con i "ribelli" di Rieti e Viterbo

Il caso - "La capitale ci schiaccia, nasca la Ventunesima regione"

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ROMA—Il passo fino al santuario del Doctor Angelicus è lungo, forse troppo. "Ma noi lo faremo, sì, faremo il giuramento ". Certo suona bene, il Giuramento di Fossanova, però ha un retrogusto leghista, no? "Embè? Bossi sta combattendo per il suo territorio! Bravo! Noi per il nostro", dice intrepido Antonello Iannarilli, Pdl di tendenza forzista, presidente della Provincia di Frosinone: "Berlusconi non mi caccia, ma se mi caccia prenderò altre strade...". A parole sono decisi, decisissimi: basta con Roma padrona, se non ladrona. Il 17 maggio i consigli provinciali di Frosinone e Latina, in seduta comune, firmeranno un’intesa per far partire un referendum assieme agli altri "secessionisti" delle Province di Rieti e Viterbo. L’obiettivo sembra quasi una bestemmia: una Regione senza Roma, la Regione delle Province. "Si chiamerà la Ventunesima ", anticipa Iannarilli, anche se detta così più che una regione sembra una legione, manco a dirlo, romana. Lo scenario del giuramento dovrebbe essere suggestivo, uno dei più carichi di senso e storia del basso Lazio. Fossanova. L’Abbazia. Dove morì Tommaso d’Aquino, mentre spiegava il Cantico dei cantici ai monaci cistercensi. Sarà duro e vagamente blasfemo star lì, sette secoli e spiccioli più tardi, a spiegare ai congiurati consiglieri provinciali come e quando bisognerà staccarsi dall’odiata capitale che "dati di Unioncamere alla mano, è cresciuta solo lei negli ultimi quarant’anni, a scapito di Frosinone, Latina, Viterbo e Rieti ", insomma, a sbrogliare una faccenda di conti e spartizioni a pochi metri dalla stanza dove spirò il Dottore Angelico.

Ma ecco un contrattempo che dà alla rivolta un vago profumo di pochade. All’Abbazia cadono dalle nuvole. Tra i chiostri dove per la prima volta si sposarono gotico e romanico, i secessionisti laziali sono dei perfetti sconosciuti. "Chi viene? Noi non ne sappiamo nulla! ", ride soave fratel Marco, uno dei quattro francescani polacchi che hanno preso il posto dei monaci. Beh, magari il superiore sa... "Macché. Noi a pranzo ci diciamo tutto, nemmeno lui sa nulla. E poi qui è tutto vincolato dalla Soprintendenza". "I frati non ne sanno nulla? Beh, tocca a Cusani organizzare ", replica Iannarilli senza un plissé. Logico. Fossanova è nel territorio di Latina e Armando Cusani è il presidente della Provincia di Latina. Ma nel pomeriggio prefestivo l’organizzatore è introvabile. Che i congiurati si riuniscano nell’Abbazia o nel parcheggio dei pullman turistici lì tra i boschi pontini, la questione politica, anticipata ieri dal Tempo, non cambia. E crea imbarazzi. In soldoni, l’idea dei nuovi poteri capitolini previsti dalla legge su Roma ha generato gelosie e malumori. Inoltre la giunta appena sfornata dalla Polverini ha scontentato tanti, troppi. Specie nelle province. "A Roma ha vinto la Bonino. Noi l’abbiamo fatta eleggere, Renata: con 160 mila voti. E a Frosinone manco un assessore?", sbottano i rivoltosi. Francesco Storace, uno che ha il dono di dire pane al pane, la spiega così: "Idea eccellente. Era di Andrea Mondello prima del mio governo regionale, io la rilanciai. Nella prima stesura la devolution prevedeva la Regione di Roma, e la Regione delle Province è la salvezza del resto del Lazio. Peccato però che, ci fosse stato un assessore ciociaro nella giunta Polverini, della salvezza del Lazio non ne avrebbero mai parlato!".

Cauto, molto cauto Maurizio Stirpe, presidente di Confindustria Lazio: "La prospettiva di una secessione affascina sempre la gente. E io capisco l’amarezza degli amministratori di Frosinone che chiedono più attenzione. Ma noi, come industriali, stiamo lavorando in senso opposto: vogliamo fondere le associazioni territoriali". Non dev’essere un pomeriggio facile nel palazzo della Regione sulla Colombo. La Polverini è immersa nelle trattative con l’Udc, ballano poltrone (in gergo politichese: si valorizzano le competenze...). Una sua portavoce avvisa durissima che la governatrice non parla da due giorni di questa storia delle Province ("ma che fa, mica lo scrive?"). "Toni sbagliati", dirà molto più tardi lei, Renata, a margine di un evento sportivo: "Un posto in giunta per il Pdl di Frosinone? Lavoreremo...". Curiosamente, viene mandato avanti un consigliere uscente, Donato Robilotta: "La Polverini non c’entra con la protesta delle Province, è polemica vecchia ". Mica vero. I ribelli rincarano: "Noi, traditi dai partiti. Ma Renata non ci ha difeso". Il vaso di Pandora degli egoismi sembra aperto, spiega Giuseppe De Rita: "Ognuno va per proprio conto, pensi alle vicende dell’Olimpiade di Torino, dell’Expo’ di Milano e all’infelice idea della Formula Uno a Roma ". Alemanno è comunque l’unico politico di rango a tirar fuori subito la testa: "Roma non se ne va dal Lazio. La Regione è l’area vasta della Capitale". Ma ormai le lingue sono imbrogliate. "Area vasta? Area metropolitana? Il sindaco di Roma ci offende", tuona Iannarilli: "Basta elemosina’ da questi. Ma che, stamo a scherza’?". E già tremano le volte che diedero riparo all’Aquinate.

Goffredo Buccini

01 maggio 2010(ultima modifica: 02 maggio 2010)

 

 

 

2010-04-30

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-27

il capogruppo: "Il mio destino non è legato al suo". E spunta Menia, terzo candidato

Pdl, battaglia sui vertici della Camera

Bocchino: "Mi candido presidente"

Il finiano Bocchino si dimette da vice ma sfida Cicchitto: "Mi candido presidente, contiamoci"

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Italo Bocchino (Ansa)

Italo Bocchino (Ansa)

ROMA - Non c'è pace nel Pdl. E a meno di una settimana dallo scontro in pubblico tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, scoppia il caso Bocchino. Il finiano, vicecapogruppo del Pdl alla Camera, ha consegnato le sue dimissioni a Fabrizio Cicchitto, numero uno dei deputati del Popolo della Libertà a Montecitorio annunciandogli però contemporaneamente di volersi candidare al ruolo di presidente. Questo perché Bocchino ritiene che il regolamento leghi il suo destino di vicecapogruppo a quello del capogruppo ("simul stabunt simul cadent") e che sia dunque "inevitabile" il ricorso all'assemblea. In sostanza, secondo Bocchino le dimissioni dell'uno dovrebbero comportare le automatiche dimissioni dell'altro visto che i due sono stati eletti "in ticket".

LA PRECISAZIONE DEL PDL - Cicchitto da parte sua non spende troppe parole per replicare alla presa di posizione del suo vice: "Ho preso atto della lettera di dimissioni dalla carica di vicecapogruppo vicario. Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica e anche sullo statuto del gruppo. È evidente che il problema delle dimissioni dell'onorevole Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito" spiega il numero uno dei deputati del Pdl. Nello stesso tempo però l'ufficio stampa del Pdl fa sapere attraverso una nota che il destino del vicario di un gruppo parlamentare non coinvolge la presidenza. "Nella lettera di Italo Bocchino - scrive l'ufficio stampa del partito - è contenuta una imprecisione perché l'art.8 del regolamento del gruppo non lega affatto il destino del presidente e del vicepresidente vicario a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica".

BERLUSCONI - Nella lettera a Cicchitto Bocchino chiede anche di convocare un'assemblea del gruppo del Pdl "per dare la possibilità alla minoranza di contare le proprie forze" e "conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso". L'esponente finiano auspica anche che presidente dei deputati del Pdl favorisca un incontro "con il presidente Berlusconi anche alla presenza del coordinatore Verdini affinchè si possa dar vita ad un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare".

MENIA - La questione resta aperta ed è indice della distanza tra la corrente finiana e il resto del Pdl. Rivelando allo stesso tempo le tensione tra i fedelissimi del presidente della Camera: prova ne è la scelta del sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia di candidarsi alla presidenza del gruppo alla Camera: "Se per davvero Italo Bocchino, vicecapogruppo dimissionario del Pdl alla Camera, intende candidarsi a presidente dello gruppo "per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo", allora lo farò anch'io" spiega l'esponente finiano, che aggiunge: "Non so quale consenso egli pensi di avere, ma non ha certo il mio né quello di molti che con lealtà seguono Fini e con altrettanta lealtà sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte".

Redazione online

27 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-26

Battuta del premier: "Si litiga in due, ma per divorziare uno solo basta"

Fini riunisce i fedelissimi

"Saremo leali col governo"

Il presidente della Camera agli ex An: "La nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza non si discute"

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Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi (Ansa)

Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi (Ansa)

MILANO - "Tutti hanno capito che non è in discussione la nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza". Gianfranco Fini ribadisce ancora una volta di non immaginare nessuna scissione dal Pdl. E lo fa parlando ai parlamentari a lui più vicini nella Sala Tatarella a Montecitorio. "Dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e al programma di governo" spiega il presidente della Camera. Per lui, dunque, il "punto fermo" delle esternazioni pubbliche di suoi sostenitori in Parlamento deve essere proprio questo: l'"assoluta lealtà" a maggioranza e governo, oltre che agli elettori. "Sono qui per ascoltarvi, per sapere cosa ne pensate. Per far capire a chi va in tv o fa dichiarazioni che il nostro comportamento è di assoluta lealtà" dice Fini ai suoi. Poi, dopo aver ascoltato gli interventi - alcuni dei quali anche critici - dei parlamentari riuniti nella Sala Tatarella, lancia l'idea: "Facciamo un seminario, un convegno per illustrare le nostre proposte per un Pdl più forte". Una delle date ipotizzate per la riunione è venerdì 14 maggio.

APPLAUSO AL LEADER - Dentro il Pdl, dunque, leali al governo e alla maggioranza ma liberi di dissentire: il presidente della Camera ha fatto il punto con i parlamentari che gli sono rimasti fedeli, cercando di rassicurare i finiani che lo hanno seguito nell'ultimo strappo e di mostrare loro la rotta. La riunione nella Sala Tatarella si è aperta con un applauso al presidente della Camera. Non si può accettare una Lega "dominus" della coalizione, ha ribadito il leader di Montecitorio ai suoi. Il federalismo fiscale, poi, può essere realizzato a patto che non ci sia un Nord che se ne avvantaggia rispetto al Sud. Ai fedelissimi Fini ha chiesto di affrontare i prossimi delicati passaggi parlamentari, primo tra tutti quello sulle intercettazioni, senza censurare divergenze di opinioni ma con spirito costruttivo. Non ci saranno dunque imboscate né le "scintille in Parlamento" di cui parlava Sandro Bondi al termine della direzione. Un concetto che Fini tornerà a spiegare martedì in tv ospite di Ballarò, seconda tappa mediatica dopo In 1/2 ora di Lucia Annunziata di una campagna televisiva che l'ex leader di An vuole fare per spiegare agli italiani le sue posizioni politiche. Resta aperta la questione relativa ad Italo Bocchino, capogruppo vicario del Pdl che, per evitare polemiche e strumentalizzazioni politiche, martedì vuole consegnare "brevi manu" al capogruppo Fabrizio Cicchitto la lettera delle sue dimissioni. "Adesso toccherà a loro darci una risposta", spiega Bocchino nella riunione, forse alludendo alla clausola del regolamento approvato dal gruppo che lega il destino di Bocchino a quello di Cicchitto, essendo stati eletti in ticket.

LABOCCETTA- Impossibile sapere quanti finiani hanno preso parte all'incontro: come in occasione della riunione di martedì scorso, infatti, anche questa volta la sala della riunione è stata resa assolutamente off limits ai cronisti. Di certo, in sette giorni la componente finiana ha perso già qualche pezzo, quanti ancora non è chiaro. Sicuramente ha dato forfait Amedeo Laboccetta, che la scorsa settimana aveva firmato il documento al termine della riunione dei finiani. "Ho espresso le mie preoccupazioni per la strada intrapresa e gli ho detto che non ci sto, non credo nelle correnti e quindi le nostre strade si separano" ha detto dopo un incontro con Fini. "Resto suo amico - ha aggiunto l'ex deputato di An - ma ho il pregio di parlare chiaro: questa fase non mi convince, nel Msi ho fatto parte della corrente dei romualdiani e non penso che questa sia la strada da percorrere. Fini la pensa diversamente e che cosa farà lo saprete al termine della riunione".

LA BATTUTA DEL PREMIER - Prima dell'incontro coi fedelissimi, Fini era stato tirato in ballo anche se non esplicitamente dal premier Silvio Berlusconi. Se per litigare è necessario essere almeno in due, come evidenziato sabato a margine delle celebrazioni per la festa della Liberazione con Napolitano, per divorziare è sufficiente anche la volontà di uno soltanto: ha spiegato sarcasticamente il Cavaliere durante la conferenza stampa con Vladimir Putin a Villa Gernetto, replicando così a un giornalista che chiedeva il segreto di un "matrimonio felice" in politica. "Non ho avuto risultati particolarmente felici per i matrimoni - ha commentato Berlusconi con un evidente richiamo alla sua situazione personale (un divorzio già consumato e uno, quello con Veronica Lario, in fase di definizione) - quindi, mi astengo dal dare consigli". Evidente il riferimento del premier alle tensioni con Fini, che hanno avuto il loro culmine giovedì scorso alla direzione nazionale del Pdl. Fini, in ogni caso, anche nell'intervista di domenica con Lucia Annunziata su Raitre, ha ribadito di non avere intenzione di lasciare il Pdl e di volere, pur nella differenza di vedute, continuare a contribuire alla crescita del centrodestra.

Redazione online

26 aprile 2010

 

 

 

"Elezioni anticipate? Parlarne è da irresponsabili". Ma Calderoli: il rischio c'è

Fini: "Non faccio un nuovo partito"

Bersani: "Riforme impossibili con il Pdl"

Il presidente della Camera: "Faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato"

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Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di 'In mezz'ora'

Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di "In mezz'ora"

ROMA - Gianfranco Fini non ha alcuna intenzione di dare vita ad altri partiti e intende piuttosto "continuare a discutere dentro il mio partito". Dopo il clamoroso scontro con Silvio Berlusconi durante la direzione nazionale del Pdl, l'ex leader di An va in tv e ribadisce la sua posizione: "Non ci saranno imboscate - dice a "In mezz'ora" su Rai 3 - faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato. La lealtà non può essere acquiescenza". Il programma punta i riflettori in particolare sulle riforme e Fini, come ha fatto durante la direzione del partito, mette le mani avanti: "Dobbiamo essere certi che il federalismo fiscale non metta a rischio l'unità nazionale. Su questo inciderà positivamente la responsabilità del Presidente del Consiglio e anche dei ministri della Lega, a cominciare da Bossi". Il presidente della Camera ha però apprezzato l'intervento di Berlusconi in occasione del 25 aprile: "Ha fatto un discorso alto, nobile, citando i padri fondatori della Repubblica".

LO STOP DI BERSANI - Ma sulle riforme è anche il segretario del Pd ad intervenire e a frenare: "È evidente che in questa maggioranza non ci sono le condizioni per affrontare le riforme", dice i leader democratico a Repubblica, e "infatti davanti alla difficoltà di decidere" il premier Silvio Berlusconi "prenderà un pretesto qualsiasi per accelerare verso le elezioni" o "verso un qualsiasi tipo di strappo". "Ho profonda sfiducia che si voglia mettere davvero mano a qualcosa di concreto - aggiunge Bersani -: non ci sono scelte in nessun campo, nè in economia, nè sul terreno istituzionale".

NIENTE ELEZIONI ANTICIPATE -Quanto ai temi sollevati in direzione, Fini ha spiegato di avere sollevato "problemi squisitamente politici" perché "con Berlusconi non c'è una questione personale, ho detto tante volte che lui è il leader". "Io non mi dimetto - ha poi ribadito il presidente della Camera - Sono e sarò invece pronto a discutere di dimissioni nel caso in cui venissi meno ai miei doveri di rispettare e di far rispettare le regole". Non c'è dubbio però che la rottura con il capo del governo, avvenuta davanti alle telecamere, ha lasciato cicatrici profonde che saranno difficilmente rimarginabili. Tanto che qualcuno parla di elezioni anticipate. "Abbiamo tre anni per fare le riforme - è la posizione Fini - parlare adesso di elezioni anticipate è da irresponsabili". E ancora: "Un partito a forte leadership non può cancellare il dissenso, le opinioni diverse. Se ci saranno "epurazioni" dipenderà da Berlusconi, abbiamo messo in conto anche questo. Chi oggi mi sostiene non lo fa certo per interesse". La risposta indiretta a Fini arriva dal leghista Roberto Calderoli: "Discutiamo dei problemi, verifichiamo in aula se c'è un solo Pdl o due. Noi vogliamo un solo interlocutore, questo deve essere chiaro. Se i numeri dicono che il governo ha la forza la forza per avviare il grande cambiamento, si va avanti. Se non ci sono, si decide di conseguenza. Obtorto collo, si va al voto".

IL TEMA DELLA GIUSTIZIA - Un altro dei temi affrontati da Fini è stato quello della giustizia: "Non dirò mai che la magistratura sia un cancro o un nemico. La destra è rispetto delle regole, non solo garantismo. La legalità non è garanzia dell'impunità, ma accertamento della verità. Dire questo non significa negare che una parte della magistratura sia iper-politicizzata. Quelli che si riconoscono nelle mie parole chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Siamo favorevoli alla separazione delle carriere, ma nessuno ci chieda un pm dipendente dall'esecutivo".

 

 

Redazione online

25 aprile 2010(ultima modifica: 26 aprile 2010)

 

 

 

 

2010-04-25

25 aprile - le commemorazioni a Roma per il 65esimo anniversario della Liberazione

Berlusconi: "Bisogna costruire

insieme l'Italia del futuro"

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Napolitano depone la corona all'Altare della Patria (Blow Up)

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MILANO - "Scriviamo insieme una nuova pagina della storia italiana". Questo uno dei passaggi più importanti del messaggio tv di Silvio Berlusconi in occasione delle celebrazioni del 65esimo anniversario del 25 aprile. "Bisogna costruire insieme uno stato moderno - ha affermato il premier - costruire l'Italia del futuro" andando oltre "il compromesso dei padri costituenti" e accantonando "le differenze politiche". "I nostri padri - ricorda il presidente del Consiglio - seppero accantonare le differenze politiche più profonde e sancirono nella Costituzione repubblicana il miglior compromesso possibile per tutti". "Dopo 65 anni - prosegue - la nostra missione è ora andare oltre quel compromesso e di costruire l'Italia del futuro sempre nel rispetto assoluto dei principi di democrazia e di libertà". "La sfida, ora, è nei fatti - ribadisce Berlusconi - dobbiamo scrivere insieme una nuova, condivisa pagina di storia della nostra democrazia e della nostra Italia". "Il nostro obiettivo - afferma il premier - è quello di rinnovare la seconda parte della Costituzione del 1948, che è già stata in parte modificata, per definire l'architettura di uno Stato moderno, più vicino al popolo, sulla base del federalismo. Uno Stato moderno più efficiente nelle Istituzioni e nell'azione di Governo, uno Stato più equo nell'amministrazione di una giustizia veramente giusta". "Vogliamo farlo insieme a tutte quelle forze politiche che come fecero i nostri padri costituenti non rifiutano a priori il dialogo e hanno a cuore la libertà. Quelle forze politiche che si preoccupano per l'avvenire delle nuove generazioni e che lavorano per il benessere di tutti gli italiani". Il discorso di Berlusconi è stato definito "alto e nobile" dal presidente della Camera Gianfranco Fini.

ALTARE DELLA PATRIA - In mattinata, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deposto una corona d’alloro all’Altare della Patria, rendendo omaggio al Milite Ignoto. Accolto dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, il capo dello Stato era accompagnato tra gli altri dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente della Corte costituzionale, Francesco Amirante, dalla vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, dai vertici delle Forze Armate. Alla cerimonia erano presenti anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e il prefetto della Capitale, Giuseppe Pecoraro.

LA CONTESTAZIONE A ROMA- La presidente della Regione Lazio Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta San Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. La presidente è stata bersagliata da urla "buu, buu" e dal lancio di uova, frutta e alcuni fumogeni. Un limone ha colpito all'occhio il Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, che le era accanto. La Polverini è stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso; ha rinunciato a parlare e ha lasciato la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele "Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita". Anche Zingaretti, che portava visibile il segno del limone che l'ha colpito in volto, ha lasciato Porta San Paolo. La Digos ha poi indentificato i due giovani autori della contestazione, appartenenti ai centri sociali. I due, spiega la Questura, saranno deferiti alla competente autorità giudiziaria.

LA CONTESTAZIONE A MILANO - E’ partita con urla e contestazioni contro il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, la manifestazione nazionale del 25 aprile a Milano. Dal corteo blindato dalle forze dell’ordine al grido di "mafiosi", "vergogna", i manifestanti si sono avvicinati al presidente della Provincia scortato dagli uomini della polizia. Il corteo, partito da Porta Venezia, ha raggiunto intanto piazza San Babila e si sta dirigendo verso piazza del Duomo dove si terranno i discorsi conclusivi intorno alle 16. Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, si è unita al corteo in piazza San Babila accolta al suon di "Vattene via petroliera di m...", "Fuori da Milano", "Via i fascisti dal corteo", "La resistenza è partigiana, Moratti te ne devi andare".

Redazione online

25 aprile 2010

 

 

 

 

"Elezioni anticipate? Parlarne è da irresponsabili"

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Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di 'In mezz'ora'

Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di "In mezz'ora"

ROMA - "Voglio sgomberare il campo da un equivoco: non ho intenzione di fare altri partiti ma di continuare a discutere dentro il mio partito". Gianfranco Fini, pochi giorni dopo il clamoroso scontro con Silvio Berlusconi durante la direzione nazionale del Pdl, va in tv e ribadisce la sua posizione. "Non ci saranno imboscate - assicura il presidente della Camera, intervistato da Lucia Annunziata a "In mezz'ora" su Rai 3 - faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato. La lealtà non può essere acquiescenza".

NIENTE ELEZIONI ANTICIPATE - L'ex leader di An torna sull'intervento di venerdì davanti al premier e agli altri esponenti del Pdl. "Ho sollevato problemi squisitamente politici - spiega - perché con Berlusconi non c'è una questione personale, ho detto tante volte che lui è il leader". Il premier ha dichiarato che un presidente della Camera deve rimanere super partes, invitandolo esplicitamente a lasciare lo scranno più alto di Montecitorio se vuole avere libertà di critica all'interno del partito. "Io non mi dimetto - risponde Fini. - Sono e sarò invece pronto a discutere di dimissioni nel caso in cui venissi meno ai miei doveri di rispettare e di far rispettare le regole". Non c'è dubbio però che la rottura con il capo del governo, avvenuta davanti alle telecamere, ha lasciato cicatrici profonde che saranno difficilmente rimarginabili. Tanto che qualcuno parla di elezioni anticipate. "Abbiamo tre anni per fare le riforme - risponde Fini - parlare adesso di elezioni anticipate è da irresponsabili".

LISTA DEGLI ERETICI - E il futuro del Pdl? "È finita una certa fase, ne inizia un'altra - sostiene il presidente della Camera - Un partito a forte leadership non può cancellare il dissenso, le opinioni diverse. Ma Berlusconi queste cose le sa benissimo. È una questione superata". Fini non rinuncia comunque a togliersi qualche sassolino dalla scarpa: "Il documento della direzione (approvato con soli 12 voti contrari su 172: un testo che in pratica esclude la possibilità di correnti interne nel Pdl, ndr) sembrava fatto apposta per contare gli eretici" afferma". E poi: "Se ci saranno "epurazioni" dipenderà da Berlusconi, abbiamo messo in conto anche questo. Chi oggi mi sostiene non lo fa certo per interesse". "Non credo - rimarca Fini - che la maggioranza ampia del Pdl reputi oggi intelligente fare la lista degli epurandi perché c'è poco di liberale. Faremo delle discussioni sulle modalità con cui far funzionare meglio il partito e nulla più di questo in vista del Congresso". La terza carica dello Stato ricorda poi che Italo Bocchino ha messo a disposizione le sue dimissioni da vice capogruppo dei deputati. "Ma davvero - chiede - oggi bisogna che il vicario del gruppo Pdl alla Camera metta la sua testa? E per che cosa? Non è un problema di posti o di liste di epurazione".

NESSUN PENTIMENTO - Berlusconi l'ha accusata di essersi pentito di aver fondato il Pdl: "Credo di aver fatto quello che dovevo fare anche nei confronti della destra italiana - risponde Fini. - Non sono affatto pentito. Oggi voglio aiutare il partito, e dunque anche il presidente Berlusconi, a migliorare l'azione politica dell'esecutivo, su alcune questioni di cui spero di poter parlare". "Una delle cose emerse chiaramente dalla direzione - spiega ancora Fini - è che la fase 70-30 Forza Italia-An è definitivamente archiviata. Alleanza nazionale non esiste più. Forza Italia non esiste più ma esiste un Pdl in cui c'è una maggioranza e c'è un'area di opinione che su alcune questioni ha delle valutazioni diverse". "Io penso - dice il presidente della Camera - di rappresentare all'interno del Pdl, insieme ad alcuni amici, una certa sensibilità di destra: una destra moderna - sottolinea Fini - una destra che cerca di ascoltare le posizioni dell'altro, una destra che non insulta, che cerca di parlare senza sentenziare, una destra che non ha la bava alla bocca e non vede altro che un nemico, ma invece cerca di dialogare con l'avversario. Una destra siffatta deve, all'interno del Pdl, far sentire la sua voce"

FEDERALISMO - L'ex leader di An entra poi nel merito delle riforme da fare: "Dobbiamo essere certi che il federalismo fiscale non metta a rischio l'unità nazionale. Su questo inciderà positivamente la responsabilità del Presidente del Consiglio e anche dei ministri della Lega, a cominciare da Bossi". Fini coglie l'occasione per elogiare proprio Berlusconi e il suo discorso in occasione del 25 aprile: "Ha fatto un discorso alto, nobile, citando i padri fondatori della Repubblica".

GIUSTIZIA - Fini affronta anche il tema giustizia: "Non dirò mai che la magistratura sia un cancro o un nemico". "La destra - prosegue - è rispetto delle regole, non solo garantismo. La legalità non è garanzia dell'impunità, ma accertamento della verità. Dire questo non significa negare che una parte della magistratura sia iper-politicizzata. Quelli che si riconoscono nelle mie parole chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Siamo favorevoli alla separazione delle carriere, ma nessuno ci chieda un pm dipendente dall'esecutivo".

Redazione online

25 aprile 2010

 

 

 

 

Pdl, Bocchino: "Accelerare il congresso"

Bossi: "Fini ha esagerato, si dimetta"

Berlusconi: "Io non ho mai litigato"

L'attacco in prima pagina domenica su "La Padania". Bersani: "Le opposizioni siano unite"

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MILANO - Dopo lo scontro in diretta tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini in direzione nazionale, il leader della Lega Nord Umberto Bossi torna ad attaccare il presidente della Camera sulle pagine della Padania. Il quotidiano del Carroccio che sarà in edicola domenica titola a tutta pagina "Non c'è unità senza federalismo". Nel sottotitolo la frase del senatur: "Fini ha esagerato, ha detto bugie ed è un problema se resta, si dimetta". Poi l'analisi di Roberto Calderoli, che definisce una "polpetta avvelenata" la proposta del segretario del Pd Pierluigi Bersani di un "patto" per le riforme e per superare la crisi economica. Poi un commento all'intervento del capo dello Stato per la celebrazione del 25 aprile: "Bene le parole di Napolitano sulle autonomie. I territori valore aggiunto del paese".

BERLUSCONI: MAI LITIGATO - Da Berlusconi, che ha partecipato alla commemorazione del 25 Aprile alla Scala di Milano con il presidente Napolitano, arrivano invece frasi concilianti. "Non sono mai stato protagonista di burrasche. Io non ho mai litigato, anche perché per litigare bisogna essere in due e l'ho detto anche a chi ha cercato di farlo". "Sono sempre stato sereno - ha proseguito Berlusconi - non ho mai dato risposte piccate in tanti mesi e continuo ad essere sereno, convinto di quello che sto facendo. Io poi, ad una età in cui sono in pace con me stesso, non ho rimpianti, non ho rimorsi, non ho mai fatto male a qualcuno e quando vado a letto alla sera, mi guardo allo specchio e dico: se stasera l'Angelo della morte arriva mi prende con la coscienza pulita".

SFIDA A DISTANZA IN TV - Domenica, intanto, è atteso il messaggio tv del presidente del Consiglio che verterà sulla festa del 25 aprile. Ci sarà quasi una sfida a distanza con Gianfranco Fini, dopo lo scontro alla direzione Pdl di giovedì scorso, visto che il presidente della Camera sarà ospite di Lucia Annunziata nella trasmissione "In mezz'ora".

"CONDIVISIONE PER LE RIFORME" - Berlusconi ha quindi ribadito la necessità di una condivisione per la realizzazione delle riforme. "Nelle celebrazioni di oggi - ha spiegato il presidente del Consiglio - abbiamo voluto sottolineare che è importante non soltanto l'unità d'Italia ma, su certi temi, l'unità di tutte le forze politiche che in Parlamento rappresentano il popolo italiano. Quando si pensa alle riforme, soprattutto dell’architettura istituzionale del Paese attraverso una legge costituzionale, l’auspicio è che ci sia la massima condivisione e partecipazione a una fase dialettica e poi una di approvazione".

IL DIBATTITO NEL PDL - Intanto, il Pdl si interroga sulla possibilità di coesistenza tra le due diverse anime all'interno del partito. E anche sul futuro del governo. La stragrande maggioranza del partito è con il premier - lo dimostrano i voti al documento finale approvato giovedì - ma i finiani non vogliono farsi da parte. "Bisogna recuperare gli aspetti positivi di quanto accaduto - afferma in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera - accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, spera dal canto suo che "ci sia un miracolo e che questo contrasto interno al Pdl venga superato. È molto importante per tutti noi, per il Governo e per il centrodestra". Ma lo strappo di Fini ha lasciato più ferite di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia della direzione. Tanto che molti esponenti di area ex An hanno deciso di sfilarsi in maniera esplicita dalle posizioni del presidente della Camera: crescono infatti le adesioni al documento promosso dai 75 parlamentari nel quale si riconosce, tra l'altro, come scelta giusta e irreversibile la fondazione del Popolo della Libertà, al cui rafforzamento si impegnano tutti a contribuire dall'interno. Su un totale di circa 120, tra consiglieri regionali e assessori di area ex An, hanno firmato già in 100 il documento che ha tra i promotori Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Gianni Alemanno, Giorgia Meloni.

BERSANI - Intanto il leader Pd, Pierluigi Bersani, chiama a raccolta le opposizioni: "Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe - afferma - gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il Parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani - ad una situazione estremamente confusa. Il Paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova". Da qui l'imprevedibilità dello scontro nel centrodestra e la necessità per Bersani di accelerare il confronto nelle opposizioni.

RUTELLI- Lo scontro tra Fini e Berlusconi provoca reazioni anche all'esterno del Pdl. Francesco Rutelli, a margine dell'assemblea di Alleanza per l'Italia, ammette di aver parlato con il presidente della Camera. "Lui è un interlocutore, ma sarà lui a decidere del suo destino, del rapporto con le altre forze. A Fini va riconosciuta dignità per la sua scelta - aggiunge Rutelli - ci sono momenti nella storia della politica in cui i cambiamenti li fanno le minoranze. Forse più che le maggioranze osannanti, in un Paese come il nostro, aiutano di più le minoranze creative". Quanto poi alla possibilità di un ingresso di Luca Cordero di Montezemolo in politica per la costruzione di un terzo polo, Rutelli ha espresso "la speranza che ci siano tante forze che si mettano in campo con coraggio, l’Italia ha bisogno di gente coraggiosa, quali saranno queste persone lo dirà la storia".

I VERDI: "PRONTI A UN CNL". ROTONDI: "PURA FANTASIA" - All'appello di Bersani i primi a rispondere sono stati i Verdi, che si sono detti "pronti ad un Comitato di Liberazione Nazionale con tutte le forze politiche che vogliono liberare la democrazia italiana". Lo dichiarato il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. Le differenze politiche fra le forze di opposizioni, parlamentari e non esistono ma ora più che mai è necessario superare i distinguo perché in gioco c'é il futuro del paese e quello della democrazia italiana". A Bersani ha anche replicato il ministro per l'Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi: "Bersani fa appello alle opposizioni per un patto contro quella che lui chiama la "deriva" della maggioranza? Pura fantasia".

Redazione online

24 aprile 2010(ultima modifica: 25 aprile 2010)

 

 

2010-04-24

Tensioni in piazza tra lavoratori del teatro e polizia

Napolitano: "Rafforzare 25 aprile

per creare un nuovo clima"

Il presidente ricorda Pertini e si commuove. "Uscire da contrapposizioni, convergere su interesse del Paese"

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Napolitano e Berlusconi entrano alla Scala (Balestra)

Napolitano e Berlusconi entrano alla Scala (Balestra)

MILANO - Per Giorgio Napolitano "il 25 aprile non è solo Festa della Liberazione: è festa della riunificazione d'Italia". Nel suo intervento al Teatro La Scala per il 65mo anniversario della Liberazione, il Presidente della Repubblica ha rievocato lo spirito che animò i Costituenti e auspicato che questo anniversario sia celebrato con "una rinnovata identità e unità della nazione italiana". "Mi auguro che con questo spirito si celebri il 65mo anniversario della Liberazione e della riunificazione d'Italia", ha affermato Napolitano, il quale ha citato un brano del discorso pronunciato da Silvio Berlusconi, presente in platea, lo scorso 25 aprile a Onna, in Abruzzo. "Il nostro Paese ha un debito inestinguibile - ha detto un anno fa in un impegnativo discorso ad Onna il presidente del Consiglio - verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l'onore della patria". Berlusconi - ha ricordato Napolitano, ricordò "con rispetto "tutti i caduti, senza che questo significhi neutralità o indifferenza"". "Si tratta in effetti - ha sostenuto il Capo dello Stato - di celebrare il 25 aprile nel suo profondo significato nazionale; ed è così che si stabilisce un ponte ideale con il prossimo centocinquantesimo anniversario della nascita dello Stato unitario".

SUPERARE LE CONTRAPPOSIZIONI - L'esigenza di uno sforzo collettivo, ha sottolineato il capo dello Stato, "non può essere respinta, quello sforzo non può essere rifiutato come se si trattasse di rimuovere ogni conflitto sociale e politico, di mortificare una naturale dialettica, in particolare tra forze di maggioranza e forze di opposizione". Non è questo, dice il presidente della Repubblica, ma la richiesta di superare quell'insieme di contrapposizioni "che blocca il riconoscimento di temi e impegni di più alto interesse nazionale, tali da richiedere una limpida e mirata convergenza tra forze destinate a restare distinte in una democrazia dell'alternanza".

IL "NUOVO CLIMA" - Occorre insomma creare "questo nuovo clima" e a ciò possono contribuire i cittadini, "può contribuire non poco il diffondersi tra gli italiani di un più forte senso dell'identità e unità nazionale. Così ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, dunque al di là degli steccati e delle quotidiane polemiche che segnano il terreno della politica". "Le condizioni sono ormai mature - ha concluso - per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza, per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più condivisa e duratura. Vedo in ciò una premessa importante di quel libero, lungimirante confronto e di quello sforzo di raccoglimento unitario di cui ha bisogno oggi il Paese, di cui ha bisogno oggi l'Italia". Il passaggio finale è stato salutato da un lungo applauso.

Napolitano e Letizia Moratti (Newpress)

Napolitano e Letizia Moratti (Newpress)

IL RICORDO DI PERTINI - Il Presidente ha avuto alcuni momenti di commozione quando ha ricordato il suo predecessore Sandro Pertini nelle sue azioni da partigiano. Anche il pubblico, alla prima citazione del nome di Pertini, ha fatto un lunghissimo applauso. Napolitano non ha nascosto il suo disappunto per il fatto che a Sandro Pertini non sia stato dedicato, fino ad oggi, dedicato qualche cosa come accade in altri paesi che "onorano e fanno vivere le figure dei maggiori rappresentanti della storia, per quanto travagliata, della nazione".

LE OMBRE DELLA RESISTENZA - Napolitano ha sottolineato come parlando della Resistenza non si debbano "tacere i limiti e le ombre" anche del movimento partigiano. "Personalmente - ha detto - ho più volte ribadito come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e in particolare del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre, come se ne possano mettere a confronto diverse letture e interpretazioni: senza che ciò conduca, sia chiaro, a sommarie svalutazioni e inaccettabili denigrazioni". "È comunque un fatto - ha proseguito - che anche studiosi attenti a cogliere le molteplici dimensioni del fenomeno della Resistenza compresa quella di guerra civile, non ne abbiano certo negato e sminuito quella di guerra patriottica".

"DIVIDERE L'ITALIA? FUORI DALLA STORIA" - "Solo se ci si pone fuori dalla storia e dalla realtà, si possono evocare con nostalgia, o tornare a immaginare, più entità statuali separate nella nostra penisola" ha detto Napolitano. L'unità conquistata 150 anni fa "rappresenta una conquista e un ancoraggio irrinunciabile, non può formare oggetto di irrisione, né considerarsi un mito obsoleto, un residuo del passato". Interpellato dai giornalisti su questo passaggio, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli ha dichiarato: "Ho ascoltato le parole del presidente della Repubblica Napolitano, in particolare per quel che riguarda il federalismo, gli rivolgo un applauso e questo mi fa condividere la sua posizione rispetto all'unità del Paese. Non può esserci federalismo senza unità, ma ai giorni nostri, nel contempo, non può esserci unità senza federalismo".

LE PROTESTE - Urla di protesta si sono sentite dalle quinte del Teatro alla Scala mentre Napolitano stava leggendo il suo discorso all'interno del Teatro: "Non firmare, non firmare", hanno gridato i lavoratori della Scala, subito dopo avergli dedicato un lungo applauso, alludendo al decreto sulle Fondazioni liriche contro il quale protestano da mesi. Tensioni in piazza Scala, dove nel pomeriggio si sono fronteggiati un centinaio di lavoratori del teatro e gli agenti della polizia. Inizialmente i manifestanti hanno provato a mostrare uno striscione a pochi passi dal teatro milanese, poi sono stati invitati dagli agenti ad allontanarsi e si sono spostati dal lato di Palazzo Marino, sede del Comune, dove sono stati bloccati da altri agenti in tenuta antisommossa. Diversi gli spintoni tra poliziotti e lavoratori, ai quali è stato impedito di raggiungere il centro della piazza. Tra i manifestanti anche alcuni orchestrali che hanno abbozzato un'aria di Astor Piazzolla, mentre alcuni componenti del coro hanno cantato il "Va pensiero". In piazza anche Piero Ricca, a cui è stato sequestrato il megafono.

IL CONCERTO - Napolitano è arrivato in mattinata all'Auditorium di Milano per assistere al concerto "Il Canto Sospeso" in memoria di Luigi Nono, di cui ricorre il ventesimo anniversario della morte. Con lui hanno assistito al concerto il sindaco, Letizia Moratti, ed il presidente della Provincia, Guido Podestà. Al termine del brano, accolto con calore dalla platea, il capo dello Stato ha lasciato l'auditorium per un colloquio con Podestà nella sede della Provincia. Ha quindi avuto un incontro in Prefettura con alcuni lavoratori della azienda Agile ed ex Eutelia e con i dipendenti della Scala.

L'ARRIVO ALLA SCALA - Alle 17 è iniziata la commemorazione alla Scala. Un lungo applauso, durato oltre due minuti, ha accompagnato l'ingresso di Napolitano, al quale è venuto incontro il premier Silvio Berlusconi, che era giunto al teatro pochi minuti prima e ha detto ai giornalisti: "Sono radioso". Il presidente della Repubblica, accompagnato da Berlusconi, ha preso posto al centro del teatro ed in piedi ha ascoltato l'inno nazionale diretto da Daniel Baremboim. Alla sinistra del Capo dello Stato la vicepresidente della Camera Rosy Bindi, alla destra di Berlusconi il vicepresidente del Senato Vannino Chiti. Presenti inoltre il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e quello della Provincia, Guido Podestà, il sindaco di Milano Letizia Moratti e numerose personalità del mondo politico locale. Presenti anche molti esponenti politici del Pd, tra i quali Piero Fassino, e numerosi ex partigiani aderenti all'Anpi. Piccolo fuori programma al termine dell'inno nazionale: dai palchi si è levato il grido "Viva l'Italia!". Dopo una breve proiezione video su Arturo Toscanini, costretto dai fascisti a trasferirsi negli Stati Uniti dopo che si rifiutò di eseguire "Giovinezza", il capo dello Stato ha tenuto il suo discorso. Nel foyer della Scala, in attesa dell'arrivo di Napolitano, Berlusconi si è brevemente intrattenuto a parlare con Rosy Bindi e Vannino Chiti.

GLI APPLAUSI - La conclusione del discorso di Giorgio Napolitano al teatro alla Scala è stato accolto da un lunghissimo applauso di tutto il pubblico che si è levato in piedi ed ha applaudito per cinque minuti. Ad applaudire, fra gli altri, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha scambiato qualche battuta amichevole con la vicepresidente della Camera Rosy Bindi. Quando Napolitano è rientrato in sala ed ha scambiato una stretta di mano con Berlusconi, da alcuni palchi si sono levati dei fischi. Napolitano si è congedato ed è partito per fare rientro in serata al Quirinale.

IL COMMENTO DI BERLUSCONI - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha molto apprezzato il discorso di Napolitano. "Un intervento assolutamente positivo - ha commentato all’uscita il premier -, apprezzabile e per certi versi anche eccezionale per celebrare questa ricorrenza". Quanto al passaggio del discorso del capo dello Stato che invitava le forze politiche a superare le contrapposizioni per il bene comune del Paese, il miglioramento del clima tra loro, Berlusconi ha detto: "Ne sono assolutamente convinto. Opero e mi attivo in quella direzione da sempre".

Redazione online

24 aprile 2010(ultima modifica: 25 aprile 2010)

 

 

 

 

UNA RICORRENZA DA TENERE STRETTA

Il significato di una festa

UNA RICORRENZA DA TENERE STRETTA

Il significato di una festa

Mentre onoriamo il 25 Aprile dovremmo chiederci perché questa giornata sia stata spesso faticosamente festeggiata e abbia diviso gli italiani piuttosto che unirli. Se vogliamo che la data diventi davvero nazionale, dovremmo parlarne con franchezza e senza infingimenti retorici. In primo luogo il 25 Aprile segna la fine di una guerra civile, vale a dire la conclusione di una vicenda in cui parole come patria e onore hanno avuto per molti italiani significati diversi. Sappiamo che i fascisti di Salò sbagliarono, ma non possiamo ignorare che erano anch’essi italiani e che molti fecero la loro scelta in buona fede. Era difficile immaginare che il 25 Aprile potesse venire festeggiato con lo stesso entusiasmo e la stessa partecipazione da chi aveva militato in campi diversi.

In secondo luogo il Partito comunista si attribuì il merito della vittoria e divenne il maggiore e più interessato regista delle celebrazioni. Eravamo — è bene ricordarlo — negli anni della guerra fredda, quando il Pci, pur essendo alquanto diverso da quello dell’Urss, ne era pur sempre il "fratello " e ne adottava, quasi sempre disciplinatamente, le linee di politica estera. Non sorprende che a molti italiani il 25 Aprile sembrasse il travestimento patriottico di una strategia che non poteva essere nazionale.

I partiti democratici, dalla Dc alla social-democrazia, ne erano consapevoli. Ma non potevano rinunciare a celebrare la Resistenza e cercarono di salvare il 25 Aprile dall’abbraccio mortale del Pci descrivendo quel giorno come la conclusione vittoriosa della "quarta guerra d’indipendenza". La definizione ebbe una certa fortuna sino a quando il Risorgimento non cominciò a perdere, per una parte crescente della società nazionale, il suo valore positivo e divenne "rivoluzione tradita" per alcuni, conquista coloniale per altri, operazione fallita per molti. Non esiste più il Pci, ma esiste un partito anti- risorgimentale composto da persone che non hanno altro punto in comune fuorché un certo rancore per il principio stesso dell’unità nazionale: leghisti, legittimisti borbonici, anarchici, cattolici reazionari, nostalgici di Maria Teresa, di Francesco Giuseppe, del Granduca di Toscana. Già danneggiato dall’uso che ne fece il Pci, il 25 Aprile non sembra oggi commuovere e interessare, se non per motivi strumentali e occasionali, coloro che non credono nell’unità nazionale.

Continuo a pensare e a sperare che questi sentimenti siano una febbre passeggera, provocata dalle scosse di assestamento di uno Stato che non è ancora riuscito a rinnovare le sue istituzioni. Nel frattempo, tuttavia, faremmo bene a ricordare che il 25 Aprile ebbe meriti a cui tutti dovremmo essere sensibili. Penso ai morti della guerra civile e al significato simbolico che la Resistenza ebbe per la credibilità dell’Italia dopo la fine del conflitto. Penso soprattutto al fatto che i partigiani insorsero nelle città del Nord prima dell’arrivo degli Alleati e dimostrarono così al mondo, come ha ricordato il presidente della Repubblica nel suo discorso di ieri alla Scala, che gli italiani volevano essere padroni a casa loro. Se non vogliamo che anche questa pagina della nostra storia venga dimenticata, teniamoci stretto il 25 Aprile.

Sergio Romano

25 aprile 2010

 

 

 

 

 

Pdl, Bocchino: "Accelerare il congresso"

Berlusconi: "Io non ho mai litigato"

Bersani: "Opposizioni siano unite"

Il premier: mai stato protagonista di burrasche. Il leader Api: "Ho sentito il presidente della Camera"

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Un momento dello scontro tra Fini e Berlusconi (Ansa)

Un momento dello scontro tra Fini e Berlusconi (Ansa)

MILANO - Un weekend di riflessione. Dopo lo scontro in diretta tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini in direzione nazionale, il Pdl si interroga sulla possibilità di coesistenza tra le due diverse anime all'interno del partito. E anche sul futuro del governo. Da Berlusconi, che ha partecipato alla commemorazione del 25 Aprile alla Scala di Milano con il presidente Napolitano, arrivano frasi concilianti. "Non sono mai stato protagonista di burrasche. Io non ho mai litigato, anche perché per litigare bisogna essere in due e l'ho detto anche a chi ha cercato di farlo". "Sono sempre stato sereno - ha proseguito Berlusconi - non ho mai dato risposte piccate in tanti mesi e continuo ad essere sereno, convinto di quello che sto facendo. Io poi, ad una età in cui sono in pace con me stesso, non ho rimpianti, non ho rimorsi, non ho mai fatto male a qualcuno e quando vado a letto alla sera, mi guardo allo specchio e dico: se stasera l'Angelo della morte arriva mi prende con la coscienza pulita".

IL DIBATTITO NEL PDL - Intanto, la stragrande maggioranza del partito è con il premier - lo dimostrano i voti al documento finale approvato giovedì - ma i finiani non vogliono farsi da parte. "Bisogna recuperare gli aspetti positivi di quanto accaduto - afferma in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera - accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, spera dal canto suo che "ci sia un miracolo e che questo contrasto interno al Pdl venga superato. È molto importante per tutti noi, per il Governo e per il centrodestra". Ma lo strappo di Fini ha lasciato più ferite di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia della direzione. Tanto che molti esponenti di area ex An hanno deciso di sfilarsi in maniera esplicita dalle posizioni del presidente della Camera: crescono infatti le adesioni al documento promosso dai 75 parlamentari nel quale si riconosce, tra l'altro, come scelta giusta e irreversibile la fondazione del Popolo della Libertà, al cui rafforzamento si impegnano tutti a contribuire dall'interno. Su un totale di circa 120, tra consiglieri regionali e assessori di area ex An, hanno firmato già in 100 il documento che ha tra i promotori Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Gianni Alemanno, Giorgia Meloni.

RUTELLI - Lo scontro tra Fini e Berlusconi provoca reazioni anche all'esterno del Pdl. Francesco Rutelli, a margine dell'assemblea di Alleanza per l'Italia, ammette di aver parlato con il presidente della Camera. "Lui è un interlocutore, ma sarà lui a decidere del suo destino, del rapporto con le altre forze. A Fini va riconosciuta dignità per la sua scelta - aggiunge Rutelli - ci sono momenti nella storia della politica in cui i cambiamenti li fanno le minoranze. Forse più che le maggioranze osannanti, in un Paese come il nostro, aiutano di più le minoranze creative". Quanto poi alla possibilità di un ingresso di Luca Cordero di Montezemolo in politica per la costruzione di un terzo polo, Rutelli ha espresso "la speranza che ci siano tante forze che si mettano in campo con coraggio, l’Italia ha bisogno di gente coraggiosa, quali saranno queste persone lo dirà la storia".

BERSANI - Intanto il leader Pd, Pierluigi Bersani, chiama a raccolta le opposizioni: "Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe - afferma - gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il Parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani - ad una situazione estremamente confusa. Il Paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova". Da qui l'imprevedibilità dello scontro nel centrodestra e la necessità per Bersani di accelerare il confronto nelle opposizioni.

I VERDI: "PRONTI A UN CNL". ROTONDI: "PURA FANTASIA" - All'appello di Bersani i primi a rispondere sono stati i Verdi, che si sono detti "pronti ad un un Comitato di Liberazione Nazionale con tutte le forze politiche che vogliono liberare la democrazia italiana". Lo dichiarato il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. Le differenze politiche fra le forze di opposizioni, parlamentari e non esistono ma ora più che mai è necessario superare i distinguo perché in gioco c'é il futuro del paese e quello della democrazia italiana". A Bersani ha anche replicato il ministro per l'Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi: "Bersani fa appello alle opposizioni per un patto contro quella che lui chiama la "deriva" della maggioranza? Pura fantasia".

Redazione online

24 aprile 2010

 

 

 

L'intervista alla presidente della commissione giustizia alla camera

Bongiorno: non ce ne andiamo

Mai i pm sotto il governo

"Berlusconi? Non corrispondo alla sua idea di donna. Sorpresa che siamo rimasti così pochi con Fini"

L'intervista alla presidente della commissione giustizia alla camera

Bongiorno: non ce ne andiamo

Mai i pm sotto il governo

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Giulia Bongiorno (Ansa)

Giulia Bongiorno (Ansa)

ROMA — Giulia Bongiorno, Berlusconi l'ha chiamata in causa di persona, in quanto presidente della Commissione Giustizia della Camera. Lei finora ha sempre taciuto.

"A dire il vero, succede da mesi. Ogni volta che vado a Palazzo Grazioli a parlare di giustizia, il giorno dopo leggo sui giornali che Berlusconi avrebbe detto: "Levatemela di torno". Frasi come frecce dalla foresta. Ora leggo che la seconda delle condizioni che Berlusconi aveva posto a Fini, dopo il "basta con il controcanto", era appunto il "basta con i giudizi critici della Bongiorno". L'avvocato Coppi è rimasto senza fiato: "Davvero ti hanno chiesto di non dare più giudizi critici?".

E lei cos'ha risposto?

"Io non so se essere più sorpresa o amareggiata. Contraddicevo Andreotti, che pure mi considera una specie di figlia. Basta un'obiezione tecnica a Berlusconi per sentirsi dire "levatemela dai piedi"".

Perché lei non piace a Berlusconi? Non corrisponde alla sua idea di donna? O alla sua idea di riforma della giustizia?

"Di sicuro non corrispondo alla sua idea di donna. In tema di giustizia, condivido gli stessi obiettivi di Berlusconi: la riduzione delle intercettazioni, la separazione delle carriere, il nuovo modo di eleggere il Csm. Semplicemente, ho proposto e propongo un diverso percorso per arrivarci".

Il prossimo nodo sono le intercettazioni.

"Il testo uscito dalla Camera mi pareva un buon compromesso. Vedremo le novità in arrivo dal Senato. Ci sono stati richiami di Napolitano che credo vadano accolti. Io condivido la necessità di evitare l'abuso di intercettazioni. Mi sono opposta e mi opporrei a vietarle per il reato di corruzione, che rappresenta per me un reato di gravissimo allarme sociale: perché lede il merito, elude il valore".

Berlusconi considera la riforma della giustizia la priorità.

"Sono d'accordo: facciamola, non sprechiamo l'occasione. Ma qualsiasi riforma dovrà avere come primo punto una maggiore efficienza. Attendere otto anni per una sentenza penale significa fare impazzire di dolore la vittima, e sanzionare un uomo che non è più lo stesso. Per l'efficienza però occorrono risorse che al momento non ci sono. Purtroppo la giustizia è considerata una materia politicamente senza appeal. Ricordo i primi comizi. Mi raccomandavano: "Non parlare di giustizia, che la gente si annoia. Devi dire: sicurezza". Come se fosse importante solo fare gli arresti, non i processi".

Lei fece assolvere Andreotti, è considerata una garantista. Come mai con Berlusconi non vi siete intesi?

"Io sono garantista. E sono una moderata. I diritti della difesa per me sono sacri; ma non coincidono con la garanzia di "sacche di impunità", come ha detto giustamente Fini. Noi abbiamo votato il Lodo Alfano e voteremo il suo inserimento in Costituzione, perché Fini ha sempre riconosciuto che esiste un accanimento giudiziario contro Berlusconi; ma abbiamo fermato la prescrizione breve — che è altra cosa dal processo breve —, perché avrebbe fatto saltare 600 mila processi".

Fini l'ha ricordato a Berlusconi, che non ha apprezzato.

"Però è la verità. Siamo favorevoli alla separazione delle carriere e alla parità tra accusa e difesa, ma c'è modo e modo di ottenerla. Ci opporremmo a qualsiasi meccanismo che mettesse i pm sotto il controllo dell'esecutivo. Perché i governi cambiano, e non è detto che il prossimo sia garantista".

A proposito, ci sono i numeri in Parlamento per un altro governo?

"Escludo nel modo più assoluto che Fini abbia in mente un disegno del genere".

Non tira aria di elezioni anticipate?

"Non mi sembrano né prevedibili né auspicabili. E comunque la decisione spetta al capo dello Stato".

Cosa succede ora? Lascerete il Pdl e i vostri incarichi?

"Noi non ce ne andiamo. Restiamo, e non faremo nulla di quel che ci viene attributo. Nessun boicottaggio, per intenderci. Certo continueremo a esprimere le nostre idee, anche se dissonanti".

Fini non si dimette dalla presidenza della Camera quindi? E lei?

"Fini l'ho sentito poco fa. Ovviamente non si dimette. Io farò quel che lui mi chiederà di fare. In ogni caso il problema si risolverà da sé: le presidenze di commissione scadono tra poco. Leggo che circolano liste di proscrizione. Vedremo cosa farà Berlusconi. Per me non fa una gran differenza, visto che resterò al fianco di Fini come consigliere giuridico".

Non siete rimasti in tanti.

"Molti di noi, me compresa, in direzione non hanno diritto di voto. Però è vero: mi ha sorpreso vedere che siamo rimasti così in pochi. Ma forse la mia sorpresa dipende dal fatto che non sono da molto tempo in politica. Certo la mia è una posizione privilegiata: ho un mestiere, sono tra i primi contribuenti della Camera, anche se non tra i più ricchi; semplicemente, se solo ricevo un euro faccio subito fattura. Ricordo che Fini ci ha detto una frase che mi ha molto colpito: "Chi resterà con me perderà quote di potere". All'evidenza, non tutti erano pronti".

I "colonnelli" erano da tempo vicini a Berlusconi.

"Ma ricordo che, quando esisteva ancora An, Fini nel partito era adorato".

Dicono che non è colpa loro se lui non è più di destra.

"Questa storia del cambiamento di Fini andrebbe approfondita. Io l'ho conosciuto bene, gli sono stata vicina in questi cinque anni in cui la sua vita in effetti è cambiata molto. Sono madrina di sua figlia Carolina. Le assicuro che Fini è un uomo di profonda coerenza".

Sicura sicura?

"Prendiamo la legalità. In An era considerata il primo valore della destra. Ma dov'erano in questi due anni gli ex dirigenti di An, quando se non fosse stato per noi sarebbero saltati 600 mila processi? Quanto sta loro a cuore la battaglia di destra della legalità? Il punto è che la battaglia per la legalità l'ha fatta Fini, quasi da solo".

Nascerà al centro il "partito della nazione"?

"Fini non ce ne ha mai parlato. Sono sicura che fino all'ultimo secondo giocherà la sua partita dentro il Pdl".

L'ultimo secondo potrebbe essere vicino. Non ha la sensazione che Berlusconi voglia mandarvi via?

"In effetti c'era la possibilità di trovare punti di contatto, ma è stata lasciata cadere. Se nel documento finale fosse stato indicato l'impegno di tutto il partito a sostenere il programma di governo, noi l'avremmo votato. Ma il documento è stato scritto nella logica opposta".

Sta dicendo che Berlusconi ha cercato la rottura?

"Non dico questo. Certo la scaletta della giornata è stata costruita palesemente per isolare Gianfranco".

Che effetto le fa l'accelerazione di Bossi nell'intervista alla Padania?

"E' evidente che Bossi e Berlusconi si muovono in sintonia per minimizzare le questioni che pone Fini. Ma noi non vi rinunceremo. Voglio credere che sia ancora possibile farlo. Certo dopo la direzione nulla sarà più come prima".

Aldo Cazzullo

24 aprile 2010

 

 

 

IL LeADER DEL CARROCCIO: "SILVIO Avrebbe dovuto sbattere subito fuori gianfranco"

Bossi: "Fini alla Camera? E' un problema"

E Berlusconi: no a un nuovo predellino

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Umberto Bossi e Gianfranco fini in una foto d'archivio (Emblema)

Umberto Bossi e Gianfranco fini in una foto d'archivio (Emblema)

ROMA - Per il leader della Lega, Umberto Bossi, nel confronto con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ieri il presidente della Camera Gianfranco Fini "ha esagerato". E il fatto che ricopra ancora il ruolo di numero uno di Montecitorio "è un problema". Il Senatùr, che ha scambiato con i cronisti alcune considerazioni sull’attualità politica lasciando la sede della Lega in via Belllerio, ha riferito di aver parlato oggi con Berlusconi "solo di sfuggita, ho visto che era ancora un po’ provato". Riguardo il comportamento di Fini, il leader del Carroccio ha affermato: "Ha esagerato, per tanti versi racconta delle bugie. E poi ha esagerato", ha insistito. Alla domanda specifica, ovvero se a suo parere debba ora dimettersi da presidente della Camera, Bossi ha replicato: "E’ un problema, è un problema. Dipende se è un uomo d’onore...". "Sono convinto che il governo va avanti, che va avanti lo stesso" ha poi aggiunto. E ancora: "Senza riforme bisogna andare alle elezioni anticipate".

LO SCENARIO - Il ministro delle Riforme, dunque, non fa marcia indietro e non attenua i toni rispetto alle dichiarazioni diffuse in mattinata dalle pagine della Padania, il quotidiano dei Lumbard. Nel corso delle quali aveva parlato di un "crollo verticale del governo", senza fare mistero delle sue perplessità circa la buona tenuta dell'alleanza Pdl-Lega. Contemporaneamente, Silvio Berlusconi aveva approfittato di uno scambio di battute con un fotografo per spiegare che non ci sarà un nuovo predellino, perché "certe cose non si ripetono mai". Stati d'animo diversi all'interno della maggioranza, all'indomani dell'infuocata direzione del Pdl, teatro dello scontro diretto in pubblico tra il premier e Gianfranco Fini. Berlusconi e Bossi si sono incontrati in giornata al termine del Consiglio dei ministri. Dopo, il premier si è riunito anche con i ministri Pdl, fra cui La Russa e Ronchi.

L'AFFONDO DEL SENATÙR - Alle pagine della Padania il Senatùr affida un vero e proprio affondo nei confronti del presidente della Camera (oltre che un avvertimento al capo del governo) "Siamo davanti a un crollo verticale del governo e probabilmente di un'alleanza, quella di Pdl e Lega" tuona il Senatùr, apostrofando il leader di Montecitorio come "invidioso e rancoroso per le nostre ripetute vittorie". "Io sono per la mediazione, certo, ma la gente del Nord, i leghisti, sono arrabbiatissimi, è un vero bombardamento di persone che non ne possono più di rinvii e tentennamenti" precisa poi il numero uno del Carroccio all'Ansa. "Noi vogliamo fare le riforme, i miei vogliono le riforme" aggiunge il Senatùr "e io devo interpretare le richieste della base, della gente che è stufa". "Non vogliamo - spiega - gettare benzina sul fuoco ma la gente del Nord è stufa marcia, basta ascoltare quel che dice la gente per strada o alla radio. Riforme subito!". "Diciamo che il meccanismo del federalismo resta in piedi. Ma deve essere fatto subito" aggiunge il ministro leghista interpellato a proposito delle sue affermazione sulla possibile fine dell'alleanza Lega-Pdl.

IL PREMIER E IL PREDELLINO - Il predellino invece da cui trae spunto Berlusconi è quello, vero, del Suv della Uaz che il premier ha acquistato per una scommessa con Vladimir Putin e che gli è stato consegnato a Palazzo Chigi ("l'ho regalato a La Russa). Ma c'è anche il predellino "virtuale", quello dal quale nacque il Pdl. Bella occasione per una battuta del premier. "Vedo che c'è un meraviglioso predellino", ha detto riferendosi al fiammante 4x4 punzonato con il numero 001 in suo onore. A quel punto uno dei fotografi presenti gli ha chiesto di salirci sopra per uno scatto. Ma Berlusconi, scherzando, ha risposto: "No, no, certe cose non si ripetono mai: buona la prima".

"FINI VECCHIO GATTOPARDO DC" - Nell'intervista alla Padania, Bossi non ha certo usato mezzi termini nel parlare di Fini, accusandolo di aver "rinnegato il patto iniziale" e di non aver fatto altro "che cercare di erodere in continuazione ciò che avevamo costruito". Per il capo della Lega, il presidente della Camera è "un vecchio gattopardo democristiano" che "finge di costruire, per demolire e non muovere nulla". "In questo modo ha aiutato la sinistra - incalza il numero uno del Carroccio - , è pazzesco. Anzi, penso che sarà proprio la sinistra a vincere le prossime elezioni, grazie a lui". Per Bossi "Fini è palesemente contro il popolo del Nord, a favore di quello meridionale", è "contro il nord e il federalismo. Per il centralismo dello Stato e il meridionalismo". E ancora "Berlusconi avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito senza tentennamenti invece di portarlo in tv dandogli voce e rilievo".

LA ROTTA PER IL FUTURO - Bossi quindi traccia la rotta per il futuro: "Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione, un nuovo cammino del popolo padano. Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare. Una nuova strada ci aspetta e sarà una strada stretta, faticosa, difficile ma che potrebbe regalarci enormi soddisfazioni". "Saremo soli - conclude il leader leghista - senza Berlusconi. La nostra gente non digerirà facilmente la mancata conquista del federalismo e noi Lega, dovremo comportarci di conseguenza. Berlusconi quindi diventerà il vero e unico baluardo anticomunista del Paese e prevedo che raccoglierà molti consensi".

Redazione online

23 aprile 2010

 

 

 

 

 

la direzione nazionale del pdl.

Documento Pdl, in tredici votano contro

"Servire il popolo, no alle correnti"

La direzione del partito approva il testo. Pisanu si astiene. Bocchino: "Non abbiamo perso nessuno"

la direzione nazionale del pdl.

Documento Pdl, in tredici votano contro

"Servire il popolo, no alle correnti"

La direzione del partito approva il testo. Pisanu si astiene. Bocchino: "Non abbiamo perso nessuno"

MILANO - "Le correnti negano la natura stessa del Popolo della Libertà". È questo forse il passaggio principale del documento finale della direzione del Pdl. Il testo, proposto dal premier Silvio Berlusconi e letto da Maurizio Lupi, ha avuto il via libera dell'assemblea. Hanno votato contro 13 finiani su 18; c'è stato anche un astenuto, il presidente della commissione Antimafia Beppe Pisanu. Non ha votato il presidente della Camera in quanto, come ha ricordato Fabio Granata, non è un componente di diritto della direzione Pdl, allargata per l'occasione a deputati, senatori ed eurodeputati, i quali, però, non hanno diritto di voto. Bocchino è apparso soddisfatto e a chi gli chiedeva conto dei numeri della votazione sul documento finale della direzione, ha risposto: "Normalmente in direzione siamo 150 a 20, c'erano assenti da entrambe le parti. Noi non abbiamo perso nessuno, abbiamo guadagnato due ex di Forza Italia. Chi? Lo scoprirete presto". "La tabellina non mi interessa. Ciò che conta è per l'opinione pubblica la rottura tra Fini e Berlusconi" ha detto Viespoli. L'esponente Pdl ricorda di essere stato, ai tempi del Msi "un uomo di corrente", ma poi con la costituzione di An "non ho voluto più far parte di una componente ma mi lega a Fini un rapporto diretto di stima politica e personale". Di diverso avviso il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini: "I voti contrari? Sono il 6,39%" ha detto. "Si vede che il dibattito ha chiarito molte cose. I delegati hanno votato sulla base di quello che hanno ascoltato" ha aggiunto.

IL TESTO - Il testo approvato all'Auditorium della Conciliazione di Roma boccia dunque le correnti. Il documento si apre celebrando il "risultato storico" raccolto dal Pdl alle amministrative, anche al Nord dove "ha agito in alleanza ma anche in competizione positiva con la Lega", e al Sud dove "ha dimostrato di possedere un forte radicamento territoriale". "Le ambizioni dei singoli - si legge - non possono prevalere sull'obiettivo di servire il popolo italiano. Del pari le correnti o componenti negano la natura stessa del Pdl ponendosi in contraddizione con il suo programma stipulato con gli elettori e con chi è stato dagli stessi elettori designato a realizzarlo attraverso il governo". "La leadership forte è ormai un tratto caratteristico dei moderni sistemi politici e gli italiani certo non rimpiangono leadership deboli e governi instabili del passato" è un altro passaggio del documento finale. "Siamo convinti che una forte ed autorevole leadership quale è quella del presidente Berlusconi garantirà il raggiungimento degli obiettivi" recita ancora il testo, che contiene un attacco indiretto al presidente della Camera: "Tensioni all'interno delle grandi forze politiche possono manifestarsi, ma è incomprensibile che vengano provocate al domani di una grande vittoria - si legge -. Anche il confronto che si è svolto durante la direzione - continua - ha rivelato come certe polemiche pubbliche fossero pretestuose e comunque non commisurate a un dibattito responsabile e costruttivo". Tra gli impegni che il Pdl intende realizzare nei prossimi tre anni di governo figurano la riduzione e la razionalizzazione della spesa pubblica, la riforma del sistema fiscale con l'obiettivo di ridurre le tasse "compatibilmente con i vincoli di bilancio", il sostegno a famiglie, lavoro e imprese, e l'ammodernamento e il potenziamento del sistema delle grandi infrastrutture. Nel documento si afferma inoltre che "in un grande partito democratico si deve poter discutere di tutto, ma a due condizioni: che non si contraddica il programma elettorale votato dagli elettori e che, una volta assunta una decisione negli organi deputati, tutti si adeguino al risultato del voto". La direzione nazionale dà pertanto "mandato al presidente e ai coordinatori di assumere ogni iniziativa utile ad assicurare la realizzazione del programma e delle decisioni assunte dagli organi statutari, stabilendo rispetto delle decisioni votate democraticamente". Il documento, infine, contesta oltre alle correnti anche l'esistenza di "componenti".

"NON VOGLIAMO DIVIDERE MA UNIRE" - "Non vogliamo dividere ma unire. Siamo al servizio del popolo italiano e del suo bene comune. Le ambizioni dei singoli non possono prevalere sull'obiettivo di servire il popolo italiano" si legge nel documento finale. Dopo il passo che evoca, curiosamente, uno slogan del movimento maoista degli anni '70, c'è la censura del correntismo interno: "Correnti o componenti negano la natura stessa del Popolo della libertà, ponendosi in contraddizione con il suo programma stipulato con gli elettori e con chi dagli stessi elettori è stato designato a realizzarlo attraverso il governo della Repubblica". "La direzione nazionale del Popolo della libertà - è la chiusa - approva le conclusioni politiche del presidente Silvio Berlusconi e gli conferma il proprio pieno sostegno e la propria profonda gratitudine". "I temi che non rientrano nel programma elettorale e di governo - si legge a pagina 4 del documento di 5 cartelle - possono essere oggetto di dibattito e discussione nell'ambito degli organismi statutari. Non vi è nulla di negativo se in quella sede emergono opinioni diverse. Purché sia chiaro a tutti - si sottolinea - che il principio della democraticità del dibattito non esonera dalla responsabilità di assumere decisioni finali. E che una volta che tali decisioni siano state assunte, all'unanimità o a maggioranza, esse acquistano carattere vincolante per chiunque faccia parte del Pdl, sia che le abbia condivise sia che si sia espresso in dissenso".

"POPOLO E NON PARTITO" - "Quando gli italiani che amano la libertà, che vogliono restare liberi, che non si riconoscono nella sinistra, si riunirono sotto un solo simbolo e una sola bandiera, scelsero che su quel simbolo e su quella bandiera ci fosse scritto "Popolo della libertà"" e non "Partito della liberta"". Il riferimento al "popolo" deve quindi essere un principio costante dell'azione politica del Popolo della libertà che deve sempre più radicarsi sul territorio e incardinarsi nella storia d'Italia. Non siamo un vecchio partito".

Redazione online

22 aprile 2010(ultima modifica: 23 aprile 2010)

 

 

 

 

 

 

 

Via libera al documento finale: "No alle correnti". Il cavaliere: "Fuori Chi non si allinea"

Berlusconi-Fini, è rottura totale

Il premier: "Vuoi fare politica? Lascia la presidenza

della Camera". La replica: "Sennò mi cacci?"

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Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv)

Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv)

ROMA - In quello che era stato presentato come il "giorno della verità" all'interno del Pdl, va in scena il durissimo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Tra i due è rottura totale. Il premier ha praticamente dato lo "sfratto" all'ex leader di An dallo scranno di presidente della Camera: "Se vuoi fare politica lascia quel ruolo super partes" gli ha detto dal palco. "Sennò mi cacci?" è stata la replica di Fini, che a un certo punto si è addirittura alzato dalla prima fila per replicare al presidente del Consiglio. È stato questo il momento di massima tensione alla direzione nazionale del partito, scoppiato dopo che il Cavaliere aveva deciso di replicare alle parole pronunciate dal numero uno di Montecitorio. Un intervento, quello dell'ex leader di An, tutto incentrato sulla richiesta di un maggiore dibattito interno e nel corso del quale il presidente della Camera ha puntato il dito contro "l'appiattimento del Pdl sulle posizioni della Lega al Nord". Dopo le schermaglie a mezzo stampa degli ultimi giorni, le parole grosse tra i due sono dunque volate in versione "live" e davanti agli occhi dell'intero stato maggiore pidiellino e delle telecamere.

IL DOCUMENTO FINALE - Dopo la pausa e una serie di nuovi interventi (Letizia Moratti, Roberto Formigoni, Gianni Alemanno tra gli altri) c'è stato il voto sul documento conclusivo: via libera a grande maggioranza, con 13 voti contrari e un astenuto (Pisanu) su 172 aventi diritto. Un testo che "approva le conclusioni politiche del presidente Berlusconi e gli conferma il proprio pieno sostegno e la propria profonda gratitudine". Una presa di posizione netta a favore del premier, dunque: "Le correnti negano la natura stessa del Pdl - si legge ancora - ponendosi in contraddizione con la volontà degli elettori. Una leadership forte non significa rinunciare a un dibattito libero e democratico, previsto dallo Statuto", ma a due condizioni: "Che non si contraddica il programma elettorale e che una volta assunte le decisioni tutti si adeguino al risultato del voto". Il giudizio nei confronti del presidente della Camera è duro: le polemiche di questi giorni, sostiene il documento, sono "paradossali" e "incomprensibili", soprattutto "dopo due anni di vittorie e di grandi risultati del governo". E Fini? "Si apre una fase positiva e democratica per il partito" commenta. " Viene meno la fase dell'unanimismo. La presidenza della Camera? Non ho intenzione di lasciare". Berlusconi la vede diversamente: "Avrei preferito che dicesse 'me ne vado' - commenta con i suoi. - Invece non ci pensa proprio: vuole restare e logorarmi. Ma non ho nessuna intenzione di lasciarglielo fare e ora, con il documento approvato dalla Direzione Nazionale, abbiamo lo strumento per sbattere fuori dal partito chi non si allinea alle decisioni".

IL GOVERNO E LE RIFORME - Una giornata in un certo senso storica, per il Pdl e la politica italiana. Il Cavaliere aveva aperto i lavori attorno alle 10,30 esortando la platea a sedersi ("adesso mi metto a fare il buttadentro", ha scherzato) e a riempire tutti i posti liberi nelle prime file ("conosciamo i mezzi di informazione, sono pronti a inquadrare solo quelle sedie vuote"), congratulandosi per il risultato elettorale ("nonostante la campagna d'odio nei nostri confronti e nonostante gli attacchi delle magistrature politicizzate") e rivendicando i successi del governo tornando sui temi dell'emergenza rifiuti in Campania, degli interventi post terremoto in Abruzzo, della tenuta sul fronte economico nonostante la crisi. Aveva poi esortato ad utilizzare i tre anni senza elezioni che ancora mancano alla fine della legislatura per il completamento del programma di governo. "Il Pdl è nato dalla gente e ha l'aspirazione a diventare maggioranza assoluta nel Paese - ha detto ancora Berlusconi -. E' possibile perché raccoglieremo tutti coloro che non si riconoscono nella sinistra". Poi ha spiegato che il Pdl è un partito "democratico" e si è impegnato a convocare entro l'anno il primo congresso del partito". Di più: "Credo che ogni anno ci possa essere un congresso" ha rilanciato il Cavaliere, ipotizzando anche una più frequente convocazione di tutti gli organi direttivi del partito e spiegando di non essere mai intervenuto in prima persona per imporre la sua linea

Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini

SERVI E UOMINI LIBERI - La parola è poi passata ai coordinatori del partito. Sandro Bondi, in particolare, ha scaldato la platea urlando a gran voce che nel Pdl "non ci sono uomini liberi e servi" e ha attaccato alcuni intellettuali di centrodestra, in particolare "il professor Campi" e "il dottor Rossi" di Fare futuro, a suo parere troppo critici con il partito e con il suo leader, "una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri", e ha chiesto di prendere le distanze da chi "vuole denigrare un uomo e un leader al quale ciascuno di noi deve molto". Ignazio La Russa ha invece spiegato che le storie di An e Forza Italia sono compatibili all'interno del Pdl e che non devono essere divise. E ha evidenziato come la Lega non abbia battuto il Pdl, nonostante certe letture del voto di fine marzo. Anche Berlusconi ha evidenziato questo aspetto, ribadendo che "il Pdl non è al traino della Lega": "I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso".

"SERVE CHIAREZZA" - Poi è stata la volta di Gianfranco Fini che ha esordito parlando di una "riunione necessaria per fare chiarezza". E a scanso di equivoci ha detto subito di vedere attorno a sé "l'atteggiamento puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto". "Avere delle opinioni diverse rispetto al presidente del partito la cui leadership non è messa in discussione - ha poi detto Fini - significa esercitare un diritto-dovere. È possibile derubricare delle valutazioni diverse come se si trattasse di mere questioni di carattere personale? O di tradimento?". "E' stata una caduta di stile - ha poi aggiunto rivolto a Bondi - citare questioni polemiche nel confronto del presidente del Consiglio quando sono stato io oggetto di forti polemiche e attacchi mediatici da giornalisti lautamente pagati da stretti famigliari del presidente del Consiglio" (GUARDA IL VIDEO). Su questo il premier gli risponderà più tardi spiegando di non interferire mai con le scelte della direzione del Giornale e di avere comunque sollecitato la vendita del quotidiano ad una cordata di imprenditori che possano sgravare la famiglia Berlusconi. Dopodiché Fini è passato a rivendicare l'esigenza di un Pdl "davvero democratico". "Siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl - ha detto -. E non ci può essere chi viene messo al rogo. In tutte le famiglie politiche europee la leadership forte è frutto di una sintesi tra posizioni anche diverse". Poi il capitolo più spinoso, quello del rapporto con la Lega: "Al Nord stiamo diventando la loro fotocopia, siamo appiattiti sulle loro posizioni". Fini ha citato le politiche contro l'immigrazione, la mancata abolizione delle province, la mancata privatizzazione delle municipalizzate, tutti temi cari ai Lumbard. La sudditanza nei confronti della Lega, ha sottolineato, la si vede anche nella mancanza di una posizione del Pdl sulle celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia, "che alla Lega non interessa". Fini ha poi parlato di difesa della legalità, sollevando una reazione nervosa del premier, "che vuol dire più dell'elenco puntiglioso di operazioni delle forze dell’ordine: serve riforma della giustizia ma non bisogna dare l’impressione che serva a garantire sacche maggiori di impunità. E qualche volta l’impressione c’è, quando si ipotizzava la prescrizione breve era questo il messaggio che si dava".

LO SCONTRO IN PUBBLICO - Poi ha ripreso la parola Berlusconi e subito sono state scintille: "È la prima volta che sento queste cose, non mi sono mai arrivate proposte in tal senso". Fini ha cercato di replicare dal pubblico e sono volate parole forti e dita puntate. Poi Berlusconi al microfono lo ha attaccato: "Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl", tra le proteste fuori microfono dello stesso Fini. Berlusconi ha però poi cercato di attenuare i toni, dicendo di accogliere con favore la proposta di Fini di un coordinamento dei governatori del Pdl per analizzare le modalità con cui attuare il federalismo fiscale. Quanto alla Lega, il Cavaliere ha ricordato che il partito di Bossi "ha fatto proprie le posizioni che erano di An sull'immigrazione e che poi sono state abbandonate". Una sottolineatura che è suonata come una frecciata diretta all'ex leader di An, che parlando di immigrazione aveva ricordato i valori ispiratori del Partito popolare europeo, a cui il Pdl fa riferimento.

IL VIDEO dello scontro tra Berlusconi e Fini

"SMETTI DI FARE IL PRESIDENTE" - La calma ritrovata da Berlusconi è stata però persa pochi istanti più tardi: "I tuoi rilievi - ha detto rivolgendosi a Fini - sono cose che rappresentano percentualmente una piccola parte rispetto a tutto quello che si è fatto. Valeva la pena mettere in discussione il ruolo super partes di presidente della Camera per fare contrappunto quotidiano a noi?". Poi l'accusa di non avere neppure partecipato alla campagna elettorale per salvaguardare la terzietà dell'incarico istituzionale. "Non sei voluto neanche venire a piazza San Giovanni - ha sottolineato Berlusconi -, chi ha un ruolo istituzionale non può esprimere opinioni politiche, altrimenti lascia il suo ruolo e fa politica nel partito". Il presidente della Camera, da parte sua, ha replicato con un gesto delle dita e chiedendo ironicamente: "Sennò mi cacci?". Insomma, un botta e risposta durissimo. Al termine dell'assise, Fabio Granata riassume il senso politico della giornata (almeno secondo i finiani): "Oggi si è codificata l'esistenza della minoranza Pdl con il voto". L'impressione, però, è che tra i due leader si sia consumato uno strappo personale - per di più di fronte alle telecamere - che sarà difficilmente sanabile.

Al. S.

G. Ant.

22 aprile 2010(ultima modifica: 23 aprile 2010)

 

 

 

 

 

 

LA DIREZIONE DEL PARTITO raccontata attraverso iL TELEFONINO

Sms Pdl, la diretta di Aldo Cazzullo

LA DIREZIONE DEL PARTITO raccontata attraverso iL TELEFONINO

Sms Pdl, la diretta di Aldo Cazzullo

ORE 19:00 - Batteria scarica.

ORE 18:58 - I poliziotti, esausti: "Ce ne possiamo andare?". "No, dentro ci sono ancora Alemanno e La Russa".

ORE 18:56 - L'onorevole Barani, ex sindaco di Aulla: "L'importante è che non tolgano la statua di Bettino Craxi dalla piazza del mio paese".

ORE 18:50 - La frase del documento finale: "Siamo un popolo, non un partito" è stata indicata da Berlusconi.

ORE 18.49 - L'astenuto è Pisanu.

ORE 18:48 - Cosentino: "È uno strappo. Vedremo nei prossimi giorni se Fini lo renderà irrimediabile".

ORE 18:39 - Ancora Granata: "nascerà il Partito della Nazione".

ORE 18:38 - Granata: "Il documento è un invito ad andarcene. Ma noi resisteremo. Vergognoso che Berlusconi abbia detto a Fini di lasciare la presidenza della Camera".

ORE 18:34 - Documento finale: divisioni assurde dopo una grande vittoria. Avanti con meno tasse, più lavoro. Nel partito si vota e la minoranza si adegua. Tutti sì, tranne 11 no e un astenuto.

ORE 18:30 - Lupi stile anni '70: "Dobbiamo servire il popolo!".

ORE 18:07 - Rotondi precisa, ovviamente via sms: "Mi riferivo alla sopravvivenza politica. Si illudono tutti in questa sala: senza Silvio resterà poco. Il glorioso archivio della Dc me lo sono dovuto portare in campagna in Irpinia. Al potere non sopravvive niente".

ORE 18:05 - Alemanno centra il punto della giornata: "Io sono molto meno buono di Veltroni ma al campo nomadi Casilino 500 ci sono stato e lui no!".

ORE 17:45 - Fini fa sapere che resta nel Pdl e tutto sommato non è un male che l'esistenza di una minoranza sia stata così plasticamente rappresentata. Resta la sensazione che al primo scontro, magari sulla giustizia, salterà tutto.

ORE 17:30 - Brunetta per non farsi mancare nulla ha impostato l'intervento contro Tremonti; così, tanto per tenersi in esercizio.

ORE 17:23 - Berlusconi non ha l'aria di divertirsi. Parla ma la testa è altrove. È la prima volta che lava i panni sporchi in pubblico. Dev'essere stata una vera violenza fisica per lui. Non ha l'aria di essersi sfogato ma di aver subìto un colpo.

ORE 17:21 - Brunetta parte subito forte: "Non so voi, ma io mi sto divertendo".

ORE 17:20 - Rotondi: "Non so chi verrà dopo Berlusconi. So che non ci saremo". Scongiuri nelle ultime fila.

ORE 17:18 - Roberto Gasparotti: uomo-chiave del berlusconismo, gran regista di fondali, luci scenografie: "Non c'è rottura, né conciliazione. Semplicemente, è finita".

ORE 17:07 -Chiusa di Quagliariello: "Il Pdl ha vinto, è il momento di gioire tutti insieme".

ORE 17:05 - I finiani probabilmente rinunciano al loro documento. Per oggi basta liti. Si va avanti da separati in casa.

ORE 16:55 - Berlusconi ha la voce stanca, un po' triste. Fini tace.

ORE 16:52 - Quagliariello: "Ce lo siamo dimenticati, Spatuzza in mondovisione?".

ORE 16:51 - Lamorte ottimista: "Non vedo la rottura". Però conferma che i finiani non parleranno.

ORE 16:49 - Fini si consulta con Donato Lamorte.

ORE 16:47 - Gasparri evoca un punto-chiave: la sintonia emotiva dentro il governo e la maggioranza sul caso Englaro, con Fini unico contrappunto.

ORE 16:45 - Gasparri: "Abbiamo fatto bene a sopportare la tenda di Gheddagi a Villa Pamphili e tutto il resto pur di avere meno clandestini... e mi fermo per non rovinare i rapporti diplomatici".

ORE 16:41 - Bonaiuti seduto vicino a Fini in difficoltà perché durante i discorsi di Berlusconi e dei berlusconiani non può applaudire né battere ciglio.

ORE 16:36 - I finiani fanno sapere che non intendono prendere la parola. Rottura più vicina. Gasparri: "Vorrei portare una nota di pacatezza nello spirito di coesione...". Altra pausa caffè.

ORE 16:17 - Ora Cicchitto fa autocritica: "Sembriamo un gruppo di matti".

ORE 16:12 - Cicchitto cita se stesso: "Parlai in Parlamento di network dell'odio da parte di gruppi editoriali e finanziari, e lo confermo. L'establishment continua a non accettare Berlusconi".

ORE 16:04 - L'onorevole Mantovano cita Falcone. Alfano evoca il diritto naturale. Alessandra Mussolini si è fatta la coda.

ORE 15:50 - Dietro le quinte Fini ha detto: io non me ne vado, mi dovete cacciare. Saranno presentati due documenti: se si votasse la maggioranza berlusconiana sarebbe schiacciante. La rottura non sarà formalizzata oggi, ma è nei fatti. Alfano offeso con Fini che ha avuto parole durissime su legalità e politica giudiziaria del governo.

ORE 15:39 - Berlusconiani e finiani si sono riuniti separatamente. Ora sono di nuovo in sala. I ministri hanno la disposizione di spiegare l'attività del governo. Sacconi esegue.

ORE 14:57 - Pausa pranzo. Si è andati al di là di ogni aspettativa. La Lega incassa.

ORE 14:33 - Giovanardi terrorizzato: "Silvio, vorrei dire una cosa, ma, ti prego, prendila bene...".

ORE 14:25 - Il contributo della sinistra arriva ai cronisti via sms: "Vi segnalo sul Foglio di oggi mio articolo sulla leadership del Pd. A presto e buon lavoro. Giorgio Tonini".

ORE 14:21 - Pasquale Squitieri: colpa della massoneria.

ORE 14:13 - Non occorre il labiale per capire Fini: "Che fai, mi cacci?". Berlusconi non l'ha detto ma la risposta è: sì.

ORE 14:02 - Fini lo applaude ironicamente. Il Pdl così com'era non finirà formalmente oggi ma di fatto è già finito.

ORE 13:58 - "Sei venuto a dirmi che ti eri pentito di aver fondato il Pdl...".

ORE 13:56 - Berlusconi gli stringe la mano ma prende la parola a sorpresa: "Mi pare di sognare...". Fini in piedi. Scontro totale.

ORE 13:53 - Finalmente un "Silvio".

ORE 13:50 - "Ti ricordi che litigata", "ti ricordi che discussione...". I divorzi non devono essere molto diversi.

ORE 13:34 - Lo chiama insistentemente "Berlusconi", e basta.

ORE 13:30 - Fini non è abituato ad affrontare una platea così ostile. Finora poco brillante, ora sta carburando, accosta pure Berlusconi a De Mita, Alemanno chiude gli occhi, Quagliariello scuote il capo, Gasparri disgustato. Berlusconi non ne può più.

ORE 13:18 - Fini ha patito un po' la reazione brusca di Berlusconi. Ora legge. Lo guarda negli occhi: "Ci fossimo capiti un po' meglio...".

ORE 13:15 - Berlusconi a braccia conserte, seccatissimo. Il 90% della direzione è con lui, ma è la prima volta in 17 anni di politica che viene contraddetto in casa propria.

ORE 13:12 - "Bondi ha riconosciuto di venire dalla tradizione comunista che non ammetteva il dissenso...". Berlusconi prende appunti.

ORE 13:08 - Scontro aperto. Fini: "Berlusconi, te lo dico in faccia: non sono io il traditore...". Berlusconi: "Non attribuirmi cose che non ho mai detto!". Nessuno sforzo per dissimulare l'inimicizia.

ORE 13:05 - Fini si lamenta degli insulti ricevuti da giornalisti "lautamente pagati da stretti familiari del presidente del Consiglio". Brusio in sala.

ORE 13:01 - Fini, cravatta rosa: "Dobbiamo chiarezza agli italiani. Altro che riunione inutile. Nella regia - ho scoperto che eravamo tanti a cofondare il Pdl - colgo l'atteggiamento puerile di chi nasconde la polvere sotto il tappeto".

ORE 12:48 - Berlusconi infierisce: "Prima ho salutato i cofondatori del Pdl: Fini, Rotondi Giovanardi. Ho dimenticato di salutare Mario Baccini, Alessandra Mussolini, Sergio De Gregorio. E poi Bonocore, Caldoro, Dini, Biasotti, Nucara...". Curiosità in platea: "Ma chi è Bonocore?".

ORE 12:43 - Tremonti chiude citando Sturzo: "Le correnti portano alla frantumazione del partito". Fini mastica chewingum.

ORE 12:39 - Tremonti migliore in campo: "La sinistra è più che mai il partito dell'Appennino. Vendola rappresenta l'Appennino Dauno".

ORE 12:21 - Tremonti riporta tutti alla realtà ricordando che siamo ancora nel bel mezzo della crisi.

ORE 12:17 - "L'ho detto in mondovisione: io sono al fianco del Papa".

ORE 12:13 - Ma poi il ministro degli Esteri non si tiene: "È venuto Obama e ha fatto esattamente quel che gli abbiamo detto di fare...".

ORE 12:07 - Frattini rivendica il complesso della politica estera: "Attenti, se ci dividiamo facciamo la gioia degli italiani nemici dell'Italia".

ORE 12:01 - Berlusconi chiede la parola: "Ricordiamoci che la Lega ha un terzo dei nostri voti e un decimo dei nostri ministeri". Bossi per fortuna non è qui.

ORE 11:58 - Deputati Pdl al bar: "Più che una direzione è un'umiliazione pubblica di Fini". In effetti, prima di lui parlano i ministri che sono tutti critici. Ma Tremonti probabilmente gli lancerà un segnale d'apertura.

ORE 11:55 - Prende la parola l'onorevole La Russa. Pausa caffè.

ORE. 11:31 -Tutti in piedi, Formigoni e Moratti compresi, per Bondi.

ORE 11:30 - A Bondi è insolitamente affidata la parte del duro. Anche se attacca Fini fingendo di attaccare l'innocuo professor Campi e la fondazione FareFuturo.

ORE 11:25 - Bondi è il primo ad aprire le ostilità con Fini: "Non ci sono lì gli uomini liberi e qui i servi! È un cupio dissolvi, una logica da vecchia politica che divorzia dalla realtà e diventa una nuvola speculativa, un bizantinismo". Fini tra poco dirà: "L'integrazione degli immigrati non è una nuvola speculativa , la laicità dello Stato non è un bizantinismo..."

ORE 11:17 - Bondi: "Il Pdl non è più un sogno ma una solida realtà". Come Immobildream.

ORE 11:01 - Denis Verdini parte subito forte: "Vorrei fare un breve excursus sulla storia del Pdl". Panico tra gli astanti.

ORE 10:58 - Comincia la discussione: i finiani si sono iscritti a parlare tutti. Berlusconi: va bene, ma non più di tre minuti; se non si finisce in questa riunione, ne facciamo un'altra.

ORE 10:55 - Berlusconi ha finito la "relazione". In sintesi: va tutto bene; congresso entro l'anno. Toni concilianti, non da rottura. Sensazione di un accordo dietro le quinte.

ORE 10:45 - Berlusconi è preoccupatissimo di dare l'impressione di una riunione di partito vecchio stile: "Non parlate in aula, non fate capannelli, rimanete seduti" ammonisce tipo capoclasse.

ORE 10:42 - Brevissima stretta di mano con Fini; ma pur sempre una stretta.

ORE 10:32 - È arrivato Berlusconi accolto per una volta non da "Meno male che Silvio c'è" ma da musica da ascensore. Una giornata da Prima Repubblica. Sorrisi brevi.

ORE 10:07 - La direzione del Pdl comincia in Corso Vittorio, la via che porta dai Palazzi al cupolone, alla cui ombra si tiene lo scontro tra Fini e Berlusconi. Ingorgo mostruoso. Le auto blu si aprono un varco a sirene spiegate. Passanti inferociti.

 

22 aprile 2010

 

 

 

 

TENSIONI

Il cofondatore insiste: ora risposte vere

Oggi la direzione davanti a 477 big del partito. I finiani: il Cavaliere non ci prenda in giro

TENSIONI

Il cofondatore insiste: ora risposte vere

Oggi la direzione davanti a 477 big del partito. I finiani: il Cavaliere non ci prenda in giro

Il presidente della Camera Gianfranco Fini con la compagna Elisabetta Tulliani e Silvio Berlusconi ai festeggiamenti per la nascita dello stato di Israele. (Daniele Scudieri)

Il presidente della Camera Gianfranco Fini con la compagna Elisabetta Tulliani e Silvio Berlusconi ai festeggiamenti per la nascita dello stato di Israele. (Daniele Scudieri)

ROMA — Nulla è scritto, nulla è già deciso. Di probabile, c'è che Berlusconi aprirà i lavori, poi parleranno i coordinatori e i ministri, subito dopo toccherà a Fini e sarà il premier a trarre le conclusioni. E di certo c'è che oggi, alle 10, all'Auditorium di Roma si riunisce per la prima volta la Direzione del Pdl. E nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stato il luogo del confronto decisivo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Perché sarà in questa sede — alla presenza di 172 membri di diritto più tutti i parlamentari, per un totale di 477 persone — che i due cofondatori del partito pronunceranno le parole chiave per capire se si andrà verso una difficile riconciliazione, una coesistenza da separati in casa o un divorzio traumatico. Magari non subito, ma alla prima occasione di dissenso profondo, che potrebbe arrivare anche presto se i rapporti — sia tra i due leader che tra i sostenitori dell'uno e dell'altro — resteranno così tesi. Alla vigilia, nell'entourage di Gianfranco Fini non si esclude "nessuno scenario".

Perché il presidente della Camera — dicono i suoi — nel momento in cui per la prima volta si presenta a parlare in un organo di partito dal giorno della sua nascita, non andrà a dire "cose banali". Andrà invece a riproporre le questioni già sollevate nell'incontro con la cinquantina di ex An che hanno firmato un documento a suo sostegno — a partire dal rapporto con la Lega sul quale sarà "molto chiaro", passando per le politiche per il Sud, le riforme, e naturalmente la democrazia interna al partito — e "senza durezze ma con serenità" chiederà risposte politiche a "questioni politiche". Insomma, Fini non si accontenterà di un documento (come quello al quale fino a ieri notte avrebbero lavorato coordinatori e capigruppo del Pdl con Berlusconi) che rilancia l'azione riformatrice del governo e che blinda il partito, ammettendo l'esistenza di una minoranza ma imponendole di attenersi alle decisioni della maggioranza.

E non basterebbe non solo perché, come dicono i finiani "è ovvio che una minoranza si adegua al voto della maggioranza, ma le devono essere concessi spazi, diritti, tutele", ma soprattutto perché "non possono essere elusi i temi che Fini propone". Dunque, se il discorso di Berlusconi sarà sulla falsariga di quello annunciato ieri sera, ovvero una mera rivendicazione dei risultati ottenuti dal governo, un attacco frontale al "correntismo" e la negazione dei problemi sul tappeto, allora "vorrà dire che ci vuol prendere per i fondelli...", perché sgradevoli e quasi irridenti sono state considerate le sue parole. Ancora apertissima dunque resta la partita della eventuale conta che avverrà in direzione, che secondo i più non può concludersi senza un voto su un documento o degli ordini del giorno (pronti a muoversi sarebbero anche i 75 ex An fedeli a Berlusconi). Voto che, se non fosse unitario, vedrebbe la componente di Fini ottenere circa il 10% dei consensi nel partito, o almeno in questo organo. Per ora, i finiani non pensano di presentare un proprio documento, ma la conferma si avrà solo in quella che si annuncia come una lunghissima giornata. Preceduta da una vigilia infinita in cui pontieri anche dai nomi meno altisonanti — Alessandro Ruben, Andrea Augello — non hanno mai smesso di provare a fare il miracolo.

Paola Di Caro

22 aprile 2010

 

 

 

Via libera al documento finale: "No alle correnti". Il cavaliere: "Fuori Chi non si allinea"

Berlusconi-Fini, è rottura totale

Il premier: "Vuoi fare politica? Lascia la presidenza

della Camera". La replica: "Sennò mi cacci?"

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Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv)

Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv)

ROMA - In quello che era stato presentato come il "giorno della verità" all'interno del Pdl, va in scena il durissimo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Tra i due è rottura totale. Il premier ha praticamente dato lo "sfratto" all'ex leader di An dallo scranno di presidente della Camera: "Se vuoi fare politica lascia quel ruolo super partes" gli ha detto dal palco. "Sennò mi cacci?" è stata la replica di Fini, che a un certo punto si è addirittura alzato dalla prima fila per replicare al presidente del Consiglio. È stato questo il momento di massima tensione alla direzione nazionale del partito, scoppiato dopo che il Cavaliere aveva deciso di replicare alle parole pronunciate dal numero uno di Montecitorio. Un intervento, quello dell'ex leader di An, tutto incentrato sulla richiesta di un maggiore dibattito interno e nel corso del quale il presidente della Camera ha puntato il dito contro "l'appiattimento del Pdl sulle posizioni della Lega al Nord". Dopo le schermaglie a mezzo stampa degli ultimi giorni, le parole grosse tra i due sono dunque volate in versione "live" e davanti agli occhi dell'intero stato maggiore pidiellino e delle telecamere.

IL DOCUMENTO FINALE - Dopo la pausa e una serie di nuovi interventi (Letizia Moratti, Roberto Formigoni, Gianni Alemanno tra gli altri) c'è stato il voto sul documento conclusivo: via libera a grande maggioranza, con 13 voti contrari e un astenuto (Pisanu) su 172 aventi diritto. Un testo che "approva le conclusioni politiche del presidente Berlusconi e gli conferma il proprio pieno sostegno e la propria profonda gratitudine". Una presa di posizione netta a favore del premier, dunque: "Le correnti negano la natura stessa del Pdl - si legge ancora - ponendosi in contraddizione con la volontà degli elettori. Una leadership forte non significa rinunciare a un dibattito libero e democratico, previsto dallo Statuto", ma a due condizioni: "Che non si contraddica il programma elettorale e che una volta assunte le decisioni tutti si adeguino al risultato del voto". Il giudizio nei confronti del presidente della Camera è duro: le polemiche di questi giorni, sostiene il documento, sono "paradossali" e "incomprensibili", soprattutto "dopo due anni di vittorie e di grandi risultati del governo". E Fini? "Si apre una fase positiva e democratica per il partito" commenta. " Viene meno la fase dell'unanimismo. La presidenza della Camera? Non ho intenzione di lasciare". Berlusconi la vede diversamente: "Avrei preferito che dicesse 'me ne vado' - commenta con i suoi. - Invece non ci pensa proprio: vuole restare e logorarmi. Ma non ho nessuna intenzione di lasciarglielo fare e ora, con il documento approvato dalla Direzione Nazionale, abbiamo lo strumento per sbattere fuori dal partito chi non si allinea alle decisioni".

IL GOVERNO E LE RIFORME - Una giornata in un certo senso storica, per il Pdl e la politica italiana. Il Cavaliere aveva aperto i lavori attorno alle 10,30 esortando la platea a sedersi ("adesso mi metto a fare il buttadentro", ha scherzato) e a riempire tutti i posti liberi nelle prime file ("conosciamo i mezzi di informazione, sono pronti a inquadrare solo quelle sedie vuote"), congratulandosi per il risultato elettorale ("nonostante la campagna d'odio nei nostri confronti e nonostante gli attacchi delle magistrature politicizzate") e rivendicando i successi del governo tornando sui temi dell'emergenza rifiuti in Campania, degli interventi post terremoto in Abruzzo, della tenuta sul fronte economico nonostante la crisi. Aveva poi esortato ad utilizzare i tre anni senza elezioni che ancora mancano alla fine della legislatura per il completamento del programma di governo. "Il Pdl è nato dalla gente e ha l'aspirazione a diventare maggioranza assoluta nel Paese - ha detto ancora Berlusconi -. E' possibile perché raccoglieremo tutti coloro che non si riconoscono nella sinistra". Poi ha spiegato che il Pdl è un partito "democratico" e si è impegnato a convocare entro l'anno il primo congresso del partito". Di più: "Credo che ogni anno ci possa essere un congresso" ha rilanciato il Cavaliere, ipotizzando anche una più frequente convocazione di tutti gli organi direttivi del partito e spiegando di non essere mai intervenuto in prima persona per imporre la sua linea

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SERVI E UOMINI LIBERI - La parola è poi passata ai coordinatori del partito. Sandro Bondi, in particolare, ha scaldato la platea urlando a gran voce che nel Pdl "non ci sono uomini liberi e servi" e ha attaccato alcuni intellettuali di centrodestra, in particolare "il professor Campi" e "il dottor Rossi" di Fare futuro, a suo parere troppo critici con il partito e con il suo leader, "una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri", e ha chiesto di prendere le distanze da chi "vuole denigrare un uomo e un leader al quale ciascuno di noi deve molto". Ignazio La Russa ha invece spiegato che le storie di An e Forza Italia sono compatibili all'interno del Pdl e che non devono essere divise. E ha evidenziato come la Lega non abbia battuto il Pdl, nonostante certe letture del voto di fine marzo. Anche Berlusconi ha evidenziato questo aspetto, ribadendo che "il Pdl non è al traino della Lega": "I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso".

"SERVE CHIAREZZA" - Poi è stata la volta di Gianfranco Fini che ha esordito parlando di una "riunione necessaria per fare chiarezza". E a scanso di equivoci ha detto subito di vedere attorno a sé "l'atteggiamento puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto". "Avere delle opinioni diverse rispetto al presidente del partito la cui leadership non è messa in discussione - ha poi detto Fini - significa esercitare un diritto-dovere. È possibile derubricare delle valutazioni diverse come se si trattasse di mere questioni di carattere personale? O di tradimento?". "E' stata una caduta di stile - ha poi aggiunto rivolto a Bondi - citare questioni polemiche nel confronto del presidente del Consiglio quando sono stato io oggetto di forti polemiche e attacchi mediatici da giornalisti lautamente pagati da stretti famigliari del presidente del Consiglio" (GUARDA IL VIDEO). Su questo il premier gli risponderà più tardi spiegando di non interferire mai con le scelte della direzione del Giornale e di avere comunque sollecitato la vendita del quotidiano ad una cordata di imprenditori che possano sgravare la famiglia Berlusconi. Dopodiché Fini è passato a rivendicare l'esigenza di un Pdl "davvero democratico". "Siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl - ha detto -. E non ci può essere chi viene messo al rogo. In tutte le famiglie politiche europee la leadership forte è frutto di una sintesi tra posizioni anche diverse". Poi il capitolo più spinoso, quello del rapporto con la Lega: "Al Nord stiamo diventando la loro fotocopia, siamo appiattiti sulle loro posizioni". Fini ha citato le politiche contro l'immigrazione, la mancata abolizione delle province, la mancata privatizzazione delle municipalizzate, tutti temi cari ai Lumbard. La sudditanza nei confronti della Lega, ha sottolineato, la si vede anche nella mancanza di una posizione del Pdl sulle celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia, "che alla Lega non interessa". Fini ha poi parlato di difesa della legalità, sollevando una reazione nervosa del premier, "che vuol dire più dell'elenco puntiglioso di operazioni delle forze dell’ordine: serve riforma della giustizia ma non bisogna dare l’impressione che serva a garantire sacche maggiori di impunità. E qualche volta l’impressione c’è, quando si ipotizzava la prescrizione breve era questo il messaggio che si dava".

LO SCONTRO IN PUBBLICO - Poi ha ripreso la parola Berlusconi e subito sono state scintille: "È la prima volta che sento queste cose, non mi sono mai arrivate proposte in tal senso". Fini ha cercato di replicare dal pubblico e sono volate parole forti e dita puntate. Poi Berlusconi al microfono lo ha attaccato: "Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl", tra le proteste fuori microfono dello stesso Fini. Berlusconi ha però poi cercato di attenuare i toni, dicendo di accogliere con favore la proposta di Fini di un coordinamento dei governatori del Pdl per analizzare le modalità con cui attuare il federalismo fiscale. Quanto alla Lega, il Cavaliere ha ricordato che il partito di Bossi "ha fatto proprie le posizioni che erano di An sull'immigrazione e che poi sono state abbandonate". Una sottolineatura che è suonata come una frecciata diretta all'ex leader di An, che parlando di immigrazione aveva ricordato i valori ispiratori del Partito popolare europeo, a cui il Pdl fa riferimento.

IL VIDEO dello scontro tra Berlusconi e Fini

"SMETTI DI FARE IL PRESIDENTE" - La calma ritrovata da Berlusconi è stata però persa pochi istanti più tardi: "I tuoi rilievi - ha detto rivolgendosi a Fini - sono cose che rappresentano percentualmente una piccola parte rispetto a tutto quello che si è fatto. Valeva la pena mettere in discussione il ruolo super partes di presidente della Camera per fare contrappunto quotidiano a noi?". Poi l'accusa di non avere neppure partecipato alla campagna elettorale per salvaguardare la terzietà dell'incarico istituzionale. "Non sei voluto neanche venire a piazza San Giovanni - ha sottolineato Berlusconi -, chi ha un ruolo istituzionale non può esprimere opinioni politiche, altrimenti lascia il suo ruolo e fa politica nel partito". Il presidente della Camera, da parte sua, ha replicato con un gesto delle dita e chiedendo ironicamente: "Sennò mi cacci?". Insomma, un botta e risposta durissimo. Al termine dell'assise, Fabio Granata riassume il senso politico della giornata (almeno secondo i finiani): "Oggi si è codificata l'esistenza della minoranza Pdl con il voto". L'impressione, però, è che tra i due leader si sia consumato uno strappo personale - per di più di fronte alle telecamere - che sarà difficilmente sanabile.

Al. S.

G. Ant.

22 aprile 2010(ultima modifica: 23 aprile 2010)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presidente del Senato e la sfida nel Pdl

Schifani: "Fini? Se fa politica

deve lasciare la Camera"

"Per avere le mani libere entri nel governo. Il ruolo istituzionale impone dei limiti"

Il presidente del Senato e la sfida nel Pdl

Schifani: "Fini? Se fa politica

deve lasciare la Camera"

"Per avere le mani libere entri nel governo. Il ruolo istituzionale impone dei limiti"

(Sironi)

(Sironi)

ROMA — "Con Gianfranco Fini mantengo un ottimo rapporto personale e istituzionale", ma non è da presidente del Senato che Renato Schifani si rivolge al presidente della Camera, è da dirigente del Pdl che confuta le tesi del collega di partito, lo mette in guardia dagli effetti che la sua iniziativa potrebbe provocare. "Perché confido ancora che non si apra la strada del correntismo nel Pdl, una deriva che più volte Fini criticò, parlando di "metastasi". Appena un anno fa, al congresso di scioglimento di An, disse infatti che nel nuovo partito non ci sarebbe stata correntocrazia, e all’atto fondativo del Pdl ribadì il concetto. Ora purtroppo registro un’inversione di pensiero da parte sua. Tuttavia attendo, spero non accada. Altrimenti...". Ed è così che Schifani introduce un tema delicatissimo, lo fa ricordando che "nell’ultimo periodo Fini ha assunto posizioni e iniziative politiche. Sarà pure "cofondatore" del Pdl ma è anche presidente della Camera. E dinnanzi alla prospettiva di un sistema correntizio nel partito, non vedrei male l’ipotesi che lasciasse Montecitorio ed entrasse nel governo, per avere mani libere e libertà di azione politica rispetto ai limiti che il ruolo istituzionale impone ". Un nodo che - svestendo i panni di presidente del Senato - avrebbe affrontato oggi in direzione, alla quale però non parteciperà. Schifani nega si tratti di una provocazione ai limiti del conflitto tra cariche dello Stato, "non lo è, lungi da me l’idea. Peraltro Fini sta svolgendo il suo compito con autorevolezza e prestigio. È un ragionamento politico, il mio, svolto in chiave costruttiva e non polemica. Altri hanno fatto polemiche, e anche peggio".

Il presidente del Senato si riferisce alla minaccia dei finiani di far nascere nuovi gruppi parlamentari, "un’opzione da un lato insostenibile, alla luce del risultato elettorale che ha premiato il governo e la maggioranza, e dall’altro incompatibile con gli equilibri del centrodestra. Semmai si fosse realizzato un simile scenario, resto dell’idea che la conseguenza inevitabile sarebbe stata il ritorno alla urne, fatte salve le prerogative del capo dello Stato. Ora l’ipotesi è che si vada verso la nascita di una corrente, che a mio avviso farebbe subire un processo involutivo al Pdl. Perché se il correntismo, legato a schemi da Prima Repubblica, divenisse uno strumento per logorare l’azione di governo, ognuno poi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. Sia chiaro, considero positiva la richiesta di un maggior dibattito all’interno del partito. Ma mi auguro che tutto resti dentro un quadro unitario". A detta di Schifani è lo stesso auspicio di Silvio Berlusconi, "che è contrario al correntismo e non lo condividerà mai. Non appartiene alla sua storia politica, alla storia cioè di chi proviene da Forza Italia. So che dentro An era diverso, e comunque - come in ogni partito democratico - le regole sono chiare: le decisioni - tranne sui temi eticamente sensibili - vengono prese a maggioranza, e tutti devono poi adeguarsi.

Diversamente sarebbe un modo surrettizio di costituire gruppi autonomi senza dichiararlo. Ma gli effetti sarebbero gli stessi: chi lo facesse si porrebbe fuori dal Pdl e il voto anticipato tornerebbe ad essere a mio avviso ineluttabile". La direzione di oggi sarà un tornante per molti aspetti decisivo, "e sono certo che Berlusconi si aprirà al dialogo, l’ha sempre fatto. Vorrei ricordare che sulle candidature per le Regionali ha accettato soluzione diverse dalle sue proposte. Perciò penso che dipenda più da Fini l’esito del confronto, e mi auguro che da una fase acuta, da uno sfogo spontaneo, si ritorni alla politica e si trovino i giusti rimedi".

"Dipende da Fini", secondo Schifani, che non condivide l’analisi dell’ex leader di An. A iniziare dalla tesi secondo la quale Berlusconi l’avrebbe isolato. "Intanto è stato lui a scegliere il ruolo di presidente della Camera, che ingessa politicamente. Altrimenti non si sarebbe verificato questo isolamento, che poi è solo apparente. Quali sono stati gli strappi da parte del premier? Non c’è stata scelta priva dell’assenso di Fini: dai candidati alle Regionali, alle leggi sulla giustizia, al federalismo fiscale, ai provvedimenti finanziari. Sulle future riforme nessuno ha preso decisioni. Anch’io non ho condiviso l’iniziativa del ministro Roberto Calderoli di portare al Quirinale la bozza sul semi-presidenzialismo, ma ci sarà tempo perché Fini sieda al tavolo con Berlusconi e Umberto Bossi per arrivare a una sintesi condivisa anche in Parlamento. Preferibilmente non solo dalla maggioranza". Quanto all’accusa lanciata verso il premier di aver consentito che il Senatùr diventasse il "dominus" della coalizione, "è infondata": "Se una trazione leghista c’è - dice Schifani - è figlia di un’azione politica e programmatica, frutto dell’azione di governo a Roma e soprattutto sul territorio. Non mi pare che la Lega faccia una politica delle poltrone: ha solo tre ministri su ventitrè. Vogliamo parlare del lavoro di Roberto Maroni al Viminale? Dei risultati ottenuti nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata e sull’immigrazione clandestina? Del lavoro di Calderoli, che - tranne lo scivolone sulla bozza di riforme - è stato abile a trovare un compromesso con l’opposizione sul federalismo fiscale? Della capacità di Bossi che - abbandonata l’idea della secessione - è stato capace di costruire una nuova classe dirigente giovane e preparata?".

Così parte un’altra pesante critica all’ex capo della destra, "che parla a nome della destra spendendo posizioni e valori che di destra non sono". Di più: "Penso che proprio le sue posizioni su sicurezza, immigrazione, famiglia, hanno determinato al Nord il passaggio di molti elettori di An verso la Lega. È più che lecito cambiare idea, ma occorre poi fare i conti con le conseguenze di questo cambiamento. Non so quanti dei finiani su questi temi siano d’accordo con Fini". Schifani non lo è, "come non sono d’accordo con la tesi che la trazione leghista stia spaccando il Paese e provocando danni al Sud. Di quale Sud parliamo? Perché io sono stanco di un meridionalismo piagnone, assistenziale e clientelare. La sfida federalista, lo dico da parlamentare del Sud, ci impone una svolta culturale. Il federalismo fiscale dev’essere solidale, e su questo siamo tutti d’accordo. Però basta con l’andazzo, per anni nel Mezzogiorno sono arrivati flussi ingenti di danaro, ma è mancata la qualità della spesa. Mi conforta comunque che stia crescendo una nuova classe dirigente che invertirà questa tendenza. C’è un deficit infrastrutturale, certo, infatti spero che il governo presenti presto un piano straordinario, lo deve fare. Ma è impensabile, per esempio, che ancora oggi si assista a quanto accade in Sicilia, dove la spesa della regione è superiore a quella della Lombardia, che ha quattro milioni di abitanti in più".

Erano i temi che Schifani si era appuntato per l’intervento, se oggi fosse andato in direzione. Con un’annotazione finale, "l’auspicio che prevalga il senso dell’unità, che sia tutelato il patrimonio storico del Pdl, nato in nome del bipolarismo. Mi auguro che Fini collabori a preservare tutto ciò, perché le scelte della politica sono irreversibili. Rammento quando nel 1996 disse no alla nascita del governo Maccanico pur di andare al voto, e il centrodestra senza la Lega venne sconfitto". Per il resto non crede alle dietrologie, all’ipotesi che Fini si muova per avviare la fase post-berlusconiana, "non ci credo. Anche perché da sedici anni se ne parla nel Palazzo, ma non sarà il Palazzo a decidere chi succederà a Berlusconi. Saranno gli elettori. Quando arriverà il momento".

Francesco Verderami

22 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-21

Il presidente della Camera: "Il cavaliere accetti il dissenso"

Pdl, Fini lancia la sua corrente

Berlusconi: "Si faccia il suo partito"

Premier deluso e irritato studia la risposta. Lega cauta: "No a rotture"

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Pdl, Fini lancia la sua corrente

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Gianfranco Fini al congresso di Fiuggi in un'immagine del 29 gennaio 1995, durante il quale il Movimento Sociale Italiano venne sciolto per dare vita ad Alleanza Nazionale.(Ansa)

Gianfranco Fini al congresso di Fiuggi in un'immagine del 29 gennaio 1995, durante il quale il Movimento Sociale Italiano venne sciolto per dare vita ad Alleanza Nazionale.(Ansa)

ROMA - Da un lato tira un sospiro di sollievo, visto che, almeno per ora, la scissione di Gianfranco Fini sembra scongiurata; dall'altro l'atteggiamento del cofondatore del Pdl e l'idea che crei una corrente nel partito non gli piace per niente. Silvio Berlusconi reagisce con un misto di delusione, irritazione e cautela alle istanze del presidente della Camera: da un lato non accetta ulteriori logoramenti da parte del presidente di Montecitorio anche perché non intende farsi trascinare in quello che ama definire il "teatrino della politica"; dall'altra non intende forzare la mano, con strappi dalle imprevedibili conseguenze, e dunque attende di capire con esattezza cosa vuole veramente l'ex leader di An. Per capire cosa abbia davvero in testa Fini, Berlusconi ha riunito a palazzo Grazioli, sia i vertici della Lega (Umberto Bossi non c'era), che quelli del Pdl (Italo Bocchino non era presente perchè non invitato e ciò la dice lunga sul clima verso i "finiani").

BERLUSCONI - Berlusconi, riferiscono le stesse fonti, non intende più trattare con il cofondatore del Pdl e soprattutto non vuole riconoscere che all'interno del partito si possa dar vita ad una opposizione interna. "Altrimenti - avrebbe ragionato - meglio che si faccia un partito e si vada al voto, non possiamo andare avanti con questo continuo stillicidio. Il Pdl è nato per restare unito e non per dividersi", è la linea del presidente del Consiglio. A sconsigliare di rompere però è Umberto Bossi che non vuole mettere in gioco la legislatura. Ora la partita si sposta a giovedì: se i finiani presentassero il documento firmato martedì, la maggioranza del partito potrebbe votare contro.

FINI - "Non voglio farmi da parte nè stare zitto, Berlusconi accetti che ci sia dissenso", ha spiegato Fini martedì mattina agli ex parlamentari di An riuniti nella sala Tatarella della Camera. Il documento a sostegno di Fini è stato firmato da 55 deputati, ma potrebbero essere molti di più - e soprattutto dalle fila degli ex azzurri - a convergere sulle posizioni del presidente della Camera. Dall'altra parte, gli ex An che hanno voltato le spalle a Fini. Ad aver sottoscritto il documento promosso da Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa e Altero Matteoli (tutti ex colonnelli di Fini) sono stati 75 parlamentari, che chiedono di non mettere in crisi il progetto del Pdl.

LEGA - Sul fronte della Lega, intanto, si registra grande cautela. Tant'è che nessun esponente del Carroccio ha commentato la situazione all'interno del Pdl. Del resto Umberto Bossi, in una recente intervista a "El Pais" aveva sottolineato la necessità di trovare un'intesa con Fini. L'obiettivo primario dei lumbard è di portare a casa le riforme. E una guerra intestina nel Pdl non aiuterebbe. Ecco perché, Roberto Calderoli, ha cercato di minimizzare: "Ho sentito dai telegiornali notizie fantasiose, oggi non c'è nessun vertice della Pdl a cui abbia preso parte la Lega ma semplicemente un incontro, già programmato, che abbiamo avuto con Berlusconi e Verdini, mio omologo nel Pdl".

Redazione online

21 aprile 2010

 

 

 

2010-04-18

LO SCONTRO NEL PDL

Berlusconi: il governo va avanti

anche se non ci ricompatteremo

Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti"

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Berlusconi: il governo va avanti

anche se non ci ricompatteremo

Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti"

Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon)

Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon)

MILANO - Il giorno dopo l'invito-ultimatum a Fini, il presidente del Consiglio torna a ribadire la sua posizione: "Il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo".

"La maggioranza resisterà, il Governo continuerà, sono cose superabili" ha detto il premier a proposito della querelle all'interno del Pdl. "Penso che si possa ricompattare - ha aggiunto - ma in qualunque direzione si vada non ci saranno problemi. State sereni".

LA CORTE - "Ho fatto la corte anche a Fini questa settimana". Silvio Berlusconi non vede l'ora di tornare a scherzare dopo essere stato al funerale di Raimondo Vianello. Così rivolto agli imprenditori riuniti al Salone del Mobile di Milano (dove è stato accolto da un'ovazione), sui suoi rapporti con il presidente della Camera, Gianfranco Fini svela: "È da 15 anni che lo conosco -ha continuato Berlusconi- ma com'è che adesso non andiamo d'accordo?".

LE RIFORME - Riguardo al capitolo riforme Berlusconi spiega: "Quelle costituzionali non sono le più importanti. La riforma costituzionale è qualcosa a cui vale la pena di lavorare". Poi ha detto che si farà "sentendo tutti" e possibilmente "con l'assenso di una opposizione responsabile, se diventerà responsabile". Servirà a dare allo Stato "un assetto più moderno" permettendo di "prendere decisioni con la necessaria tempestività". Secondo Berlusconi, dopo aver dato la possibilità all'elettorato di votare direttamente il loro sindaco e presidente di Regione, "poter scegliere anche il presidente dell'Italia credo sia un diritto in più per i cittadini". Il sistema delineato dalla Costituzione "risente del fatto che i padri costituzionali l'abbiano fatta dopo venti anni di dittatura ed avevano timore del ritorno di un regime e tutti i poteri sono stati dati all'assemblea parlamentare". La conseguenza, per il premier, è che quello italiano "è l'esecutivo con meno poteri al mondo". Il presidente del Consiglio "è un primus inter pares - ha concluso - vive solo della sua personale autorevolezza e infatti gli altri sono durati 11 mesi".

INTERCETTAZIONI - Poi il premier ha parlato delle nuove norme sulle intercettazioni "Credo che sia una guerra santa che stiamo combattendo". Serviranno solo per reati gravi non "per cercare notizie di reato", ha spiegato, ma nel caso in cui ci siano "già gravi indizi di colpevolezza".

FISCO - "Nel giro di due anni realizzeremo un codice unico in materia fiscale per eliminare le migliaia di leggi che oggi creano troppa confusione". "A causa di questa situazione - ha detto il premier - anche aziende che si fanno assistere da studi fiscali di primo piano si trovano ad essere oggetto delle attenzioni dell'Agenzia delle Entrate e magari a subire un giudizio anche quando erano convinti di non aver commesso reati". Berlusconi ha anche preso l'impegno preciso di ridurre le tasse "appena i conti pubblici saranno a posto". "La prima cosa che faremo - ha detto - sarà pensare alle famiglie numerose e la seconda l'abolizione dell'Irap che io chiamo imposta rapina".

LA BATTUTA - Infine si è rivolto alla platea dei mobilieri: "Io sono venuto qui per il pranzo, ma qualcuna delle hostess la invitate o no?". "Questi - ha proseguito Berlusconi - non sono peccati. Non commettere atti impuri, è scritto. Tutto il resto è permesso". "Vedete - ha proseguito Berlusconi - è questa la differenza tra noi e quegli altri. Il loro problema è che sono sempre arrabbiati, che non hanno autoironia, mentre qualche storiella ti pulisce la mente, ti apre al sorriso".

Redazione online

17 aprile 2010(ultima modifica: 18 aprile 2010)

 

 

 

 

IL PARADOSSO DEL CASO FINI

Un favore alla Lega

IL PARADOSSO DEL CASO FINI

Un favore alla Lega

Accade continuamente che certe nostre azioni, volte a ottenere determinati risultati, producano effetti opposti, in contrasto con le nostre intenzioni. Una delle ragioni per le quali è possibile che il presidente della Camera Gianfranco Fini cerchi un accomodamento dell'ultimo minuto con Berlusconi consiste nel fatto che una scissione potrebbe ampliare ulteriormente gli spazi di manovra della Lega di Bossi. Sarebbe paradossale se proprio Fini, il leader che contrasta il peso politico della Lega nella maggioranza e nel governo, si trovasse nella condizione di favorirne involontariamente l'accrescimento anziché il ridimensionamento.

Nel breve termine, come ha osservato Stefano Folli ( Il Sole 24 ore), una scissione dei finiani potrebbe esaltare il ruolo della Lega nel governo non lasciando a Berlusconi altra scelta se non quella di rafforzare ulteriormente l'asse con Bossi. Ma le conseguenze di più ampia portata si avrebbero in sede elettorale (con o senza elezioni anticipate). Oggi, complici anche certe letture superficiali dei risultati delle regionali, la forza della Lega appare alquanto sopravvalutata. La Lega ha infatti ottenuto un grande successo ma con la complicità dell'astensione (l'astensionismo ha colpito il Pdl non la Lega). E’ plausibile che, nelle prossime elezioni politiche, riassorbito l'astensionismo, i rapporti di forza fra Lega e Pdl possano tornare più o meno ai livelli delle politiche precedenti. Ma se ci fosse una scissione le cose cambierebbero. Il Pdl apparirebbe al Nord ancor più fragile di quello che è e la Lega potrebbe avvantaggiarsene strappando molti elettori al partito di Berlusconi. L'egemonia leghista al Nord diventerebbe allora una "profezia che si autoadempie". La scissione finiana contribuirebbe al risultato.

Inoltre, quale che sia la consistenza delle truppe finiane, è probabile che il grosso di quelle truppe sia dislocato essenzialmente nel Centro-Sud, da Roma in giù. Fini potrebbe così trovarsi, involontariamente, alla testa di una specie di Lega Sud, con una capacità di attrazione nel Nord del Paese vicina allo zero o giù di lì. Sarebbe un passo in più verso uno scenario un po' fosco, quello di una netta divisione politicoterritoriale fra Nord e Sud.

D’altra parte, sono i numeri a dire che fino ad ora è stata solo la leadership di Berlusconi a tenere insieme le diverse anime territoriali della maggioranza. Fini ha però di fronte a sé anche un’altra opzione: fare ciò che fino ad oggi non ha fatto o non è riuscito a fare (come ha osservato Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere del 16 aprile). Evitare la scissione e costruire una corrente, interna al Pdl, dotata di un suo chiaro e riconoscibile programma, capace di parlare davvero all’elettorato di destra. In questo caso, Fini si doterebbe di una certa forza contrattuale da spendere nelle trattative con Berlusconi, Tremonti e Bossi sulle varie questioni interessate dall’azione del governo. È una strada sdrucciolevole: elaborare un programma siffatto (soprattutto, sulle questioni economiche) non è facile. Ma sembra anche, per Fini, l’unica possibilità. Limitarsi a fare il controcanto ogni volta che Berlusconi parla, come il Presidente della Camera ha fin qui scelto di fare, può strappare applausi alla sinistra ma, politicamente, non porta da nessuna parte. Con o senza scissione.

Angelo Panebianco

18 aprile 2010

 

 

 

L'intervista

Gasparri: "Gianfranco non

lo sento più. E non mi dispiace"

Il capogruppo Pdl al Senato: "Tra noi solo dibattito politico. Io sono rimasto sulle posizioni di un tempo"

L'intervista

Gasparri: "Gianfranco non

lo sento più. E non mi dispiace"

Il capogruppo Pdl al Senato: "Tra noi solo dibattito politico. Io sono rimasto sulle posizioni di un tempo"

ROMA —Maurizio Gasparri, vi siete sentiti, in questi giorni tempestosi, con il presidente Fini? "No, mai".

Vi sentite sempre meno? "Non capita frequentemente". Maurizio (Gasparri) aveva 17 anni, Gianfranco (Fini) 21. Era il 1973. Funerali dei fratelli Mattei, bruciati dentro casa a Primavalle. Si conobbero lì. Poi, frequentarono assieme la sezione del Msi di via Sommacampagna. Dal 1987 Fini fu segretario e di Gasparri si scrisse: "La sua fedeltà al capo è indiscussa, la sua obbedienza militare".

Gasparri, le dispiace quello che sta succedendo? "Nessun dispiacere. Da tempo fra me e Fini c'è solo dibattito politico. E non condividiamo gli stessi obiettivi. Oggi ho buoni rapporti con molti ex An ed ex Forza Italia. E ho un ottimo rapporto personale con Berlusconi".

Tutto cominciò a mutare da quando lei fece il ministro delle Comunicazioni nel governo Berlusconi 2001-2005. Poi ci fu il famoso colloquio al bar fra lei, La Russa e Matteoli in cui criticavate il leader... "Il problema vero è che io sono rimasto sulle posizioni che abbiamo sempre espresso: Lui invece è diventato un innovatore, ha cambiato idea su tante cose. Con pieno diritto, beninteso".

Ora lei è più "di destra"? "Io sono per la difesa della famiglia, per la tutela delle forze dell'ordine, per il diritto alla vita, contro l'immigrazione clandestina".

Fini, da parte sua... "Eh, il caso Englaro, il diritto di voto agli immigrati, il sì al referendum sulla fecondazione artificiale... Ma se un capo di partito cambia idea, dirigenti e militanti devono adeguarsi? Mi sembra uno scenario alla Orwell".

Fini ha detto a Berlusconi che gli ex di An che ricoprono ruoli nel partito e nel governo sono stati "comprati", ormai "al servizio" del presidente del Consiglio. "Diciamo che credo alle smentite e penso che siano frasi mai pronunciate".

Fra le richieste di Fini ci sarebbe la sostituzione degli uomini che oggi occupano il 30 per cento di "quota An" nelle cariche. La Russa si è detto pronto a un passo indietro, se Berlusconi lo chiede. "Nessuno detiene l'esclusiva del 30 per cento. In quella quota, stabilita alla fondazione del Pdl, sono comprese idee e uomini che furono di An".

Lei farebbe un passo indietro? "Se si tratta di "salvare la patria", cedo il posto di capogruppo al Senato. Non contano però solo i patti, ci vuole anche il consenso. E credo che oggi sarei rieletto dai senatori pdl con un plebiscito".

C'è un futuro per Fini e i "finiani"? "Se andranno alla scissione, questo porterà alla crisi e alle elezioni. E di solito chi crea rotture paga un prezzo pesante. Ma io mi auguro che non ci saranno scissioni, come scrivono anche i 14 senatori pdl che si sono riuniti a pranzo e hanno firmato un documento equilibrato: lo potrei sottoscrivere".

In quel documento si chiede più dibattito interno al Pdl. "Questa è la strada. Ma non è vero che Berlusconi non discuta. Per esempio, non voleva accordi con l'Udc, non voleva la candidatura Polverini: ma ha ascoltato e cambiato idea. Però Fini ha ragione a lamentarsi per la consegna a Napolitano della bozza sulle riforme, senza che lui ne sapesse nulla".

Ci sono anche problemi personali fra Fini e Berlusconi? "I due sono molto differenti. Berlusconi tende a mescolare rapporti personali e rapporti politici. Fini è freddo. Poi, forse Fini vive l'esperienza da presidente della Camera come limitativa. È fisiologico che un leader curi le sue prospettive future, e l'ultima vittoria della Lega lo ha messo in grande allarme".

Possono aver pesato i servizi di "Striscia la notizia" su Elisabetta Tulliani, la compagna di Fini? O i continui attacchi del "Giornale"? "Non aiutano la comprensione reciproca".

Andrea Garibaldi

18 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-17

LO SCONTRO NEL PDL

Berlusconi: il governo va avanti

anche se non ci ricompatteremo

Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti"

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LO SCONTRO NEL PDL

Berlusconi: il governo va avanti

anche se non ci ricompatteremo

Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti"

Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon)

Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon)

MILANO - Il giorno dopo l'invito-ultimatum a Fini, il presidente del Consiglio torna a ribadire la sua posizione: "Il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo".

"La maggioranza resisterà, il Governo continuerà, sono cose superabili" ha detto il premier a proposito della querelle all'interno del Pdl. "Penso che si possa ricompattare - ha aggiunto - ma in qualunque direzione si vada non ci saranno problemi. State sereni".

LA CORTE - "Ho fatto la corte anche a Fini questa settimana". Silvio Berlusconi non vede l'ora di tornare a scherzare dopo essere stato al funerale di Raimondo Vianello. Così rivolto agli imprenditori riuniti al Salone del Mobile di Milano (dove è stato accolto da un'ovazione), sui suoi rapporti con il presidente della Camera, Gianfranco Fini svela: "È da 15 anni che lo conosco -ha continuato Berlusconi- ma com'è che adesso non andiamo d'accordo?".

LE RIFORME - Riguardo al capitolo riforme Berlusconi spiega: "Quelle costituzionali non sono le più importanti. La riforma costituzionale è qualcosa a cui vale la pena di lavorare". Poi ha detto che si farà "sentendo tutti" e possibilmente "con l'assenso di una opposizione responsabile, se diventerà responsabile". Servirà a dare allo Stato "un assetto più moderno" permettendo di "prendere decisioni con la necessaria tempestività". Secondo Berlusconi, dopo aver dato la possibilità all'elettorato di votare direttamente il loro sindaco e presidente di Regione, "poter scegliere anche il presidente dell'Italia credo sia un diritto in più per i cittadini". Il sistema delineato dalla Costituzione "risente del fatto che i padri costituzionali l'abbiano fatta dopo venti anni di dittatura ed avevano timore del ritorno di un regime e tutti i poteri sono stati dati all'assemblea parlamentare". La conseguenza, per il premier, è che quello italiano "è l'esecutivo con meno poteri al mondo". Il presidente del Consiglio "è un primus inter pares - ha concluso - vive solo della sua personale autorevolezza e infatti gli altri sono durati 11 mesi".

INTERCETTAZIONI - Poi il premier ha parlato delle nuove norme sulle intercettazioni "Credo che sia una guerra santa che stiamo combattendo". Serviranno solo per reati gravi non "per cercare notizie di reato", ha spiegato, ma nel caso in cui ci siano "già gravi indizi di colpevolezza".

FISCO - "Nel giro di due anni realizzeremo un codice unico in materia fiscale per eliminare le migliaia di leggi che oggi creano troppa confusione". "A causa di questa situazione - ha detto il premier - anche aziende che si fanno assistere da studi fiscali di primo piano si trovano ad essere oggetto delle attenzioni dell'Agenzia delle Entrate e magari a subire un giudizio anche quando erano convinti di non aver commesso reati". Berlusconi ha anche preso l'impegno preciso di ridurre le tasse "appena i conti pubblici saranno a posto". "La prima cosa che faremo - ha detto - sarà pensare alle famiglie numerose e la seconda l'abolizione dell'Irap che io chiamo imposta rapina".

LA BATTUTA - Infine si è rivolto alla platea dei mobilieri: "Io sono venuto qui per il pranzo, ma qualcuna delle hostess la invitate o no?". "Questi - ha proseguito Berlusconi - non sono peccati. Non commettere atti impuri, è scritto. Tutto il resto è permesso". "Vedete - ha proseguito Berlusconi - è questa la differenza tra noi e quegli altri. Il loro problema è che sono sempre arrabbiati, che non hanno autoironia, mentre qualche storiella ti pulisce la mente, ti apre al sorriso".

Redazione online

17 aprile 2010

 

 

 

Dietro le quinte

Berlusconi "regista" del vertice

"Basta limare, fidatevi di me"

E critica la Bongiorno: crea sempre dei problemi

Dietro le quinte

Berlusconi "regista" del vertice

"Basta limare, fidatevi di me"

E critica la Bongiorno: crea sempre dei problemi

ROMA — "Basta limare! Non c'è bisogno, vi fidate di me?". Sorriso del Cavaliere a 32 denti. Pochi attimi di silenzio. Platea spiazzata. "Allora è deciso, parlo io con i giornalisti, non vi preoccupate, sarò prudente". Poco minuti dopo Berlusconi si trova già davanti una ventina di cronisti e ogni tanto sbircia quello che viene presentato come un documento, ma in realtà è solo poco più di una bozza di qualcosa. Al secondo tentativo di limatura non ne ha potuto più, ha chiesto il consenso e ha chiamato le telecamere. E' una delle tante scene di ieri, una giornata che il Cavaliere ha programmato nei minimi dettagli, concordando con alcuni ministri anche il senso degli interventi che avrebbero svolto durante l'ufficio di presidenza.

Una giornata "teatrale", culminata nella riunione di Palazzo Grazioli, organizzata con l'ausilio di validi aiuti (Verdini ha moderato con molta durezza, Bondi e La Russa, Gasparri e Scajola, hanno detto quello che il capo del governo voleva sentire). Al resto ha pensato lui in prima persona: prendendosi cura di interrompere più di una volta il piccolo gruppo dei "finiani" (da Bocchino a Urso a Viespoli) che alla fine, come in altre occasioni, ha preferito uniformarsi piuttosto che distinguersi. Berlusconi aveva il sorriso stampato sulle labbra sin dalla mattina, sin dalla riunione del governo. Ha scherzato con i ministri come se nulla fosse successo. Trattato lo scontro con l'alleato, per buona parte della giornata, con il distacco che solo chi è convinto di avere le carte in mano può ostentare. Sulla vicenda ci ha persino scherzato su, in modo pesante. Di mattina: "E' solo un piccolo problema interno a una forza politica". Di pomeriggio: "Quelli che pone Fini non sono problemi politici". Insomma il presidente della Camera trattato come questione secondaria; lui, il Cavaliere, come il pretore dell'antica Roma, che non tratta le cause di scarso valore, in questo caso dai tratti caratteriali, perché ovviamente non può occuparsi de minimis.

Poi alla fine, ovviamente, se ne è occupato, ma con una sapiente regia. Offrendo una durezza e una determinazione che in assenza di rottura può solo umiliare il cofondatore del Pdl. Lo ha detto anche durante la riunione del partito: "O un accordo forte o strade separate". Ma di accordi non c'è traccia. Altro che mano tesa. Nessuna concessione, semmai la ricerca di una resa. "Vorrei capire, cos'è per Fini la democrazia? Mi sembra che l'interpreti come il diritto di cambiare opinione, ma il 30% delle cariche del Pdl le ha indicate lui. Vuole cambiare qualche dirigente? Non si può. Non gli va più bene essere informato da La Russa? Non è un problema mio". Alla fine della giornata le questioni di Fini sono scomparse, le domande sono quelle di Berlusconi. Ora è lui che attende risposte: "La verità è che da un anno e mezzo dice sempre l'opposto di quello che dico io e c'è la Bongiorno che alla Camera crea sempre dei problemi. Io non voglio rompere, gli ho fatto anche la corte, sono andato a pranzo con lui lo stesso numero di volte che ho cenato con Bossi, mi sembra sia lui a volere andare via, non io". Una risposta peggiore dell'indifferenza. Di sicuro Berlusconi è consapevole dei rischi che corre, forse anche quello di elezioni anticipate. Ma è anche sicuro di voler andare sino in fondo: il "piccolo problema" si deve risolvere, ha detto ieri, "una volta per tutte".

Marco Galluzzo

17 aprile 2010

 

 

 

IL SEMINARIO A VALMONTONE

La rottura Pdl fa scintille anche nel Pd

Scontro tra D'Alema e Franceschini sull'apertura a Fini

IL SEMINARIO A VALMONTONE

La rottura Pdl fa scintille anche nel Pd

Scontro tra D'Alema e Franceschini sull'apertura a Fini

MILANO - La tempesta che sta scuotendo il Pdl e lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi stappano il vaso di Pandora delle visioni, distinte, che convivono del Pd fin dalla sua nascita. L'occasione è il seminario dei Liberal Pd a Valmontone. I protagonisti sono Massimo D'Alema, esponente di spicco della maggioranza del partito, e Dario Franceschini, leader della minoranza. In platea, ad ascoltare, c'è Pier Luigi Bersani. Insomma, il 'gotha' dei dirigenti Pd che sabato si ritroveranno in una delicata riunione della Direzione del partito dopo il risultato deludente delle regionali. La domanda di fondo è: come fa il Pd a vincere e ad andare al governo del paese?

Bersani e D'Alema (Lapresse)

Bersani e D'Alema (Lapresse)

SCINTILLE - Le risposte di D'alema e Franceschini sono lontane, a volte opposte. Franceschini rilancia il modello veltroniano di partito, ovvero il recupero dell'appeal innovativo delle origini, la vocazione maggioritaria, un netto schema bipolare. Per D'Alema quel progetto lì, ha giá mostrato la corda. Semmai la strada da seguire è tutt'altra: solo superando l'attuale bipolarismo si possono rimescolare le carte, si rompe un sistema cristallizzato attorno al blocco di potere di Berlusconi, si rompono le gabbie che stringono le forze politiche. Solo così si potranno aprire nuove prospettive per il Pd con un dialogo con Casini, innanzitutto, ma anche con Gianfranco Fini. Nell'ipotesi, insomma, che il Pdl venga meno per D'Alema l'attuale presidente della Camera può essere un interlocutore sia sul piano delle riforme che dei contenuti, vedi l'immigrazione o la bioetica. Gelido Franceschini che ribatte: "Fini è un avversario che cerca di costruire una destra normale e non sotto padrone, ma resta pur sempre un avversario". Per il leader della minoranza Pd sarebbe ipotizzabile un avvicinamento solo se vi fosse "un'emergenza democratica". Tolto questo caso, "credo che gli italiani si aspettino dal Pd non discussioni di ingegneria istituzionale, ma che riprenda la sua ragione di nascita, ovvero cambiare il paese". Ma per D'Alema "l'emergenza democratica c'è già. Franceschini è contraddittorio perchè da una parte non facciamo che dire che la democrazia è a rischio, che si va verso un sistema plebiscitario, che la libertá di informazione è minacciata. Più emergenza democratica di così...".

BERSANI - A Valmontone c'è anche il segretario Bersani, che intervenendo ad un dibattito successivo a quello di Franceschini e D'Alema non si addentra nelle questioni sulle quali i due hanno dibattuto. Ma arrivando all'iniziativa, il segretario da sullo scontro dentro il Pdl una risposta, ai cronisti, che sembra vicina a quella di D'Alema: "Io non faccio il tifo per nessuno -dice Bersani riferendosi a Fini- ma certo noi siamo pronti a confrontarci con tutte quelle forze politiche che sono contrarie ad uno stravolgimento della Costituzione in senso plebiscitario e che criticano la politica economica di Tremonti e della Lega. Noi lo diciamo da tempo. Siamo qua e siamo pronti ad un patto repubblicano con tutti quelli che la pensano così". Per D'Alema un interlocutore possibile in questo senso, per l'eventuale 'patto repubblicano ' di cui parla Bersani, potrebbe essere anche Fini e lo spiega così: "Vorrei dire a Franceschini che Fini non è soltanto un leader che vuole una destra normale. Io sono molto attento a quello che fa Fini e su molti temi credo che i contenuti da lui espressi siano molto interessanti. Ha tenuto posizioni coraggiose e distinte da Berlusconi su temi cruciali come l'immigrazione e la bioetica, che sappiamo quanto siano delicati per la maggioranza di centrodestra. Io non sto parlando di formule o di alchimie, ma sono attento ai contenuti", spiega il presidente di ItalianiEuropei ricordando anche i tanti momenti di confronto con Fini tramite i lavori della fondazione 'FareFuturò, vicina al presidente della Camera. Per Franceschini le cose non stanno così: "Io credo che tra Berlusconi e Fini si arriverá ad una rottura. Anche perchè, se Fini questa volta torna indietro perderá di credibilitá. Lo scontro che è in atto è profondo ed è quello tra una destra normale con una sua dialettica interna o una destra sotto padrone, quella di Berlusconi per cui è un ingombro chiunque osi criticarlo". Ma detto questo per Franceschini il ruolo di Fini non può spingersi oltre il fatto che il presidente della Camera stia tentando di costruire una destra normale: "Per noi resta un avversario".

LA DISCUSSIONE - La discussione attorno al rapporto con Fini nel corso del dibattito a Valmontone tra D'Alema e Franceschini si è innestata sul la discussione attorno ad alleanze e bipolarismo. Lo schema bipolare, secondo D'Alema, va superato e spiega perchè: "Noi abbiamo perso un milione di voti rispetto alle europee, ma il Pdl ne ha persi due volte e mezzo in più. Questi dati sono la spia di una crisi anche sistemica. Siamo alla fine di un ciclo. Come si esce da questa crisi? Berlusconi è tentato di uscirne con una spallata di tipo plebiscitario. Per impedirlo occorre rompere la gabbia del bipolarismo e dare una risposta di rinnovamento sistemico. Bisogna rompere la gabbia e liberare le forze. Ma per farlo occorre che da questa parte -prosegue D'Alema- ci sia un partito che non butta indietro quelle forze perchè è autoreferenziale o dá risposte simili a quelle di Berlusconi che vuole rafforzare i meccanismi restrittivi". Quindi per D'Alema vanno cercate sponde "con quelle forze politiche che sono contro un disegno plebiscitario, contro ipotesi di presidenzialismo che indebolirebbe la coesione del paese. Tutto questo dipende molto dal Pd e da come si pone di fronte a quelle forze che vogliono liberarsi e che magari con noi possono fare un pezzo di strada insieme. Se riusciremo a fare questo verranno da noi sia Casini che Fini". Per chiudere D'Alema invita tutti ad uscire "dalla falsa discussione tra chi vuole il progetto e chi privilegia le alleanze. Altrimenti ci portano alla neuro. Sono facce della stessa medaglia". Non la pensa così Franceschini secondo cui se il Pd non recupera una sua forte identitá allora non ci può essere alleanza che tenga e si tornerebbe ad essere 'sudditi di partiti che contano poco più del 5%. "Il bipolarismo -osserva Franceschini- è una delle poche conquiste che abbiamo fatto in questi ultimi anni e non dobbiamo tornare indietro da questo sistema per tattica favorendo, magari, una legge elettorale in cui piccoli partiti diventano ago della bilancia. Non è questa la strada ed è in contrasto con la nostra storia, con la storia dell'Ulivo". L'argomentazione non convince D'Alema: "Non è affatto così perchè proprio con questo sistema sono le forze minori a condizionare tutti perchè per ottenere il premio di maggioranza occorre fare le coalizioni più larghe possibili. In questo modo si sono fatti governi che in questi 16 anni non sono riusciti a portare a casa alcuna riforma sostanziale per il paese. Con questo sistema le forze minori hanno un peso che mai hanno avuto prima, di certo non lo hanno mai avuto nella prima Repubblica". Tutto questo, aggiunge D'Alema, potrebbe essere superato con una legge elettorale che preveda il doppio turno "ma se non ce la danno, inviterei ad una riflessione un pò più approfondita, tecnicamente composta, senza abbandonarsi agli slogan". (Fonte AdnKronos)

 

16 aprile 2010(ultima modifica: 17 aprile 2010)

 

 

 

 

 

nel suo intervento alla direzione del partito

Bersani: al lavoro su progetto per l'Italia

Il segretario del Pd : "Cambiare legge elettorale ma mantenere bipolarismo. Riforma fiscale subito. Pronto ddl per far uscire i partiti dalla Rai"

nel suo intervento alla direzione del partito

Bersani: al lavoro su progetto per l'Italia

Il segretario del Pd : "Cambiare legge elettorale ma mantenere bipolarismo. Riforma fiscale subito. Pronto ddl per far uscire i partiti dalla Rai"

Pier Luigi Bersani (Ansa)

Pier Luigi Bersani (Ansa)

ROMA - "Il futuro è una sfida, mettiamoci all'altezza. Serve un progetto per l'Italia, un'agenda che ci porti a far emergere la nostra visione del Paese". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, nel suo intervento alla direzione del partito. Secondo Bersani bisogna puntare "su pochi punti programmatici: lavoro, inteso come lavoro delle nuove generazioni; fisco; educazione, intesa come scuola e università; riforma delle istituzioni, giustizia e informazione. Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Trasmettiamo positività".

FISCO - "La riforma del fisco non può essere rinviata dopo il federalismo". Per Bersani il fisco "è il luogo del tradimento della destra verso gli italiani", quindi "il primo obiettivo deve essere la fedeltà fiscale. Ogni euro in più che deriva dalla lotta all'evasione è euro in meno di tasse".

RIFORMA ELETTORALE - "Dobbiamo combattere questa legge elettorale che è l'architrave del meccanismo plebiscitario di Berlusconi. Le soluzioni sono diverse ma dobbiamo tenere presenti tre paletti: il sistema bipolare, la scelta del deputato e la garanzia di una maggioranza stabile". "Intorno a questi tre criteri - sostiene Bersani raccogliendo la condivisione della minoranze del Pd - possiamo ragionare insieme e possiamo arrivare a proposte più precise. Ma cerchiamo di sdrammatizzare il tema perchè le leggi elettorali vanno e vengono mentre Berlusconi sta qui dal'94".

"PATTO REPUBBLICANO CONTRO DERIVE PLEBISCITARIE" - "Serve un patto repubblicano contro le derive populiste e plebiscitarie per chi vuole le riforme nel solco costituzionale" ha rinforzato Bersani, che ha aggiunto che "se l'agenda è quella delle leggi ad personam, non ci cerchino. Dobbiamo contrapporre una posizione limpida. Per le riforme su solco costituzionale noi abbiamo le nostre proposte. Se si parla sul serio di questioni economiche e sociali ho già detto che vado fino ad Arcore".

"LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA NON È UN TABÙ" - La riforma della giustizia "non può essere un tabu". "La giustizia è un servizio che non funziona per i cittadini e noi -sottolinea il segretario del Pd- lo vogliamo affrontare da quel lato". "Le nostre proposte sono in polemica con le leggi ad personam. Si può essere d'accordo o meno ma non esiste che nella nostra squadra, quando si presentano delle proposte, si parli di intelligenza con il nemico", ha evidenziato il segretario.

"FUORI I PARTITI DALLA RAI, PRESENTEREMO UN DDL" - "Fuori i partiti dalla Rai" ha anche detto senza mezzi termini il segretario del Pd, annunciando che "presenteremo presto un ddl a questo scopo. Gli organismi di garanzia attuali si sono infatti rivelati strutturalmente impotenti a garantirci. È necessaria anche una nuova legge antitrust, che è anche il modo per affrontare il conflitto d'interessi".

LA LEGA SVOLGE UN RUOLO DA "PRIMA REPUBBLICA" - "La Lega usa in modo spregiudicato la sua utilità marginale e svolge un ruolo da partito da prima Repubblica. Penso che ormai non potrà reggere i due-tre ruoli che si è data nel teatrino della politica" ha sottolineato Bersani. "Più la Lega prende potere - evidenzia Bersani - più è decisiva nel sostenere Berlusconi. È ora che si prenda la responsabilità dei problemi che il governo non ha risolto".

Redazione online

17 aprile 2010

 

2010-04-16

Il Senatùr pessimista: "Temo che non si rimetta a posto"

Berlusconi: "Fini desista,

continuiamo a lavorare insieme"

L'ufficio di presidenza del Pdl: "Il governo va avanti comunque"

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Berlusconi: "Fini desista,

continuiamo a lavorare insieme"

L'ufficio di presidenza del Pdl: "Il governo va avanti comunque"

ROMA - E' stata una delle giornate più sofferte del Pdl, con una possibile scissione sempre sullo sfondo. Ma alla fine da Berlusconi è arrivata un' "ultima chiamata" a Fini: "Desista dall'idea di creare gruppi autonomi. Attendo una sua risposta positiva". Anche se "il governo va avanti comunque". Ai giornalisti che attorno all'ora di pranzo, nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri, gli chiedono delle tensioni all'interno del Pdl, Silvio Berlusconi dice semplicemente che ci sono "piccoli problemi nel partito". Ma a distanza di poche ore diventa chiaro che i piccoli problemi tanto piccoli non sono: "Gianfranco Fini ha deciso di andare via dal Pdl e l'ha deciso da tempo. Se vuole fare dei gruppi autonomi, faccia pure, ma così facendo è fuori dal Pdl". E ancora: "A Fini ho fatto veramente la corte, ho cercato di capirlo, ma è lui a voler gruppi separati".

"NON SONO IO A VOLER ROMPERE"- Le parole del Cavaliere sono trapelate dall'ufficio di presidenza del partito da lui stesso convocato per quelle che erano state definite come "comunicazioni urgenti" dopo il faccia a faccia di giovedì con il presidente della Camera. Tra i due cofondatori del partito, in ogni caso, resta il gelo. E se l'ex capo di An aveva detto di

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, i due

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, i due

confidare in un chiarimento nel corso della riunione della direzione generale di giovedì prossimo, il Cavaliere ha deciso di giocare di anticipo e di chiamare già oggi attorno a sé il vertice pidiellino. Il summit dello stato maggiore del centrodestra è ancora in corso, ma dalle agenzie di stampa trapelano le prime indiscrezioni. "Ho tentato di convincere Fini, ma lui vuole fare i gruppi separati" avrebbe detto Berlusconi parlando ai principali esponenti del partito. "Questo - ha detto - è quanto è successo, ora fate voi le considerazioni". Il presidente del Consiglio ha poi replicato ad ogni intervento spiegando appunto, di non essere lui a voler rompere. "Io voglio solo le riforme", ha detto secondo quanto viene riferito. Inizialmente il cavaliere aveva esordito spiegando che "il Governo non è a guida leghista e non è assolutamente nelle mani di Tremonti", come invece gli era stato rinfacciato da Fini.

L'UFFICIO DI PRESIDENZA: "FINI DESISTA" - La convocazione dell'ufficio di presidenza - di cui fanno parte 37 membri tra cui lo stesso Berlusconi e i tre coordinatori Bondi, La Russa e Verdini, ma non ad esempio Gianfranco Fini - sembrava insomma essere stato il modo per ufficializzare una volta di più lo stato di tensione. Questa mossa ha spiazzato i finiani. Stamane, alcuni di loro - tra cui Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Flavia Perina e Adolo Urso - alla spicciolata hanno visto Fini attorno all'ora di pranzo. Ma al termine del vertice il Presidente del Consiglio ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha rivolto un nuovo invito a Fini, approvato all'unanimità dall'ufficio di presidenza: desistere dall'idea di creare gruppi autonomi per continuare a lavorare insieme: "C'è grande volontà di proseguire questa storica avventura". Ma, a sgombrare il campo dagli equivoci, "il governo va avanti comunque: quella del voto anticipato è un'eventualità che vogliamo scongiurare". Il premier ha però posto anche dei paletti, a cominciare dal fatto che a suo avviso la creazione di gruppi da parte di Fini sarebbe una scissione, incompatibile con la prosecuzione del suo incarico di presidente della Camera". In conclusione Berlusconi si è detto fiducioso che si possano superare le incomprensioni: "Attendo la risposta di Fini e spero che sia positiva".

FINI FIDUCIOSO - Quasi in contemporanea all'annuncio della convocazione dell'ufficio di presidenza, le agenzie avevano diramato una dichiarazione di Gianfranco Fini che parlava in positivo della convocazione per giovedì prossimo della direzione nazionale del Pdl (un organismo composto da 171 membri) allargata ai gruppi parlamentari: "E' sul piano del metodo, una prima risposta positiva ai problemi politici che ho posto ieri al presidente Berlusconi" ha detto il numero uno di Montecitorio. "Mi auguro - ha aggiunto - che a partire dalla riunione, cui parteciperò, possa articolarsi una risposta positiva anche nel merito delle questioni sul tappeto, a cominciare dal rapporto tra il Pdl e la Lega".

ERA GIA' IN PROGRAMMA - Tuttavia ambienti del Pdl fanno sapere che la direzione nazionale era già stata convocata nel quadro della consultazione degli organi di partito decisa dopo le regionali. Come dire : non è una conseguenza delle richieste di chiarimento avanzate dall'ex leader di An. Dopo l'ufficio di presidenza dei giorni scorsi doveva riunirsi anche il Consiglio nazionale, ma dato il numero dei componenti del "parlamentino" Pdl, circa mille tra parlamentari e rappresentanti ai diversi livelli locali, si è data priorità alla direzione, decisamente più "asciutta".

BOSSI PESSIMISTA - Il leader della Lega, Umberto Bossi, dopo aver consigliato al Cavaliere di "trattare" con Fini ("Farebbero bene a non strappare e a trovare l’accordo") osserva dall'esterno. E prevede foschi risvolti per il governo: "Quale scenario? Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni". E poi aggiunge: "Non ho certezze ma temo che la cosa non si rimetterà a posto...". Ma è stato lei a fare arrabbiare Fini?, hanno insistito i cronisti. Bossi si è limitato ad agitare un pugno come a voler colpire scherzosamente chi gli aveva rivolto la domanda.

La prima pagina del "Secolo d'Italia"

La prima pagina del "Secolo d'Italia"

IL SECOLO: SERVE UNA "RUPTURE" - Che quelle in atto non siano semplici scaramucce verbali lo conferma la minaccia di costituire gruppi autonomi in Parlamento da parte degli ex di An rimasti fedeli a Fini. E lo certifica anche il Secolo, l'ex quotidiano di An oggi considerato vicino alle posizioni del presidente della Camera, che sottolinea come "nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dei media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di "rupture", di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà".

La prima pagina del "Riformista"

La prima pagina del "Riformista"

GLI SCENARI - Resta dunque da vedere se le "comunicazioni" di Berlusconi saranno propedeutiche alla riappacificazione tra i due, che potrebbe dunque essere sancita dalla direzione nazionale, o se, piuttosto, non si riveleranno una mossa da contrattacco: la decisione di mettere subito le cose in chiaro da parte del premier, che nei retroscena raccolti dopo l'incontro di Fini aveva quasi auspicato una resa dei conti finale. Un divorzio annunciato, secondo molti (e secondo la prima pagina del Riformista, che fa un richiamo diretto al caso Veronica). Il Velino, l'agenzia di stampa che ha come editoriale Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, scrive che "le prospettive di una ricucitura restano vacillanti. Il clima resta segnato da tensione e incertezza". Mette tuttavia le mani avanti e cerca di ammonire sui rischi di gesti avventati il ministro per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, secondo cui Berlusconi e Fini "troveranno la quadra". Anche perché, fa notare, "l'elettorato del Pdl non ci perdonerebbe scissioni. Il nostro dovere è quello di realizzare il programma di governo".

Redazione online

16 aprile 2010

 

 

 

 

Il colloquio

Le ultime accuse: hai comprato

gli ex di An e la Lega ti ricatta

"Gli parlavo dei problemi e mi rispondeva con le frasi dell’ultimo comizio"

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Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi in una foto d'archivio. (Ansa)

Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi in una foto d'archivio. (Ansa)

"Elezioni anticipate? Ma davvero c’è chi pensa che in Parlamento non ci sarebbero i numeri per formare un altro governo?". Fini non lo pensa, così com’è altrettanto chiaro che non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi del ribaltone.

Dopo una vita passata a condannare quelli che in un discorso alla Camera additò come i "puttani della politica", non sarà certo Fini a fare il voltagabbana. Semmai la constatazione del presidente della Camera è il segno dell’escalation nello scontro con Berlusconi. E dal tono basso della voce s’intuisce lo stato d’animo dell’ex leader di An, un misto di rabbia e di determinazione, l’idea cioè che era inevitabile lo showdown con l’altro "cofondatore " del Pdl, che non fosse possibile andare avanti così, "perché per un anno ho posto i problemi con le buone, e la cosa non ha sortito effetti. Ora vedremo se Berlusconi capirà".

Durante il pranzo pare che il premier non l’abbia capito, se è vero che Fini ritorna con la mente al colloquio e lo racconta con un senso di stupore: "Io gli parlavo delle questioni e lui mi rispondeva con le frasi che aveva usato al comizio di piazza San Giovanni...". E le "questioni " sollevate sono altrettanti nodi politici, esplicitati con crudezza verbale inusitata: "Tu, Silvio, hai abdicato al tuo ruolo. E io sono stato condannato alla marginalizzazione. La Lega ti ricatta. L’economia è in mano a Tremonti. Il 30%, che era la quota di An nel Pdl, è composto da persone che hai comprato".

A Gianni Letta è toccato festeggiare il compleanno in un clima che di festa non aveva nulla, e ha constatato di persona quanto sia profonda la rottura tra i due, per quanto non ancora irreversibile. È in quegli spazi angusti che il braccio destro del Cavaliere lavora per tentare di trovare un compromesso, che Berlusconi però non vuol concedere, sebbene si sia licenziato dall’inquilino di Montecitorio, dicendo: "Diamoci tempo, almeno fino a lunedì". "Io aspetto", commenta l’ex leader di An: "Dipende da come reagirà Berlusconi, quali iniziative vorrà assumere, se si rende conto che i problemi ci sono, che non me li sono inventati. Io aspetto di sapere come pensa di affrontarli e risolverli".

"L’impegno della concertazione ", per esempio, non è mai stato mantenuto dal Cavaliere, secondo Fini, che cita l’ultimo episodio, "il più eclatante": il patto di Arcore sulla "bozza Calderoli" per le riforme, e quel che è accaduto dopo. "Non è pensabile che un ministro della Repubblica salga al Quirinale per presentare un progetto di revisione costituzionale, e che dinnanzi alle mie perplessità Berlusconi risponda: "Cosa vuoi che sia...". Cosa vuoi che sia... Ma dove siamo? Dove siamo? ". Non c’è più nulla che unisca il presidente della Camera e il presidente del Consiglio, tranne la comune appartenenza al partito che insieme hanno fondato. E anche questo punto in comune si va velocemente logorando, se è vero che ieri sera i coordinatori del Pdl hanno fatto quadrato attorno a Berlusconi, ponendo l’ex capo della destra quasi fuori dalla creatura che un anno fa ha tenuto a battesimo, e definendo "incomprensibile" il suo atteggiamento.

"Un partito è un partito se si discute e ci si confronta ", è la tesi di Fini: "Un partito non può servire solo a cantare "Meno male che Silvio c’è"". Il punto è che "Silvio" ha vinto le elezioni, ribaltando da solo i pronostici che lo davano per sconfitto. Fini lo sa, lo ha detto all’indomani del voto nei suoi colloqui riservati: "Ha vinto lui. Si è preso sulle spalle anche la Polverini ". E il risultato della Lega al Nord ha contribuito a saldare un asse che fa di Berlusconi e Bossi i titolari della ditta, lasciando il presidente della Camera senza ruolo. Il "tridente ", che sinora non c’è mai stato, difficilmente potrebbe nascere oggi.

Per conquistarsi lo spazio Fini è pronto al gesto dirompente, alla nascita dei gruppi parlamentari del "Pdl-Italia". Introduce l’argomento ricordando che "all’Assemblea regionale siciliana esiste il gruppo del Pdl e quello del Pdl-Sicilia. Lì Berlusconi non è intervenuto per risolvere il problema, dando l’impressione che del partito non gli freghi nulla, considerandolo poco più di una corte di laudatores. Perciò aspetto, confido in una svolta, altrimenti—come in Sicilia—anche a Roma nasceranno gruppi parlamentari autonomi, pronti a sostenere lealmente il governo, ma ponendosi degli obiettivi politici".

Evocando la Sicilia, Fini sa di lanciare una dichiarazione di guerra, p e r c h é n e l l ’ i s o l a r e g n a l’ingovernabilità. Dunque il problema non è se davvero il presidente della Camera possa contare su una settantina di parlamentari, con una cinquantina di deputati e venti senatori. Il problema è politico: semmai si dovesse riprodurre a Roma la spaccatura del Pdl siciliano, il premier non sarebbe più leader ma diverrebbe "ostaggio", posto al centro di una tenaglia con la Lega a far da contrappunto ai finiani. Nel gioco al rialzo dell’inquilino di Montecitorio è intervenuto il presidente del Senato, chiedendo piatto: "Quando la maggioranza si divide, la parola torna al corpo elettorale". Ed è evidente quale sia lo scopo: minacciando il ricorso alle urne, si vuole evitare che Fini possa infoltire i propri gruppi, posti al riparo dal voto anticipato.

La verità è che nessuno pensa a ribaltoni e ad elezioni. Non ci pensa il premier, non ci pensa il presidente della Camera e non ci pensa tanto meno Bossi. Anzi, proprio il Senatùr è il più fiero avversario della fine traumatica della legislatura, perché in quel caso sfumerebbe il federalismo fiscale, dato che i decreti attuativi non sono stati ancora varati. Di più. Il giorno in cui la Consulta bocciò il lodo Alfano, Fini e Bossi si incontrarono, sottoscrivendo un comunicato in cui escludevano il ritorno alle urne e proponevano di andare avanti con le riforme. Ecco l’incastro, tutti i leader del centrodestra sono vittime e carnefici dello stallo che si è verificato. Non è dato sapere quanto potrà durare la prova muscolare, né se cesserà e quale sarà l’eventuale compromesso. Anche perché Berlusconi giura di non aver capito cosa vuole Fini, "non l’ho capito", ha confidato al termine del vertice: "Gliel’ho anche chiesto". E lui? "Mi ha risposto che il suo pensiero è noto, che l’ha espresso pubblicamente. Mah...". Possibile che il Cavaliere non l’abbia intuito? Perché Bossi, che pure non partecipava a quel colloquio, l’ha spiegato: "Non sono a pranzo con loro perché sarei il terzo incomodo".

Francesco Verderami

16 aprile 2010

 

 

 

 

 

Dietro le quinte | La speranza che il cofondatore lasci la guida della Camera

Lo sfogo del Cavaliere: se va via finisce l’incubo e lo seguono in 7 o 8

"Così si mette automaticamente fuori dal partito"

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In una foto d'archivio dell'11 aprile 2006 Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini a Palazzo Chigi (Ansa)

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ROMA — Sembra che Fini si sia preso due giorni di tempo, Berlusconi sono mesi che dice di non avere tempo da perdere. Ovviamente con Fini. Da ieri pomeriggio per il premier il vaso è traboccato. Meglio semmai impegnarsi nella ricerca di truppe di rincalzo, magari nell'Udc, per bilanciare l'eventuale fuoriuscita dei finiani dalla maggioranza. È uno scenario verosimile? Forse no, ma il Cavaliere è convinto che non sarebbe un dramma: "Se andasse via — ha confidato — al massimo lo seguirebbero sette-otto persone e sarebbe la fine di un incubo".

Ieri pomeriggio Berlusconi si è sentito anche sollevato. Al termine dell'incontro con il presidente della Camera si è concesso una passeggiata per le vie del centro della capitale, risposta plastica ad un pranzo tempestoso. Ha scherzato con gli amici dicendo di sentirsi più leggero: non più legato al dovere di mediare continuamente sulle richieste del cofondatore del Pdl, che alla sua sensibilità sono sempre apparse questioni di lana caprina, inutile perdita di tempo.

Di che si tratti è chiaro alla cerchia dei più stretti collaboratori di Berlusconi: Maurizio Gasparri non va più bene, a Fini, come capogruppo del Pdl al Senato? Non è un problema del Cavaliere. Ignazio La Russa dà ombra al presidente della Camera? Anche in questo caso il premier considera la questione minimale, comunque tutta interna alla matrice stessa della famiglia finiana. Alcuni coordinatori regionali andrebbero sostituiti? Alcuni indirizzi del governo modificati? Esistono un partito ed organi che discutono, si riuniscono e poi decidono. C'è un'assenza di democrazia interna? Non è una questione che si può risolvere a tavolino davanti a una sogliola. In sintesi, con le parole ufficiose di Palazzo Chigi: "I problemi li ha posti Fini, per noi non esistono, non sono mai esistiti, non dobbiamo dare alcuna risposta".

Esiste invece, agli occhi del Cavaliere, una sostanziale questione di tempi. Fini, dice, i tempi li ha sbagliati tutti. Lui è appena rientrato dagli Stati Uniti, dal vertice sulla sicurezza nucleare voluto da Obama, sarà domenica ai funerali del presidente polacco, andrà alla fiera di Hannover lunedì prossimo, ha spedito ieri una lettera ai vertici della Ue scritta insieme a Sarkozy. Ultimo, ma non ultimo: ha appena vinto le elezioni. Se il vaso è colmo, agli occhi del presidente del Consiglio, è anche per l'accelerazione di un confronto mirato allo scontro su un'agenda ritenuta marginale, quasi pretestuosa ed in ogni caso tutta interna all'assetto della maggioranza, che i primi a non capire sono proprio gli elettori del Pdl.

Persino a Palazzo Chigi, fra coloro che di solito sono prudenti, si registra scarso ottimismo. Non ci sarebbero più margini per una ricomposizione. Altre volte, troppe volte, la polvere è andata a finire sotto il tappeto, per riaffiorare al pranzo successivo. Nei mesi scorsi Berlusconi ha immaginato più volte un Popolo della Libertà senza Fini, ne ha parlato in privato, sceneggiando un futuro in cui persino il ritorno al voto non era escluso, mentre il partito cambiava nome, per conservare gli elettori, al netto dell' alleato. Ieri aggiungeva una speranza più immediata: non averlo più come presidente della Camera.

Se glielo abbia detto in faccia o meno, in fondo, cambia poco. All'ora di cena, a casa sua, con i coordinatori del partito convocati in gran fretta, insieme all'impulsiva minaccia di un ritorno al voto riassumeva così: "È stato lui a promettermi di fare un passo indietro il giorno in cui fosse tornato a fare politica piena, spero proprio che adesso, se andrà avanti, onori quella promessa". Infine una postilla: "Ovviamente chi fa o promuove un gruppo parlamentare diverso dal Pdl si pone fuori dal partito". È già scattata la conta sui numeri e il Cavaliere resta convinto di aver fatto bene i suoi conti.

Marco Galluzzo

16 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

IL SEMINARIO A VALMONTONE

La rottura Pdl fa scintille anche nel Pd

Scontro tra D'Alema e Franceschini su l'apertura a Fini

IL SEMINARIO A VALMONTONE

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Scontro tra D'Alema e Franceschini su l'apertura a Fini

MILANO - La tempesta che sta scuotendo il Pdl e lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi stappano il vaso di Pandora delle visioni, distinte, che convivono del Pd fin dalla sua nascita. L'occasione è il seminario dei Liberal Pd a Valmontone. I protagonisti sono Massimo D'Alema, esponente di spicco della maggioranza del partito, e Dario Franceschini, leader della minoranza. In platea, ad ascoltare, c'è Pier Luigi Bersani. Insomma, il 'gotha' dei dirigenti Pd che sabato si ritroveranno in una delicata riunione della Direzione del partito dopo il risultato deludente delle regionali. La domanda di fondo è: come fa il Pd a vincere e ad andare al governo del paese?

Bersani e D'Alema (Lapresse)

Bersani e D'Alema (Lapresse)

SCINTILLE - Le risposte di D'alema e Franceschini sono lontane, a volte opposte. Franceschini rilancia il modello veltroniano di partito, ovvero il recupero dell'appeal innovativo delle origini, la vocazione maggioritaria, un netto schema bipolare. Per D'Alema quel progetto lì, ha giá mostrato la corda. Semmai la strada da seguire è tutt'altra: solo superando l'attuale bipolarismo si possono rimescolare le carte, si rompe un sistema cristallizzato attorno al blocco di potere di Berlusconi, si rompono le gabbie che stringono le forze politiche. Solo così si potranno aprire nuove prospettive per il Pd con un dialogo con Casini, innanzitutto, ma anche con Gianfranco Fini. Nell'ipotesi, insomma, che il Pdl venga meno per D'Alema l'attuale presidente della Camera può essere un interlocutore sia sul piano delle riforme che dei contenuti, vedi l'immigrazione o la bioetica. Gelido Franceschini che ribatte: "Fini è un avversario che cerca di costruire una destra normale e non sotto padrone, ma resta pur sempre un avversario". Per il leader della minoranza Pd sarebbe ipotizzabile un avvicinamento solo se vi fosse "un'emergenza democratica". Tolto questo caso, "credo che gli italiani si aspettino dal Pd non discussioni di ingegneria istituzionale, ma che riprenda la sua ragione di nascita, ovvero cambiare il paese". Ma per D'Alema "l'emergenza democratica c'è già. Franceschini è contraddittorio perchè da una parte non facciamo che dire che la democrazia è a rischio, che si va verso un sistema plebiscitario, che la libertá di informazione è minacciata. Più emergenza democratica di così...".

BERSANI - A Valmontone c'è anche il segretario Bersani, che intervenendo ad un dibattito successivo a quello di Franceschini e D'Alema non si addentra nelle questioni sulle quali i due hanno dibattuto. Ma arrivando all'iniziativa, il segretario da sullo scontro dentro il Pdl una risposta, ai cronisti, che sembra vicina a quella di D'Alema: "Io non faccio il tifo per nessuno -dice Bersani riferendosi a Fini- ma certo noi siamo pronti a confrontarci con tutte quelle forze politiche che sono contrarie ad uno stravolgimento della Costituzione in senso plebiscitario e che criticano la politica economica di Tremonti e della Lega. Noi lo diciamo da tempo. Siamo qua e siamo pronti ad un patto repubblicano con tutti quelli che la pensano così". Per D'Alema un interlocutore possibile in questo senso, per l'eventuale 'patto repubblicano ' di cui parla Bersani, potrebbe essere anche Fini e lo spiega così: "Vorrei dire a Franceschini che Fini non è soltanto un leader che vuole una destra normale. Io sono molto attento a quello che fa Fini e su molti temi credo che i contenuti da lui espressi siano molto interessanti. Ha tenuto posizioni coraggiose e distinte da Berlusconi su temi cruciali come l'immigrazione e la bioetica, che sappiamo quanto siano delicati per la maggioranza di centrodestra. Io non sto parlando di formule o di alchimie, ma sono attento ai contenuti", spiega il presidente di ItalianiEuropei ricordando anche i tanti momenti di confronto con Fini tramite i lavori della fondazione 'FareFuturò, vicina al presidente della Camera. Per Franceschini le cose non stanno così: "Io credo che tra Berlusconi e Fini si arriverá ad una rottura. Anche perchè, se Fini questa volta torna indietro perderá di credibilitá. Lo scontro che è in atto è profondo ed è quello tra una destra normale con una sua dialettica interna o una destra sotto padrone, quella di Berlusconi per cui è un ingombro chiunque osi criticarlo". Ma detto questo per Franceschini il ruolo di Fini non può spingersi oltre il fatto che il presidente della Camera stia tentando di costruire una destra normale: "Per noi resta un avversario".

LA DISCUSSIONE - La discussione attorno al rapporto con Fini nel corso del dibattito a Valmontone tra D'Alema e Franceschini si è innestata sul la discussione attorno ad alleanze e bipolarismo. Lo schema bipolare, secondo D'Alema, va superato e spiega perchè: "Noi abbiamo perso un milione di voti rispetto alle europee, ma il Pdl ne ha persi due volte e mezzo in più. Questi dati sono la spia di una crisi anche sistemica. Siamo alla fine di un ciclo. Come si esce da questa crisi? Berlusconi è tentato di uscirne con una spallata di tipo plebiscitario. Per impedirlo occorre rompere la gabbia del bipolarismo e dare una risposta di rinnovamento sistemico. Bisogna rompere la gabbia e liberare le forze. Ma per farlo occorre che da questa parte -prosegue D'Alema- ci sia un partito che non butta indietro quelle forze perchè è autoreferenziale o dá risposte simili a quelle di Berlusconi che vuole rafforzare i meccanismi restrittivi". Quindi per D'Alema vanno cercate sponde "con quelle forze politiche che sono contro un disegno plebiscitario, contro ipotesi di presidenzialismo che indebolirebbe la coesione del paese. Tutto questo dipende molto dal Pd e da come si pone di fronte a quelle forze che vogliono liberarsi e che magari con noi possono fare un pezzo di strada insieme. Se riusciremo a fare questo verranno da noi sia Casini che Fini". Per chiudere D'Alema invita tutti ad uscire "dalla falsa discussione tra chi vuole il progetto e chi privilegia le alleanze. Altrimenti ci portano alla neuro. Sono facce della stessa medaglia". Non la pensa così Franceschini secondo cui se il Pd non recupera una sua forte identitá allora non ci può essere alleanza che tenga e si tornerebbe ad essere 'sudditi di partiti che contano poco più del 5%. "Il bipolarismo -osserva Franceschini- è una delle poche conquiste che abbiamo fatto in questi ultimi anni e non dobbiamo tornare indietro da questo sistema per tattica favorendo, magari, una legge elettorale in cui piccoli partiti diventano ago della bilancia. Non è questa la strada ed è in contrasto con la nostra storia, con la storia dell'Ulivo". L'argomentazione non convince D'Alema: "Non è affatto così perchè proprio con questo sistema sono le forze minori a condizionare tutti perchè per ottenere il premio di maggioranza occorre fare le coalizioni più larghe possibili. In questo modo si sono fatti governi che in questi 16 anni non sono riusciti a portare a casa alcuna riforma sostanziale per il paese. Con questo sistema le forze minori hanno un peso che mai hanno avuto prima, di certo non lo hanno mai avuto nella prima Repubblica". Tutto questo, aggiunge D'Alema, potrebbe essere superato con una legge elettorale che preveda il doppio turno "ma se non ce la danno, inviterei ad una riflessione un pò più approfondita, tecnicamente composta, senza abbandonarsi agli slogan". (Fonte AdnKronos)

 

16 aprile 2010

 

 

 

 

 

E sull'emergenza affollamento carceri: "Scontare ai domiciliari l'ultimo anno di pena"

"La mafia italiana famosa per Gomorra"

Il premier: "Sarebbe la sesta al mondo, ma fiction e letteratura sono un state un supporto promozionale"

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Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi (Eidon)

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ROMA - "La mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo, ma guarda caso è quella più conosciuta, perchè c'è stato un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un elemento molto negativo di giudizio per il nostro paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra programmate dalle tv di 160 paesi nel mondo e tutta la letteratura in proposito, Gomorra e il resto...". Lo ha detto il presidente del consiglio Silvio Berlusconi a margine della presentazione dei dati sulla lotta alla criminalità organizzata, dopo la riunione del Consiglio dei ministri. Già in passato il Cavaliere aveva citato lo sceneggiato della Rai come esempio di trasmissione che danneggia l'immagine del Paese. Ora ha aggiunto anche il libro di Roberto Saviano. "Vorrei dire che tutti i mafiosi di cui si parla nelle fiction - ha però chiosato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano - , l'ultima è il Capo dei capi, sono sottoposti al regime di 41 bis".

REAZIONI - Immediate reazioni alle parole del premier. Walter Veltroni ha difeso Saviano: "Roberto è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del consiglio del nostro Paese avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo". "Solidarietà piena a Marina Berlusconi per aver pubblicato e promosso il libro di Roberto Saviano, Gomorra. L'enfasi di oggi, probabilmente legata alla richiesta di 11 anni di carcere per il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, rischia di procurare grandi problemi familiari in casa Berlusconi": così la deputata del Pd, Manuela Ghizzoni commenta le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. A far muro intorno a Saviano soprattutto gli esponenti dell'Idv. Il commento più duro è quello di De Magistris, eurodeputato Idv: "In consiglio dei ministri evidentemente si usano sostanze stupefacenti, altrimenti le parole del premier non trovano giustificazione tanto sono audaci e mistificatorie". Di Pietro chiede al premier di scusarsi con lo scrittore e Belisario suggerisce al presidente del Consiglio il lettino di uno psicanalista: "Come vuole debellare il cancro in tre anni, novello padre Pio, così nello stesso arco di tempo vuole rendere l'Italia paese libero da latitanti".

"MAFIE DISTRUTTE ENTRO LEGISLATURA" - Tornando alla presentazione dei dati sulla lotta alla criminalità organizzata il premier ha ribadito la volontà del governo di porsi come obiettivo di legislatura "di avere distrutto tutte le organizzazioni criminali". "Abbiamo superato le cinquecento operazioni di polizia giudiziaria, con quasi cinquemila arresti di presunti criminali - ha sottolineato - . La nostra azione di contrasto alla criminalità organizzata non ha nessun paragone possibili con precedenti governi". "In meno di due anni di governo - ha aggiunto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni - abbiamo arrestato 23 latitanti della lista dei 30, considerati come i più pericolosi. L'ultimo, due giorni fa, è Nicola Panaro detto 'Nicolinò vero reggente del clan dei Casalesi". Il ministro ha poi evidenziato che "sono stati sottratti alla criminalità organizzata oltre 10 miliardi di euro". "Sono 16.679 i beni sequestrati alla criminalità organizzata - ha precisato Maroni - per un controvalore di 2 miliardi di euro mentre ne sono stati confiscati 4407, al 31 marzo, per un controvalore di 2 miliardi. Complessivamente il patrimonio sottratto alla mafia da quando siamo al governo supera largamente i 10 miliardi di euro". Maroni ha poi fatto osservare come "gli interessi delle organizzazioni criminali si stanno spostando fuori dall'Italia perchè sta diventando un paese in cui queste organizzazioni non si sentono più a proprio agio".

ULTIMO ANNO DI CARCERE AI DOMICILIARI - Berlusconi ha poi spiegato che l'esecutivo è al lavoro sul fronte dell'emergenza affollamento nelle carceri e che a questo proposito si potrebbe pensare di far scontare ai detenuti l'ultimo anno di carcere ai domiciliari. "Stiamo lavorando per aumentare la capacità delle carceri - ha detto - e a un decreto legge che preveda che a chi manca solo un anno di detenzione vada ai domiciliari. Nessuno ha interesse a sottrarsi a questa misura perché se scappassero vedrebbero raddoppiata la durata della loro detenzione".

LE REAZIONI - Molte le reazioni negative alle parole di Berlusconi. Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, esorta il Cavaliere a chiedere scusa a Saviano; la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, parla invece di "parole inquietanti e assurde". Il verde Angelo Bonelli si dice convinto che il leader del Pdl stia "sragionando": "Non si riesce a comprendere perchè il premier voglia denigrare uno dei simboli della lotta alla criminalità organizzata nel nostro Paese. Fa forse il tifo per l'altra parte?". E il presidente dei senatori dell'Udc, Gianpiero D'Alia, evidenzia come le dichiarazioni del premier siano "del tutto fuori luogo e offendono non solo Saviano, ma tutte le persone vittime delle mafie". Critico anche Pier Luigi Vigna, già procuratore nazionale antimafia e procuratore onorario della Cassazione: "Mi sembra una dichiarazione impropria, perchè il libro di Saviano ha aperto gli occhi a gran parte dell'opinione pubblica sulla camorra e quindi mi sembra che sia stato un libro molto utile". L'attore e regista Michele Placido, che de La Piovra fu il protagonista, dice invece che Berlusconi "sbaglia di grosso" e evidenzia come Saviano sia "una persona che tutta l'Italia deve avere nel cuore, un cittadino con il suo coraggio deve renderci orgogliosi. Oggi più che mai siamo tutti Saviano". Legambiente, infine, ha deciso di regalare al capo del governo una copia del film "Il Padrino": "Ricordiamo al Premier le parole di Paolo Borsellino ‘Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene’".

Redazione online

16 aprile 2010

 

 

 

 

 

2010-04-15

SCHIFANI: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori"

Pdl, alta tensione tra Fini e Berlusconi

"Ho parlato chiaro, attendo valutazioni"

Prima l'ipotesi di gruppi autonomi da parte del presidente della Camera. Poi la nota: "Pdl va rafforzato"

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Silvio Berlusconi (Ansa)

Silvio Berlusconi (Ansa)

MILANO - Alta tensione tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. I due, che hanno pranzato insieme a Montecitorio, incontrandosi per la prima volta dalle giornate elettorali, sarebbero stati protagonisti di un colloquio molto teso. Le indiscrezioni sull'incontro parlavano inizialmente di toni di rottura tra i due fondatori del Pdl. Ricostruzioni, però, parzialmente smentite da note ufficiali e segnali distensivi lanciati da entrambe le parti. Ma che non avrebbero tanto convinto gli ex di Forza Italia, visto che, in serata, il presidente del Senato Renato Schifani si lascia andare ad una dichiarazione inequivocabile: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori". Secca la replica del ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi: "Il presidente del Senato dovrebbe sapere che si va a votare quando non esiste più una maggioranza che sostiene il governo". Ma gli stessi coordinatori del Pdl, dopo il vertice con il premier a Palazzo Grazioli, definiscono "incomprensibile" l'atteggiamento di Fini.

IL CONFRONTO - Eppure era stato lo stesso presidente della Camera, dopo il colloquio con Berlusconi, a cercare di smorzare i toni diffondendo una nota: "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale". Per il presidente della Camera il premier "ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni". Una nota, quella del leader di Montecitorio, arrivata però dopo una serie di indiscrezioni sul tenore del vertice con il Cavaliere. Il presidente della Camera avrebbe minacciato, secondo quanto viene riferito da alcune fonti della maggioranza, l'ipotesi di creare in Parlamento gruppi autonomi dal Pdl. Una ipotesi rilanciata dal finiano Italo Bocchino: "I gruppi autonomi possono esserci nel caso in cui arrivassero risposte negative ai problemi posti. Non è possibile che il co-fondatore e co-leader del Pdl apprenda per ultimo della bozza delle riforme. Una bozza presentata in una cena tra canzoni e festeggiamenti per il figlio di Bossi e per Cota". Una eventuale crisi di governo è però "da escludere categoricamente" secondo Bocchino. Berlusconi dal canto suo avrebbe invitato il leader di Montecitorio a pensare bene a tale eventualità, valutando il fatto che la scelta di gruppi autonomi comporterebbe la necessità di rinunciare al ruolo di presidente della Camera, che ora Fini ricopre anche in virtù del fatto di essere espressione del partito di maggioranza relativa della coalizione. Altre fonti della maggioranza riferiscono tuttavia che il presidente Berlusconi non ha mai invitato il presidente Fini a lasciare la presidenza della Camera.

ULTIMATUM E PAUSA DI RIFLESSIONE - Sempre secondo fonti di maggioranza, Fini avrebbe accusato il capo del governo e il Pdl di andare a traino della Lega, chiedendo esplicitamente a Berlusconi di scegliere in modo chiaro se continuare a costruire il Pdl con lui o preferirgli il rapporto con Umberto Bossi. A questo punto il premier - riferiscono le stesse fonti - avrebbe chiesto 48 ore di riflessione. Secondo quanto riferito alla Reuters da una fonte vicina agli ex An, l'incontro tra il Cavaliere e Fini è stato "tumultuoso". Secondo altre fonti invece "non c'è stato alcun ultimatum del presidente Fini al premier Berlusconi.

L'INIZIALE CAUTELA - Le indiscrezioni e le note sul pranzo di lavoro tra premier e presidente della Camera sono arrivati dopo l'iniziale cautela mostrata a riguardo da entrambi i leader del Pdl. "Ho mangiato benissimo" aveva detto sorridendo il capo del governo lasciando gli appartamenti del presidente della Camera e salutando i giornalisti in attesa. "Come è andato l'incontro?" gli era stato chiesto. "Giornalisti birichini. Non mi pronuncio", si era limitato a rispondere il premier. Poi, al termine di una breve passeggiata per via del Babbuino, nel centro di Roma, incalzato ancora dai cronisti sul pranzo di lavoro con Fini, il Cavaliere aveva anche spiegato: "Ma io... fatevelo dire dagli altri. Sapete che sono riservato...".

PRONTI NUOVI GRUPPI - Indiscrezioni a parte, a Montecitorio c'è stato addirittura un incontro dei deputati vicini al presidente della Camera per valutare proprio l’ipotesi di costituire un gruppo autonomo dal Popolo della Libertà. Una possibilità già sul tappeto prima del vertice tra i due leader ma che ha subìto un’accelerazione durante l’incontro tra i due. "Tu ci stai?". Il presidente della Camera, i suoi deputati più fedeli e il suo staff avrebbero contattato in queste ultime ore diversi deputati che potrebbero aderire al progetto di gruppi autonomi, dopo il nuovo strappo con Berlusconi. Un'ipotesi è che il gruppo potrebbe chiamarsi Pdl-Italia, riferiscono alcune fonti vicine all'ex leader di An. Secondo le stesse fonti i deputati che ci starebbero sono circa 50, 18 invece i senatori.

IL VERTICE - In serata, nel frattempo, Berlusconi ha riunito a Palazzo Grazioli i coordinatori nazionali del partito Ignazio La Russa, Denis Verdini e Sandro Bondi. Coordinatori che poi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta: "Le recenti elezioni regionali e amministrative hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, un traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità e intelligenza, hanno premiato l'azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso e dell'ulteriore rafforzamento del nostro partito. Da queste inoppugnabili considerazioni nasce la nostra profonda amarezza per l'atteggiamento di Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano".

BERSANI E DI PIETRO - "Credo che il centrodestra abbia più problemi di quello che racconta, anche dal punto di vista delle riforme" è il laconico commento del segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che attacca il presidente del Consiglio: "La presidenza della Camera non mi pare sia nella disponibilità di Berlusconi. Sarebbe meglio se Berlusconi fosse più prudente". Duro Antonio Di Pietro "Per il bene del Paese prima ci liberiamo del sistema piduista, che sta portando avanti Berlusconi nel governare non solo il Paese, ma anche nel guidare il Parlamento, meglio . Mi fa piacere che lo abbia capito anche Fini e mi auguro che la prossima volta lo capiscano anche gli italiani" ha detto l'ex pm.

BOSSI - Ha sminuito la portata dell'incontro invece il leader della Lega Umberto Bossi. Ai cronisti che a Montecitorio gli chiedevano cosa pensasse dell'incontro aveva detto: "Il vertice c'è già stato a Palazzo Chigi". "Io al pranzo Fini-Berlusconi? No, sarei il terzo incomodo" aveva anche aggiunto il numero uno del Carroccio.

Redazione online

15 aprile 2010

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-05-06

Berlusconi: "Mai parlato di congiura"

Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega

Il premier smentisce le dichiarazioni riportate ieri dalla stampa e parlando dell'interim allo Sviluppo economico assicura: "Sarà breve". Bossi: "Forse Galan al posto di Scajola e un leghista all'Agricoltura". Il ministro della Difesa: "Sarà un politico del Pdl". Anm al premier: "Facciamo solo il nostro dovere"

Berlusconi: "Mai parlato di congiura" Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega Silvio Berlusconi

ROMA - "Non ho mai parlato di congiure e complotti. Il termine congiura lo avete scritto voi, penso di non averlo mai detto in vita mia, è un vocabolo che non mi appartiene" ha detto il premier Silvio Berlusconi conversando con i giornalisti smentendo le dichiarazioni riportate ieri 1 e replicando a chi gli faceva notare che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avesse preso le distanze da un'ipotesi del genere.

Il premier ha quindi esposto il suo pensiero: "Penso che tutto va avanti come è sempre andato avanti, e cioè con alcuni magistrati politicizzati e basta. Io di natura credo di non avere mai detto congiura in vita mia. Mai, non è assolutamente un mio vocabolo". E dunque, ha concluso, "non ho mai detto né congiura né complotto". A queste parole ha risposto l'Associzione nazionale dei magistrati: "Ci sono delle inchieste giudiziarie, i giudici hanno un compito da svolgere che gli assegna la Costituzione, di accertare appunto se determinati fatti costituiscono reato".

Premier: "Interim sarà breve". Poi, parlando dell'interim allo Sviluppo economico, Berlusconi ha assicurato che "sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo". "E' un incarico - ha precisato - diciamo così, tecnico. Durerà giorni". Berlusconi ha aggiunto che sulla scelta del successore di Scajola, serviranno dei giorni perché "devo consultarmi anche con gli alleati, all'interno del governo e mi sono preso qualche giorno di tempo per una decisione che deve essere ponderata". Nomi in campo? "Ci sono alcuni nomi che ho in mente", ha risposto il premier.

Chi sostituirà Scajola? Umberto Bossi ragiona, con i cronisti a Montecitorio, del dopo-Scajola. Si parla di Giancarlo Galan al posto di Claudio Scajola al ministero dello Sviluppo economico e di un leghista al dicastero dell'Agricoltura di Luca Zaia. Uno scenario possibile secondo il leader del Carroccio. "Potrebbe anche essere", replica il senatur. Ma dal Pdl arriva uno stop. "Abbiamo appena fatto un riequilibrio con la Lega - dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa dopo la riunione tenutasi a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi ed i vertici del Pdl - Io penso che gli equilibri all'interno della coalizione siano già corretti. Non ci saranno drammi ma credo che sarà un politico del PdL e non un tecnico".

Schifani: "Sul ddl anticorruzione fare presto". Intanto oggi il presidente del Senato, Renato Schifani, ha sollecitato, con una lettera, i presidenti delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia "a una definizione in tempi brevi" del ddl anticorruzione "per consentire una sollecita calendarizzazione del provvedimento in Assemblea".

(06 maggio 2010)

 

 

 

 

Berlusconi: "Mai parlato di congiura"

Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega

Il premier smentisce le dichiarazioni riportate ieri dalla stampa e parlando dell'interim allo Sviluppo economico assicura: "Sarà breve". Bossi: "Forse Galan al posto di Scajola e un leghista all'Agricoltura". Il ministro della Difesa: "Sarà un politico del Pdl". Anm al premier: "Facciamo solo il nostro dovere"

Berlusconi: "Mai parlato di congiura" Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega Silvio Berlusconi

ROMA - "Non ho mai parlato di congiure e complotti. Il termine congiura lo avete scritto voi, penso di non averlo mai detto in vita mia, è un vocabolo che non mi appartiene" ha detto il premier Silvio Berlusconi conversando con i giornalisti smentendo le dichiarazioni riportate ieri 1 e replicando a chi gli faceva notare che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avesse preso le distanze da un'ipotesi del genere.

Il premier ha quindi esposto il suo pensiero: "Penso che tutto va avanti come è sempre andato avanti, e cioè con alcuni magistrati politicizzati e basta. Io di natura credo di non avere mai detto congiura in vita mia. Mai, non è assolutamente un mio vocabolo". E dunque, ha concluso, "non ho mai detto né congiura né complotto". A queste parole ha risposto l'Associzione nazionale dei magistrati: "Ci sono delle inchieste giudiziarie, i giudici hanno un compito da svolgere che gli assegna la Costituzione, di accertare appunto se determinati fatti costituiscono reato".

Premier: "Interim sarà breve". Poi, parlando dell'interim allo Sviluppo economico, Berlusconi ha assicurato che "sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo". "E' un incarico - ha precisato - diciamo così, tecnico. Durerà giorni". Berlusconi ha aggiunto che sulla scelta del successore di Scajola, serviranno dei giorni perché "devo consultarmi anche con gli alleati, all'interno del governo e mi sono preso qualche giorno di tempo per una decisione che deve essere ponderata". Nomi in campo? "Ci sono alcuni nomi che ho in mente", ha risposto il premier.

Chi sostituirà Scajola? Umberto Bossi ragiona, con i cronisti a Montecitorio, del dopo-Scajola. Si parla di Giancarlo Galan al posto di Claudio Scajola al ministero dello Sviluppo economico e di un leghista al dicastero dell'Agricoltura di Luca Zaia. Uno scenario possibile secondo il leader del Carroccio. "Potrebbe anche essere", replica il senatur. Ma dal Pdl arriva uno stop. "Abbiamo appena fatto un riequilibrio con la Lega - dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa dopo la riunione tenutasi a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi ed i vertici del Pdl - Io penso che gli equilibri all'interno della coalizione siano già corretti. Non ci saranno drammi ma credo che sarà un politico del PdL e non un tecnico".

Schifani: "Sul ddl anticorruzione fare presto". Intanto oggi il presidente del Senato, Renato Schifani, ha sollecitato, con una lettera, i presidenti delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia "a una definizione in tempi brevi" del ddl anticorruzione "per consentire una sollecita calendarizzazione del provvedimento in Assemblea".

(06 maggio 2010)

 

 

 

INCHIESTA APPALTI

Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia"

Escluse le dimissioni: "Da cosa mi dimetto?"

Intervenuto a "La telefonata" di Mattino5, per il coordinatore nazionale del Pdl si tratta di "un altro processo mediatico". "Avrò fatto qualche telefonata. Ma nulla di sostanziale, non avevo nessuna responsabilità di governo. Io non posso fare niente di concreto"

Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia" Escluse le dimissioni: "Da cosa mi dimetto?" Denis Verdini

ROMA - Denis Verdini nega, non sa di essere indagato per corruzione 1 nel business degli appalti dell'eolico in Sardegna, ribadisce che il suo presunto coinvolgimento "è una follia". Intervenuto a "La telefonata" di Maurizio Belpietro a Mattino5, il coordinatore nazionale del Pdl ha dichiarato: "Avvisi di garanzia non ne ho ricevuti. Dicono che sono indagato ma io non so niente".

Per Verdini si tratta di un processo mediatico, una gogna pubblica. "Mi sembra una follia quello che sta accadendo, un'operazione di violazione costante del segreto istruttorio, ti espongono a processi mediatici a quali non voglio stare - ha detto nell'intervento -. Si reclama che i politici vogliono sfuggire ai processi, invece i processi vengono fatti altrove. Mi sento tranquillo e mi attengo ai fatti".

"Quando uno fa politica - ha aggiunto durante il programma - può fare delle cose ma nessuna illegitimità. Avrò fatto qualche telefonata ma non c'è nulla di sostanziale, non avevo nessuna responsabilità di governo o funzioni, non posso fare niente di concreto. Sono opinioni dei magistrati con cui voglio confrontarmi". Verdini ha aggiunto che "nessuno mi ha detto niente, ho letto solo sui giornali. Anemone non lo conosco, mai visto. Ci sono altre persone con cui ho parlato, ma solo quello. Non ho ricevuto alcun avviso di garanzia, è un'inchiesta vecchia, ma io non so nulla".

Per Verdini pensare al complotto è legittimo: "Ci sarà una congiura? Non lo so ma certo si ripetono sempre gli stessi fatti e con puntualità - ha detto -. E quando una cosa si ripete puntualmente diventa scientifica ed è legittimo anche sospettere delle cose".

Ma nessuna dimissione all'orizzonte, secondo Verdini quello di Scajola è stato infatti "un gesto significativo, se no la gente non è contenta di niente. Io da che mi dimetto? Non ho responsabilità di governo, solo di organizzazione del partito". E sulle possibili ripercussioni all'interno del Pdl, invece, secondo Verdini "possono prestare il fianco all'avversario vero, che vuole che il paese resti dove è invece di fare le riforme vere. Se cadesse il governo è logico che si dovrebbe andare al voto, poi ci sono delle regole da seguire ma non vedo questa questione perchè la maggioranza e il governo sono forti".

(06 maggio 2010)

 

2010-05-05

CENTRODESTRA

Caso Scajola, Berlusconi grida al complotto

Fini e Bossi lo stoppano: "Non è vero"

Il Cavaliere ha assunto l'interim e le opposizioni attaccano: "Enorme conflitto di interessi". Il presidente della Camera: "Nessuna congiura". Il leader leghista: "I magistrati fanno il loro lavoro"

Caso Scajola, Berlusconi grida al complotto Fini e Bossi lo stoppano: "Non è vero"

ROMA - "Per ora prendo l'interim, ma è chiaro che c'è una congiura contro il governo". Secondo l'agenzia Agi Silvio Berlusconi si sarebbe rivolto così ad un gruppo di senatori del Pdl a palazzo Grazioli. Il giorno dopo le dimissioni del ministro dell' Attività produttive Claudio Scajola 1 (che "ha creato un precedente pericoloso perché chiunque ora potrà chiedere le dimissioni di un ministro") il Cavaliere evita di sostituire il ministro ed assume sulle sue spalle la carica. Non rinunciando, però, a gridare al complotto. Ma questa volta nessuno segue il premier: né Gianfranco Fini, e questo era scontato, e nemmeno Umberto Bossi. Il presidente della Camera, intervistato da Sky, prende le distanze: "Non c'è nessuna congiura o accanimento dei giudici contro il governo, è un dovere di tutti tutelare il valore della legalità. Acceleriamo sul ddl anticorruzione". E lo stesso fa il leader della Lega: "Congiura? I magistrati fanno il loro lavoro". Fini a Sky ha parlato anche degli attacchi subìti dal Giornale. "Il problema è l'evidente conflitto di interessi in cui si trova l'editore". In serata il Cavaliere ha cercato comunque di recuperare con Fini. Ha convocato alcuni senatori della corrente del presidente della Camera ai quali avrebbe rivolto l'invito a riprendere il dialogo. "E' stato un incontro - aggiungono le stesse fonti - molto positivo".

"Mi prendo l'interim". "Per ora prendo l'interim. C'è da portare avanti il discorso del nucleare che è stato impostato bene" dice Berlusconi, mettendo da parte l'ipotesi di sostituire il titolare del dicastero delle Attività produttive. Non è la prima volta che il premier decide in questo modo. Nel precedente governo fu anche responsabile della Farnesina. Ad un senatore il presidente del Consiglio ha confidato di voler cercare una persona al di fuori della politica ("Se me lo faranno fare...", è stata la sua battuta), a tutti quanti ha poi ripetuto che "al momento non ci sono candidature. Meglio - questo il ragionamento - far decantare le acque e non turbare gli equilibri del governo. La durata sarà proporzionata alle candidature che emergeranno, vediamo più avanti". Nel pomeriggio il Cavaliere è salito al Quirinale dove il presidente Giorgio Napolitano ha firmato il decreto di nomina. E su questo si sono scatenate le opposizioni. Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd è secca: "Il conflitto di interessi è ora in termini solari. Il Presidente imprenditore non può anche essere ministro dello Sviluppo economico". "E' un conflitto di interessi madornale. E' la dimostrazione che ancora una volta questo governo intende farsi solo gli affari propri", aggiunge il leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro.

"C'è una congiura". E' solo l'inizio. "Attaccheranno altri personaggi a me vicini ed altri esponenti di governo. Lo hanno fatto e lo faranno ancora" preannuncia Berlusconi ai suoi senatori. "C'è una congiura - ha teorizzato il premier secondo quanto viene riferito - di un sistema esterno al governo che ha in mano delle carte" o che "per via mediatica" tenta di disarcionare l'esecutivo. Il Cavaliere, nel suo ragionamento, ha parlato di "un gruppo quasi organizzato" che minaccia l'azione del governo, "di un 'dossier' aperto a rate che fa parte di un'operazione ben più vasta del 'caso Scajola'".

(05 maggio 2010)

 

 

 

INCHIESTA APPALTI

Appalti, anche Verdini indagato per corruzione

"Irregolarità nei progetti eolici in Sardegna"

Il coordinatore Pdl si difende: "Non mi dimetto". Bondi: "Inchieste sospette contro di noi". A Firenze accolta la richiesta dei pm. il 15 giugno inizierà il processo a Balducci, De Sanctis, Cerruti e De Vito Piscitelli per l'appalto della scuola dei marescialli

Appalti, anche Verdini indagato per corruzione "Irregolarità nei progetti eolici in Sardegna" Angelo Balducci

ROMA - Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione nell'ambito dell'inchiesta riguardante un presunto comitato d'affari che si sarebbe occupato, in maniera illecita, di appalti pubblici, in particolare i progetti sull'eolico in Sardegna. Ieri, a Firenze, è stato perquisito il Credito Cooperativo Fiorentino, istituto bancario presieduto da Verdini. Gli investigatori erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali intendono accertare la provenienza e la destinazione. In procura c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso. Verdini, intanto, si difende: "Sono estraneo alle accuse, non mi dimetto, non fa parte della mia mentalità e non ho nessuna necessità di farlo. Anemone? Non lo conosco. Complotto? Qualche sospetto viene".

Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia. Oltre a Verdini sono indagati, tutti per concorso in corruzione, anche l'uomo d'affari Flavio Carboni, il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu, il direttore generale dell'Arpa della Sardegna Ignazio Farris, e un magistrato tributario, Pasquale Lombardi.

Si aprirà intanto il 15 giugno il processo per l'appalto della scuola marescialli dei carabinieri a Firenze, filone toscano dell'inchiesta sui grandi eventi. Lo ha stabilito il gip Rosario Lupo, accogliendo la richiesta di giudizio immediato avanzata dai pm fiorentini per Angelo Balducci, Fabio De Sanctis, Guido Cerruti e Francesco Maria De Vito Piscicelli. Il gip ha invece rigettato le richieste di arresti domiciliari presentate dalle difese di Balducci e De Sanctis.

Il gip ha spiegato che la richiesta avanzata dalla procura di Firenze era "insindacabile" perché presenti i tre elementi che rendono automatico il giudizio immediato: evidenza della prova, esistenza di uno stato cautelare e il fatto che i termini per presentare istanza al tribunale del riesame fossero interamente decorsi. A questo punto gli atti entreranno nella disponibilità degli avvocati difensori degli indagati, che avranno quindici giorni di tempo per chiedere eventuali riti alternativi. Le posizioni di Denis Verdini e Riccardo Fusi, ex presidente della società di costruzioni Btp, sono state stralciate.

In conseguenza del giudizio immediato, slittano i termini delle custodie cautelari disposte nei confronti di Balducci, De Sanctis, De Vito Piscicelli e Cerruti, quest'ultimi due agli arresti domiciliari. Balducci e De Sanctis sarebbero dovuti uscire dal carcere domenica prossima, 9 maggio, data di scadenza dell'ordinanza di custodia cautelare per l'inchiesta sui grandi eventi eseguita il 10 febbraio scorso. Cerruti e Piscicelli sono ai domiciliari rispettivamente dallo scorso 4 marzo e dagli inizi di maggio.

Nel frattempo dal Pdl arriva il sospetto di "qualcosa di poco chiaro e di allarmante in questa nuova ondata di inchieste a carico di esponenti del nostro movimento politico" dice il coordinatore Sandro Bondi.

(05 maggio 2010)

 

 

L'ANNIVERSARIO

Unità d'Italia, Napolitano a Genova

"Celebrazioni non sono tempo perso"

Il presidente della Repubblica invita le forze politiche a evitare polemiche pregiudiziali e respinge tesi storiche infondate che vorrebbero un Sud da abbandonare a se stesso. Anche perché "la maggioranza dei garibaldini venivanon dal Nord". Bossi polemico: "Al Nord avevano molti dubbi sull'Unità..."

Unità d'Italia, Napolitano a Genova "Celebrazioni non sono tempo perso"

GENOVA - Tutte le iniziative comprese nel "sobrio" programma per celebrare il 150/o dell'Unità d'Italia "non sono tempo perso e denaro sprecato, ma fanno tutt'uno con l'impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti dinanzi a noi". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a bordo della portaerei "Garibaldi" per il discorso ufficiale di Genova, implicitamente replicando alle dichiarazioni di diversi esponenti della Lega, con Umberto Bossi 1 su tutti. Il capo dello Stato prende la parola nell'hangar della portaerei, al suo fianco, i presidenti del Senato, Renato Schifani, e della Camera, Gianfranco Fini, e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, insieme ai vertici delle forze armate e delle istituzioni locali. Tra gli esponenti politici, il segretario dell'Udc, Pier Ferdinando Casini.

 

Reagire a tesi storiche infondate.

Per il capo dello Stato, "non è retorica reagire a tesi storicamente infondate, come quelle tendenti ad avvalorare ipotesi di unificazione parziale dell'Italia abbandonando il Sud al suo destino''. Ipotesi queste, ''che non furono mai abbracciate da alcuna delle forze motrici e delle personalità rappresentative del movimento per l'unità''. "Far rivivere nella memoria e nella coscienza del Paese le ragioni di quell'unità e indivisibilità con cui nacque l'Italia serve a offrire una fonte di coesione sociale come base essenziale di ogni avanzamento, tanto del Nord quanto del Sud, in un sempre più arduo contesto mondiale".

Unità d'Italia, no a polemiche pregiudiziali.

Il presidente della Repubblica sottolinea con forza come i festeggiamenti per l'Unità d'Italia "non possono formare oggetto di polemica pregiudiziale da parte di nessuna forza politica. C'è spazio per tutti i punti di vista e per tutti i contributi. Solo così onoriamo i patrioti, gli eroi e i caduti dei mille che salparono da Genova in questo giorno il 5 maggio di 150 anni orsono". Patrioti che "erano in grande maggioranza lombardi, veneti, liguri", "italiani che si sentivano italiani e che accorrevano là dove altri italiani andavano sorretti nella lotta per liberarsi e ricongiungersi in un'Italia finalmente unificata".

Orgoglio nazionale per affrontare il futuro.

Napolitano sui luoghi dove fu conquistata l'unità d'Italia. Per rinfrescare la memoria e rafforzare la consapevolezza comune delle radici. "Celebrando il 150/o dell'Unità d'Italia guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per rinnovare tutto quello che c'è da rinnovare nella società e nello Stato" dice il capo dello Stato. Ma bisogna "recuperare motivi di fierezza e di orgoglio nazionale, perché ne abbiamo bisogno. Ci è necessaria questa più matura consapevolezza storica comune anche per affrontare con la necessaria fiducia le sfide che ci attendono e già mettono alla prova il nostro Paese. Ci è necessaria per tenere con dignità il nostro posto in un mondo che è cambiato e che cambia".

In difesa di Garibaldi.

I mille erano guidati da un "condottiero" coraggioso e capace. A Giuseppe Garibaldi rende omaggio Giorgio Napolitano, per ripulire la sua figura da "grossolane denigrazioni". Il presidente ricorda le "capacità di attrazione e di guida", il "coraggio e la "perizia" del condottiero. Non a caso, prima della cerimonia Napolitano ha voluto recarsi allo scoglio di Quarto, dove la spedizione dei mille salpò. E il prossimo 11 maggio il presidente sarà in Sicilia, dapprima a Marsala, dove le camicie rosse sbarcarono, e poi ancora a Calatafimi.

Bossi polemico. "Nessuno della Lega è stato invitato a Quarto", dice Umberto Bossi. Che poi replica indirettamente al presidente: "All'epoca i lombardi volevano la libertà dall'Austria ma avevano mille dubbi sull'unità e nel 1859 cantavano 'la bella gigogin.." (canzone patriottica dell'epoca risorgimentale, fortemente antiaustriaca).

(05 maggio 2010)

 

 

 

 

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L'INIZIATIVA

Un nuovo sbarco dei Mille

"Per l'Italia una nave dei diritti"

Una spedizione di italiani che vivono all'estero e torneranno a Genova per un giorno il prossimo 25 giugno: "Denunciamo le derive culturali, politiche e sociali del nostro paese"

di PAOLA COPPOLA

Un nuovo sbarco dei Mille "Per l'Italia una nave dei diritti"

MILLE italiani sbarcheranno nel porto di Genova. A bordo della "Nave dei Diritti", così è stato ribattezzato il traghetto di linea che li porterà in Italia alla fine di un viaggio che comincia a Barcellona. Vivono all'estero, non pensano di tornare. Dopo un giorno di navigazione vogliono approdare sulla costa ligure e animare così "Lo Sbarco", un'iniziativa simbolica per denunciare le derive culturali, politiche e sociali del nostro Paese. Appuntamento il prossimo 25 giugno.

Nell'anniversario della spedizione dei Mille, questi italiani e diversi cittadini europei scelgono imbarcarsi per l'Italia, per ribadire l'importanza della Costituzione, la sua origine laica e pluralista, e denunciare le derive della politica. Un'iniziativa nata dal basso dall'idea di un gruppo di italiani che vive a Barcellona, maturata la scorsa estate e che in pochi mesi si è diffusa attraverso il passaparola coinvolgendo anche gli altri gruppi di italiani che vivono nelle altre capitali europee.

Oggi "Lo Sbarco" ha superato le 1000 adesioni e ottenuto l'appoggio di diversi intellettuali, scrittori, musicisti, associazioni. Raccontano perché hanno aderito attraverso videomessaggi diffusi sul sito dell'iniziativa 1. Così il nobel Dario Fo: "Potrebbe essere la nave dei pazzi, gente che viene dal mare e porta un apporto alla propria terra". Oppurel nobel José Saramago, che si chiede: "Non tanto tempo fa l'Italia è stata un esempio per l'Europa con Garibaldi, con Verdi. Com'è che è caduta da queste altezze?". Lo scrittore Erri De Luca, invece, testimonia: "Sto con la nave che vuole riportare l'Italia a se stessa". E poi ci sono Lella Costa e Moni Ovadia, il jazzista Paolo Fresu e tanti altri. Dalla parte dello "Sbarco" anche diverse associazioni antirazziste, i No-Tav, la Rete Scuole e gli operai Vynils che occupano l'Asinara, ma non ci sono sigle né partiti politici dietro questa iniziativa che si sta autofinanziando organizzando eventi culturali.

"Assistiamo seriamente preoccupati a ciò che avviene in Italia", si legge sul manifesto del movimento. Diritti ormai acquisiti sono rimessi in discussione: "Il razzismo cresce, così come l'arroganza, la prepotenza, la repressione, il malaffare, il maschilismo, la diffusa cultura mafiosa, la mancanza di risposte per il mondo del lavoro, sempre più subalterno e sempre più precario. I meriti e i talenti delle persone, soprattutto dei giovani, non sono valorizzati. Cresce la cultura del favore, del disinteresse per il bene comune, della corsa al denaro, del privato in tutti i sensi". Queste le motivazioni degli organizzatori.

La "spedizione" è aperta a tutti. L'obiettivo è raggiungere 1000 biglietti acquistati sul traghetto. In pochi giorni - l'iniziativa è stata presentata ufficialmente la scorsa settimana a Barcellona - si sono superati i 100 biglietti venduti e già ci sono 600 prenotazioni. "Vogliamo portare solidarietà e appoggio a chi vive in Italia perché il nostro Paese attraversa un momento difficile, sembra che si sia persa un po' la bussola e che il patrimonio di credibilità e di autorevolezza di cui godeva anche all'estero si stia progressivamente disperdendo", racconta Andrea De Lotto, milanese che vive nella capitale catalana da due anni dove insegna come maestro alla scuola elementare italiana, che è una delle anime dell'iniziativa. Dai media stranieri - dicono gli organizzatori - l'Italia viene descritta come il paese dei campi rom bruciati, delle aggressioni, delle ronde, delle leggi ad personam, dei decreti di espulsione, per citare alcuni episodi dell'ultimo anno. Andrea continua: "Il nostro vuole essere un contributo e un invito a tornare a parlare di diritti su un piano pre-politico"

"Questa è un'iniziativa che si rivolge alla società italiana che sta diventando sempre più intollerante e conservatrice - dice Laura Calosci che insegna Storia economica all'Università di Barcellona - Ci sono, però, realtà di resistenza che vale la pena sostenere". Chiara Bombardi, 39 anni di Forlì, traduttrice: "È un'azione per portare solidarietà in Italia, un Paese dove, rispetto ai diritti umani, stiamo scendendo sotto qualsiasi livello tollerabile".

La mobilitazione ha preso corpo attraverso la Rete, si aggiorna su Facebook e sta ricevendo adesioni da diversi Paesi, coinvolgendo residenti italiani e stranieri. Sotto il nome "Lo Sbarco" sono nati dei gruppi prima a Bruxelles, poi a Parigi, Atene e Madrid. Altri in Italia: a Genova, Milano, Torino, Roma, in Sardegna e Sicilia. La macchina organizzativa va avanti rapidamente. All'approdo a Genova ad attendere la nave ci sarà un comitato d'accoglienza che si è creato intorno ad Heidi Giuliani e Don Gallo. E il giorno dopo lo sbarco, in alcune piazze della città, con l'appoggio del Comune diversi dibattiti sui diritti negati.

(05 maggio 2010)

 

 

2010-05-04

Inchiesta G8, Scajola si dimette

"Lascio il governo per difendermi"

Il ministro, travolto dalla vicenda dell'appartamento al Colosseo, abbandona l'esecutivo: "Non posso continuare, dimostrerò la mia estraneità ai fatti". Il premier: "Scelta dorolosa, alto senso dello Stato"

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ROMA - Claudio Scajola si dimette. Travolto dalla vicenda della compravendita, con presunti fondi neri, di una casa al Colosseo 1 il ministro dello Sviluppo economico ha annunciato la rinuncia all'incarico di governo. "Per difendermi", ha detto in conferenza stampa, "non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni". In pole position per la successione, l'attuale viceministro con delega alle Comunicazioni Paolo Romani. Nel pomeriggio, poi, il faccia a faccia con Berlusconi a palazzo Grazioli. Poco prima il premier aveva commentato: "Oggi si è dimesso un ministro molto capace. Una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito".

Scajola aveva resistito fino all'ultimo, ma alla fine la sua posizione è diventata insostenibile, costringendolo ad anticipare il rientro dalla Tunisia e a convocare i giornalisti per annunciare il passo indietro. "Da dieci giorni sono vittima di una campagna mediatica senza precedenti", ha detto ancora. "Vivo una grande sofferenza".

L'ex ministro ha ribadito la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati, in particolare l'aver ricevuto denaro da imprenditori coinvolti nell'inchiesta sugli appalti del G8 per l'acquisto di un appartamento con vista sul Colosseo: "Non potrei mai abitare in una casa comprata con i soldi di altri", ha affermato. Per la prima volta in dieci giorni, Scajola ha però preso in considerazione l'ipotesi che gli assegni che gli vengono contestati siano effettivamente stati versati: "Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l'annullamento del contratto", ha affermato. Il procuratore di Perugia, Federico Centrone, ha confermato che al momento Scajola non è indagato e che sarà ascoltato come persona informata dei fatti.

"Le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti", ha detto Scajola ringraziando Berlusconi e il Pdl per gli attestati di stima ricevuti. Prima della conferenza stampa, Scajola aveva parlato con il premier, che pochi giorni lo aveva incitato a resistere 2. Poi, soprattutto in seguito alle notizie che arrivavano dalla procura di Perugia, il clima è cambiato. Anche Il Giornale di Vittorio Feltri questa mattina era stato netto: "Le risposte che ha dato fin qui non bastano. Se non ha niente da dire oltre a ciò che ha detto, le conviene rassegnarsi. Anzi, rassegnare le dimissioni". Anche Libero si era mosso sulla stessa linea: "Scajola - scrive il direttore Maurizo Belpietro - deve assolutamente uscire dall'angolo e combattere a viso aperto, tentando di smontare ad uno ad uno i dubbi che aleggiano da giorni sulle pagine dei giornali. Noi gli suggeriamo solo di non temporaggiare più perchè attendere i 10 giorni che mancano all'interrogatorio sarebbe troppo".

Il passo indietro era stato suggerito anche dal capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri: "Su questa vicenda finora ha difeso il suo comportamento, se dovessero emergere altre cose vedremo. Io credo che debba riflettere sul modo nel quale la sua difesa possa essere condotta meglio, se con l'incarico di ministro o senza".

(04 maggio 2010)

 

 

Scajola, Bersani: "Governo in una palude"

Donadi: "Una lezione per la Casta"

Per il segretario del Pd si tratta di "uno scossone piuttosto forte in una fase di impasse della maggioranza". Mentre il capogruppo dell'Idv sottolinea come la vicenda dimostri che "nessuno è intoccabile"

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* Scajola, ultimatum dell'opposizione "Chiarisca in Parlamento o si dimetta"

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ROMA - "Mi pare che le cose che Scajola ha detto fin qui non siano convincenti per nessuno. Se non ha nient'altro da aggiungere, le dimissioni 1sono inevitabili. Mi auguro che questo verminaio di appalti venga scavato fino in fondo perché questa vicenda è francamente intollerabile". E' il commento del segretario del Pd Pierluigi Bersani, in studio a Repubblica tv 2, all'annuncio delle dimissioni del ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola 3, travolto dalla vicenda di una compravendita, con presunti fondi neri, di una casa a due passi dal Colosseo.

Bersani si è poi lasciato sfuggire una battuta, in risposta alle affermazioni del ministro dimissionario, che ha ammesso che la sua casa possa essere stata pagata in parte da altri, ma a sua insaputa: "Ne abbiamo viste tante, può darsi che siamo davanti a benefattori sconosciuti...". Per il segretario Pd si tratta di "uno scossone piuttosto forte in una fase di impasse politica della maggioranza. Siamo tra la palude delle decisioni del governo e il rischio di precipitare della situazione politica. E' un passaggio complicato, la situazione si sta facendo complicata e paludosa".

"Prima ancora che la vicenda giudiziaria, di cui seguiremo gli sviluppi - ha detto Antonio Borghesi, vice capogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera - a travolgerlo in una situazione irrimediabile sono state le sue stesse dichiarazioni sicuramente non veritiere rispetto a fatti accertati. Sicuramente Scajola ha mentito al Paese e tanto bastava perché se ne andasse. Non aveva altra scelta". "Le dimissioni di Scajola sono tardive, ma rappresentano comunque una vittoria delle opposizioni ed una lezione per la Casta: nessuno è intoccabile", ha aggiunto il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi.

''Dopo la scandalosa gestione del G8 di Genova del 2001, il caso Marco Biagi e gli appartamenti con vista sul Colosseo ci permettiamo di suggerire a Scajola di ritirarsi dalla vita politica. Le sue dimissioni sono comunque una bella notizia: la cultura dell'arroganza e della prepotenza, propria del belusconismo, riceve finalmente un durissimo colpo'', ha affermato Oliviero Diliberto, segretario nazionale del PdCI.

Solidarietà a Scajola invece dai compagni di partito. "Esprimo tutta la mia solidarietà al ministro Scajola che, con il suo gesto, ha mostrato un grandissimo senso di responsabilità. Gli siamo grati per il lavoro fatto in questi anni dal suo dicastero per modernizzare il Paese.", ha detto il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianfranco Miccichè "Le dimissioni presentate oggi dal ministro Scajola evidenziano la serietà dell'uomo e del politico". Mentre per l'esponente finiano del Pdl Italo Bocchino "Non c'è alcuna ragione per cui le dimissioni di Scajola debbano aprire una crisi di governo". Anche il ministro dei Trasporti Altero Matteoli ha definito le dimissioni di Scajola "un gesto responsabile nei confronti del governo".

(04 maggio 2010)

 

 

 

Scajola, da Biagi alla casa sul Colosseo

un destino da ministro "a breve termine"

Seconde dimissioni anticipate. Nel 2002 fu costretto a lasciare l'incarico al Viminale dopo la bufera per alcune sue dichiarazioni offensive sul giuslavorista ucciso poco tempo prima dalle Nuove br. Era al Viminale anche durante il G8 di Genova

Scajola, da Biagi alla casa sul Colosseo un destino da ministro "a breve termine" Claudio Scajola, dimissionario ministro per le attività produttive

ROMA - Non si può dire che Claudio Scajola sia un ministro su cui puntare nel medio termine. Per la seconda volta in meno di otto anni, la sua avventura dentro il governo si è conclusa malamente con dimissioni anticipate. Oggi è per l'acquisto della casa con vista sul Colosseo, la prima volta invece fu nel 2002 quando Scajola ricopriva la carica di titolare del Viminale. A costargli il posto, però, allora non furono le polemiche seguite al dramma del G8 e alla disastrosa gestione dell'ordine pubblico in occasione del summit di Genova.

Il ministro forzista dell'Interno del governo Berlusconi cadde per le esternazioni su Marco Biagi, il consulente del ministero del Lavoro ucciso dai terroristi quello stesso anno, alle quali si era lasciato andare con alcuni giornalisti durante una visita istituzionale a Cipro: "Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza". Era il 29 giugno 2002. La frase di Scajola, riportata il giorno dopo dal Corriere della Sera e dal Sole 24 ore, provocò un uragano di proteste e reazioni imbarazzate che alla fine, il 4 luglio, costrinsero Scajola a dare le dimissioni da ministro.

L'esilio in realtà durò molto poco. Il 28 agosto dell'anno dopo, Scajola rientrò in consiglio dei ministri come titolare della delega per l'attuazione del programma. A imporlo ancora una volta è il premier Berlusconi che lo ha sempre considerato concreto e fedele al punto da affidargli prima la carica di responsabile nazionale dell'organizzazione del partito e in seguito anche la presidenza della commissione per la scelta dei candidati alle elezioni del 2002.

Classe 1948, Scajola è un ex democristiano con un potere fortemente radicato sul "suo" territorio elettorale (Oneglia e la provincia di Imperia); tanto influente che, quando sedette al Viminale, prima Alitalia e poi AirOne istituirono un volo diretto Roma-Albenga. Claudio Scajola era già passato per l'esperienza delle dimissioni prima di approdare in Forza Italia. Il 12 dicembre 1983 era sindaco dc di Imperia - ruolo che già era stato ricoperto da suo padre - quando fu arrestato dai carabinieri per concussione. In quell'occasione, alla fine fu prosciolto dalle accuse.

(04 maggio 2010)

 

 

 

 

Bocchino: "Subito il dl anticorruzione"

Bocchino: "Subito il dl anticorruzione" Italo Bocchino

ROMA - Sull'onda del caso Scajola, i finiani chiedono, con un articolo 1 di Italo Bocchino su Generazione Italia, l'immediata approvazione del dl anticorruzione. Bocchino propone "una moratoria legislativa di una settimana che il Pdl deve proporre a maggioranza e opposizione per accantonare tutti i provvedimenti in esame e approvare con consenso bipartisan il disegno di legge". L'esponente del Pdl fa anche un accenno personale al ministro dimissionario: "Siamo sicuri che saprà dimostrare davanti alla magistratura l'innocenza che reclama".

"Il Pdl, essendo il più grande partito italiano -continua Bocchino- ha anche il dovere di dare una risposta all’opinione pubblica sul tema della corruzione e ha le carte in regola per farlo. Il primo marzo scorso, su proposta di Berlusconi, il governo ha approvato il ddl anticorruzione che dà importanti risposte sull’argomento, punendo chi sbaglia con la più dura delle sanzioni, che è l’espulsione dalla politica".

(04 maggio 2010)

 

 

Berlusconi: nel nostro Paese

c'è fin troppa libertà di stampa

Il premier lo dice nel corso della presentazione di un rapporto Ocse sul nostro Paese, l'opposizione insorge. E difende la nostra Protezione civile: "Un sistema che è un esempio internazionale"

Berlusconi: nel nostro Paese c'è fin troppa libertà di stampa Silvio Berlusconi

ROMA - In Italia "abbiamo fin troppa libertà di stampa". Lo ha detto Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Un'affermazione, questa del premier, subito contestata dalle opposizioni. E pronunciata in occasione della presentazione del rapporto Ocse sulla capacità di risposta alle catastrofi naturali, in cui c'è una valutazione favorevole del nostro Paese.

Riferendosi ad altri rapporti internazionali, in cui il grado di libertà di stampa italiana era giudicato assai basso, il capo del governo - alla presenza del segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria - ha dichiarato: "Ci siamo visti mettere in situazioni di grande distanza dai primi ma se c'è una cosa in Italia su cui c'è la sicurezza di tutti è che ce n'è fin troppa di libertà di stampa. Questo non è discutibile".

Parlando del terremoto, Berlusconi ha difeso a spada tratta la Protezione civile di Guido Bertolaso, citando "l'orgoglio di avere un sistema che è esempio a livello internazionale, che ci apre possibilità collaborazioni internazionali". Sull'Aquila, però, ha annunciato che la ricostruzione "prenderà molti anni e nessuno può farci niente. Questa è la risposta a chi ci dice non abbiamo fatto subito. Abbiamo fatto delle scelte: la prima scelta è stata dare la casa a chi non ce l'aveva più; poi sostegno all'economia e per terza andare a ricostruire ciò che è necessario ricostruire per mantenere i segni di identità di una città che ha radici profonde nella storia". Il premier ha anche rivendicato la bontà dei nuovi alloggi costruiti per gli aquilani: "Mi sono visto tra le braccia molte signore che piangevano perchè quasi non credevano ai propri occhi nel vedere che avevano una casa ancora più bella di quella andata distrutta".

Quanto al problema delle macerie ancora presenti nel centro storico dell'Aquila, il presidente del Consiglio ha buttato tutta la responsabilità sull'amministrazione locale: "E' stato lo stesso Consiglio comunale che ha visto nel business della rimozione delle macerie una possibilità di intervento per le aziende locali e quindi ha detto di non intervenire".

Infine, un accenno all'incidente diplomatico che qualche mese fa coinvolse Guido Bertolaso, che allora criticò gli Stati Uniti per la gestione dell'emergenza ad Haiti. Scatenando l'ira di Hillaru Clinton. Oggi però Berlusconi ha dato ragione a Bertolaso: "Le sue critiche erano assolutamente fondate".

Ma a scatenare subito polemiche sono le frasi sulla troppa libertà di stampa. Giorgio Merlo, vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai, ha ricordato che "l'Italia in materia di libertà di stampa, è in fondo alla classifica dei paesi più sviluppati". E che "dal 1994, e cioè dalla discesa in campo di Berlusconi", c'è un "rapporto anomalo e singolare tra la politica e l'informazione, che esiste tuttora". Più tranchant Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera: "Berlusconi le spara fin troppo grosse. Non vorremmo neanche replicare a chi dice che c'è fin troppa libertà di stampa, perchè non è mai troppa. Sappiamo che Berlusconi non gradisce le voci libere ed i giornalisti con la schiena dritta, tanto che tenta continuamente di mettere il bavaglio alla stampa".

(04 maggio 2010)

 

 

 

 

Ciarrapico indagato per truffa

Sequestrati beni per 20 milioni

L'imprenditore, e senatore Pdl, indagato assieme al figlio e ad altre cinque persone per contributi percepiti illegalmente tra 2002 e 2007 dalle sue società. Tra i beni requisiti anche un'imbarcazione di lusso

Ciarrapico indagato per truffa Sequestrati beni per 20 milioni

ROMA - Contribuiti all'editoria percepiti illecitamente dalle sue società: questa l'accusa rivolta al senatore Giuseppe Ciarrapico dalla procura di Roma, che indaga anche sul figlio dell'imprenditore, Tullio, e su altre cinque persone: Umberto Silva, Antonio Maria Sinapi, Leopoldo Pagliari, Marco Tartarini e Silvio Giuliani. Nell'ordinanza viene citato anche Giulio Caradonna, scomparso nel novembre del 2009, per molti anni al fianco di Giuseppe Ciarrapico nelle sue attività imprenditoriali e noto per la militanza nel Movimento sociale italiano, con cui fu deputato per alcune legislature. Sequestrati dalla guardia di finanza beni per circa 20 milioni di euro tra immobili, quote societarie e una imbarcazione di lusso. Venti milioni è il valore dei contributi di cui, tra 2002 e 2007, Ciarrapico avrebbe goduto impropriamente, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti.

Secondo la procura, dopo il 2007 Giuseppe Ciarrapico ha tentato di ottenere ancora i i fondi all'editoria ai danni dello Stato, "fino all'anno in corso", attraverso Nuova Editoriale Oggi Srl e Editoriale Ciociaria Oggi Srl, società che figuravano come cooperative, quando in realtà il loro effettivo proprietario era Ciarrapico.

IL TESTO INTEGRALE DELL'ORDINANZA 1

L'inchiesta è stata avviata sulla base di una indagine della guardia finanza nell'ipotesi di una violazione della legge 250 del '90 sull'editoria, che prevede l'esistenza di determinate situazioni per ottenere sovvenzioni governative. La situazione delle due società era incompatibile con l'erogazione dei contributi statali, ma Ciarrapico e, a vario titolo, gli altri indagati hanno fatto in modo di presentarla diversa dalla realtà. In particolare, si legge nell'ordinanza di sequestro, "fornendo false dichiarazioni" sullo stato di fatto e contabile di Nuova Editoriale Oggi Srl e Editoriale Ciociaria Oggi Srl.

Tra i requisiti richiesti, la legge 250 del 1990 esclude dai contributi "imprese collegate con l'impresa richiedente o controllate da essa, o che la controllano, o che siano controllate dalle stesse imprese". Ebbene, è emerso che le due società editrici di Ciarrapico hanno chiesto i contributi in contemporanea, con concessione di fondi dal 2002 al 2007. Altro requisito è che almeno il 51% del capitale sociale sia posseduto da una cooperativa. Anche in questo caso, Ciarrapico e i suoi hanno mentito: la "loro" cooperativa era di fatto svuotata di ogni potere decisionale. Ed è in questo quadro che si è determinata l'accusa di truffa ai danni dello Stato.

La guardia di finanza, su disposizione del pm Simona Marazza, responsabile dell'inchiesta, ha eseguito sequestri preventivi a Roma, Milano e in altre città di beni e quote societarie riconducibili all'imprenditore, attraverso intestazioni fittizie. L'imbarcazione di lusso era ormeggiata a Gaeta. I beni requisiti saranno affidati a un custode societario. Gli accertamenti sono stati coordinati dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti.

(04 maggio 2010)

 

 

 

 

In manette imprenditore alberghiero

è il genero di Gaetano Caltagirone

All'uomo, Simone Chiarella, 40enne, con interessi anche nella piccola editoria, sono state sequestrate le quote di una società immobiliare e dell'hotel Dolomiti di Cortina per un valore di 25 milioni di euro

di Emilio Orlando

In manette imprenditore alberghiero è il genero di Gaetano Caltagirone

Per bancarotta fraudolenta è stato arrestato dalla Guardia di Finanza Simone Chiarella, 40enne, e genero di Gaetano Caltagirone , il costruttore morto a febbraio a 80 anni. Chiarella è un imprenditore che lavora nel settore alberghiero romano, e ha interessi anche nella piccola editoria. Nell'operazione sono state sequestrate le quote di una società immobiliare e dell'albergo "Dolomiti" a Cortina d'Ampezzo per un valore complessivo di 25 milioni di euro.

Le indagini di polizia giudiziaria, delegate dal sostituto procuratore Stefano Fava dalla Procura della Repubblica di Roma, sono state compiute dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Roma che, ieri, ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell'imprenditore.

Chiarella è l' ex marito di Giuseppina, figlia di Gaetano Caltagirone. L'indagine si riferisce al crack della Immo.C, società di cui Chiarella era socio insieme alla donna. Gli accertamenti degli investigatori sono nati proprio da una denuncia per questioni patrimoniali presentata contro chiarella dalla ex moglie.

Chiarella è accusato di 'infedeltà patrimoniale' e bancarotta fraudolenta. Quest'ultimo reato scaturisce - hanno spiegato gli investigatori - dal fallimento della "Immoc" riconducibile all'arrestato, volutamente portata al dissesto e svuotata del suo patrimonio, in particolare delle quote del capitale sociale dell'Hotel Dolomiti S. r. l. e dell'immobile adibito ad albergo, in favore di un'altra società, la "Agricola Taca" sempre di proprietà dell'imprenditore.

 

Lo svuotamento delle società è avvenuto con operazioni di riorganizzazione societaria, passaggi di quote azionarie e operazioni commerciali simulate, in pratica - hanno accertato i finanzieri - il pagamento non è mai avvenuto. L'imprenditore si trova nel carcere romano di Regina Coeli.

 

Chiarella è manager della società finanziaria "Capital partners".

(04 maggio 2010)

 

 

 

INCHIESTA UFFICIO CONDONI EDILIZI

Indagati Corsini, Morassut e i vertici Gemma

Alemanno conferma fiducia all'assessore

L'assessore all'Urbanistica raggiunto da un avvisio di garanzia nell'ambito dell'inchiesta sulla paralisi dell'Ufficio condoni. Nell'inchiesta anche il suo predecessore, presidente e l'amministratore delegato della società Gemma

Indagati Corsini, Morassut e i vertici Gemma Alemanno conferma fiducia all'assessore L'assessore all'Urbanistica Marco Corsini

 

Avvisi di garanzia in Comune per l'inchiesta sulla paralisi dell'Uce, l'ufficio condoni del Campidoglio. Per i vertici dell'assessorato e di Gemma, la società che ha in appalto il servizio. Nella bufera, l'assessore all'Urbanistica Marco Corsini, il suo predecessore Roberto Morassut, per presidente e amministratore delegato della società Renzo Rubeo e Roberto Liguori. La Gemma (Gestione, Elaborazioni, Misurazioni, Monitoraggi per l'Amministrazione), è una Spa che per conto del Campidoglio si occupa, tra l'altro, di riorganizzare, informatizzare e accelerare le operazioni relative alla gestione del territorio; nonché di gestire le concessioni edilizie in sanatoria per abusi edilizi.

"Questa mattina la Polizia giudiziaria è arrivata in Assessorato per procedere alla perquisizione del mio ufficio e per notificarmi un avviso di garanzia in relazione all'inchiesta in corso sul condono edilizio. Mi sono subito dimesso". È quanto dichiara in nota l'assessore all'Urbanistica, Marco Corsini. Le sue dimissioni sono state respinte dal sindaco Gianni Alemanno. "In sostanza - spiega Corsini - mi si accuserebbe di aver favorito la società Gemma, ex partecipata dal Comune di Roma cui la precedente amministrazione aveva affidato il compito di svolgere pratiche sul condono edilizio, per aver realizzato un atto aggiuntivo che ha permesso di definire oltre 30mila pratiche in quattro mesi. Il contraccambio di questo favore sarebbe il mantenimento all'interno del mio staff di un dipendente della stessa società che ho trovato lì. Inoltre mi si imputerebbe di aver tentato di costringere un mio dirigente a effettuare pagamenti non dovuti in favore di tale società".

Concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio: è questo il reato che la procura di Roma ha contestato, assieme all'assessore all'urbanistica, anche al suo predecessore Roberto Morassut e ai dirigenti della Gemma spa, la società che gestisce il Condono edilizio per la città, cioè il presidente Renzo Rubeo e l'amministratore delegato Roberto Liguori. Morassut, tra il 2005 e il 2008, e Corsini, dal gennaio 2009 a oggi, secondo il capo di imputazione formulato dal pm Sergio Colaiocco, avrebbero accettato dai due dirigenti della Gemma spa "indebite utilità" (l'assunzione di almeno quattro persone su sua segnalazione per un totale di 500mila euro, l'ex assessore, e le prestazioni d'opera di personale illegittimamente in servizio presso la sua segreteria, Corsini). In cambio, Morassut avrebbe rinegoziato gli obiettivi trimestrali (rinegoziazione conseguente al mancato raggiungimento degli obiettivi contrattuali) con la Gemma spa, mentre Corsini avrebbe aumentato il corrispettivo dell'appalto oltre il quinto previsto dalla legge e prorogato l'appalto di 24 mesi, violando la legge e il contratto stipulato tra le parti nell'agosto 2006.

Corsini è indagato anche per concussione, in concorso con altri pubblici ufficiali, perché, per far ottenere a Rubeo "indebite utilità", avrebbe costretto Paolo Cafaggi, direttore dell'Uce (ufficio condono edilizio), ad apporre la firma necessaria per il pagamento a Gemma spa di 3 milioni di euro. Corsini avrebbe anche minacciato di rimuovere dall'incarico Cafaggi, che si rifiutava di firmare lo stato di avanzamento dei lavori (sal), pur in assenza dei requisiti di legge e del raggiungimento effettivo degli obiettivi fissati dal contratto integrativo dell'appalto. Non riuscendo nell'intento per il fermo rifiuto dello stesso Cafaggi, Corsini avrebbe fatto in modo di trasferirlo presso il segretario generale. Cafaggi avrebbe invece voluto chiudere il contratto con la Gemma spa e chiedere alla stessa il pagamento di una penale pari a due milioni e mezzo di euro. L'indagine della procura punta ad accertare come mai l'amministrazione cittadina abbia tollerato "anni di manifesta inefficienza in un servizio pubblico con esborso notevole da parte della collettività in contrasto con i principi di buon andamento della Pubblica amministrazione".

"Sono assolutamente sereno - dichiara Corsini - perché la prima circostanza appare così assurda da sembrare surreale e la seconda non risponde a verità. Ho fiducia nella magistratura e sono a disposizione per dimostrare l'inconsistenza di questi fatti e la correttezza dell'operato mio e dell'Amministrazione. Ho immediatamente messo a disposizione del sindaco il mio mandato e sono disponibile ad accettare qualunque sua decisione, sicuro che le sue valutazioni saranno le migliori per l'interesse della città". "Confermo tutta la mia fiducia nei confronti dell'assessore Corsini - dichiara in una nota il sindaco di Roma, Gianni Alemanno - Mi pare evidente che tutto il suo operato è stato proteso a fare gli interessi dell'amministrazione e della città per chiudere una vicenda annosa come quella del condono. L'assessore Corsini rimane quindi al suo posto e sono convinto che il lavoro della magistratura, alla quale abbiamo offerto e continueremo ad offrire piena collaborazione, farà al più presto luce sulla vicenda e sull'estraneità ai fatti dell'assessore".

(04 maggio 2010)

 

 

 

 

 

2010-05-02

LEGA

Calderoli: 150 anni dell'unità d'Italia

"Non so se saremo alle celebrazioni"

Il ministro della Semplificazione ospite del programma di Lucia Annunziata. "Unica alternativa al governo Berlusconi sono le elezioni"

Calderoli: 150 anni dell'unità d'Italia "Non so se saremo alle celebrazioni" Roberto Calderoli intervistato da Lucia Annunziata

ROMA - "Il miglior modo per festeggiare l'unità d'Italia è l'attuazione del federalismo". Lo ha detto il ministro per la Semplificazione legislativa, Roberto Calderoli, parlando delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, ospite del programma di Lucia Annunziata In mezz'ora, su RaiTre. "Non ho la minima idea" se ci sarà un ministro leghista a Genova, il 5 maggio, accanto al presidente Giorgio Napolitano. "La migliore risposta all'anniversario", ha spiegato, "sarà la realizzazione, attraverso il federalismo, dell'unità d'Italia. Questa non è un totem, non è fine a se stessa".

Inoltre "la celebrazione in sé ha poco senso. L'anniversario deve essere il momento per approntare le soluzioni, non solo per alzare la bandiera". "Io non so se ci sarò", ha concluso, "io sarò a lavorare per realizzare il federalismo". Per l'esponente del Carroccio il modo migliore per festeggiare la ricorrenza sarebbe quello di far capire come "le diversità presenti nel Paese" non siano degli "ostacoli" ma "valori".

"Non c'e alternativa al governo Berlusconi. Il governo ha i numeri per andare avanti e fare le riforme, in alternativa ci sono solo le elezioni" ha detto poi il ministro, scartando anche l'ipotesi di un governo tecnico guidato da Giulio Tremonti. "L'elettorato ha dato il proprio consenso a una persona che è Berlusconi. E poi la prima persona a non volerlo sarebbe lo stesso Tremonti".

(02 maggio 2010)

 

 

PDL

La Russa: "Fini ha sbagliato?

La strada è restare nel partito"

Il ministro ha riunito i vertici ex An in un convegno sul tema: "La nostra destra nel Pdl". "Non ci interessa dire chi ha ragione, ma la via è di far crescere il Pdl e non di aprire una crisi che fa piacere solo alla sinistra"

La Russa: "Fini ha sbagliato? La strada è restare nel partito" Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa

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MILANO - "Fini ha sbagliato? Non ci interessa dire chi ha ragione e chi ha sbagliato: dico che personalmente con grande sacrificio e amarezza ho dovuto rilevare che fosse giusta una strada diversa, quella di rimanere nel Pdl". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel corso di un convegno a Milano sul tema "la nostra destra nel Pdl", dove ha riunito di quadri della parte ex An del Pdl.

"La strada - ha detto La Russa - è di far crescere il Pdl, di migliorarlo, e di non aprire una crisi che fa piacere solo alla sinistra in un momento in cui vinciamo tutte le elezioni, in un momento in cui stiamo costruendo un partito nuovo che Fini e Berlusconi hanno voluto insieme". La Russa ha spiegato di auspicare un destra "rispettosa della nostra storia, della cultura e della nostra tradizione, ma nel contempo una destra che sa interpretare anche la realtà di oggi, quindi una destra moderna come quella che abbiamo voluto a Fiuggi. Ma un destra che non rifugga dalla sensibilità che gli uomini di destra hanno sempre portato nella politica".

Alla domanda se ci fosse febbre nel Pdl, La Russa ha risposto: "Non c'è febbre, c'è solo un po' di amarezza almeno da parte nostra, da parte di chi ha una storia in An perché quello che è successo poteva facilmente essere evitato. Non c'erano ragioni profonde, non si viene da una sconfitta, anzi si viene da una innumerevole serie di successi elettorali, da un solo anno di vita del Pdl. Credo che se non ci fosse stato lo spauracchio, l'annuncio da parte di Fini di voler creare gruppi autonomi e quindi di aprire la strada alla secessione si sarebbe potuto arrivare a soluzioni completamente diverse e noi stessi avremmo assunto atteggiamenti diversi".

(02 maggio 2010)

 

 

 

 

LA POLEMICA

Bocchino replica agli attacchi del Giornale

"Soldi Rai a mia moglie? E a Berlusconi?"

Il deputato finiano 'epurato' messo alla berlina dal quotidiano della famiglia del premier oggi nel programma di Maria Latella su Sky 'L'intervista'. "E' vero, mia moglie ha dei contratti con la Tv di Stato. Ma le aziende del premier sono i primi fornitori, se è per questo"

Bocchino replica agli attacchi del Giornale "Soldi Rai a mia moglie? E a Berlusconi?" La prima pagina del Giornale del 30 aprile, che attacca Italo Bocchino

ROMA - "I soldi Rai alla moglie di Bocchino", era il titolo d'apertura del 30 aprile del Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi diretto da Vittorio Feltri. Un attacco contro il deputato finiano, che qualche giorno fa ha dovuto dare le dimissioni da vicepresidente vicario dei deputati del Pdl 1. Nella trasmissione di Maria Latella "L'intervista", in onda su SkyTg24, Bocchino replica alle accuse, e le rilancia: "E' vero che mia moglie ha contratti con la Rai per diversi milioni, in quanto titolare di una società che produce fiction, vendendole anche alla Tv pubblica. Fanno altrettanto le società della famiglia Berlusconi, che sono infatti i primi fornitori della Rai".

"La consorte del finiano 'rissoso' - si legge sul Giornale del 30 aprile - Gabriella Buontempo, è titolare di una società, la Goodtime Enterprise, che da tempo lavora per la Tv di Stato, producendo fiction, ramo d'oro dell'azienda". In questa veste, la moglie di Bocchino sta producendo una serie in sei puntate, intitolata 'La Narcotici', che andrà in onda a settembre, e per la quale ha ottenuto il compenso di 6 milioni, uno a puntata.

Nello stesso articolo si citano un contratto con una società intestata a Francesca Frau, madre di Elisabetta Tulliani, compagna del presidente della Camera Gianfranco Fini, e uno con la Casanova di Luca Barbareschi, anch'egli sostenitore di Fini. E, per quanto riguarda la 'suocera' di Fini, si sottolinea come le società della famiglia Frau-Tulliani siano nate pochi anni fa "più o meno da quando la signora Tulliani si è fidanzata con Fini", a differenza della società di Gabriella Buontempo, che produce programmi per la Tv da oltre 20 anni.

Un aspetto che lo stesso Bocchino sottolinea nel corso dell'intervista a Maria Latella: "Mia moglie fa quello di mestiere, e i prezzi indicati dall'articolo sono quelli di mercato. Ricordo che l'ho conosciuta nel '93, e che lei già nel '90 aveva prodotto due documentari firmati da registi importanti per la Rai, in occasione dei Mondiali di calcio". Il deputato insiste poi sul fatto che al momento non è certo un illecito che i familiari degli esponenti politici producano programmi per la Rai: "Se vogliamo fare un codice che lo vieti, io sono d'accordo. Ma al momento è un atto lecito, non riesco a capire come si fa a considerarla un'accusa. E' come se io accusassi il premier del fatto che il maggior produttore di programmi per la Rai sia la Endemol, di proprietà di Berlusconi e dei suoi figli. Ma non lo trovo scandaloso: la Endemol è una grande società che fa produzione, ricchezza e audience".

(02 maggio 2010)

 

 

 

 

2010-04-30

Pdl, scontro aperto sulle dimissioni di Bocchino

Il vicecapogruppo: "Il premier mi ha epurato"

L'esponente finiano lascia "irrevocabilmente" la carica alla Camera. "Il Cavaliere mi ha detto: faremo i conti. E durante la puntata di Ballarò dove ero ospite ha dato la direttiva di farmi fuori". "Colpisce me per educarne cento". La Russa: "Non è una vittima". Berlusconi ai senatori: "Fini mi ha tradito"

Pdl, scontro aperto sulle dimissioni di Bocchino Il vicecapogruppo: "Il premier mi ha epurato" Italo Bocchino

ROMA - "Berlusconi ha chiesto la mia testa. Non esiste un solo partito democratico dove possa accadere ciò che è accaduto oggi". Italo Bocchino accompagna così la lettera di dimissioni da vicepresidente vicario del gruppo del Pdl alla Camera. Una missiva che sembrava poter stemperare il clima di tensione all'interno del partito del Cavaliere. Che, dopo le accuse di Bocchino, riesplode con violenza. E' lo stesso esponente 'finiano' a svelare il retroscena: "C'è stata una direttiva di Berlusconi durante Ballarò - spiega ai giornalisti - che chiedeva la mia testa. Berlusconi commette un grave errore che è quello di colpire il dissenso, colpire chi è in vista per educarne cento. Ma questo non porterà il partito lontano".

L'ex vicecapogruppo è un fiume in piena: "Berlusconi è ossessionato da me. E' da almeno un anno che chiede la mia testa, perchè ritiene che non possa esserci uno non allineato. Berlusconi mi ha pure chiamato per dirmi di non andare in televisione. Che un leader chiami un dirigente per dirgli questo, è una cosa che non esiste al mondo. In una telefonata, con toni concitati, mi ha pure detto: 'Farai i conti con me'".

Il sito di Generazione Italia rilancia lo sfogo di Bocchino. Che nega di essere in cerca di "poltrone" ("sarò uno degli 11 vice e continuerò a lavorare per un Pdl diverso da quello attuale"), puntando il dito contro l'attuale condizione del partito: "Sta diventando il partito della paura, altro che partito dell'amore. Forse Berlusconi ha portato alle estreme conseguenze una famosa frase del Principe di Machiavelli: 'Dal momento che l'amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati".

Berlusconi attacca Fini. "Fini umanamente mi ha tradito". Così alcuni senatori che ieri sera erano a cena a palazzo Grazioli, riassumono quanto detto da Berlusconi parlando della tensione con il presidente della Camera. Quanto alle divisioni interne al Pdl, il premier avrebbe sottolineato come la lealtà al governo si misurerà all'interno delle Aule parlamentari quando ci saranno i provvedimenti da votare. Per il premier poi ha rilanciato il tema della riforme da fare nei prossimi tre anni: da quella costituzionale, a quella della giustizia e la riforma del fisco.

Le reazioni. Prima dell'accusa di Bocchino, la scelta dell'esponente finiano era stata accolta con un certo favore dentro il centrodestra. "Ha fatto bene, aveva esagerato. E anche la vicenda Fini si è già ridimensionata, il clima si è rasserenato" taglia corto il leader della Lega Nord, Umberto Bossi. Per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, Bocchino "non è una vittima". "E' stato un gesto di responsabilita - dice Fabio Granata, anch'egli finiano - Ora, visto che c'è una situazione di stand by nel partito dopo la direzione, è giusto che ci sia uno stand by anche nel gruppo. Ma è anche chiaro che non ci debbono essere forzature. Non si pensi di calare dall'alto un altro vicacapogruppo vicario. Da adesso in poi le decisioni nel gruppo si prendono votando".

"Ho apprezzato il gesto di chiarezza e dignità. Gli va ascritto onore al merito ma vedo già parecchi avvoltoi volteggiare, ci sono già 5-6-7 candidati per il suo posto" afferma Roberto Menia, uno dei più critici nei confronti di Bocchino. 'Domani - raccontato un altro finiano - il Secolo sottolineerà l'importanza del gesto di Bocchino che si è sacrificato per la pace e per il bene del Pdl, nella speranza che poi non ci sia, dall'altra parte (dagli ex Fi così come da Feltri) una nuova campagna di aggressione". Per la sostituzione del vicecapogruppo i tempi, viene spiegato ancora, non saranno brevi: "Ora è meglio lasciare le cose così, che decantino da sole. Per il vicario ci sarà tempo. Ma questa volta la sua indicazione dovrà essere ratificata dall'assemblea".

(29 aprile 2010)

 

 

Bersani a Fini: "Noi disperati? Lui sia coerente"

E il leader Pd attacca il ddl intercettazioni

Il segretario del Pd: "Lo dimostri sui temi economici e sulla giustizia". Ma D'Alema apre: "Sarebbe un errore non capire che è un interlocutore"

Bersani a Fini: "Noi disperati? Lui sia coerente" E il leader Pd attacca il ddl intercettazioni Pierluigi Bersani

ROMA - Polemizza con Fini che definisce la sinistra "disperata". E annuncia una opposizione durissima al dl intercettazioni. Il leader democratico Pier Luigi Bersani, dai microfoni di Rainews24 parla anche di riforme e del "patto repubblicano" attorno alla Costituzione. "E' un appello che ho rivolto non solo al presidente della Camera e prima del suo strappo. Servono riforme ancorate alla Costituzione ed intorno ad essa si può costruire un patto repubblicano".

Sulle mosse del presidente della Camera si interroga anche Massimo D'Alema. Che, intervistato dal Corriere della Sera, sostiene che sarebbe un "errore" non comprendere che Fini è un interlocutore". Bersani, invece, è più freddo: "Faccia quello che ritiene, io credo però che debba mostrare la sua coerenza in passaggi parlamentari come i temi economici o norme come quella sulle intercettazioni e la giustizia". Il presidente della Camera, secondo Bersani, "solleva problemi veri ma dentro uno schieramento dove è impossibile risolverli, quindi questo battibecco avrà a scarsi esiti pratici". Ma D'Alema la vede diversamente: "'La crisi che si e' aperta nel centrodestra è vera e profonda, non è uno scontro personale o una sceneggiata, e ci sono alcuni temi su cui serve uno "spirito bipartisan".

Poi il segretario del Pd torna sul tema della riforme. Le stesse che D'Alema giudica "impossibili" in questa legislatura. "La nostra proposta nasce dal tema: ci vogliamo convincere che il meccanismo di deformazione populista della nostra democrazia, che prometteva decisioni, è la ragione vera per cui le decisioni non le prendiamo? Vogliamo accelerare in curva, discutendo la bozza Calderoli? Io rivolgo a tutte le forze attente a questo problema, politiche, sociali e culturali, un tema di attenzione: dobbiamo riformare un meccanismo istituzionale ancorandolo saldamente ai principi della nostra costituzione. Attorno a questo bisogna fare il patto repubblicano, che agirà negli appuntamenti parlamentari e mi auguro anche nel Paese" dice Bersani. Per D'Alema, invece, I'ostacolo vero non è Fini "ma la posizione di berlusconi. Per fare riforme serie e stabili è del detto evidente che serva un dialogo vero fra le forze politche. Mentre Berlusconi vuole un monologo, non un dialogo".

Infine, sul dl intercettazioni, il segretario del Pd definisce la la norma "fin qui insufficiente". Per Bersani "non si può indebolire uno strumento essenziale per indagini come quelle di mafia. Se resta così sarà opposizione dura".

(29 aprile 2010)

 

2010-04-27

PDL

Bocchino si dimette da vicario e annuncia

"Mi candido alla presidenza del gruppo"

Il vicecapogruppo alla Camera scrive a Cicchitto per comunicargli le dimissioni e per ricordargli che loro posizioni sono collegate. In assemblea "mi candiderò contro di te o chiunque altro". Menia: "Allora lo farò anch'io". L'ufficio stampa Pdl: "Posizione collegate solo se a dare le dimissioni è il capogruppo"

Bocchino si dimette da vicario e annuncia "Mi candido alla presidenza del gruppo"

ROMA - Italo Bocchino si dimette da vicecapogruppo alla Camera del Pdl ma, ricordando al partito che alla sua posizione è legata anche quella del capogruppo Fabrizio Cicchitto, annuncia la sua intenzione di candidarsi alla presidenza del gruppo Pdl alla Camera.

A Cicchitto Bocchino scrive una lettera per sottolineare come il destino del presidente del gruppo del Pdl è legato a quello del vicario ed è "inevitabile" il ricorso all'assemblea per rinnovare i vertici del gruppo parlamentare alla Camera. Nella lettera l'esponente della minoranza finiana precisa che le sue dimissioni da vice saranno formalizzate nell'assemblea del gruppo, da convocare al più presto. Ma prima della riunione, l'ormai ex vice capogruppo chiede di incontrare Silvio Berlusconi: "Ti prego di favorire un mio incontro con il presidente Berlusconi - scrive Bocchino a Cicchitto - anche alla presenza del coordinatore Verdini, affinché si possa dar vita a un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare".

Quindi, l'annuncio di Bocchino. "Visto il rapporto che ci lega - conclude nella lettera - ho il dovere di comunicarti che all'assemblea del gruppo presenterò la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Ciò non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso".

Cicchitto per il momento prende atto delle dimissioni di Bocchino. E prende tempo. "Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica - spiega il capogruppo Pdl - e anche sullo statuto del gruppo. E' evidente che il problema delle dimissioni di Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito. Di conseguenza si è deciso di prendere il tempo necessario per un esame della situazione. Nel frattempo è stato concordato il massimo impegno comune per assicurare l'unità politica e operativa del gruppo a sostegno del governo".

Più tardi, l'ufficio stampa del gruppo Pdl rileva un errore di interpretazione da parte di Bocchino. "L'art.8 del regolamento del Gruppo - fa sapere l'ufficio - non lega affatto il destino del presidente e del vicepresidente vicario, a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica".

La prima reazione "calda" ai propositi di Bocchino di candidatura alla presidenza del gruppo Pdl è quella di Roberto Menia, finiano doc e sottosegretario all'Ambiente. "Se per davvero l'onorevole Bocchino, vice capogruppo dimissionario del PdL alla Camera, intende candidarsi a presidente dello stesso gruppo 'per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo', allora lo farò anch'io" dice Menia, portando allo scoperto i malumori di alcuni ex An verso il dimissionario Bocchino. "Non so quale consenso egli pensi di avere - afferma Menia - ma non ha certo il mio nè quello di molti che con lealtà seguono Fini e con altrettanta lealtà sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte".

"La questione di Menia è personale e non politica. Riguarda Gianfranco Fini e non riguarda me" la replica di Italo Bocchino.

(27 aprile 2010)

 

 

 

 

IL MESSAGGIO

Il Papa sui diritti dei migranti

"Una vita degna sotto tutti gli aspetti"

MALAGA - "Una vita degna sotto tutti gli aspetti". Benedetto XVI torna sui diritti degli immigrati e, nel messaggio al Congresso sull'Immigrazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) apertosi oggi a Malaga, in Spagna, esprime "la ferma speranza di vedere riconosciuti i diritti degli immigrati e favorite le loro possibilità di una vita degna sotto tutti gli aspetti".

Nel testo, letto dall'arcivescovo Antonio Maria Vegliò ai circa 50 partecipanti all'incontro, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, il Papa ha anche invitato i vescovi europei "ad una attenzione pastorale adeguata verso tutti coloro che soffrono le conseguenze di avere abbandonato la loro patria o di sentirsi senza una terra di riferimento".

(27 aprile 2010)

 

 

2010-04-26

Fini: "Lealtà alla coalizione e al governo"

Berlusconi: "Per divorziare basta uno"

ROMA - "Dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e al programma di governo". E' uno dei passaggi con i quali Gianfranco Fini sta facendo il punto con deputati e senatori a lui vicini nella riunione nella Sala Tatarella della Camera. Il presidente della Camera ha anche ricordato ai suoi che "Non è in discussione la permanenza nel Pdl o nella maggioranza". Nel primo pomeriggio sullo scontro interno al Pdl era intervenuto anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con una battuta detta durante la conferenza stampa con Vladimir Putin: "Sono esperto di molte cose, urbanistica, sport, editoria, televisione e amministrazione pubblica. Ma sul segreto di una collaborazione proficua in politica non mi esprimo, del resto non ho un'esperienza particolarmente felice nei matrimoni. Comunque ho già detto di non aver litigato con nessuno, per litigare bisogna essere in due, per divorziare basta uno".

(26 aprile 2010)

 

 

 

 

LE REAZIONI

Il Pdl all'attacco di Bersani

"Sbagliato il suo no alle riforme"

Dopo l'intervista a Repubblica in cui il leader Pd parla di "riforme impossibili" in questo quadro. Calderoli: "Ci si metta invece al lavoro, basta annunci". Bondi: "Rinunciano a un ruolo attivo". Cicchitto: "Pensa solo al 'patto' con Fini..."

Il Pdl all'attacco di Bersani "Sbagliato il suo no alle riforme"

ROMA - Per il leader del Pd le riforme in questo contesto politico "sono impossibili, anche perché Berlusconi vuole solo il voto". E subito, dopo l'intervista di oggi a Repubblica 1, arriva la reazione del Popolo delle LIbertà e della Lega.

Parte Calderoli, che sottolinea come "se si vuole parlare di riforme si parte da un testo, ci si mette attorno a un tavolo e si lavora. Non è con gli annunci o con gli slogan che si fanno". Il ministro aggiunge poi che "il testo che ho portato al Quirinale è la mia proposta, proprio per avere qualcosa di concreto su cui lavorare. La si può correggere, siamo aperti a qualunque tipo di iniziativa, purchè si cominci al lavorare".

Toni molto più severi quelli usati da uno dei coordinatori del Pdl, Sandro Bondi: "Come può un grande partito di opposizione come il Pd, che si propone nel futuro di diventare forza di governo, respingere la possibilità di un lavoro comune sulle riforme istituzionali prima ancora di verificarne l'effettiva possibilità e ignorando in tal senso le chiare intenzioni pronunciate dal Presidente del Consiglio?". Per Bondi "se le dichiarazioni di Bersani fossero ispirate ad una comprensibile prudenza di natura tattica, ciò sarebbe del tutto comprensibile. Se invece ci trovassimo di fronte ad una vera e propria indisponibilità a discutere delle riforme sulla base della ricerca di una condivisione tra tutte le maggiori forze politiche del Paese, allora ci troveremmo di fronte alla rinuncia da parte del Pd di esercitare un ruolo politico attivo, responsabile e positivo".

Segue a ruota Cicchitto, secondo i quale il segretario democratico "ha già dimenticato il fallimento del governo Prodi, imploso addirittura dopo solo due anni. Perché mostra di non pensare certamente al confronto sulle riforme, ma piuttosto a costruire un cosiddetto 'patto repubblicano' nuova versione del fronte popolare, aperto eventualmente a Fini".

(26 aprile 2010)

 

 

 

 

 

L'INTERVISTA

Bersani: "Così riforme impossibili

Berlusconi vuole solo le elezioni"

Il leader Pd: il governo non durerà altri tre anni. "L'opposizione deve essere pronta se ci sarà uno scivolamento di CLAUDIO TITO

Bersani: "Così riforme impossibili Berlusconi vuole solo le elezioni"

ROMA - In questa maggioranza "non ci sono le condizioni per affrontare le riforme". Anzi, Berlusconi utilizzerà il primo pretesto possibile per andare al voto. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, non crede affatto al dialogo offerto dal presidente del consiglio. A suo giudizio, non ha alcuna intenzione di compiere delle "scelte". Semmai, il premier è pronto all'ennesimo "strappo": perché questo governo "non potrà andare avanti così altri tre anni". Ma sulle urne "decide il capo dello Stato" e in quel caso non si può "indicare ora soluzioni a tavolino

Berlusconi ha colto l'occasione del 25 aprile per proporre un'intesa sulle riforme istituzionali.

"Sono parole apprezzabili. Il presidente del consiglio, però, ha scoperto solo di recente la solennità del 25 aprile. Ma più che questi messaggi, colpiscono le sue altalenanti contraddizioni: da mesi va avanti a strappi con i successivi aggiustamenti. Dobbiamo guardare ai fatti, le parole non servono".

In che senso?

"Negli ultimi 9 anni, sette sono stati governati dal centrodestra. E si è visto che la democrazia populista non è in grado di decidere. Non ci sono scelte in nessun campo. Né in economia, né sul terreno istituzionale. Un sintomo evidente è l'impennata orgogliosa di Fini. Una reazione che non è la malattia o la medicina della destra, ma è il sintomo di un malessere. Per questo è necessario uscire dalla chiacchiere".

Sta di fatto che stavolta il premier vi chiede collaborazione.

"Ma il loro modello di azione non è fatto per decidere. È costruito per accumulare il consenso, ma poi non lo usano per governare. Io ho insomma profonda sfiducia che si voglia mettere davvero mano a qualcosa di concreto. È evidente che in questa maggioranza non ci sono le condizioni per affrontare le riforme. Infatti, prima o poi, davanti alla difficoltà di decidere, Berlusconi prenderà un pretesto qualsiasi per accelerare in curva".

Accelerare verso dove?

"Verso le elezioni. O verso un qualsiasi tipo di strappo. La bozza Calderoli che altro era? Un'accelerazione per coniugare solo l'interesse del premier con quello della Lega. In Fini c'è questa consapevolezza. Lui stesso elenca alcuni nodi cruciali: il programma economico da aggiornare alla luce della crisi, il federalismo senza compromettere l'unità del Paese".

Anche il Quirinale, però, vi chiede uno sforzo bipartisan.

"Accettiamo l'appello del presidente della Repubblica. Noi, però, una proposta l'abbiamo presentata. Non conosco quella del Pdl. Fini gliel'ha chiesta. Aspetteremo, ma sono pessimista sulla possibilità che questo governo affronti temi cruciali".

Quindi non ci sono le condizioni per un dialogo.

"L'opposizione è davanti ad un nuova responsabilità. Bisogna stringere le maglie per una piattaforma che abbia il sapore di un'alternativa di governo. Dobbiamo essere pronti perché il Paese sta scivolando".

Per questo ha proposto il Patto repubblicano pure al presidente della Camera?

"Il patto repubblicano non esclude Fini, ma certamente non è rivolto solo a lui. Nella proposta c'è l'esigenza che le forze dell'opposizione sui temi cruciali della democrazia e delle priorità economiche e sociali si rivolgano in modo ampio alle forze sociali civiche e politiche che riconoscono l'esigenza di una svolta che avvenga nel solco della Costituzione".

Questo, però, è uno scenario possibile solo in caso di crisi del governo.

"Io voglio capire chi non accetta la deriva. Qualcuno mi ha accusato di fare tattica sulle alleanze, ma è esattamente il contrario. Voglio che siamo noi a interpretare le grandi esigenze sociali e a proporre una forma nuova e più efficiente di bipolarismo".

Ma se entra in crisi la maggioranza ci saranno le elezioni o ci sarà una soluzione intermedia con un governo tecnico?

"Quel che vedo è che non si potrà andare avanti così altri tre anni e non vedo scenari intermedi".

Qualcuno ha letto il Patto repubblicano come una premessa per un esecutivo di transizione.

"Niente di tutto questo. Non voglio sproloquiare su formule. Credo che, nell'impotenza del centrodestra, qualcuno possa dare uno strattone. Ma la sorte della legislatura non è in mano a un uomo solo, c'è anche il presidente della Repubblica".

Nel '95, quando entrò in crisi il primo governo Berlusconi, nacque l'esecutivo Dini.

"Ogni fase ha il suo schema, ma la storia non si ripete. Vedremo cosa accadrà. Non siamo in condizione ora di indicare soluzioni a tavolino e non abbiamo messo in moto movimenti per un cambio di maggioranza. Quando ho parlato di patto repubblicano, pensavo a cose più profonde. Ad esempio: si può tornare a votare con questa legge elettorale? Si può andare avanti con questo sistema dell'informazione. Possiamo proseguire senza affrontare la crisi economica? Che benefici ci ha portato questa curvatura personalistica della nostra democrazia?".

C'è chi - come il professor Campi - propone di riformare proprio la legge elettorale per poi tornare al voto. Si aspetta che il presidente della Camera opti per questa strada?

"Non arrivo a questo. Penso però, se sarà coerente, che dovrà sciogliere alcuni nodi fondamentali: i temi sociali, le norme sugli ammortizzatori sociali, la giustizia (basti pensare alle intercettazioni), il federalismo che è arrivato ai decreti attuativi. La palla, a quel punto, toccherà a Berlusconi. Se saprà risolvere i problemi, andranno avanti, altrimenti si porrà una questione di stabilità politica. Per quanto ci riguarda, il Paese si aspetta solo che lavoriamo a una piattaforma alternativa. E chi fino ad ora ha sonnecchiato dovrà accorgersi che a Palazzo Chigi non si decide niente".

E chi ha sonnecchiato?

"Ad esempio qualche rappresentanza sociale. Ho assistito all'ultima assemblea di Confindustria e ho notato un certo spaesamento e ho sentito stavolta parole nette dalla presidente Marcegaglia. C'è sempre meno fiducia. Basta pensare al federalismo: ne parlano continuamente ma poi il Tesoro non ci porta le tabelle. Senza numeri e soldi, questa operazione non esiste".

Ma in caso di voto anticipato, il Pd è pronto?

"Non lo vedo per domani ma certamente una fase di logoramento potrebbe portarci fin lì. Stiamo lavorando sul progetto Italia 2011 lanciato nell'ultima direzione. Da lì usciranno le nostre idee per l'alternativa".

(26 aprile 2010)

 

2010-04-25

LIBERAZIONE

Celebrato il 25 aprile, Berlusconi sceglie la tv

"Scriviamo assieme una nuova pagina di storia"

Il capo dello Stato all'Altare della Patria: "Il clima sia sereno". A Roma Contestata la Polverini ("Fascista, vergogna"). Zingaretti la difende. A Milano fischi per la Moratti. Sequestrati 4000 manifesti con l'effige del duce

Celebrato il 25 aprile, Berlusconi sceglie la tv "Scriviamo assieme una nuova pagina di storia"

diretta

25 aprile, Berlusconi in tv "Ora una nuova pagina" Polverini contestata a Roma

* Roma, contestata la Polverini

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Roma, contestata la Polverini

* 25 Aprile, la contestazione in piazza Duomo

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* 25 aprile, a Genova si commuove Burlando

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* "Festa della riunificazione d'Italia" Napolitano celebra la Liberazione

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* Cirielli e il 25 aprile, è ancora bufera Violante: "La Destra riconosca la Resistenza"

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* 25 aprile, manifesti pro Mussolini nel barese

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25 aprile, manifesti pro Mussolini nel barese

ROMA - Celebrazioni in tutta Italia per il 65° anniversario della Liberazione dal nazifascismo che anche quest'anno è stato occasione di confronto politico in cui le considerazioni sul passato si sono intrecciate con quelle sul presente. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano ha dato il via alle celebrazioni, all'Altare della Patria: "Che tutto avvenga in un clima sereno", ha detto. Assieme a lui c'erano tra gli altri la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Gianni Alemanno.

Il messaggio di Berlusconi. Anche il premier Silvio Berlusconi ha celebrato l'anniversario della Liberazione, ma lo ha fatto in "forma presidenziale", con un messaggio agli italiani attraverso la tv. "I nostri padri seppero accantonare le differenze politiche più profonde e sancirono nella Costituzione repubblicana il miglior compromesso possibile per tutti. Dopo 65 anni la nostra missione scrivere una nuova pagina della storia è andare oltre quel compromesso e costruire l'Italia del futuro sempre nel rispetto assoluto dei principi di democrazia e di libertà", ha detto il presidente del Consiglio.

"Il nostro obiettivo - ha aggiunto - è quello di rinnovare la seconda parte della Costituzione del 1948 che è già stata in parte modificata, per definire l'architettura di uno Stato moderno, più vicino al popolo sulla base del federalismo, più efficiente nelle istituzioni e nelle azioni di governo, più equo nell'amministrazione di una giustizia veramente giusta. Vogliamo farlo insieme a tutte quelle forze politiche che - ha concluso - come fecero i nostri padri costituenti, non rifiutano a priori il dialogo e hanno a cuore la libertà".

Il discorso di Napolitano. Come ieri alla Scala di Milano 1, durante il presidente della Repubblica ha voluto sottolineare oggi al Quirinale il valore del 25 aprile come "Giorno della liberazione e insieme della riunificazione d'Italia, a conclusione di una drammatica divisione in due e di una profonda lacerazione del nostro paese". Un valore che bisogna preoccuparsi di trasmettere correttamente alle nuove generazioni, parlando di quel biennio 1943-1945 con "grande serenità", come è avvenuto ieri alla cerimonia di Milano organizzata dal Comune, dall'Anpi e dal Comitato Antifascista. Napolitano ha insistito molto sul "significato nazionale" del 25 aprile, sul "valore di riconquista e condivisione del senso della nazione e della Patria, di riaffermazione di una rinnovata identità e unità nazionale". E ha chiesto di riunirsi in un grande sforzo comune, superando gli steccati politici, proprio come avvenne durante il Risorgimento e la Resistenza. Un richiamo che oggi ha trovato implicitamente eco nel messaggio televisivo di Berlusconi.

Contestata la Polverini. Quando Renata Polverini ha raggiunto Porta S. Paolo a Roma assieme a Nicola Zingaretti per un altro appuntamento nel ricordo del 25 aprile 1945, c'è stata la contestazione di un gruppo di persone che hanno apostrofato la presidente della Regione gridando "Fascista, vergogna" e lanciando frutta. E' intervenuto Zingaretti, nel tentativo di difenderla, ma è stato colpito anche lui da un limone. La Polverini ha subito ringraziato il presidente della Provincia e il sindaco Alemanno ha detto che "va preso come esempio l'atteggiamento di Nicola Zingaretti, che con grande coraggio civile ha difeso Renata Polverini e ha reagito contro i violenti". Mentre Zingaretti ha affermato che "nessuno in questo Paese deve poter anche solo teorizzare che non possa prendere la parola chi professa idee diverse dalle proprie. La differenza con il fascismo è proprio questa". "Era una bella piazza - ha aggiunto il presidente della Provincia di Roma - rovinata da un gruppo di mascalzoni". La Digos ha già identificato due giovani responsansabili del lancio contro Polverini e Zingaretti: saranno denunciati.

Milano, tensione in piazza, contestati Moratti e Podestà. A Milano, il sindaco Letizia Moratti aveva confermato la sua presenza al corteo organizzato dall'Anpi (Associazione nazionale dei partigiani italiani) dicendo di sapere "di rischiare contestazioni". Previsione, purtroppo, giusta. In piazza Duomo sia il sindaco che il presidente della Provincia Guido Podestà sono stati oggetto delle proteste dei giovani dei centri sociali. I militanti se la sono presa soprattutto con Podestà, definito "buffone" e "fascista". La polizia in tenuta antisommossa è riuscita a respingere un tentativo di sfondamento, ma non a impedire che un camion dei centri sociali si piazzasse a ridosso del palco con una scritta nel retro contro i raduni della destra previsti in maggio. Per fermare la contestazione sono intervenuti anche i familiari dei reduci dai lager nazisti, ma non sono stati risparmiati da insulti e lancio di vino e birra. Durante l'ultimo intervento dal palco, il presidente provinciale dell'Anpi, Carlo Smuraglia, ha cercato di far ragionare la folla: "Per tanti anni siamo stati soli a portare avanti questa battaglia - ha detto - oggi se non siamo più soli, se ci sono alcuni rappresentanti delle istituzioni, allora dobbiamo essere capaci di prendere atto di questo. Poi in sede politica possiamo discutere, esiste il voto, ma questa deve rimanere una festa".

I manifesti del Duce. Nel corso della scorsa notte la Digos romana ha sequestrato 4.000 manifesti, in viale XXI Aprile, con sopra la foto del Duce e la frase "25 aprile: un'idea è al tramonto, quando non trova più nessuno capace di difenderla", accompagnata dalla firma di Benito Mussolini. Successivamente è stato perquisito un magazzino, sulla stessa via, utilizzato da un militante di Forza Nuova, dove sono stati sequestrati altri 2.000 manifesti.

Benzina al centro sociale di destra. Sempre stamattina, di fronte a Casaggì, il Centro Sociale di destra in via Maruffi a Firenze, alcuni militanti hanno trovato diversi litri di benzina sparsi su parte dell'ingresso, sulle scalette antistanti l'edificio e sugli stipiti del portone d'accesso. La sede ospita anche la Giovane Italia, movimento giovanile del Pdl, e gli uffici dei consiglieri comunali e circoscrizionali che la struttura ha eletto nelle liste del Popolo della libertà. "Poteva essere una strage - racconta Francesco Torselli, consigliere comunale del Pdl e dirigente nazionale della Giovane Italia - anche alla luce del fatto che all'interno c'erano alcuni ragazzi che erano rimasti a dormire. E' il risultato dell'esasperazione del clima d'odio montato da una certa sinistra in occasione di ogni 25 aprile".

(25 aprile 2010)

 

 

 

 

25 aprile, Berlusconi in tv

"Ora una nuova pagina"

Polverini contestata a Roma

Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano ha inziato le comemorazioni della Liberazione dal nazifascismo all'Altare della Patria, che sono poi proseguite al Quirinale. "Celebrazioni siano serene". Messaggio registrato del premier: "Superare il compromesso dei padri costituenti". Fischi e lanci di oggetti per la presidente della Regione Lazio, colpito anche Zingaretti che commenta: "Un gruppetto di mascalzoni"

18:29 Catania, giunta e sindaco disertano cerimonia Anpi

"L'amministrazione comunale di Catania ha disertato la cerimonia che si è tenuta nel chiostro di piazza Duomo per la celebrazione del 25 aprile promossa dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia" e alla quale "hanno partecipato 2.500 persone". Lo rende noto l'Anpi, esprimendo "disapprovazione e indignazione". "Un atto - prosegue l'Anpi - che offende la memoria dei 35 partigiani catanesi, tra i tanti, che hanno immolato la propria vita nella lotta contro i nazifascisti". "Questa mattina, a parte la presenza di due vigili urbani, erano assenti i rappresentanti della Giunta e anche il presidente del consiglio comunale".

18:06 CS Cantiere: "Anpi non ospiti chi finanzia estrema destra"

Il centro sociale Cantiere, protagonista a Milano di una dura contestazione, esprime "rispetto" per l'associazione partigiani e per i reduci, ma chiede risposte all'Anpi per la presenza sul palco della manifestazione di oggi di "chi finanzia le iniziative dei nazifascisti". I militanti hanno spiegato di riferirsi in particolare alla settimana di eventi della destra radicale "finanziata dagli enti locali milanesi" per ricordare il 35mo anniversario dell'uccisione del giovane missino Sergio Ramelli. "Vorremmo ci fosse rispetto anche per i giovani antifascisti milanesi - dicono quelli del Cantiere -. Chiediamo ai partigiani risposte per aver ospitato sul palco chi finanzia oggi le attività dei nazifascisti".

17:51 Imma Battaglia (Gay Project): "Solidarietà a POlverini e Zingaretti"

"Esprimo a nome della comunità gay la piena solidarietà alla presidente della Regione Lazio Renata Polverini e al presidente della Provincia Nicola Zingaretti". E' quanto afferma Imma Battaglia, presidente Dì Gay Project. "Questo modo violento, inutile e dannoso, di contestare rappresentanti istituzionali va respinto con grande fermezza, ancor di più in una giornata come quella che si celebra oggi che deve rappresentare il senso dell'unità istituzionale ben richiamato dal Presidente della Repubblica Napolitano". Solidarietà a Polverini e Zingaretti anche in una nota diramata da Arcigay.

17:48 L'Aquila, carriole anche per la Liberazione

Carriole e fiori nella zona rossa de L'Aquila, per festeggiare la Liberazione. Così i cittadini che per nove settimane si sono dati appuntamento in centro per chiedere la rimozione delle macerie del terremoto hanno deciso di dedicare l'intera giornata di oggi alla rievocazione del 25 Aprile. In Piazza Nove Martiri, dedicata proprio alla memoria di nove cittadini trucidati dai nazisti, è stata allestita una mostra fotografica sulla Resistenza, sono state lette poesie e sono intervenuti alcuni membri dell'Associazione nazionale partigiani.

17:27 Anpi: in 50mila in piazza a Milano, comizi terminati

Secondo gli organizzatori, sono 50 mila le persone in piazza a Milano in occasione del 25 aprile. Il dato è stato riferito da Antonio Pizzinato, presidente regionale dell'Anpi. I comizi dal palco in piazza Duomo sono finiti. La gente inizia a defluire.

17:20 Ugl: "Solidarietà a Polverini e Zingaretti"

"Esprimiamo tutta la nostra solidarietà al presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, e al presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, per la violenta contestazione di oggi". Lo ha dichiarato il segretario dell'Ugl Roma e Lazio, Gianni Fortunato. "Il sindacato - dice - condanna una intolleranza che denuncia assenza di rispetto per le persone e per le istituzioni, e che soprattutto svilisce quei valori come la democrazia e la libertà che proprio oggi tutti gli italiani celebrano. Valori per i quali Polverini, già da sindacalista, si è sempre battuta nel nome della coesione sociale e del dialogo civile".

17:13 Cirielli: "Sinistra intollerante, rinunciato a celebrazioni"

In una nota, il presidente della Provincia di Salerno, Edmondo Cirielli esprime il suo rammarico per aver dovuto rinunciare "alla cerimonia ufficiale per la celebrazione della festa della liberazione" in piazza Vittorio Veneto a Salerno. "Il clima di insulti e di intimidazioni - si legge nel documento - fomentato dall'ultrasinistra e avallato dal Pd mi ha impedito di partecipare". "La strumentalizzazione di verità incontrovertibili - dichiara Cirielli - dimostra che in Italia non soltanto l'estrema sinistra è gravida di intolleranza e di una cultura totalitaria, ma che il Pd deve ancora scrollarsi di dosso i vecchi legami con le sue origini comuniste. Solo facendo ciò non si consentirà più a una banda di facinorosi di offendere la memoria di coloro che sono morti per la libertà".

16:57 Smuraglia (Anpi): "25 aprile deve restare una festa"

Dal palco di piazza Duomo a Milano, Carlo Smuraglia, presidente provinciale dell'Associazione nazionale partigiani, ha così commentato le contestazioni al sindaco Letizia Moratti e al presidente della Provincia Guido Podesta'. "Per tanti anni siamo stati soli a portare avanti questa battaglia, oggi se non siamo più soli, se ci sono alcuni rappresentanti delle istituzioni, allora dobbiamo essere capaci di prendere atto di questo. Poi in sede politica possiamo discutere, esiste il voto, ma questa deve rimanere una festa".

16:54 Vita (Pd): "Messaggio premier improprio"

"E' del tutto insolito che il presidente del Consiglio utilizzi un messaggio, di fatto a reti unificate, per parlare ai cittadini - dichiara Vincenzo Vita, senatore del Pd e membro della commissione di Vigilanza Rai -. E' come se fosse già avvenuta una modifica della Costituzione, attribuendo al Capo del governo un ruolo che non ha. E la Costituzione è un valore supremo che non può essere aggirato nè nella forma nè nel contenuto".

16:49 Di Pietro: "25 aprile, non credere alle sirene di Berlusconi"

"Oggi è una celebrazione troppo importante per credere al canto delle sirene di Berlusconi". Lo afferma Antonio Di Pietro. "Il 25 aprile - prosegue il presidente dell'Italia dei Valori - ha un valore storico fondamentale per la nostra democrazia e non possiamo permettere che Berlusconi faccia carta straccia di un tesoro che hanno costruito i padri costituenti. Come possiamo fidarci di un capo del Governo che in due anni ha portato in Parlamento solo leggi ad personam? Come possiamo fidarci di un capo del Governo che attacca, a giorni alterni e non solo con le parole, la magistratura e la libera stampa?"

16:46 Letizia Moratti: "Serve diversa gestione della sicurezza"

Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, commenta i disordini provocati dai centri sociali lungo il corteo e in piazza Duomo. "Non gestisco io l'ordine pubblico, ma mi sembra che la gestione della sicurezza della piazza debba essere diversa. Una gestione diversa è necessaria nel rispetto di chi ha fatto la Resistenza e dei suoi valori. In piazza devono essere rispettati tutti coloro che si rifanno a quei valori e tutti coloro che vogliono parlare e che ne hanno il diritto".

16:44 Podestà: "Resistenza non è patrimonio di una sola parte"

"C'è un modo di fare contestazione che impedisce all'altro di esprimersi. Dire 'fascista' è una vecchia forma per demonizzare l'altro. La Resistenza non è solo patrimonio di una parte politica e su questo ci deve essere una revisione da parte di tutte le forze politiche". Così il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, ha commentato le lunghe contestazioni che hanno accompagnato il suo discorso in piazza Duomo.

16:40 Piazza Duomo, insultati anche i reduci dei lager nazisti

Per fermare la contestazione degli esponenti dei centri sociali, in particolare del 'Cantiere', sono intervenuti anche i reduci dai campi di sterminio nazisti, ma sono stati a loro volta insultati al grido di "fascisti, fascisti". Avvicinatisi ai giovani con i cartelli che rappresentano lager come Auschwitz e Treblinka, i reduci sono stati oggetto di lanci di birra e vino.

16:27 Tensione a Milano, Rosati (Cgil): "Dov'era la polizia?"

Il segretario della Camera del Lavoro di Milano, Onorio Rosati, critica la gestione dell'ordine pubblico lungo il corteo e in piazza Duomo per le iniziative legate al 25 aprile. "Il camion dei centri sociali è arrivato fino a sotto il palco, è evidente che c'è una responsabilità da parte di qualcuno e quel qualcuno ne dovrà rispondere". "Già un'ora prima che partisse il corteo - aggiunge Rosati - il servizio d'ordine del sindacato si è scontrato con quelli dei centri sociali. Mi domando dove era la polizia".

16:25 Fini: "Discorso Berlusconi alto e nobile"

"Il presidente del Consiglio questa mattina ha fatto un discorso alto, nobile, pieno di riferimenti congrui. Ha citato i padri fondatori, ha detto della necessità di tenere unita l'Italia, ha parlato della necessità di riforme condivise". E' il commento del presidente della Camera Gianfranco Fini, ospite di Lucia Annunziata su Raitre.

16:21 Milano, camion dei centri sociali in piazza Duomo

Un camion dei centri sociali è entrato in piazza Duomo, esponendo nella parte posteriore un grande striscione contro i raduni della destra che sarebbero stati autorizzati dalle istituzioni locali e previsti a inizio maggio. Inutile per il momento il tentativo di farlo spostare. Il cordone di carabinieri e polizia, in tenuta antisommossa, tiene sotto controllo i centinaia di manifestanti che dietro alle transenne continuano a urlare all'indirizzo della Moratti e di Podestà

16:16 Contestazione Polverini: Digos identifica due giovani

Identificati dalla Digos di Roma due giovani appartenenti ai centri sociali responsabili del lancio di oggetti contundenti a Porta San Paolo nel corso delle contestazioni al Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini. I due giovani saranno denunciati e deferiti alla competente autorità giudiziaria.

16:14 Gino Strada: "Festeggiare fine di un incubo chiamato guerra"

"Emergency festeggia il 65esimo dalla Liberazione che per noi vuol dire la liberazione dall'incubo della guerra, che è ammazzarsi e distruzione di massa". Così da Milano Gino Strada, fondatore dell'organizzazione non governativa. Sulle contestazioni che hanno raggiunto la Moratti e Podestà, Strada taglia corto: "Non mi occupo di politica italiana, non voto neanche; cosa vuoi che me ne importi del discorso di tizio o di caio?".

16:11 Piazza Duomo, manifestanti tentano di sfondare e arrivare al palco

In piazza Duomo a Milano, alcune centinaia di giovani hanno tentato di sfondare il cordone della polizia per raggiungere il palco, mentre sta ancora parlando il presidente della provincia, Guido Podestà, contestato per tutta la durata del suo discorso. I giovani mostrano dei cartelli con la scritta "No ai raduni nazifascisti"; il riferimento è al patrocinio dato da un consiglio di zona di centrodestra ad un concerto nazifascista.

16:04 Identificati i due giovani che hanno contestato la Polverini

Sono stati dalla Digos di Roma due giovani appartenenti ai centri sociali presunti responsabili del lancio di oggetti a Porta San Paolo nel corso delle contestazioni al presidente della regione Lazio, Renata Polverini.

15:35 Fischiato il presidente Podestà

Il discorso di Guido Podestà, presidente della Provinciadi Milano, è stato accolto da fischi e al grido "Fascista, buffone, vergogna vattene"

15:11 Il sindaco Moratti: "Ma ho avuto anche tanti applausi"

Il sindaco di Milano non si è detta stupita per i fischi e le contestazioni ricevute ma ha aggiunto di aver avuto anche "tanti applausi e abbracci. In giornate come queste le istituzioni ci debbono essere. E questo è il significato della mia presenza".

15:09 Contestata Letizia Moratti al grido di "Fuori da Milano"

Il sindaco di Milano Letizia Moratti ha raggiunto il corteo all'altezza di piazza San Babila, ma è stata accolta da un coro di contestazioni. "Fuori da Milano", "Via i fascisti dal corteo", alcuni degli slogan.

15:07 Dai centri sociali a Podestà: "Vergogna"

Milano: i giovani dei centri sociali volevano avanzare nel corteo per avvicinarsi il più possibile al presidente della Provincia, Podestà, al grido "vergogna".

15:03 Milano, contestato nel corteo Guido Podestà

Il corteo del 25 Aprile di Milano è partito da Porta Venezia e si sta dirigendo in piazza del Duomo. Contestazioni all'ingresso nel corteo sono state rivolte al presidente della Provincia Guido Podestà.

14:03 Slogan corteo a Roma: "10, 100, 1000 Acca Larentia"

"Dieci, cento, mille Acca Larentia". E' lo slogan intonato da un gruppo di manifestanti in testa al corteo romano organizzato a Roma dalla Rete antifascista e dai centri sociali in occasione dell'anniversario della Liberazione.

13:42 Alemanno: "Manifesti Duce? Demenze nostalgiche"

"Bisogna capire chi ha finanziato queste cose che sono di un certo costo economico. Non si tratta di una scritta ma di una cosa strutturata e penso che la questura ci possa veramente aiutare ad evitare che simili demenze politiche nostalgiche diano un segno di inciviltà alla nostra città". Così il sindaco di Roma Gianni Alemanno, ha commentato i manifesti del Duce apparsi per le strade di Roma.

13:28 Maroni: "Orgogliosi del 25 aprile"

"Il 25 aprile rappresenta un momento della storia d'Italia di cui essere orgogliosi, da quel tributo di solidarietà e di sacrificio discende il riconoscimento di quelle libertà fondamentali che trovano la loro massima espressione nella Costituzione repubblicana". Lo ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni, intervenendo alla cerimonia in corso al Quirinale.

13:08 Polverini: "Gruppo di violenti, ringrazio Zingaretti"

"Un gruppo di violenti non può macchiare una celebrazione cui il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha giustamente conferito il senso e il valore dell'unità nazionale". Lo dichiara Renata Polverini, che poi ringrazia Zingaretti "per il gesto importante che ha compiuto sotto il profilo istituzionale e personale, lasciando la manifestazione di fronte alla prepotenza".

12:55 In migliaia a San Sabba

Alcune migliaia di persone hanno affollato oggi la Risiera di San Sabba a Trieste, per la cerimonia commemorativa del 65/o anniversario della Liberazione dal nazifascismo. In quello che è stato l'unico campo di sterminio nazista in Italia, le celebrazioni sono state aperte dalla lettura, da parte di alcuni bambini, di scritti o missive degli ex deportati.

12:50 La Russa: "Rinnovata unità nazionale"

Le celebrazioni del 25 Aprile rappresentano la "rinnovata unità nazionale" nel superamento delle "vecchie contrapposizioni". Lo ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa, parlando al Quirinale.

12:41 Solidarietà dei sindacati a Polverini e Zingaretti

"Avrebbe dovuto essere la festa dell'Italia libera e democratica. Invece proprio oggi, di fronte ad una bella piazza gremita e partecipe, questi valori per colpa di un manipolo di teppisti sono stati offesi e ribaltat"i. Così Cgil, Cisl e Uil di Roma e Lazio esprimono solidarietà a Renata Polverini e Nicola Zingaretti.

12:12 Zingaretti: "Una bella piazza rovinata da un gruppo di mascalzoni"

"Ho difeso il diritto di parola di Renata Polverini, nessuno si deve permettere anche solo di teorizzare che qualcuno con un'idee diverse dalla propria non abbia il diritto di parola. La differenza tra il fascismo e democrazia è proprio questa. Era una bella piazza rovinata da un gruppo di mascalzoni".

12:10 Alemanno: "Va preso ad esempio il comportamento di Zingaretti"

"Va preso come esempio l'atteggiamento di Nicola Zingaretti che con grande coraggio civile ha difeso Renata Polverini e ha reagito contro i violenti". Lo ha detto il sindaco Gianni Alemanno commentando quanto accaduto a porta San Paolo.

12:09 Berlusconi: "Andare oltre il compromesso dei costituenti"

Berlusconi: "Dopo 65 anni la nostra missione è ora di andare oltre quel compromesso del padri costituenti e costruire l'Italia del futuro".

11:48 Letizia Moratti conferma: "Andrò al corteo dell'Anpi"

Il sindaco di Milano, Letizia Moratti ha confermato che questo pomeriggio parteciperà al corteo dell'Anpi per comemorare la Liberazione: "Non ho paura di fischi o contestazioni".

11:46 Berlusconi: "Rinnovare la seconda parte della Costituzione"

Le riforme subito e insieme. Questo il messaggio lanciato da Silvio Berlusconi, nel suo messaggio agli italiani in Tv per il 25 aprile. "Il nostro obbiettivo è rinnovare la seconda parte della Costituzione del 1948"

11:36 Napolitano: "Oggi, una rinnovata identità e unità nazionale"

Napolitano: "La Liberazione riunificò una lacerazione e oggi rappresenta la rinnovata identità e unità nazionale".

11:31 Berlusconi: "Costruiamo insieme uno Stato moderno"

Berlusconi non ha partecipato alle celebrazioni, ma ha lanciato un messaggio in tv: "Costruiamo insieme uno Stato moderno e scriviamo una nuova pagina della storia democratica"

11:28 Grida alla Polverini: "Fascista, vergogna"

"Fascista, vergogna", hanno gridato i contestatori alla Polverini salita sul palco. Nicola Zingaretti ha provato ad intervenire per difenderla ed è stato colpito in pieno volto da un limone.

11:05 Formigoni: "Contro i totalitarismi di ogni colore"

Per il presidente della Regione Lombardia, roberto Formigoni "A 65 anni di distanza bisogna riconoscere che è stato il popolo italiano in tutte le sue componenti a volere la libertà, a combattere contro il totalitarismo di ogni colore".

10:59 Colpito dal lancio di frutta anche Nicola Zingaretti

Anche il presidente della provincia, Nicola zingaretti è stato raggiunto dal lancio di un limone a Porta S. Paolo

10:47 La Polverini contestata con fischi e lanci di oggetti

La presidente della Regione Lazio Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta san Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione.

10:46 La Russa: "L'unità nazionale nella memoria condivisa"

La Russa: "Ritrovata l'unità e la concordia nazionale nel solco di memorie condivise".

10:41 Moratti: "Sarò sul palco anche se so che mi contersteranno"

Letizia Moratti, sindaco di Milano, che sarà sul palco delle celebrazioni, anche se cosciente - ha detto - "di essere contestata: Ma le parole del presidente Napolitano ci devono far riflettere".

10:38 Schifani: "Oggi è la festa della coesione sociale"

"Quella del 25 Aprile deve essere la festa dell'unità d'Italia e della coesione sociale. Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani a Palermo, durante la celebrazione del 25 aprile.,

10:37 Alemanno: "C'è ormai memoria condivisa"

"Credo che la maggior parte della gente abbia maturato una memoria condivisa e la consapevolezza dell'importanza di queste celebrazioni", ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno

10:34 Zaia: "Non si sono accorti che la guerra è finita da 65 anni"

"Non si sono accorti che la guerra è finita da 65 anni", è stata la sortita del neo presidente della regione Veneto, il leghista Luca Zaia

10:30 Alla cerimonia in piazza Venezia le alte cariche istituzionali

Presenti alla cerimonia, assieme a Napolitano, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il presidente della Corte Costituzionale, Francesco Amirante. Assente il presidente del Senato, Renato Schifani, sostituito da uno dei vice presidenti, Rosi Mauro. C'erano anche Renata Polverini, Luca Zingaretti e Gianni Alemanno, in rappresentanza di Regione, Provincia e Comune

10:29 Napolitano depone una corona sull'Altare della Patria

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha reso omaggio al Milite Ignoto, deponendo una corona d'alloro all'Altare della Patria, in occasione delle celebrazioni per il 65° anniversario del 25 aprile.

 

 

 

 

PDL

Fini: "La destra moderna sono io"

E sull'ipotesi elezioni: "Irresponsabile"

Il presidente della Camera in tv : "Non mi pento di avere alzato il dito, in Parlamento niente imboscate ma sono contrario al federalismo a ogni costo. Pronto a incontrare Bossi per discuterne"

Fini: "La destra moderna sono io" E sull'ipotesi elezioni: "Irresponsabile" Fini nel corso dell'intervista di Lucia Annunziata

ROMA - E' la prima delle sue (molte e annunciate) apparizioni televisive, dopo il plateale scontro con Silvio Berlusconi nella direzione nazionale del partito. E oggi Gianfranco Fini, intervenendo alla trasmissione In mezz'ora di Lucia Annunziata, rivendica in toto la sua battaglia interna: "Non mi sono pentito di avere alzato il dito - dice - io rappresento la destra moderna, che non ha la bava alla bocca e dialoga con gli avversari". Poi respinge al mittente l'idea di elezioni anticipate: chi ne parla è "irresponsabile", perché andando al voto "si esporrebbe l'Italia a un rischio enorme".

"Credo - prosegue Fini - che anche il premier si sia accorto che non accadrà mai che il presidente della Camera si dimetta perché ha opinioni diverse dal partito e dal presidente del Consiglio. Io mi sento sereno, non mi sono pentito di aver fatto il Pdl, voglio aiutare Berlusconi a migliorare. E quindi perché sentirsi pentiti o pensare di essersi suicidati? La nostra voce sarà più alta di quella dei numeri". Poi una dura critica ai vertici del partito: "Poco di liberale se si fa la lista degli epurandi. Il documento della direzione sembrava fatto apposta per contare gli eretici".

Il federalismo. Fini dice di "conoscere per certi aspetti Berlusconi e Bossi: sono entrambi coscienti che le elezioni anticipate in questo momento sarebbero un fallimento della maggioranza. "Io comunque non sono contro il federalismo", aggiunge, "ma non a ogni costo e deve essere garanzia di coesione". Lui comunque è disposto a incontrare Umberto Bossi per discuterne.

Il ruolo di presidente della Camera. Sulle sue esternazioni politiche Fini spiega: "Non devo lasciare la presidenza della Camera per esprimere opinioni", però "non ci saranno imboscate" in Parlamento. Poi assicura: "Non ho nessuna intenzione di fare altri partiti ma voglio continuare a discutere all'interno del mio partito di fatti politici. Non c'è una questione personale con Berlusconi, che ho risconosciuto essere il leader del Pdl". Positivo il giudizio sul discorso odierno del premier sul 25 aprile: "Alto e nobile". Infine, la difesa della magistratura "baluardo della legalità".

L'annuncio di Bocchino. In un colloquio con il Corriere della Sera, il parlamentare finiano annuncia di avere scritto la lettera di dimissioni da vicecapogruppo Pdl alla Camera che consegnerà a Fabrizio Cicchitto, chiedendo anche "un incontro con il coordinatore Denis Verdini e con Silvio Berlusconi" per avere "una discussione politica". Pronto, poi, "il giorno dopo, se necessario, a presentarmi all'assemblea del gruppo". Ma il suo modo di gestire l'addio alla carica gli provoca altre critiche, all'interno del partito. A prendere posizione contro Bocchino è uno dei tre coordinatori: "Ho letto le sue dichiarazioni, credo che questo modo di presentare le dimissioni non contribuisca al chiarimento politico e a una discussione pacata e serena nel partito. Mi sembra un altro modo per alimentare la confusione, le polemiche e il contrasto".

(25 aprile 2010)

 

 

 

 

Polverini, ecco i nomi della giunta

Buontempo tra i nuovi assessori

L'Udc non entra nella giunta, malgrado i numerosi tentativi di mediazione, anche da parte del leader della Destra Storace e della stessa governatrice che più volte ha tentato di ricucire lo strappo in extremis

di CHIARA RIGHETTI

Ufficializzata la nuova giunta regionale, manca l'Udc. E il segretario del partito centrista Cesa lancia un freddo "buion lavoro". Falliti i numerosi tentativi di mediazione, anche da parte del leader della Destra Storace e della stessa governatrice che più volte ha tentato di ricucire lo strappo in extremis. La Polverini sembra aver obbedito alle indicazioni di Berlusconi, che venerdì le aveva chiesto un ridimendionamento dei "finiani".

La squadra, varata dopo ore di trattativa tra le proteste di molti battitori liberi del Pdl, rimasti fuori dal gioco delle correnti, ha una forte impronta "berlusconiana" : molti i nomi indicati direttamente da deputati del Popolo della libertà, pochi quelli legati alla politica locale. Da Fabiana Santini a lungo assistente del ministro Claudio Scajola, all'ex europarlamentare Zappalà, che sarebbe la longa manus in Regione del senatore di Fondi Claudio Fazzone. Solo due le donne.

Sono quattro gli assessori ex An:

LUCA MALCOTTI, Infrastrutture e Lavori Pubblici - (In quota Augello e quindi 'finiano'). Romano, 43 anni, è sposato con 3 figli. Milita nel Fronte della Gioventù e poi nel Msi. Nel 2001 è consigliere comunale a Roma di An. Dal 2000 è segretario generale di Roma e Lazio della Ugl. Dal 2009 vice coordinatore vicario romano del Pdl.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, Mobilità e Trasporti - (In quota Rampelli). Nato a Tivoli, 37 anni, sposato con una figlia, Vittoria. E' stato assessore alla Cultura e allo Sport al Comune di Ardea e con la nascita del Pdl è stato nominato coordinatore provinciale.

ANTONIO CICCHETTI, Istruzione e Cultura - (In quota Rampelli). Nato Rieti nel 1952. Già dirigente locale del Fronte della Gioventù e poi del Msi, e consigliere comunale di opposizione dal 1975 al 1994. E' stato sindaco di Rieti dal 1994 al 2002. Nel 2005 è stato capogruppo di An alla Regione

PIETRO DI PAOLOANTONIO, Attività produttive e rifiuti - (in quota Alemanno). Romano, sposato, 37 anni, laureato in lettere e filosofia. Già consigliere per LE relazioni istituzionali per Roma e Provincia del Ministro dell'agricoltura Alemanno. Nel 2005 consigliere regionale. Già segretario provinciale Ugl trasporti di Roma.

Sono sei gli assessori ex Forza Italia

GIUSEPPE EMANUELE CANGEMI, Enti locali e Sicurezza - Romano, nato nel 1970. Diplomato odontotecnico, ha conseguito un Master in Scienze Ambientali. Nel 2006 è caapogruppo di Fi in Provincia di Roma e componente dell'Ufficio di Presidenza dell'Upi. Nel 2008 è nominato nel Cda di Ama. Dal 16 Novembre 2009 è vice coordinatore del Pdl per Roma.

FRANCESCO BATTISTONI, Politiche agricole - Nato a Montefiascone (Viterbo), 43 anni, è sposato con tre figli. Dal '97 al 2000 e' coordinatore provinciale di Fi a Viterbo. Nel 2000 è assessore provinciale all'Ambiente.

FABIO ARMENI, Urbanistica e Territorio - Romano, 54 anni, già consigliere regionale nella legislatura Marrazzo è stato presidente della Commissione speciale Indagine conoscitiva sul fenomeno della sicurezza e prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro.

FABIANA SANTINI, Arte, sport e Politiche giovanili - E' capo della segreteria del ministro Claudio Scajola.

STEFANO ZAPPALA', Turismo e Made in Lazio - Già consigliere regionale del Lazio (1995-2000), consigliere comunale a Latina (1997-2002), e sindaco di Pomezia dal 2002 al 2005. Dal 2004 è eurodeputato eletto per la lista di Forza Italia.

MARCO MATTEI, Ambiente - ex sindaco di Albano Laziale, è stato consigliere provinciale di Roma dal 2003 al 2008, anno in cui si è candidato alla presidenza della Provincia di Roma con la Rosa Bianca di Baccini.

In quota Polverini:

STEFANO CETICA, Bilancio - Sposato con tre figli. E' stato segretario generale dell'Ugl prima di Renata Polverini e dopo è diventato il nuovo presidente dell'organizzazione.

MARIELLA ZEZZA, Lavoro, politiche sociali e Famiglia - Nata a Milano il 23 febbraio 1965 si trasferisce nel 1983 a Roma dove diventa giornalista. E' conduttrice di telegiornale e svolge funzione di capo servizio nella redazione interni di Rainews24. Ambasciatrice del Telefono Rosa e componente del direttivo di D52, associazione che promuove la leadership femminile.

Assessore per La Destra:

TEODORO BUONTEMPO, Casa, Tutela dei Consumatori e terzo settore - Nato a Carunchio (Chieti) nel 1946, sposato e padre di tre figli. Si trasferisce a Roma nel 1968. Dirigente della Giovane Italia, nel 1970 diventa il primo segretario del Fronte della Gioventù di Roma. Per anni consigliere comunale di Roma e parlamentare di An. Dal 2007 è presidente de La Destra.

(25 aprile 2010)

 

 

Il partito di Fini vale almeno il 6%

Ma un altro 38% potrebbe votarlo

Consensi anche dalla Lega, in calo lo share personale. Il presidente della Camera appare a molti come leader di un altro partito di centrodestra

di ILVO DIAMANTI

Il partito di Fini vale almeno il 6% Ma un altro 38% potrebbe votarlo Gianfranco Fini

LA ROTTURA tra Berlusconi e Fini è avvenuta in modo spettacolare. E irreparabile. Come la coabitazione all'interno dello stesso partito e, perfino, della stessa coalizione. Anche se, in politica, non c'è nulla di irreversibile.

Dipende dagli interessi e dalle convenienze. Basta rammentare i rapporti tra Berlusconi e Bossi. Spezzati e ricuciti, dal 1994 al 2000. Per reciproca necessità. E utilità. La questione intorno a cui ruota il futuro del Presidente della Camera, ma anche della legislatura, è, dunque, principalmente una. Quanto può costare, al centrodestra, la defezione di Fini? E, in parallelo, quanto può contare - e costare - la sua presenza e permanenza nel PdL? Il sondaggio condotto da Demos nei giorni scorsi offre alcune indicazioni utili al proposito.

VAI ALLE TABELLE 1

Anzitutto, lo spazio del partito di Fini. Circa il 6% degli elettori afferma che lo voterebbe sicuramente. (Una stima analoga a quella fatta da Renato Mannheimer). Un settore molto più ampio (38%) lo "potrebbe" votare. Si tratta di un'area significativa, che incrocia diversi segmenti del mercato politico-elettorale, anche se gravita, principalmente, nel centrodestra. Il 26% degli elettori "certi" e la stessa quota di quelli "possibili", infatti, attualmente votano per il Pdl. Ma un altro 20% dei "certi" e una quota limitata di "possibili" votano per la Lega.

Il che non deve stupire. Un'ampia componente di elettori del centrodestra ha, da sempre, considerato la Lega un'alternativa a FI, prima, e al Pdl, poi. Un modo per manifestare la propria distanza da Berlusconi e dal governo, senza votare per gli "altri". Tuttavia, l'offerta politica di Fini attira consensi anche da centrosinistra e in particolare dal Pd. Ma attrae, soprattutto, gli elettori indecisi e meno coinvolti (un terzo del totale).

In definitiva, metà degli elettori (che si dicono) "certi" di votare per il partito di Fini (cioè, il 3% dell'elettorato totale) e un terzo di quelli "possibili" (circa il 13% del totale) sono di centrodestra; in particolare del Pdl, ma anche della Lega. Sufficienti a spostare gli equilibri politici a sfavore della coalizione guidata da Berlusconi e Bossi.

La posizione di Fini, tuttavia, oggi è rafforzata da tre elementi: a) il ruolo istituzionale di Presidente della Camera; b) la collocazione - tuttora - interna al centrodestra e al Pdl; c) la conoscenza, non ancora estesa a tutti gli elettori, della rottura con Berlusconi. Anche per questo, Gianfranco Fini resta il leader più stimato dagli elettori. Ma anche quello i cui consensi personali sono calati maggiormente: quasi 10 punti, nell'ultimo anno. Se confrontiamo l'evoluzione del giudizio su Fini in base al voto e alla posizione politica degli elettori, negli ultimi anni, la spiegazione di questa tendenza appare chiara. La quota degli orientamenti positivi nei confronti di Fini, negli ultimi due anni, tra gli elettori del Pdl scende, infatti, dall'89% al 67%.

Si attesta, quindi, allo stesso livello di Bossi. Leader di un altro partito, per quanto alleato. Ma forse anche Fini, nel Pdl, appare a molti il leader di un altro partito. E non necessariamente alleato. La stessa tendenza emerge se si considera la posizione nello spazio politico: fra gli elettori di destra, il Presidente della Camera cala dall'83% al 55% e tra quelli di centrodestra dall'87% al 65%. In parallelo, il suo consenso sale tra quelli di centrosinistra. Di conseguenza, l'elettorato che gli è più favorevole oggi è quello di centro: 70%.

Il Presidente della Camera beneficia, dunque, di una posizione di rendita, che appare vantaggiosa e insidiosa, al tempo stesso. È figura istituzionale, leader di centrodestra, ma anche di opposizione. Apprezzato (in misura calante) dagli elettori di centrodestra, ma anche (in misura crescente) da quelli di centrosinistra. Come appare chiaro se si osserva la mappa che raffigura la posizione dei leader politici, nella percezione degli elettori. Fini si colloca, infatti, vicino al centro, accanto a Casini. In fondo a destra: Berlusconi e Bossi. Pressoché appaiati. Quasi un "unicum". Nel settore opposto, Bersani e Di Pietro. Non lontani da Grillo. Le diverse anime dell'opposizione di (centro)sinistra.

Da ciò i problemi.

Per Fini. Il quale, come abbiamo detto, può svolgere un'azione corsara. Raccogliendo consensi a destra e al centro, perfino a sinistra. Opposizione e oppositore. Dentro il Pdl, nel centrodestra. Ma anche in ambito nazionale. Fini. Anti-berlusconiano e anti-leghista, in un sistema politico in cui Berlusconi e la Lega costituiscono i due principali fattori di divisione e identità.

Per la stessa ragione, però, egli appare esposto alla concorrenza degli altri attori politici. Di destra e di centro. Soprattutto se e quando venisse "espulso" dal Pdl e, ancor di più, dal ruolo istituzionale che ricopre.

Tuttavia, la posizione di Fini può diventare pericolosa anche per gli altri attori politici. Per il centro e, ancor più, il centrosinistra. Che rischiano di venire oscurati da quel dito puntato contro il Premier (assoluto). Dall'accesa polemica lanciata dal co-fondatore del Pdl contro la Lega "egoista" e padana. L'opposizione di Fini, però, appare incompatibile, anzitutto, con la natura del Pdl, che è un partito "personale". La versione allargata di FI. E non può sopportare, all'interno, un'alternativa "personale".

Infine, la sfida di Fini è inaccettabile per la Lega di Bossi. Che rischia di vedersi sottrarre il ruolo di opposizione "nel" governo. Una ragione importante del successo leghista, in passato e nel presente. L'assimilazione Lega-Pdl, Bossi-Berlusconi. Il Giano bifronte che governa il Paese. Una rappresentazione intollerabile per Bossi, trasformato in un leader "romano". E, simmetricamente, per Berlusconi, ridotto a gregario del Nord.

Difficile che possa durare a lungo tutto ciò. Questo Pdl. Questo centrodestra. Questa legislatura.

(25 aprile 2010)

 

 

2010-04-24

PD

Bersani, appello alle forze di opposizione

"Servono unità e nuova responsabilità"

Dal leader democratico allarme per gli "esiti imprevidibili della crisi che si è aperta nel centrodestra". "Da Fini temi veri, irrisolvibili nel partito e nella maggioranza in cui si trova il presidente della Camera". Il capo dei democratici parla anche di un "patto repubblicano" su riforme e crisi economica, anche con l'ex leader di An

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ROMA - Bersani vede "esiti imprevedibili". I cui rischi "non sono da sottovalutare". Perché le tensioni all'interno della maggioranza possono spingere l'asse Berlusconi-Bossi ad "accelerazioni". Per questo, il leader Pd fa un appello forte alle opposizioni: "Serve unità e responsbailità"

"Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe - dice Bersani all'Ansa -, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova".

Evidente il riferimento a possibili prove di forza in Parlamento, ma non solo. Nelle parole del leader democratico c'è anche, implicitamente, l'eventualità di elezioni anticipate. Non è un caso che parli di "opposizioni", senza escludere per esempio i centristi di Casini, tra l'altro i primi a parlare di un "fronte costituzionale" in caso di forzature del premier in direzione del voto anticipato.

"Serve un impegno più forte - continua Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa. Siamo di fronte ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici".

Il giudizio su Fini. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova".

"Il patto repubblicano". Per scongiurare i rischi, Bersani sostiene che "dalle opposizioni deve arrivare un appello ad altre forze ma anche a energie sociali ed economiche su due questioni fondamentali: cambiare l'agenda della politica per occuparsi di questioni sociali e un confronto in Parlamento per dare al bipolarismo una forma efficace, più moderna e saldamente costituzionale che blocchi i rischi di derive plebiscitarie".

Le altre forze sono anche personalità come Gianfranco Fini, che non vuol dire, precisa il leader Pd, "fare governi insieme". Lo scopo è "reagire ad una democrazia plebiscitaria, che ha dimostrato di non saper decidere, non è solo questione di opposizioni". Sui problemi economici del paese e sulle riforme serve dunque "un patto largo in parlamento" coinvolgendo però anche personalità e forze esterne.

Di Pietro: ora il candidato il premier. "Mi meraviglio che le idee rilanciate da Bersani facciano notizia perchè sono la fotocopia in carta carbone delle nostre. Ora comunque occorre individuare il candidato premier entro l'anno". Così il presidente dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, interpellato telefonicamente, risponde all'appello lanciato dal segretario del Pd Pier Luigi Bersani circa la necessità che le opposizioni si uniscano contro la 'deriva plebiscitaria' del Pdl nonchè quella di fare un patto repubblicano anche con Gianfranco Fini.

"Si dovrebbe trattare di una figura di sintesi - spiega dunque Di Pietro -, e dunque io non posso essere. Posso partecipare infatti ma non governare la coalizione". A chi gli chiede se la scelta potrebbe ricadere su Luca Cordero di Montezemolo, il leader dell'Idv replica: "Non lo tirerei per la giacchetta. Occorre cercare - dice - tra quelli che vogliono partecipare attraverso un percorso trasparente".

Berlusconi "ecumenico". Il premier, da Milano, commenta le parole di Bersani senza polemiche. "Quando si pensa ad una riforma soprattutto dell'architettura istituzionale del nostro Paese, attraverso una legge costituzionale, l'auspicio che dobbiamo avere tutti è che ci sia il massimo della condivisione e della partecipazione ad una fase dialettica per arrivare poi ad una fase di approvazione"

La Lega irritata. "Le riforme si fanno con la maggioranza allargata e non con le opposizioni allargate", ha detto il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli.

Secondo il coordinatore delle segreterie della Lega Nord, "quella del leader Pd sembra la riproposizione di ciò che aveva fatto Casini a dicembre scorso e che non era durato nemmeno un mese. Una cosa destinata a fallire. Là fu una maionese impazzita e qui si sta cercando di aggiungere alla maionese una punta di aceto...".

(24 aprile 2010)

 

 

 

 

 

2010-04-21

Pdl, Fini lancia la propria corrente

Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso"

Il presidente della Camera: "Resto, ma deve accettare il dissenso". I 74 ex An in disaccordo avvertono: "Rimaniamo all'interno del partito per rafforzarlo". In serata riunione di maggioranza a palazzo Grazioli: "Richieste confuse e annacquate"

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Il Cavaliere: "Gianfranco bluffa, si rimetta in riga"

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Scontro nel Pdl, i finiani vanno verso la conta

ROMA - Resta, ma non tace. Semmai organizza quel dissenso all'interno del Pdl a cui vuol dare voce. Se gli verrà permesso, ovviamente. Gianfranco Fini raccoglie i suoi fedelissimi e rilancia le critiche al Pdl ("deve essere libero e non può essere il partito nato dal Predellino"), negando, però, di aver posto questioni "personalistiche" o di "organigramma". Fini vede un partito che, visto il rapporto privilegiato con la Lega, si muove con scarsa "attenzione alla coesione sociale del Paese". Poi avverte: "Non penso a scissioni o a elezioni e non cerco poltrone: ma non ho intenzione di stare zitto e farmi da parte". Svanisce, così, l'ipotesi di fare gruppi autonomi. Si concretizza invece la nascita di una corrente di minoranza che vede in Fini il suo leader. "Non credo che sia una cosa che si può ipotizzare, non ha alcun senso" è il commento scaturito in serata dal vertice Pdl-Lega a palazzo Grazioli dove le richieste del presidente della Camera sono state definite "confuse e annacquate".

La terza carica dello Stato si presenta a questo appuntamento (blindato ai cronisti) con addosso gli occhi del mondo politico. E non poteva essere altrimenti dopo lo scontro con Berlusconi 1. In sala sono una cinquantina. Tra gli altri, Baldassarri, Siliquini, Laboccetta, Menia (che polemizza con Bocchino), Barbareschi, Tremaglia, Granata, Napoli, Bocchino, Ronchi, Paglia e Urso. Fini parte così: "Ci sono dei momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio". Richiama Ezra Pound quando dice che "bisogna essere disposti a rischiare per le proprie idee". E dice di volero fare senza esitazioni: "Questo è il momento. Questa è una fase complicata, non ce la facevo più a porre sempre le stesse questioni a Berlusconi".

Le questioni Fini le elenca l'una dopo l'altra. A partire dalla mancanza di "proposte precise sulle riforme", ai contrasti "politici e non personali" con Tremonti ("senza di lui saremmo come la Grecia"), al rapporto con la Lega "che è un alleato importante ma non può essere il dominus della coalizione". C'è questo ma non solo. C'è anche un disagio a stare in un partito in cui si dice, come ha fatto Berlusconi, che i libri di Roberto Saviano fanno un favore alla mafia: "Come è possibile dire che con il suo libro ha incrementato la camorra? Come si fa a essere d'accordo?. Nessuno nega che Berlusconi sia vittima di accanimento giudiziario, ma a volte dice delle cose sulle quali è difficile convenire...". Poi l'attenzione torna sul Pdl. Con la decisa negazione di tramare ai danni del premier: "Non credo di avere attentato al partito o al governo dicendo che su alcuni temi c'è una distanza politica. Ho posto solo questioni politiche, mai personalistiche, e sempre con spirito costruttivo".

Guarda alla direzione del Pdl di giovedì, il presidente della Camera. Se da quell'appuntamento uscirà "una pattuglia minoritaria in polemica con la maggioranza" significa "che ci sarà un confronto aperto". Ed allora, continua Fini, si aprirà "una fase nuova". Che, però, porterà con sè un interrogativo ancora irrisolto: "Il dissenso interno può esistere o siamo il partito del predellino?. Spero che Berlusconi accetti che esista un dissenso, vedremo quali saranno i patti consentiti a questa minoranza interna. Sarà il momento della verità". E se alcuni giornali grideranno al tradimento, sappiano che "nove volte su dieci chi davanti ti dice sempre sì poi dietro ti tradisce".

Una lunga riflessione messa nero su bianco su un documento che 55 parlamentari firmano. Il testo finale riconosce Fini quale rappresentante della componente interna al Pdl e frena "il solo parlare di scissioni e di elezioni anticipate". Con questo mandato il presidente della Camera si presenterà giovedì alla direzione. Ma la platea che avrà davanti sarà sicuramente meno facile di quella di oggi.

Dentro il partito, però, molti nomi illustri hanno prese le distanze dal loro ex leader: La Russa, Gasparri, Alemanno, solo per citarne alcuni. Lui scivola sulla questione: "La componente che viene da An sarebbe dovuta restare unita, ma invece è andata diversamente". Ma proprio quella componente si mobilità fragorosamente, firmando un documento in cui si chiede di superare "definitivamente" le "quote di provenienza" tra gli ex di Alleanza Nazionale e di Forza Italia e di convocare un nuovo congresso. Riaffermando la scelta "irreversibile" del Pdl, che vogliono rafforzare "restando all'interno". Si tratta per ora, di 41 deputati e di 33 senatori, oltre al sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Per le prossime ore sono attese nuove adesioni. Primi firmatari il capo gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, e i ministri Ignazio La Russa, Altero Matteoli e Giorgia Meloni. Tutti a chiedere un "costante, libero, proficuo confronto di idee", garantendo al massimo "la democrazia interna".

Dopo gli sviluppi della giornata Berlusconi ha convocato a palazzo Grazioli il vertice di maggioranza per discutere la preparazione della direzione nazionale e la questione Fini. Alla riunione hanno partecipato i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni, Altero Matteoli, Angelo Alfano, la vice presidente del Senato Rosy Mauro; Denis Verdini, e il sottosegretario Aldo Brancher. Giunti anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il coordinatore nazionale del Pdl Sandro Bondi e il sottosegretario alla Presidenza, Paolo Bonaiuti, il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto e il vicecapogruppo al Senato, Gaetano Quagliarello.

"Non credo che sia una cosa che si può ipotizzare, non ha alcun senso" ha sintetizzato uno dei partecipanti riassumendo il giudizio dato "dai più" sull'ipotesi che Gianfranco Fini formi una corrente nel Pdl. Il documento firmato dai suoi sostenitori è stato considerato "non straordinario", nel senso che "si tratta di richieste espresse in modo abbastanza confuso e annacquato", ha aggiunto. Alla domanda su come si possa impedire la formazione di una corrente, il partecipante ha aggiunto: "Non si può impedire nulla, come non si potrebbe impedirgli di andersene". Berlusconi non si sarebbe comunque espresso sulla mossa di Fini riservandosi di dare risposte nella direzione del partito prevista per giovedì.

(20 aprile 2010)

 

 

 

Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco

"Ha perso la testa, si faccia il suo partito"

di FRANCESCO BEI

Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco "Ha perso la testa, si faccia il suo partito"

* Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso"

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Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso"

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Il Cavaliere: "Gianfranco bluffa, si rimetta in riga"

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Scontro nel Pdl, i finiani vanno verso la conta

ROMA - Se Fini fa corrente, Berlusconi chiude lo spiffero. Il premier infatti, nonostante per tutto il pomeriggio coordinatori e capigruppo abbiano provato a farlo ragionare, mantiene fermo il punto e non intende fare concessioni al presidente della Camera. Irritato per la riunione dei finiani alla Camera e per la conta interna, Berlusconi vede nero. "Questo stillicidio è insopportabile - si è sfogato a palazzo Grazioli con il vertice del Pdl - a questo punto sarebbe meglio che si facesse il suo gruppo e il suo partito".

"Molto meglio trattare con un partito - ha concluso il premier - che con una persona che ha perso definitivamente la testa".

Così, al momento, la Direzione di giovedì resta un appuntamento al buio, senza una regia politica. "Domani (oggi, ndr) ci rivedremo - si limita a riferire Denis Verdini -, ancora non c'è una decisione". Un'ipotesi è che ad aprire la riunione siano i tre coordinatori, cui dovrebbe seguire Fini e, da ultimo, Silvio Berlusconi. I vari mediatori in campo non sono riusciti a far cambiare l'umore del premier. Né è migliorato quando, ieri pomeriggio, ha scoperto che a Ballarò erano stati invitati sia Italo Bocchino che Sandro Bondi. Minoranza e maggioranza, le due correnti, la rappresentazione televisiva della spaccatura. "È assurdo prestarsi a questa sceneggiata", ha tuonato il premier, chiedendo a Bondi di lasciare il posto al leghista Castelli.

È proprio Bocchino uno dei finiani che più fa arrabbiare il Cavaliere, che ieri infatti non l'ha invitato a palazzo Grazioli. Il vicecapogruppo del Pdl, che in questi giorni caldi si è molto esposto in tv, catalizza malumori tra i berluscones e non solo. Alessandra Mussolini, in Transatlantico, durante una pausa delle votazioni sulla caccia, non si fa problemi ad esternare la sua antipatia: "L'unico uccello a cui sparerei è quello di Italo Bocchino". Il clima nel partito è questo. Un'altra che il premier non può vedere è la finiana di ferro Giulia Bongiorno, che ha spesso frenato le iniziative più dirompenti di Niccolò Ghedini. Tanto che ora Berlusconi vorrebbe rimettere in discussione il suo posto di presidente della commissione Giustizia a Montecitorio.

La fibrillazione nel Pdl preoccupa anche gli alleati del Carroccio. Inizialmente Bossi aveva invitato il premier a ricucire con Fini, ma ieri, al telefono con Berlusconi, il leader del Carroccio si è mostrato più guardingo. "Silvio stai attento - è stato il consiglio di Bossi - perché, a questo punto, non si capisce dove vuole andare a parere". A insospettire il leader nordista ci sono state ieri anche le dimissioni di Luca Cordero di Montezemolo dalla presidenza della Fiat: "È un nuovo elemento che dobbiamo tenere in considerazione. E se Montezemolo si mette con Draghi, Fini e Casini e rifanno la Dc?". Al momento si tratta soltanto di fantasmi, ma non è un caso se, ai piani alti del Carroccio, non si escluda più un ritorno alle urne in ottobre, in maniera da portare a casa i decreti attuativi del federalismo fiscale.

Intanto il progetto cui sta dando vita Gianfranco Fini suscita curiosità anche oltre lo stretto orizzonte del mondo ex An. Un osservatore interessato è Beppe Pisanu, forzista storico e presidente dell'Antimafia: "Sì, guardo con interesse. E comunque difendo la libertà di manifestare il dissenso dentro al partito". Pisanu, che non ha firmato il documento pro-Fini e non ha aderito alla minoranza interna, anticipa quello che dirà alla Direzione: "C'è un leader che guida la coalizione e quello è il presidente del Consiglio. Noi dobbiamo sostenerlo fino alla fine della legislatura. Ma non dobbiamo nemmeno nascondere che ci sono dei problemi aperti sui quali è necessario discutere". Una "terra di mezzo" tra berlusconiani e finiani, che al momento raccoglierebbe una decina di parlamentari forzisti.

Che il momento sia difficile lo conferma una tesa conversazione, nel pomeriggio di ieri, tra il finiano Andrea Ronchi e i forzisti Cicchitto e Lupi. In un angolo appartato del Transatlantico, Cicchitto insisteva nel chiedere a Ronchi le vere ragioni del dissenso: "Bisogna che ci mettiamo con calma intorno a un tavolo e parliamo. Ma senza strappi". E Ronchi: "Non si capisce cosa vogliamo? Se vuoi chiamo Fini al telefono e te lo spiega lui stesso. A Fini gli stanno dicendo di tutto, non è tollerabile".

(21 aprile 2010)

 

 

 

 

La stagione della diaspora

di MASSIMO GIANNINI

LA diaspora finiana si è dunque compiuta. Non è una rottura che prelude a una scissione, ma neanche un'abiura che prepara una capitolazione. La nascita formale di una componente di minoranza guidata da Gianfranco Fini dentro il Pdl rappresenta comunque una svolta politica importante. Segna la fine del Popolo della Libertà come lo abbiamo conosciuto finora.

Lo "spirito del Predellino", nell'ottica del co-fondatore, non c'è più. Il partito personale si trasforma in un partito (quasi) normale.

Nella logica finiana, questa svolta sancisce l'avvio di un lunghissimo e complicatissimo processo di autonomizzazione. Personale, nei confronti dell'uomo che lo ha sdoganato nel lontano 1993. Politico, nei confronti di un centrodestra ormai a esclusiva trazione forzaleghista. Bisogna dare atto al presidente della Camera di non aver ceduto, e di aver difeso con coerenza la sua posizione, difficile e a tratti quasi insostenibile. Dentro un Pdl forgiato nel freddo di Piazza San Babila dall'"unico fondatore" (Berlusconi) e poi modellato nel fuoco della vandea nordista sui bisogni dell'"unico alleato" (Bossi), per Fini non era semplice far valere e far vivere un'idea radicalmente diversa. Un altro modo di intendere la politica in nome del bene comune. Di rappresentare la cultura di una moderna destra europea. Di convivere dentro un partito autenticamente libero, plurale, democratico.

Con la sua "corrente del Presidente", almeno Fini ci prova. Citando Ezra Pound, cioè rischiando l'osso del collo in nome di quell'"idea diversa". Qui ed ora l'operazione appare quasi temeraria. A giustificare la diaspora manca una vera pietra d'inciampo politico. Manca un "casus belli" chiaro, riconosciuto e riconoscibile (a meno di voler considerare tale, e così non è, la presenza di una poltrona in più nell'organigramma o la mancanza di una politica per il Sud). I suoi ex colonnelli, nella stragrande maggioranza, non lo seguono. E forse i suoi elettori, nella stragrande maggioranza, non lo capiscono.

Ma quella di Fini non è e non può essere una guerra lampo. Sarà piuttosto una guerra di logoramento. Come annunciano nei corridoi i cinquanta "fedelissimi" del presidente, si consumerà nei rapporti istituzionali, nelle aule parlamentari, negli organismi del partito. E questo la dice lunga su cosa sta diventando il glorioso Partito del popolo della Libertà. E su cosa diventeranno i prossimi tre anni di legislatura. Altro che le verdi vallate delle riforme. Piuttosto il Vietnam delle imboscate.

Nella logica berlusconiana, tutto questo è sufficiente per comprendere la portata "eversiva" della metamorfosi in atto. Il battesimo di una "corrente del Presidente" dentro il Pdl, nella visione cesarista del premier, è intollerabile perché incomprensibile. Lo scriveva ieri "Il Foglio" di Giuliano Ferrara (che sa di cosa parla) citando il commento di Wellington, capo di governo di Sua Maestà britannica, alla fine della sua prima riunione del gabinetto: "Non capisco. Ho dato un ordine, e tutti si sono messi a discutere". Questo deve essere lo stato d'animo del Cavaliere, di fronte alle "discussioni" alle quali vuole inchiodarlo il co-fondatore. Lui ha dato e dà i suoi ordini: che bisogno c'è di discutere?

E infatti Berlusconi non vuole discutere. Né con Fini, né con chiunque altro. Il solo interlocutore con il quale accetta il dialogo alla pari è e continuerà ad essere il Senatur, che gli porta in dote la Padania ormai nata. Per questo non farà sconti al presidente della Camera. Ignorerà le sue richieste e le sue proteste. E continuerà a indicargli il ritorno alla "casa del padre" (la vecchia Alleanza nazionale) se della nuova casa non condivide le regole e le gerarchie. Ma è proprio per questo che la diaspora che si è aperta nella coalizione, anche se non sfocerà in una scissione, non potrà mai finire. La "coabitazione" si tradurrà in un equilibrio destabilizzante. La maggioranza sarà costretta a una mediazione estenuante. Il governo sarà condannato a un galleggiamento paralizzante. I danni per il Paese saranno incalcolabili.

Fini sta chiedendo a Berlusconi di non essere più Berlusconi. Questa è la sfida impossibile del co-fondatore. Sta proponendo al fondatore del Pdl di fare il "segretario", mentre lui è sicuro di esserne il "proprietario". Il presidente della Camera affronta questa battaglia quasi a mani nude: ha molte idee, ma pochi soldati. La sua vera arma è l'anagrafe. Ma non è detto che gli basti, contro quello che i giornali di famiglia ormai definiscono "Cav. Il Sung".

(21 aprile 2010)

 

 

 

Mons. Ghedini, avv. Fisichella

Ora non è che il fatto che Berlusconi abbia o meno il permesso di fare la comunione sia decisivo per le sorti del paese. Però le parole con cui mons. Fisichella spiega il sì della Chiesa all’ostia per il Cavaliere sono divertenti assai.

L’alto prelato, già esultante per la vittoria pidielle-leghista alle elezioni regionali, spiega che "la Chiesa sui divorziati non ha affatto cambiato idea", ma segnala che "con la separazione dalla seconda moglie Veronica il Cavaliere non vive più nel peccato".

Vale a dire – è sempre Fisichella a parlare – che il premier "è tornato ad una situazione, diciamo così, ex ante, perché è il secondo matrimonio civile a creare problemi, visto che è solo al fedele separato e risposato che è vietato comunicarsi perché sussiste uno stato di permanenza nel peccato".

Per il diritto canonico sarà anche corretto, ma di certo è esilarante.

Tanto da surclassare perfino l’inarrivabile arringa dell’avvocato Ghedini sull’"utilizzatore finale" ai tempi dello scandalo escort.

 

 

 

 

 

Bossi jr: "Ai Mondiali

non tiferò per l'Italia"

Il figlio del leader della Lega, appena eletto consigliere regionale in Lombardia, non sosterrà gli azzurri nella difesa del titolo in Sudafrica: "Il tricolore, per me identifica un sentimento di cinquant'anni fa". Replica Gigi Riva: "Se non sta bene qui può anche andarsene, nessuno ne farà una malattia"

Bossi jr: "Ai Mondiali non tiferò per l'Italia"

Renzo Bossi

ROMA - Il rito collettivo, come avviene ogni quattro anni quando ci sono i Mondiali (facciamo due, mettiamoci anche gli Europei), sta per compiersi. Bandiera italiana alla finestra pronta per essere agitata, tutti che si fermano per tifare azzurro. Tutti? Non proprio. C'è infatti chi se ne fregherà altamente del destino della Nazionale campione del mondo in Sudafrica. Uno di questi è Renzo Bossi, il figlio del leader della Lega Umberto, che alle ultime regionali ha preso 13 mila preferenze nella provincia di Brescia, diventando il più giovane consigliere regionale eletto in Lombardia. Bossi jr, in una intervista a Vanity Fair, parla senza mezzi termini: "No, non tifo Italia. E poi bisogna intendersi su che cosa significa essere italiano. Il tricolore, per me identifica un sentimento di cinquant'anni fa". Quanto all'Italia meridionale, non la conosce per niente non essendo "mai sceso a Sud di Roma".

RIVA POLEMICO - Non si è fatta attendere la risposta di una gloria della Nazionale azzurra come Gigi Riva, attualmente team manager azzurro: "Se non sta bene può anche andarsene dall'Italia, nessuno ne farà una malattia... E' un'affermazione stupida e grave, se inizia così in politica non va molto lontano. Forse ha voluto farsi conoscere dicendo qualcosa di clamoroso, di esaltante. Ma l'Italia viene prima di lui e resterà anche dopo di lui. La Nazionale è sempre adoperata fuori luogo". Per l'ex Rombo di tuono la maglia azzurra "è l'unica cosa che ancora unisce. La politica ha toccato il fondo. Nel 2006 la vittoria mondiale e il calcio hanno salvato il Paese. Hanno dato un'immagine positiva in tutto il mondo, cosa che la politica non ha dato".

 

VELTRONI: "FRASI ASSURDE" - Duro anche Walter Veltroni: "Si fa sempre il tifo per la nazionale e il proprio paese. E' assurdo che una persona eletta pronunci queste frasi. Purtroppo non c'è da meravigliarsi visto che viene dall'esponente di un partito che continua ad insultare l'unità italiana e la sua bandiera".

RIVERA: "E CHI SE NE ACCORGERA'?" - "Renzo Bossi non tiferà per gli azzurri al Mondiali? Non vedo dove sia il problema, anche perché nessuno se ne accorgerà". Gianni Rivera commenta così le dichiarazioni di Renzo Bossi.

Per l'ex 'Golden Boy' del calcio italiano non bisognerebbe dare risalto ad un certo tipo di esternazioni. "E' un fatto che potrebbe passare inosservato. Anche io da parlamentare europeo ho parlato molte volte, ma non tutto quello che dicevo veniva riportato. Sono cose personali, il problema è che gli si va dietro".

CELLINO: "SE FOSSI IL PADRE..."- Il presidente del Cagliari Massimo Cellino liquida con una battuta l'uscita di Bossi jr sulla nazionale italiana. "Non tiferà l'Italia ai prossimi Mondiali? Per dichiarazioni così, se fossi il padre, incomincerei a preoccuparmi, Stimo Umberto, per me è un grande valore per l'Italia. Ma queste dichiarazioni del figlio... Lo dico da padre. Anch'io - confessa - sono rimasto un po' sorpreso e imbarazzato quando ho visto mio figlio all'Isola dei famosi. Ma almeno Ercole è un po' più giovane".

D'ONOFRIO: "SI MERITA UNA PERNACCHIA" - Francesco D'Onofrio, dirigente dell'Udc, risponde con Totò: "Sono rammaricato che la trota dichiari di non essere mai stata a sud di Roma: gli manca la consapevolezza essenziale del verso che il grande Totò faceva in simili casi: una lunghissima pernacchia. Questa è la risposta a tutti coloro che non tiferanno per l'Italia".

 

(20 aprile 2010)

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-18

IL RETROSCENA

Muro del premier, Letta non media più

"Se cedi a Gianfranco poi sarà peggio"

Il Cavaliere all'alleato: "coi gruppi autonomi vai al voto da solo

Berlusconi convinto che Fini non abbia numeri significatividi FRANCESCO BEI

Muro del premier, Letta non media più "Se cedi a Gianfranco poi sarà peggio"

Silvio Berlusconi

ROMA - Se persino Gianni Letta, dopo il pranzo con Fini, è diventato pessimista, significa che la situazione si sta facendo davvero ingarbugliata. E, in certi frangenti, basta un granello di sabbia per piegare gli eventi verso un esito imprevisto. Così due sere fa, mentre Berlusconi ascoltava Cicchitto, Alfano e altri che gli spiegavano quanto quella di Fini fosse "una piccola fronda senza numeri per impensierirci", il sottosegretario è intervenuto con aria grave: "La state facendo troppo facile". E non sarà un caso allora se Letta, che in altre situazioni sarebbe già stato all'opera per mediare, fino a ieri sera non si sia fatto sentire con il presidente della Camera. Soluzioni a portata di mano infatti non ce ne sono, mentre Berlusconi, in privato, continua a dire fuoco e fiamme del "cofondatore". Quello che Letta si è limitato a raccomandare al premier è di non concedere nulla a Fini sul fronte degli organigrammi: "Dobbiamo stare attenti - è stato il consiglio - a non rafforzarlo consentendogli di creare una squadra interna al partito. Altrimenti, tra un anno, il problema si ripresenterà in forma peggiore".

Letta comunque può stare tranquillo, visto che il Cavaliere a fare concessioni non sta pensando affatto. Anzi, proprio per mettere un dito nell'occhio a Fini, ieri si è fatto accompagnare (in elicottero) al Salone del mobile e al funerale di Raimondo Vianello da Daniela Santanché. Al pranzo con gli imprenditori qualcuno ha provato a chiedergli perché avesse "rubato" a Fini tutti i colonnelli ex An, e il premier ha risposto beffardo: "Non glieli ho portati via, io non ho fatto proprio niente. Quella è gente che adesso lavora con noi perché hanno capito la differenza che c'è tra me e lui". Battute velenose, come quella sul futuro politico del presidente della Camera: "È chiaro che non ha i numeri per fare i suoi gruppi, ma se anche ci riuscisse poi dove va? È un fantasma che cammina, alle prossime elezioni andrà da solo perché è chiaro che con il Pdl non sarà mai più alleato". Inoltre, spiega Berlusconi, "in caso di rottura io necessariamente dovrei alzare tutti i ponti. Non potrei riconoscerlo come interlocutore, altrimenti il giorno dopo mi troverei in Parlamento altri 12 gruppi "autonomi". Sarebbe la fine del Pdl e del governo".

 

Uno scenario di balcanizzazione del partito che, in ogni caso, per Berlusconi non ha alcuna possibilità di realizzarsi. La riprova, secondo il premier, la si è avuta ieri con il pranzo dei senatori "finiani". Quando gli hanno portato le agenzie di stampa con le dichiarazioni dei 14 senatori che frenavano sulla costituzione del gruppo autonomo, il Cavaliere ha sorriso soddisfatto: "Cosa vi avevo detto? Alla fine saranno solo una manciata, perché un conto è firmare un documento, un altro è fare una scissione. Fini ha scoperto di essere debolissimo".

Berlusconi prepara una vendetta fredda, senza rabbia. Riceve e sta ad ascoltare i mediatori che bussano alla sua porta (nelle ultime ore Gianni Alemanno e Giorgia Meloni), ma alla fine fa di testa sua. "Capite? Mi ha chiesto di cambiare i ministri di An, adesso vuole anche la testa di Cicchitto. Parla di politica, ma pensa al potere. Chiede maggiore democrazia interna, ma i suoi mi dicono che, quando c'era An, decideva sempre tutto da solo". E comunque, "se vuole sostituire La Russa come coordinatore, ci vada lui stesso, ovviamente dimettendosi da presidente della Camera". Insomma, di una ricomposizione al momento non se ne parla. "Faccia come crede, io vivo benissimo". Si capirà solo giovedì, alla direzione, se queste schermaglie sono solo pretattica oppure se si tratta davvero dell'inizio della fine.

© Riproduzione riservata (18 aprile 2010)

 

 

 

 

MAPPE

Pdl, il partito senza terra

di ILVO DIAMANTI

C'E' LA TENDENZA - e la tentazione - di trattare il conflitto fra Berlusconi e Fini come un caso "personale". L'ultimo episodio di una lunga "guerra di successione" (come ebbe a definirla Adriano Sofri). D'altronde, in questa democrazia personalizzata, non può sorprendere che i conflitti politici abbiano retroscena personali - e viceversa. Tuttavia, gli argomenti critici espressi da Fini a sostegno della propria minaccia difficilmente possono essere considerati "personali". Perché sono politicamente fondati. E, al tempo stesso, percepiti - e condivisi - in ampi settori del Pdl con inquietudine. L'egemonia della Lega sulla coalizione. Ma soprattutto, la debolezza del Pdl e il suo squilibro territoriale crescente. Non sono invenzioni polemiche. Soprattutto oggi, dopo il voto regionale. Non a caso - e non per gusto della provocazione - Bossi ha dichiarato l'intenzione della Lega di esprimere il futuro premier, nel 2013. Fra i propri leader. Interni o di riferimento (un nome a caso: Tremonti).

La polemica sollevata da Fini, anche per questo, contribuisce a svelare quante difficoltà abbiano prodotto i risultati delle elezioni regionali nel Pdl.

Anche se la ri-conquista di 3 regioni importanti, come la Campania, il Piemonte, e il Lazio, ha indotto ad attribuire la vittoria al centrodestra, nell'insieme. E, dunque, al suo leader. Al premier. Che da sempre fanno tutt'uno. Tuttavia, il voto ai partiti ha sancito un evidente insuccesso del Pdl. Si tratta di un aspetto già osservato da altri analisti (per primo, dall'Istituto Cattaneo). Eugenio Scalfari, domenica, vi si è soffermato a lungo. Il Pdl, in valori assoluti, anche considerando la Lista Polverini in provincia di Roma, ha perso consensi, rispetto alle europee del 2009 (2.600.000) e alle regionali del 2005 (400.000). In termini percentuali, si è attestato sui valori del 2005. Cioè: il più basso della seconda Repubblica, considerando tutte le elezioni dal 1994 fino ad oggi. (Si veda, al proposito, l'articolo di Luigi Ceccarini su Repubblica. it).

 

Il buon risultato della Lega ha - in parte - compensato queste difficoltà. E le ha - in parte - acuite. Perché ha aumentato in misura rilevante il peso leghista. Nell'alleanza con il Pdl, infatti, nel 2005 la Lega rappresentava il 16% dell'elettorato, nel 2009 il 24%, oggi il 29%. Il fatto che fino al 2006 l'alleanza di centrodestra comprendesse anche l'Udc, peraltro, riduceva la forza contrattuale della Lega. (Che, anche per questo, considerava i neodemocristiani degli intrusi e dei nemici). Ma il peso assunto dalla Lega appare più evidente su base territoriale. Considerato insieme a quello del Pdl, nel 2005 l'elettorato leghista costituiva il 29%, nel Nord: oggi è salito al 47%. La crescita è ancora più evidente nelle regioni rosse del Centro (compresa l'Emilia Romagna). Dall'8% del 2005, oggi è salito al 26%. In altri termini: la Lega, per il Pdl, è un partner fedele. Ma anche necessario. E, al tempo stesso, un concorrente. (Si vedano mappe e tabelle sul risultato elettorale del Pdl nel sito di Demos), Nel Sud, la Lega non c'è, per ora. Ma il Pdl ha, comunque, incontrato difficoltà di tenuta elettorale. Certo, ha conquistato la Campania e la Calabria. In più ha strappato il Lazio. In complesso, nelle regioni meridionali, allargate al Lazio, ha recuperato 300 mila voti rispetto alle regionali del 2005, ma ne ha persi quasi un milione rispetto alle europee del 2009 e oltre due rispetto alle politiche del 2008.

Così, il Pdl continua ad apparire un partito fortemente meridionalizzato. Visto che il 41% del suo elettorato, alle recenti elezioni, proviene dalle regioni del Sud e dal Lazio. Eppure, anche in quest'area si è indebolito. Nel Sud, infatti, alle regionali ha ottenuto il 32% dei voti validi, ma alle europee del 2009 ne aveva conquistati il 42% e nel 2008 il 45%. Da ciò l'impressione che le critiche di Fini siano tutt'altro che infondate. Ma, al contrario, rivelino alcune ragioni di disagio e tensione che attraversano il Pdl. Sfidato dall'interno, più che dall'esterno. Dagli amici, più che dagli avversari. Da destra e dal centro, più che da sinistra. Nel Centro-Nord, come abbiamo già detto, è incalzato dalla Lega. Alle regionali del 2010, primo partito in 9 province, alle europee del 2009 in 6. Nel 2005 in nessuna. Mentre il Pdl nel 2005 era primo partito in 25 province, nel 2009 in 32. Oggi in 20. La concorrenza della Lega, peraltro, rimette in discussione l'accesso alle risorse e ai centri di potere. Nelle istituzioni, nel credito, nella finanza (come ha puntualmente mostrato Tito Boeri, su questo giornale).

Nel Sud, invece, il Pdl deve fare i conti con il malessere dei gruppi politici e di interesse a cui fa riferimento. Insoddisfatti e preoccupati, per il conflitto distributivo con gli "alleati" del Nord. Frustrati dall'asimmetria fra peso elettorale e politico. Dal contrasto fra un partito centromeridionale e un governo nordista. Queste tensioni hanno già prodotto strappi vistosi. Soprattutto in Sicilia, dove Raffaele Lombardo, leader del Mpa e presidente della Regione, agisce in aperto contrasto con il governo e il centrodestra. Dove Micciché e altri leader del Pdl parlano di costituire un Partito del Sud. Nel Mezzogiorno, il Pdl deve, inoltre, fare i conti con l'Udc, che ha ottenuto successi significativi. Ha, infatti, "conquistato" 15 comuni tra i 29 (a scadenza naturale) dove si è votato nelle scorse settimane. Partecipando a coalizioni per metà di centrosinistra e per metà di centrodestra.

Più che dal centrosinistra e dal Pd, quindi, l'opposizione alla maggioranza viene dalla maggioranza. L'opposizione al Pdl dal Pdl. Dalla sua - contraddittoria - presenza nella società e nel territorio. Dove appare poco radicato. Stressato da una fusione - tra Fi e An - mai del tutto compiuta, soprattutto a livello periferico. Frammentato in gruppi locali e particolaristici. Incalzato dalla compattezza della Lega. Disorientato - più che da Fini - dall'incertezza sui fini comuni e condivisi. Per comprendere le difficoltà e i conflitti nel Pdl, allora, conviene non concentrarsi solo sui gruppi parlamentari, sui dirigenti nazionali di partito, sui luoghi della "politica dell'audience". Meglio spostare lo sguardo anche sul territorio. Dove si rischia di capire il significato della sfida di Fini a Berlusconi meglio che in un talk-show.

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(18 aprile 2010)

 

 

 

LA LETTERA

Caro Saviano, non è una censura

mio padre può anche criticare

Dopo la lettera aperta dello scrittore, seguìta agli attacchi del presidetne del Consiglio, Marina Berlusconi scrive al nostro giornale. Perché è presidente del Gruppo Mondadori. E perché "il diritto di esprimere il proprio pensiero, di approvare o dissentire, non può valere per alcuni e non per altri"di MARINA BERLUSCONI

Caro Saviano, non è una censura mio padre può anche criticare

Marina Berlusconi

GENTILE direttore, la lettera di Roberto Saviano sulla Repubblica di ieri, in replica ad alcuni giudizi di mio padre sul "supporto promozionale" che serie tv come "La piovra" e libri come "Gomorra" fornirebbero alle mafie, mi impone una risposta. Innanzitutto perché mi ha profondamente colpito la reazione di Saviano di fronte a quella che era né più né meno che una critica. Una critica che può anche non essere condivisa, ma che, come tutte le opinioni, è più che legittima. E quando dico "tutte le opinioni" intendo davvero tutte, comprese quelle, piaccia o non piaccia, del presidente del Consiglio.

Voglio anticipare subito che è una critica con la quale concordo. Credo che nessuno si sogni nemmeno lontanamente di pensare che sulle mafie si debba tacere. Al contrario. Sappiamo tutti quanto abbia pesato e pesi l'omertà nella lotta alla criminalità organizzata e quanto sia importante rompere il muro del silenzio. Ma certo una pubblicistica a senso unico non è il sostegno più efficace per l'immagine del nostro Paese. Saviano scrive che l'Italia ha la migliore legislazione antimafia del mondo, ma da cittadina italiana penso che tutti dovremmo essere fieri anche del fatto che il governo guidato da mio padre ha ottenuto sul fronte della lotta alle mafie risultati clamorosi, forse mai raggiunti prima. E questo non lo dico io, lo dicono i fatti, gli arresti, i sequestri di patrimoni sporchi. "Quando c'è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l'allarme"? si chiede retoricamente Saviano su Repubblica. A me pare che il governo non solo non lasci fuggire nessuno, ma si applichi anzi ad un'altra attività non secondaria: quella di spegnerle, le fiamme. Parlare di più anche di questi successi sicuramente aiuterebbe a cancellare quella assurda equazione che troppo spesso viene applicata all'estero: Italia uguale mafia.

 

Personalmente, la penso così. E questo, è ovvio, poco importa. Ma sono anche presidente del gruppo Mondadori, che Saviano tira ampiamente in ballo. E lo fa in un modo su cui non posso tacere. La Mondadori fa capo alla mia famiglia da vent'anni. In questi venti anni abbiamo sempre assicurato, com'è giusto e doveroso, secondo il nostro modo di intendere il ruolo dell'editore, il più assoluto rispetto delle opinioni di tutti gli autori e della loro libertà d'espressione. A cominciare, in una collaborazione che mi è parsa reciprocamente proficua, da Roberto Saviano. Il quale ce ne dà atto, scrivendo di aver sempre pensato che la Mondadori "avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse". Salvo poi aggiungere che dopo le parole di mio padre "non so se sarà più così". E perché? Che cosa è cambiato? Silvio Berlusconi non può permettersi di criticare un'opera edita dalla Mondadori, la quale naturalmente continua ad avere la più totale e piena libertà di fare le scelte editoriali che ritiene più opportune? Questo non è forse un bell'esempio di dialettica democratica? Mi pare che Saviano non riesca a distinguere tra una libera e legittima critica e una censura. Ma in questo modo è lui stesso ad applicare una censura, non riconoscendo al presidente del Consiglio il diritto di criticare. E forse sottovaluta, e non di poco, l'autonomia di pensiero e di azione di quanti lavorano in Mondadori. Un'azienda nella quale ognuno, a cominciare dagli azionisti e dall'editore, la pensa come vuole. Un'azienda nella quale le scelte non sono guidate da valutazioni politiche ma da criteri esclusivamente editoriali e professionali.

Il gruppo Mondadori ha garantito a Saviano e a tutti gli altri suoi autori la massima libertà di espressione. Lo ha sempre fatto e continuerà a farlo. Perché, da editori liberali quali siamo, consideriamo la libertà il valore supremo. Ma allo stesso tempo riteniamo che il diritto di esprimere il proprio pensiero, di approvare o di dissentire, non possa valere per alcuni e non per altri. Rivendico quindi anche per me questa libertà. Quando sentirò di dover formulare una critica, nemmeno io starò zitta. Mi pare un po' eccessivo prometterlo o addirittura giurarlo. Ma ci tengo a dirlo. E, sempre che mi sia consentito, anch'io, come Saviano, ad alta voce.

l'autore è presidente

della Mondadori spa

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(17 aprile 2010)

 

 

 

 

LO SCRITTORE

Il mio dovere

è difendere la libertà

Roberto Saviano replica alla lettera di Marina Berlusconi dopo gli attacchi del presidente del Consiglio. "Dal capo del governo non una critica ma parola finalizzate a intimidire chiunque scriva di mafie e capitali mafiosi"di ROBERTO SAVIANO

Il mio dovere è difendere la libertà

Roberto Saviano

Ho LETTO la lettera del presidente della Mondadori Marina Berlusconi e colgo occasione per precisare alcune questioni. Il capo del governo Berlusconi non ha espresso parole di critica. Critica significa entrare nel merito di una valutazione, di un dato, di una riflessione. Nelle sue parole c'era una condanna non ad una analisi o a un dato ma allo stesso atto di scrivere sulla mafia. Il rischio di quelle parole, ribadisco, è che ci sia un generico e preoccupante tentativo di far passare l'idea che chiunque scriva di mafia fiancheggi la mafia. Come se si dicesse che i libri di oncologia diffondono il cancro. Facendo così si avvantaggia solo la morte.

Non capisco a cosa si riferisce quando la presidente Berlusconi dice: "Sappiamo tutti quanto abbia pesato e pesi l'omertà nella lotta alla criminalità organizzata... ma certo una pubblicistica a senso unico non è il sostegno più efficace per l'immagine del nostro Paese". In Gomorra sono raccontate anche le storie di coloro che hanno resistito alle mafie, un intero capitolo dedicato a Don Peppe Diana, c'è il racconto di una Italia che resiste e contrasta l'impero della criminalità. Quale sarebbe il senso unico? Ho anche più volte detto e scritto, che l'azione antimafia del governo c'è stata ed è stata importante, ricordando però al contempo che siamo ben lontani dall'annientare le organizzazioni, siamo solo all'inizio poiché le strutture economiche e politiche dei clan che continuano ad essere intatte.

Ecco perché alla luce di quanto scrivo ho trovato le parole del capo del governo finalizzate a intimidire chiunque scriva di mafie e di capitali mafiosi. Ho io stesso visto e conosciuto la libertà della casa editrice Mondadori. Ci mancherebbe che uno scrittore non fosse libero nella sua professione. Una libertà esiste però solo se viene difesa, raccolta, costruita nell'agire quotidiano da tutti coloro che lavorano e vivono in una azienda. Ed è infatti proprio a questi che mi sono rivolto ed è da loro che mi aspetto come ho già scritto una presa di posizione in merito alla possibilità di continuare a scrivere liberamente nonostante queste dichiarazioni.

 

Non può che stupire però che un editore non critichi ma bensì attacchi lo stesso prodotto che manda sul mercato, e lo attacchi su un terreno così sensibile e decisivo come quello della cultura della lotta alla criminalità organizzata. Sono molte le persone in Italia che per il loro impegno nel raccontare pagano un prezzo altissimo non è possibile liquidarle considerando la loro azione "promotrice" del potere mafioso. Una dichiarazione del genere annienta ogni capacità di resistenza e coraggio. E questo da intellettuale non è possibile ignorarlo e da cittadino non posso ascrivere una dichiarazione del genere alla dialettica democratica. È solo una dichiarazione pericolosa che andrebbe immediatamente rettificata.

©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara

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(17 aprile 2010)

 

2010-04-17

L'EDITORIALE

Che cosa farà Fini

quando sarà grande

di EUGENIO SCALFARI

Che cosa farà Fini quando sarà grande

Gianfranco Fini

CHE COSA farà da grande Gianfranco Fini? È ancora un possibile delfino di Silvio Berlusconi? Oppure uno dei suoi competitori? Un uomo di destra? Oppure un liberale? Rilevante o irrilevante? Questo gruppo di domande sollecita risposte alcune delle quali possono essere date fin d'ora, ma altre si vedranno col tempo perché lo stesso Fini oggi non saprebbe darle, neppure dopo aver inghiottito il siero della verità. La prima risposta certa è questa: non è mai stato il delfino di Berlusconi e mai lo sarà e la ragione è semplice: Berlusconi non vuole delfini. Non soltanto perché non se ne fida, ma perché non c'è nessuno come lui nel panorama politico italiano. Lui è un'anomalia assoluta, un fantastico imbonitore, capace di indossare qualunque maschera e di compiere qualunque bassezza che gli convenga.

Quando sarà arrivato al culmine del percorso che si è prefisso, non avrà altri pensieri che godersi la felicità d'aver gustato e posseduto tutto: il potere, la ricchezza, l'ubiquità, l'immunità. Che cos'altro può desiderare chi ha il culto di se stesso come obiettivo supremo da realizzare? Perciò nessun delfino, nessun successore designato. "Dopo di me il diluvio, che io comunque non vedrò". Perciò Fini non ha nessun avvenire dentro il Pdl dove i suoi colonnelli d'un tempo l'hanno già tradito e i suoi marescialli di campo che stanno ancora con lui finiranno con l'abbandonarlo anche loro se il percorso da lui intrapreso sarà troppo lungo e troppo accidentato.

Salvo forse Giulia Bongiorno e un Dalla Vedova e pochi altri che privilegiano le convinzioni agli interessi. La Polverini l'ha mollato il giorno stesso in cui fu eletta alla Regione; Alemanno è sulla soglia, Ronchi appena un passo indietro. Il presidente della Camera, a questo punto del suo percorso, ha assunto l'immagine d'un liberale, anzi d'un liberal-democratico, attento ai diritti e ai doveri e alla legalità. Allo Stato di diritto. Di qui il suo accordo con Napolitano. Quale avvenire politico può avere un uomo che ha scelto questa strada e questa immagine in un partito come il Pdl? Nessuno. E fuori dal Pdl? Fini è ancora rilevante perché potrebbe mettere in crisi il governo, ma nella canna del suo fucile ha soltanto quella cartuccia. Sparata quella non ne avrebbe più nessun'altra e la partita passerebbe in altre mani. A questo punto il suo futuro si potrà realizzare soltanto nelle istituzioni e non nella politica. È e potrà continuare ad essere un buon presidente della Camera o del futuro Senato federale o addirittura aspirare al Quirinale.

 

Non è poi un brutto avvenire anche se non è affatto facile; presuppone molta intelligenza, molta correttezza e coerenza di comportamenti ed anche un'Italia assai diversa da quella berlusconiana. Fargli gli auguri oggi significa perciò farli a tutti quelli che in un'Italia berlusconiana si trovano decisamente male. Nel breve termine può darsi che Fini giovedì prossimo formalizzi la sua rottura con Berlusconi o accetti un provvisorio armistizio per guadagnar tempo; ma la sostanza delle cose non cambierà e i voti dei quali dispone in Parlamento si faranno comunque sentire in qualche passaggio essenziale.

* * *

L'altro protagonista è la Lega. Molto più rilevante di Fini perché ha dietro di sé milioni di voti e controlla la parte più ricca e più produttiva del Paese. Bisogna capir bene quale è il rapporto della Lega con il Pdl con il quale è alleata e il suo rapporto con Berlusconi. Può sembrare che si tratti della stessa cosa, invece non è così. L'alleato della Lega non è il Pdl ma Berlusconi in prima persona. La Lega non lascerà mai Berlusconi perché è lui il suo amplificatore su scala nazionale e anche nel Nord leghista. La Lega non ha nessun uomo che possieda le capacità demagogiche di Berlusconi; Bossi è un'icona ma non ha carisma. La Lega perciò ha bisogno di Berlusconi almeno quanto Berlusconi ha bisogno della Lega. Il Pdl dal canto suo senza Berlusconi non esisterebbe. La figura geometrica che illustra questo trinomio è dunque quella d'un triangolo rovesciato; nei due angoli superiori ci sono Berlusconi e la Lega, nell'angolo inferiore c'è il Pdl. Due padroni e un sottopadrone. Fini si ribella proprio a questa geometria ma non ha la forza per disfarla anche perché il cemento che sostiene l'intera costruzione è nelle mani di Giulio Tremonti.

* * *

Guardate ora alla questione delle banche del Nord. E' stata esaminata con attenzione su vari giornali. Ne ha parlato più volte "24 Ore" con apprezzabile preoccupazione. Sulle nostre pagine sono intervenuti Massimo Riva e Tito Boeri mettendone in rilievo aspetti importanti e inquietanti ai quali ne aggiungerò uno che mi sembra il principale: la Lega vuole instaurare una sorta di autarchia finanziaria e bancaria nordista. Il senso della banca territoriale è questo. Se riescono in questo intento sarà una catastrofe per l'intero sistema economico italiano.

Bossi è stato assai esplicito e preciso su questa questione capitale. Ha detto: "La gente ci chiede di prenderci le banche e noi le prenderemo". Infatti le prenderanno passando attraverso le Fondazioni bancarie e insediando persone fidate nei consigli e nei vertici delle banche. Fidate per la Lega e per Tremonti, due ganasce della stessa tenaglia. Ma perché la gente fa quella richiesta a Bossi? Quale gente?

La Padania è un tessuto di medie, piccole e piccolissime imprese; le grandi e le grandissime si contano ormai sulle dita di una sola mano, anzi su un solo dito. Le banche e le Casse di risparmio hanno in quel tessuto la loro clientela naturale per una parte dei depositi raccolti e degli impieghi erogati. Ma soltanto una parte. Se sono banche di grandi dimensioni i loro sportelli di raccolta sono su tutto il territorio nazionale e i loro impieghi e intermediazioni sono ovunque in Europa. Ma "la gente" di Bossi e il messaggio leghista vogliono che il grosso degli impieghi rimanga su quel territorio anche se si tratta di impieghi non garantiti e concessi a condizioni di favore.

La territorialità bancaria nella visione leghista ha questo significato: raccolta di depositi ovunque, impieghi prevalentemente nel Nord. Questa è l'autarchia finanziaria leghista. Con altre parole questa è la politicizzazione del credito. Nella famigerata Prima Repubblica, un concetto del genere non era neppure pensabile. Ai tempi di Menichella, di Carli, di Baffi, di Ciampi, di Mattioli, di Cingano, di Siglienti, di Rondelli, una concezione del genere equivaleva ad una bestemmia.

Il credito è una linfa che circola in tutto l'organismo e affluisce là dove c'è bisogno ed è il mercato a stabilire la sua locazione ottimale. Perciò suscita preoccupato stupore vedere il sindaco di Torino che discetta sulla maggiore o minore "torinesità" dei dirigenti di Banca Intesa e i presidenti leghisti del Piemonte e del Veneto occuparsi della dirigenza di Unicredit, nel mentre il ministro dell'Economia si adopera per la creazione della Banca del Sud e consolida i suoi rapporti con le Generali.

La conclusione sarà l'isolamento del sistema bancario italiano dal sistema internazionale. Un'aberrazione che basterebbe da sola a squalificare un intero sistema politico. Ho scritto domenica scorsa che la Lega somiglia per molti aspetti ad una Vandea. Questo delle banche è un elemento qualificante di una concezione vandeana dell'economia. Anche la Chiesa di papa Ratzinger sta assumendo aspetti vandeani e per questo è aumentata la sua attenzione (ricambiata) verso la Lega. Ma qui il discorso è più complesso e ne parleremo una prossima volta.

* * *

Mentre questi fatti accadevano nell'area del centrodestra si è riunita ieri la direzione del Pd dando luogo ad un lungo dibattito privo tuttavia di apprezzabili novità e di concrete proposte. Il Pd è in attesa con le armi al piede, si direbbe in gergo militare. Nell'aria aleggia però una domanda: in tempi ormai remoti i due grandi partiti nazionali della Prima Repubblica avevano un invidiabile radicamento nel territorio. Come mai gli eredi di quelle due tradizioni politiche non sono riusciti a coniugare la concezione nazionale del partito e il suo radicamento territoriale?

La ragione è molto semplice e la storia ce la racconta. La Dc era radicata nelle parrocchie, nelle associazioni cattoliche, negli oratori, nelle cooperative bianche. Il Pci ricavava invece quel radicamento dal fatto che i comunisti erano licenziati dalle fabbriche o mandati nei reparti di confino. Occupavano le terre insieme ai contadini, morivano sotto il piombo dei mafiosi insieme agli operai scioperanti nelle zolfare siciliane e nelle cave calabresi. Leggete "Le parole sono pietre" di Carlo Levi e saprete come e perché i comunisti erano radicati sul territorio.

Il radicamento sul territorio non dipende dal numero dei circoli o delle sezioni. Dipende dalla condivisione della vita dei dirigenti con quella del popolo che li segue. Se quella condivisione non c'è e al suo posto c'è separatezza, il contenitore è una scatola vuota e il gruppo dirigente galleggia appunto nel vuoto. Non è questione di età, di giovani o vecchi, di donne o di uomini, di settentrionali o di meridionali, di colti o meno colti. È questione di creare una comunità e viverla come tale. La dirigenza del Pci era fatta di intellettuali che vivevano come proletari e in mezzo ai proletari. Se non c'è comunità, se non si sa suscitarla, non ci sono partiti ma gusci vuoti in balia della corrente. Anzi delle correnti. Questo è il problema del Pd. Mancano i don Milani e i Di Vittorio d'un tempo. Se risuscitassero sotto nuove spoglie molte cose cambierebbero in quest'Italia di maschere e di generali senza soldati.

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(17 aprile 2010)

 

 

 

 

Berlusconi: "Il governo resisterà

Su riforme costituzionali sentiremo tutti"

Al Salone del Mobile il premier scherza sui contrasti con Fini: "Gli ho fatto la corte"

Riunione di 14 senatori finiani: "Basta attacchi al presidente della Camera"

Berlusconi: "Il governo resisterà Su riforme costituzionali sentiremo tutti"

Silvio Berlusconi

MILANO - "La maggioranza resisterà e il governo durerà". Silvio Berlusconi è ottimista e distensivo sulle sorti del partito creato due anni fa con quel Gianfranco Fini al quale, dice, "ho fatto la corte" e che "conosco da 15 anni". Certo, "adesso non andiamo d'accordo" ma quello che accade nella maggioranza sono "fatti superabili". Il premier lo dice a Milano, parlando agli imprenditori del settore del mobile. E arriva persino a dire che "anche se non ci compatteremo, non ci saranno problemi per la maggioranza". Una disponibilità che arriva nel giorno in cui, dal versante finiano, i senatori più vicini alle posizioni del presidente della Camera si riuniscono in un ristorante della capitale e mettono nero su bianco la loro contrarietà a elezioni e scissioni, ma pretendono rispetto per il cofondatore del partito, le cui posizioni devono essere discusse nella direzione fissata per il 22.

Berlusconi si è poi soffermato sulle riforme istituzionali, ribadendo che "la riforma costituzionale è qualcosa a cui vale la pena di lavorare". E rasserena: "Sentiremo tutti", cercando "l'assenso di un'opposizione responsabile, se l'opposizione diventerà responsabile". Da superare, secondo il premier, anche alcune delle prerogative del presidente della Repubblica, anche se questo, ha tenuto a precisare, non implica "alcuna critica nei confronti dell'ottimo capo dello Stato". Dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, una risposta cauta: "Aspettiamo domani" per vedere nei fatti le proposte della maggioranza.

Sul versante interno del Pdl, è il giorno della riflessione volta a sdrammatizzare. Il sindaco di Roma Alemanno assicura che "la rottura tra Fini e Berlusconi non si concretizzerà" e il problema è "fare un confronto sulle tesi politiche, trovare una soluzione che renda possibile avere un partito forte che dia una casa a tutte le anime". I senatori finiani respingono nel frattempo come "incomprensibili" ipotesi di scissioni o di elezioni anticipate, mentre auspicano una "fase più incisiva dell'azione del governo". A farsi portavoce dell'esito dei colloqui è il senatore Andrea Augello che evidenzia la "solidarietà incondizionata al presidente Fini per gli inaccettabili toni astiosi" utilizzati, soprattutto da organi di stampa, da parte di chi "pensa di fare politica come se fosse a una partita di calcio". Il vicepresidente dei deputati Italo Bocchino chiede una "svolta" sui temi economico-sociali, un piano per il Sud che funzioni concretamente e occorre ridiscutere il rapporto preferenziale del presidente del Consiglio con la Lega. "E' del tutto errata la lettura di chi scorge dietro l'iniziativa di Fini una richiesta di nuove e più poltrone all'interno del governo o di un nuovo assetto del partito che, ricordiamolo, Fini ha co-fondato. Quello che noi chiediamo è innanzitutto una svolta sulle questioni economiche e sociali".

 

La lettura dei fatti da parte di Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vice di coloro che si sono riuniti nel centro di Roma, è che il documento scaturito dalla riunione "rappresenta un implicito invito all'unità dei gruppi parlamentari". La richiesta di approfondimento delle questioni politiche che vengono sollevate "troverà senz'altro risposta nel solco di quel confronto che il gruppo del Pdl al Senato ha sempre garantito". Gasparri e Quagliariello colgono il documento come "positivo contributo alla neutralizzazione dell'ipotesi di una divisione innaturale". Resta Fabio Granata, alla Camera, ad avvertire che "il brand del nostro gruppo, se verrà alla luce, sarà Pdl Italia. Per quanto ci riguarda abbiamo detto che non si tocca la maggioranza e neanche il governo. Quindi nessun rimpasto né ritiro dei ministri".

(17 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

MAFIA

Libertà e Giustizia con Saviano

"Orrore per le parole del premier"

L'associazione ha chiesto alle Camere di far convocare Berlusconi, perché spieghi le proprie dichiarazioni. A fianco dello scrittore si schiera anche il Pd, da Rosy Bindi a Dario Franceschini

Libertà e Giustizia con Saviano "Orrore per le parole del premier"

Lo scrittore Roberto Saviano

ROMA - "Profonda riconoscenza" per il lavoro che svolge, sfidando la criminalità organizzata e "i suoi complici in colletto bianco". E' Libertà e Giustizia che si schiera al fianco di Roberto Saviano dopo le parole di Berlusconi su Gomorra e La Piovra. Insieme alla richiesta alle Camere di far convocare il premier per spiegare le proprie dichiarazioni. Con Saviano si schiera anche il Pd. La presidente del partito Rosy Bindi ha aperto infatti i lavori della direzione del partito ricordando proprio lo scrittore, "vittima di gravi attacchi del premier".

Contro l'attacco di Berlusconi si è espresso anche Dario Franceschini: "L'attacco di Berlusconi a Saviano è disgustoso e parla molto più di mille altre cose. Noi siamo con Roberto, senza esitazioni e fino in fondo", ha scritto su Twitter, commentando le parole di ieri del presidente del Consiglio.

Così Libertà e Giustizia scrive per esprimere la sua solidarietà "a Roberto Saviano la profonda riconoscenza per il lavoro civile che continua a compiere, sfidando le minacce della criminalità organizzata e dei complici in "colletto bianco" che da sempre la sostengono con parole, silenzi, comportamenti, ispirando e gestendo la sciagurata politica di distruzione di anime, vite, risorse del territorio e dell'ambiente".

L'associazione esprime orrore per le dichiarazioni di Silvio Berlusconi su Gomorra, chiede al presidente del Consiglio se quando parla è cosciente del carattere di incitamento che possono avere le sue parole". E proprio per quersto ritiene che le forze politiche che in Parlamento "non condividono le dichiarazioni di Berlusconi, pretendano che si presenti alle Camere per spiegare la sua esternazione e per dare il sostegno esplicito del governo a un italiano che tiene alti i valori di quell'Italia civile e coraggiosa che si batte per il riscatto delle terre abbandonate al predominio delle mafie più spietate e sanguinose".

(17 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

Bersani: "Un patto repubblicano

contro derive popoliste"

D'Alema replica alle critiche di Franceschini sulla proposta di un eventuale dialogo con Fini: "Una scemenza dire che vorrei fare il governo con lui. Ma non vorrei che lo rimproverassimo in nome del bipolarismo di dar fastidio a Berlusconi"

Bersani: "Un patto repubblicano contro derive popoliste"

Il segretario del Pd Pierluigi Bersani

ROMA - Il Pd è pronto a dare vita ad un "patto repubblicano" contro eventuali forzature "populiste e plebiscitarie" in materia di riforme. Il segretario Bersani lo ha detto aprendo i lavori della direzione del partito. Le riforme, secondo Bersani, vanno fatte "nel solco costituzionale".

Poi chiede al partito di "mettersi subito al lavoro sul progetto per l'Italia". "Il futuro è una sfida: mettiamoci all'altezza di questa sfida. Serve un progetto per l'Italia, un'agenda che ci porti a fare emergere la nostra visione del Paese". Per il segretario Pd servono innanzitutto pochi punti programmatici: lavoro inteso come lavoro delle nuove generazioni, fisco, educazione e cioè scuola e università, istituzioni, giustizia e informazione". "Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Dobbiamo - esorta - trasmettere positività".

In particolare, per quanto riguarda il fisco, la riforma va fatta subito e non dopo l'introduzione del federalismo, ha affermato Bersani, precisando che il tema del fisco "è il luogo del tradimento della destra verso gli italiani". Inoltre "la riforma del fisco non può essere rinviata a dopo il federalismo" come invece afferma il governo.

Il segretario del Pd ha anche affrontato il tema della compatibilità finanziaria di una riforma: "Il primo obiettivo - ha spiegato - è la fedeltà fiscale" in modo tale che "ogni euro in più che deriva dalla lotta alla evasione si trasformi in un euro in meno di tasse".

Fini: polemica Franceschini-D'Alema. E' polemica tra Massimo D'Alema e Dario Franceschini sulla possibilità di un dialogo tra il Pd e Gianfranco Fini. "Non dobbiamo fare un torto a Fini per coinvolgerlo in scenari confusi mentre sta facendo una battaglia per una destra normale", ha detto Franceschini nel suo intervento alla direzione del Pd, prendendo le distanze da quanto detto ieri da Massimo D'Alema ad una iniziativa in cui era presente lo stesso capogruppo democratico.

D'Alema ha replicato definindo "una scemenza dire che vorrei fare un governo con Fini". Il presidente di Italianieuropei è tornato a spiegare il suo ragionamento: "Non voglio fare il difensore di Fini che non ha bisogno di essere difeso da nessuno. Ma non vorrei che, nel nome del bipolarismo, lo rimproverassimo di dar fastidio a Berlusconi. Mi sembrerebbe uno zelo eccessivo".

(17 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

2010-04-16

CENTRODESTRA

Berlusconi, appello a Fini: "Avanti insieme

Ma se fai i gruppi, scissione inevitabile"

Nell'Ufficio di presidenza deI Pdl il Cavaliere, prima attacca il cofondatore del partito

Poi nega la dipendenza della Lega, infine tenta la mozione degli affetti e promette il congresso

Berlusconi, appello a Fini: "Avanti insieme Ma se fai i gruppi, scissione inevitabile"

ROMA - Prima toni duri, quasi sprezzanti e la sensazione che i margini per ricucire con Fini siano molto risicati: "Se vuoi andare, vai". Poi, in serata, alla fine dell'ufficio di presidenza, Silvio Berlusconi cambia strada. Parole e accenti diventano quasi un commosso appello. Il Cavaliere mette da parte invettive e minacce e prova con la mozione degli affetti: "Invito Fini a desistere dai gruppi autonomi e a continuare insieme la nostra avventura... Sono certo che le incomprensioni saranno superate". Sul piatto, il Cavaliere mette la promessa di un congresso straordinario tra un anno e mezzo.

Ma lo stesso Berlusconi non deve essere certo di una chiusura positiva perché, proseguendo il suo discorso di chiusura del vertice Pdl, ridisegna anche scenari più cupi: "Mi aspetto una risposta positiva da Fini, ma se fa i gruppi la scissione è inevitabile". E il premier ricorda due cose che piacciono pochissimo al suo interlocutore: lo spauracchio di elezioni anticipate ("Noi vogliamo evitarle, ma...") e la minaccia che già ieri aveva tirato fuori e che era poi stata smentita dai suoi: "Se fa dei gruppi suoi, non può continuare ad essere il presidente della Camera".

Insomma, una giornata di passione nel Pdl. Difficile ipotizzare come andrà a finire. Come ha detto La Russa, c'è tempo fino a martedì. Adesso, le carte sono quasi tutte sul tavolo. Berlusconi promette un accordo forte per superare le incomprensioni anche se (a parte il congresso e l'affermazione un po' apodittica che il Pdl non è condizionato dalla Lega Nord) non ha spiegato come intende sostanziare la promessa. La palla, dunque, è a Fini che potrebbe andare a vedere e prender per buone le promesse (già accaduto altre volte senza molti risultati) oppure decidere che le assicurazioni del premier non sono sufficienti e mancano di chiarezza. In questo caso, la formazione dei nuovi gruppi sarebbe quasi inevitabile. Il Cavaliere, è chiaro, non la prenderebbe bene. Elezioni anticipate e scissione nel Pdl diventerebbero scenari probabili.

 

La giornata in altalena. Il premier, in mattinata, minimizza: "Sono piccoli problemi interni ad una forza politica". Poi, nella prima parte della riunione dell'ufficio di presidenza del Pdl (Fini ha fatto sapere di aver apprezzato la convocazione del gruppo dirigente del partito) , respinge tutte le critiche di Fini sull'egemonia della Lega e taglia corto: "Ho provato a dissuaderlo, ma Fini vuole fare i gruppi autonomi. Se vuole farlo se ne assume la responsabilità". E ancora: "La verità è che alla base di tutto non c'è un problema politico". Frasi lontanissime da ogni volontà di chiarimento. Al punto che anche Umberto Bossi si dice preoccupato: "Non ho certezze, ma temo che la cosa non si rimetterà a posto. In caso di rottura ci sono le elezioni". E a questo proposto il presidente del Senato Renato Schifani torna a ripetere che, in caso di crisi, bisognerebbe tornare al voto. E lo fa nonostante queste sue parole abbiano già creato imbarazzo con il Colle (a cui spetta la decisione in caso di crisi di governo). "Rispetto il Quirinale ma resto della mia idea - dice Schifani che potrebbe partecipare alla direzione di martedì - La creazione di gruppi autonomi creerebbe fibrillazione ed una divisione del progetto di maggioranza". Più tardi, prima dell'ultimo discorso di Berlusconi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa comunica che il premier "ha voluto illustrare all'ufficio di presidenza il colloquio avuto ieri con Fini, ma non era prevista oggi nessuna conclusione o reazione da parte dell'ufficio di presidenza" perché "le opinioni stanno venendo, ci si ferma, come detto c'è tempo fino a lunedì o martedì".

Berlusconi non arretra. Durante l'ufficio di presidenza, Berlusconi è intervenuto più volte rispondendo un po' a tutti. Questo, in sintesi, il suo ragionamento riferito da chi c'era: "Io non mi riconosco in nessuna accusa. I progetti di riforma non sono nati certamente in una riunione conviviale con la Lega. Di riforme si è discusso nell'ufficio di presidenza". Ed ancora: "Non sono affatto succube delle posizioni di Bossi. Io certamente non mi sono defilato, anzi al contrario di altri ho fatto campagna elettorale. Fini non si riconosce più in La Russa e Gasparri? E allora significa che non è più titolare della quota del 30% che spetta ad An. Se vuole occuparsi del partito lo può fare, c'è il posto di La Russa...". Il premier avrebbe ribadito che "i problemi che evoca Fini non esistono e che Fini che non vuole contarsi negli organi democratici così come succede in ogni partito. La minoranza dovrebbe accettare ciò che viene deciso. Se poi vuole fare l'anti Berlusconi, allora buona fortuna. Vuole fare gruppi autonomi? Chiaramente questa è una scissione". Parole che l'ufficio stampa del Pdl prova a smorzare: "Berlusconi ha raccontato in modo asettico l'incontro di ieri e poi ha aperto la discussione all'interno dell'ufficio politico".

I finiani si organizzano. Una ventina di senatori vicini al presidente della Camera si incontreranno domani a pranzo per fare il punto sulla situazione del Pdl anche in vista della direzione di giovedì prossimo del partito e della riunione dei parlamentari ex An alla Camera martedì prossimo con Fini. All'ordine del giorno l'ipotesi di gruppi autonomi dell'area in Parlamento.

Bersani. Le tensioni tra Berlusconi e Fini dipendono dal fatto che il premier, nel famoso "predellino", abbia fatto "un patto con Bossi e non con Fini" dice il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Per quanto riguarda le ipotesi future, per Bersani "parlare di elezioni anticipate è una pazzi", ma "pensare di andare avanti così è un'illusione, non è possibile perchè il sistema politico non regge".

Il Secolo con Fini. Questa mattina Il Secolo d'Italia si è schierato con il presidente della Camera. Il pensiero del quotidiano è affidato comunque all'editoriale di prima pagina della direttrice Flavia Perina ("Ora si gioca a carte scoperte"). "Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l'irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più - aggiunge la Perina - la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l'ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall'adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dei media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di 'rupture', di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà". Anche l'Avvenire commenta lo scontro tra Berlusconi e Fini. "Comunque vada a finire - si legge sul quotidiano dei vescovi - è chiaro che la navigazione nell'ultima fase della legislatura, che appariva abbastanza tranquilla dopo l'esito delle elezioni regionali e amministrative, ritorna in acque assai agitate".

(16 aprile 2010

 

 

 

 

 

Lo strappo definitivo di Gianfranco

"Rimanere così non è più dignitoso"

Berlusconi-Fini, è rottura. Il presidente della Camera: "Farò gruppi miei". Il premier: "Ma dove va? Sono solo quattro gatti, dei fighetti. Mi sono tolto un peso. Ora possiamo correre più liberi"di FRANCESCO BEI

Lo strappo definitivo di Gianfranco "Rimanere così non è più dignitoso"

Gianfranco Fini

e Silvio Berlusconi

ROMA- L'annuncio arriva alla fine del pranzo, dopo un confronto teso durato quasi due ore. "Silvio, visto che il Pdl è un nostro patrimonio comune, ma abbiamo idee diverse su come coltivarlo" osserva Fini senza alzare la voce "non ci vedo nulla di male a farlo fiorire con un gruppo autonomo". Berlusconi resta basito. Il premier prova a convincere il presidente della Camera che "i problemi si possono risolvere, come abbiamo sempre fatto". Ma per Fini le cose sembrano ormai andate troppo oltre. E lo stesso Berlusconi, in serata, appare ai coordinatori quasi sollevato: "Mi sono tolto un peso. Se ne vada pure. Abbiamo un problema in meno e possiamo correre. Farà la fine di Follini. Ma se esce, va via per sempre".

Più tardi, nelle varie riunioni con i suoi fedelissimi, il presidente della Camera prova a svolgere il filo di una delle giornate più difficili della sua vita politica: "Con calma, ho posto a Berlusconi solo questioni politiche, alle quali non mi ha saputo rispondere. O meglio, ha risposto a tutto, dicendo sempre "va tutto bene". Invece non va bene per niente e basta vedere cosa è successo in Sicilia, dove da un anno e mezzo viene tollerata una situazione che, in qualsiasi altra organizzazione, avrebbe portato a una decisione". Proprio il caso Sicilia, con lo sdoppiamento del Pdl in due tronconi, l'un contro l'altro armati, per Fini è paradigmatico di cosa il Cavaliere pensi dei partiti: "Li considera meno di zero. Io invece li ho sempre considerati con rispetto e il nodo, alla fine, è venuto al pettine". Un esempio che vale anche per gli altri campi: "I problemi vanno affrontati - ha spiegato Fini ai tanti che, in processione, sono andati a trovarlo - non si può nasconderli sotto il tappeto come fa Berlusconi, far finta che non esistano". Questioni che il presidente della Camera non ha posto solo ieri. "Sono settimane che gli dico le stesse cose, in privato, in pubblico e attraverso intermediari. E lui mi ha risposto schivando i problemi. Diceva: questo lo risolviamo. Oppure: non è come dice Fini. O peggio: ma Fini dove va? Sono solo quattro gatti, sono dei fighetti".

 

La scena ritorna al primo piano di Montecitorio. Berlusconi alza la voce, sbatte due volte i pugni sul tavolo. Ma Fini torna alla carica. Freddo: "Io pongo problemi perché desidero che il governo lavori meglio, che la tua maggioranza sia più forte". In concreto, cosa chiede? Molto ruota intorno al ruolo debordante della Lega, a quella che Fini considera la sudditanza del Pdl rispetto a Bossi. La risposta del Cavaliere, anziché tranquillizzare il presidente della Camera, lo rafforza nella sua determinazione: "Gianfranco, la Lega siamo noi, con Bossi siamo amici, garantisco io per lui". Finito il pranzo, Fini racconta ai suoi di non essere stupito dalla concezione dei rapporti politici di Berlusconi: "Non gliene faccio una colpa, sono categorie politiche che non possiede. È come se io parlassi in italiano e lui mi rispondesse in russo". Per farsi capire, si serve di una metafora: "Certe volte la direzione della Dc si riuniva e stilava un chiaro invito rivolto al presidente del Consiglio a fare questo o quello. Anche il premier era democristiano, ma quella presa di posizione serviva ad aiutare il governo". Il Cavaliere lo scruta perplesso scuotendo la testa. Anche la condizione del Pdl viene gettata sul tavolo, insieme alla politica sociale del governo "che non esiste", la politica istituzionale "che deve essere più equilibrata", la politica economica, che "nemmeno tu conosci, perché Tremonti non ne parla con nessuno". "Ma ti rendi conto dello stato del partito al Sud??", chiede Fini. E il premier: "Cosa dici? Al Sud abbiamo vinto!". Fini, di rimando: "Serve un Pdl nazionale che non sia al traino della Lega, che sia attento alla coesione del Sud". L'altra richiesta è quella di azzerare tutti gli organigrammi, per tornare al rispetto di quel 70-30 pattuito all'inizio.

È un dialogo fra sordi. Il presidente della Camera gli imputa anche la scarsa considerazione in cui viene tenuto. Episodio sintomatico quello della riforma della Costituzione: "Ti rendi conto - punta il dito Fini - che durante una cena avete tirato fuori una bozza di Costituzione, l'avete portata al Quirinale e l'avete resa pubblica senza che il presidente della Camera e fondatore del Pdl ne fosse informato?". Il Cavaliere minimizza: "Quella bozza non ha valore, non è nulla di definitivo. Anche Umberto mi ha detto: quel Calderoli lì ha esagerato, ha fatto di testa sua".

Il pranzo è terminato, Berlusconi prova a stemperare il clima con una barzelletta, ma c'è poco spazio per le risate. Fini sembra deciso a lanciare il suo gruppo "Pdl-Italia", che voterà i provvedimenti del governo "a condizione di contribuire sempre alle decisioni prese: è l'Abc della politica, ma lui non ce l'ha". Insomma, a chi lo vuol seguire il presidente della Camera ripete che non gioca "a far cadere il governo", ma la partita interna sarà molto dura. "Metto in conto - confessa - che Berlusconi scatenerà i cani per provare a sbranarmi. Già mi aspetto Feltri. Ma prima o poi, per un politico, arriva il momento della verità". Quanto ai colonnelli di An, Fini non si fa illusioni e attende le loro decisioni: "Sono preoccupati. Sta arrivando il momento in cui si accorgeranno che, senza dignità politica, si può svolgere solo un ruolo ancillare".

Berlusconi lascia il vertice con una minaccia: "Pensaci bene prima di fare una cosa del genere".

Tornato a palazzo Grazioli, il premier si sfoga: "Fini mi aveva promesso che, se si fosse rimesso a fare politica attiva, si sarebbe dimesso dalla carica. Mi aspetto che onori questa promessa". E ancora: "In ogni caso, è liberissimo di fare il suo gruppo, nessuno è obbligato a restare nel Pdl. Ma è chiaro che, per statuto, chi fa un gruppo per conto suo non fa più parte del Pdl e non potrà essere ricandidato". Fatti conti con i coordinatori e i capigruppo, il premier ritiene di poter ancora dare le carte. "Al Senato Fini non ha i numeri per fare un gruppo e anche alla Camera, se arriverà a 20-22 deputati, me li riprenderò uno a uno". Ma finirà davvero così?

© Riproduzione riservata (15 aprile 2010)

 

 

 

GOVERNO

Galan nominato ministro

giuramento al Quirinale

L'ex governatore è il nuovo titolare dell'Agricoltura. Ha preso il posto di Luca Zaia eletto presidente della Regione Veneto

Galan nominato ministro giuramento al Quirinale

Giancarlo Galan

ROMA - Cerimonia di giuramento questa mattina al Quirinale per il nuovo ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan, che prende il posto di Luca Zaia, eletto alla presidenza della Regione Veneto. Poco prima il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha ricevuto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Napolitano ha quindi firmato il decreto con il quale sono state accettate le dimissioni di Zaia ed è stato nominato ministro dell'Agricoltura l'ex governatore della giunta regionale di Venezia. Dopo la cerimonia Berlusconi e il nuovo ministro sono andati a palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri.

(16 aprile 2010)

 

 

 

LA POLEMICA

Berlusconi contro Gomorra e la Piovra

"La mafia è più famosa che potente"

Il premier critica sceneggiati e libri: "E' la sesta al mondo, ma la più conosciuta perché se ne parla"

Veltroni attacca: "Saviano va solo rispettato". E Di Pietro: "Chieda scusa allo scrittore"

Berlusconi contro Gomorra e la Piovra "La mafia è più famosa che potente"

Roberto Saviano

ROMA - Il governo ha fatto tantissimo contro la criminalità organizzata: "Abbiamo superato le 500 operazioni di polizia giudiziaria, che hanno portato a quasi 5000 arresti di presunti appartenenti a organizzazioni criminali". Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa con il titolare del Viminale, Roberto Maroni, a Palazzo Chigi, rivendica i risultati, sferrando un affondo contro chi, in tv e in libreria, affronta il tema della criminalità. Berlusconi sottolinea che "la mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo ma è quella più conosciuta" anche per i film e le fiction che ne hanno parlato, come "le serie della Piovra" e in generale "la letteratura, Gomorra (di Roberto Saviano ndr) e tutto il resto".

Non è la prima volta che Berlusconi se la prende con chi avrebbe, a suo dire, fatto pubblicità alla mafia. Lo aveva già fatto lo scorso novembre quando aveva detto chiaro e tondo di voler "strozzare" chi ha fatto le serie della Piovra e chi scrive libri sulla mafia "che non ci fanno fare una bella figura". Un affondo che però, si era rivelato un boomergang. "La piovra è roba di tanti anni fa, mentre le fiction tv più recenti sulla mafia, da Il capo dei capi a quelle su Falcone e Borsellino, le ha fatte suo figlio per Mediaset. Quando Gomorra è stato scritto ed è diventato di successo internazionale, le immagini sullo scandalo immondizia e i problemi della camorra avevano già prima fatto il giro del mondo" gli aveva risposto Michele Placido, il popolare commissario Cattani proprio nella Piovra. Oggi, invece, reagisce Antonio Di Pietro: "Berlusconi chieda scusa a Saviano". E Veltroni attacca: ""Roberto Saviano è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del consiglio del nostro Paese avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo. Mentre Saviano è costretto a vivere da anni sotto scorta e minacciato da un potere, quello criminale, per aver denunciato con nomi e cognomi i boss e i loro legami con la politica; la mafia, la camorra, la 'ndrangheta allungano le mani su nuovi territori, nuovi affari, condizionano la vita delle imprese, l'economia e la vita di tante comunità al Nord come al Sud".

 

Maroni. Oltre 10 miliardi di euro sottratti alle mafie, 23 superlatitanti catturati dei 30 più pericolosi. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni elenca i risultati dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, aggiornati al 31 marzo. Definendola un' azione "efficace", "senza precedenti", che ha portato a "risultati eccezionali" che "ci vengono riconosciuti da tutti i nostri partner internazionali". In particolare sui beni sequestrati e confiscati: "Sono 16.679 I beni sequestrati per un controvalore di 8,2 miliardi, e 4.407 confiscati per un controvalore di 2 miliardi". Complessivamente il patrimonio sottratto supera i 10 miliardi di euro. Anche sui latitanti, Maroni rivendica risultati: "Dei 30 più pericolosi quando ci siamo insediati al governo ne abbiamo arrestati 22".

Sbarchi. "Un anno fa - ricorda Maroni - Lampedusa bruciava e nel centro di accoglienza c'erano oltre 200 immigrati, che appiccavano il fuoco. Oggi i clandestini sono pari al numero zero: non ce n'è uno. Abbiamo posto fine agli sbarchi di barconi provenienti dalla Libia, riducendo nei primi tre mesi del 2010 del 96 per cento il numero degli sbarchi rispetto al 2009, mentre rispetto al 2008 c'è stata una riduzione del 90 per cento".

(16 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

LA POLEMICA

Tre scrittori con Saviano

Grossman: "Premier irresponsabile"

Tre scrittori con Saviano Grossman: "Premier irresponsabile"

Lo scrittore David Grossman

ROMA - Tre scrittori, Rushdie, Grossman e Englander, a fianco di Saviano. Dure le loro reazioni alle parole di Berlusconi contro l'autore di Gomorra. "Un capo di Stato non può fare dichiarazioni così irresponsabili" commenta David Grossman. Salman Rushdie parla di "disgrazia per l'Italia" e aggiunge: "Sono indignato per la dichiarazione di Berlusconi su Saviano. Considero la sua testimonianza importante ed estremamente coraggiosa". Nathan Englander sottolinea: "Un paese in cui si attaccano gli scrittori e la letteratura è considerata qualcosa di sovversivo è profondamente malsano".

Leggi i commenti dei nostri lettori

(16 aprile 2010)

 

 

 

2010-04-15

PDL DIVISO

Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi"

Incontro e scontro con Berlusconi

Duro faccia a faccia tra il premier e l'ex leader di An che invita "a non appiattirsi sulla Lega"

"Berlusconi deve governare, ma Pdl badi alla coesione nazionale". Il Cavaliere chiede 48 ore

Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi" Incontro e scontro con Berlusconi

ROMA - E' scontro aperto tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. La giornata che doveva servire al chiarimento finisce con parole che suonano come minacce e ultimatum ai limiti della crisi istituzionale.

I due leader del Pdl si incontrano a pranzo, poi segue un silenzio che lascia presagire tempesta. Previsione esatta. Lo sfida è durissima e Fini minaccia di costituire gruppi autonomi in Parlamento. La replica (poi smentita) sarebbe stata l'invito a dimettersi dalla presidenza di Montecitorio. In serata, il presidente del Senato, Renato Schifani non getta acqua sul fuoco: "Se la maggioranza si divide, si torna al voto". Il finiano Bocchino, invece, esclude categoricamente l'eventualità di una crisi di governo: "Si vota quando non c'è la maggioranza, non quando è divisa". Poi arriva la nota dei coordinatori del Pdl La Russa, Verdini e Bondi che fanno quadrato intorno al Cavaliere e puntano l'indice contro il presidente della Camera: "Siamo amareggiati - scrivono - il tuo atteggiamento è incomprensibile".

Il vertice a pranzo. Berlusconi e Fini si vedono a Montecitorio poco dopo le 13. Colazione di lavoro prevista dopo il malumore del presidente della Camera per l'incontro di Arcore con la Lega. Al termine del pranzo, nessuno dei due vuole dire nulla. Niente frasi di circostanza sulla cordialità dell'incontro. Berlusconi si limita a un giudizio positivo sulla qualità del cibo. Poi, a pomeriggio inoltrato, fonti della maggioranza rivelano che, a tavola, i toni sono stati piuttosto irritati e che Fini si è detto pronto a costituire suoi gruppi autonomi accusando premier, governo e Pdl di andare a traino della Lega. Berlusconi - secondo le stesse fonti - avrebbe chiesto 48 ore di riflessione e replicato con altrettanta durezza: "Se lo farai, l'inevitabile conseguenza dovrebbe essere quella di dover lasciare la presidenza. E chi porta avanti iniziative autonome è naturalmente fuori dal partito". Successivamente, dal Pdl arriverà una smentita anonima secondo la quale il Cavaliere non avrebbe mai parlato della necessità che Fini si dimetta.

 

La riunione dei finiani. Dopo il pranzo con Berlusconi, Fini si è riunito con i "suoi" ex An. Nello studio del presidente della Camera, il presidente vicario del Pdl a Montecitorio Italo Bocchino, il vicecapogruppo Carmelo Briguglio, il viceministro e segretario generale di FareFuturo Adolfo Urso e il sottosegretario all'Ambiente Roberto Menia, raggiunti poi da Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera, e da Flavia Perina, direttore del Secolo d'Italia e parlamentare Pdl vicina a Fini.

Al termine della riunione Fini diffonde un comunicato che suona come un richiamo alle responsabilità del premier e del partito ma che, di fatto, conferma quanto raccontato dalle fonti di maggioranza. I toni sono attenti e sottolineano più volte che Fini non vuole mettere in crisi la maggioranza alla quale conferma fedeltà: "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - premette il presidente della Camera - il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione e io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni".

E Italo Bocchino, uscendo dall'incontro con Fini, pur allontanando lo scenario di una crisi di governo, conferma che "eventuali gruppi autonomi possono essere questioni successive a risposte negative a problemi politici". Ovvero, che in caso di mancate risposte da parte di Berlusconi ai problemi sollevati da Fini, gli ex An fedeli al loro leader possano dar vita a un gruppo autonomo. A quanto si sa, sarebbe anche già pronto il nome: "Pdl-Italia". Secondo fonti finiane sarebbero pronti ad aderirvi 50 deputati e diciotto senatori.

La nota dei coordinatori Pdl. L'atteggiamento di Fini provoca "amarezza" ed è "sempre più incomprensibile". Lo affermano in una nota i coordinatori del Pdl Ignazio La RUssa, Denis Verdini e Sandro Bondi in una nota congiunta diffusa al termine di un incontro con Berlusconi. "Le recenti elezioni regionali e amministrative - si legge - hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità ed intelligenza, hanno premiato l'azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso e dell'ulteriore rafforzamento del nostro partito". "Da queste inoppugnabili considerazioni - continua ancora la nota - nasce la nostra profonda amarezza per l'atteggiamento dell'onorevole Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano. Come dimostrano il successo alle politiche del 2008, le elezioni amministrative, nelle quali il centrodestra è passato ad amministrare la maggioranza delle province italiane, e le regionali che ci hanno visto passare in questi anni dal governo di 4 regioni a quello di 11 regioni".

Come cambierebbe la maggioranza. L'eventuale costituzione di gruppi parlamentari 'finiani' potrebbe sconvolgere la mappa politica e dare un volto completamente nuovo alla maggioranza, se non addirittura metterla in affanno numerico. Gli ex di An presenti nel gruppo del Popolo della libertà alla Camera (270 deputati) sono una novantina e tra questi i cosiddetti finiani 'doc' sarebbero una trentina. Al Senato su 47 senatori ex An (il gruppo Pdl è composto di 144) i finiani sarebbero 10-12. Attualmente alla Camera la maggioranza di centrodestra può contare su 270 voti Pdl, 60 della Lega, 2 repubblicani e popolari del gruppo misto e 9 tra Mpa rimasti fedeli a Lombardo ed 'ex', vicini al sottosegretario agli Esteri, Enzo Scotti. Al Senato il gruppo Pdl è di 144 unità e i leghisti sono 26, più alcuni senatori Mpa o 'ex'. In realtà, basterebbero una trentina di deputati e meno di 15 senatori per mettere in seria difficoltà il governo già nel prossimo esame di provvedimenti come la giustizia o le eventuali riforme.

Il Pd: "Hanno più problemi di quanto ammettono". Di fronte ai mal di pancia della maggioranza, il leader del Pd Pierluigi Bersani commenta: "Credo che il centrodestra abbia più problemi di quanto dice, anche in tema di riforme. E sono sempre stato convinto che, a differenza di quello che si racconta in giro, il centrodestra sta producendo molte discussioni e chiacchiere ma non ha presentato alcuna proposta in Parlamento. Vuol dire che c'è un problema".

(15 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

 

SCHEDA

Fini minaccia gruppi autonomi

In Parlamento la conta dei fedelissimi

ROMA - Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Andrea Ronchi, Flavia Perina, Roberto Menia, Giulia Bongiorno, Enzo Raisi, Amedeo Laboccetta, Adolfo Urso, Pasquale Viespoli, Alessandro Ruben. Sono alcuni dei "finiani" di stretta osservanza che, immediatamente dopo il teso vertice tra Berlusconi e Fini si sono riuniti nello studio del presidente della Camera.

Sul tappeto c'è l'ipotesi di creare gruppi autonomi dei deputati e senatori fedeli a Fini e in dissenso con la linea maggioritaria del Pdl nei due rami del Parlamento. I numeri minimi per costituire gruppo sono di venti deputati alla Camera e dieci senatori a Palazzo Madama. E stando alla conta che in queste ore i finiani vanno svolgendo, si può toccare la soglia.

Alla Camera, tra gli esponenti della vecchia Alleanza Nazionale di sicuro rito finiano si possono enumerare Donato Lamorte, Francesco Proietti, Angela Napoli, Silvano Moffa, Riccardo Migliori, Mirko Tremaglia, Basilio Catanoso, Giuseppe Scalia, Antonino Lo Presti. Ai quali vanno aggiunti i "nuovi finiani" come Gianfranco Paglia o Fabio Granata. Aggiungendo questi deputati agli altri oggi riunitisi nello studio di Fini a Montecitorio, il numero minimo di venti componenti è superato.

Al Senato, per fare gruppo servono dieci senatori. E come finiani possono essere reclutati Pasquale Viespoli, Filippo Berselli, Luigi Ramponi, Pierfrancesco Gamba, Laura Allegrini, Antonino Caruso, Giuseppe Valentino, Mario Baldassarri, Domenico Gramazio, Domenico Benedetti Valentini, Vincenzo Nespoli. Anche al Senato la soglia dei dieci è superata. Per la nuova componente parlamentare, i finiani hanno già in mente un nome: si chiamerebbe "Pdl-Italia". Secondo fonti finiane, i deputati che vi aderirebbero sarebbero 50 e 18 i senatori.

(15 aprile 2010)

 

 

 

L'UNITA'

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http://www.unita.it

2010-05-13

I 35 finiani del Pdl

"E' stato pubblicato on line il comitato nazionale di Generazione Italia, l'associazione interna al Pdl vicina alle posizioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini". Lo rende noto un comunicato dell'associazione.

Ecco i nomi: i deputati Giuseppe Angeli, Luca Barbareschi, Claudio Barbaro, Luca Bellotti, Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Antonio Buonfiglio, Benedetto Della Vedova, Aldo Di Biagio, Francesco Divella, Fabio Granata, Antonino Lo Presti, Roberto Menia, Silvano Moffa, Angela Napoli, Gianfranco Paglia, Carmine Patarino, Flavia Perina, Catia Polidori, Francesco Proietti Cosimi, Enzo Raisi, Giuseppe Scalia, Maria Grazia Siliquini, Mirko Tremaglia e Adolfo Urso; i senatori Candido De Angelis, Egidio Digilio, Maria Ida Germontani, Giuseppe Menardi, Maurizio Saia e Giuseppe Valditara; gli europarlamentari Cristiana Muscardini, Enzo Rivellini, Potito Salatto e Salvatore Tatarella.

13 maggio 2010

 

 

 

2010-05-06

Berlusconi: "Mai parlato di congiure L'interim durera giorni"

"Non ho mai pronunciato la parola congiura, questo lo avete scritto voi, è un termine che non ho mai pronunciato". Ci risiamo. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, conversando con i cronisti in Transatlantico, smentisce la stampa sul caso Scajola. E ribadisce: "Non ho mai parlato di congiure e complotti. Il termine congiura è un vocabolo che non mi appartiene. Ci sono alcuni magistrati politicizzati e basta, non è cambiato niente. Non ho mai detto congiura o complotto".

La successione di Scajola "Durerà giorni". Risponde così Silvio Berlusconi, ai cronisti che alla Camera gli chiedono se l'interim assunto allo Sviluppo Economico durerà dei mesi. L'interim allo Sviluppo economico "sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo". Lo assicura Silvio Berlusconi parlando a Montecitorio. "È un incarico - ha aggiunto - diciamo così, tecnico. Durerà giorni". Berlusconi ha aggiunto che sulla scelta del successore di Scajola, serviranno dei giorni perchè "devo consultarmi anche con gli alleati, all'interno del Governo e mi sono preso qualche giorno di tempo per una decisione che deve essere ponderata". Nomi in campo? "Ci sono alcuni nomi che ho in mente", ha risposto il premier.

06 maggio 2010

 

 

 

 

ppalti, un testimone: assegni a Lunardi. Lui smentisce: mai firmati progetti

"Questo qui dice che io ho firmato dei progetti? Me li porti allora. Non esistono oppure la mia firma è falsa. All'epoca non potevo firmare progetti, nè come ministro nè come libero professionista. Non sono mica matto". Pietro Lunardi smentisce le dichiarazioni del tunisino Ben Fathi Hidri, secondo il quale l'ex ministro delle Infrastrutture avrebbe firmato i progetti che gli inviava Angelo Balducci per poi affidarli a Diego Anemone, ricevendo in cambio una tangente del 10%.

"Dopo aver letto il suo nome ho fatto degli accertamenti, ho chiesto a chi lo conosceva", dice Lunardi in un colloquio telefonico con il Corriere della Sera. "Quello è un ubriacone, un drogato, manovrato da chissà chi. Sono falsità assolute. Le avesse dette una persona affidabile, un Berlusconi per dire, potrei capire. Ma così no".

L'attenzione della procura di Perugia è concentrata sugli appalti ottenuti dal gruppo Anemone per verificare eventuali irregolarità. Nelle carte dell'inchiesta perugina non ci sarebbero nomi di altri politici oltre a quello di Scajola e dell'ex ministro Pietro Lunardi. A carico di entrambi non è stato comunque preso al momento alcun provvedimento.

06 maggio 2010

 

 

2010-05-05

Ue, il Pil dell'Italia in lenta ripresa, ma i conti sono fragili

In Italia, sostenuta soprattutto dai consumi privati e dall'export, "la ripresa va rafforzandosi lentamente", con un Pil che si attesterà allo 0,8% nel 2010 e, a politiche invariate, all'1,4% nel 2011. Valori che comunque sono "ampiamente in linea con la media della zona euro". Queste le previsioni di primavera della Commissione Ue, che ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita economica del governo italiano, che nel Programma di stabilità aggiornato indicava un Pil all'1,1% quest'anno e al 2% il prossimo.

DEFICIT ITALIA 5,3% ANCHE IN 2010, PESA CALO PIL

Il disavanzo dell'Italia si attesterà al 5,3% anche nel 2010: lo prevede la Commissione Ue, che spiega questo "livello più elevato di deficit" rispetto alle aspettative del governo (5,0%) con "una caduta dell'attività economica" che è stata più marcata del previsto. Nel 2011, a politiche invariate, Bruxelles prevede che il deficit italiano "si riduca leggermente" attestandosi al 5% (contro il 3,9% stimato dal governo nel Programma di stabilità aggiornato).

DEBITO ITALIA IN RIALZO,SOPRA 118% IN 2010 E 2011

La Commissione Ue prevede che il debito pubblico italiano, dal 115,8% del 2009, salga sopra il 118% nel 2010 rimanendovi, a politiche invariate, anche nel 2011. Il governo prevedeva di non andare oltre il 116,9% nell'anno in corso. In particolare, il debito italiano (superato nella Ue solo da quello della Spagna che viaggia verso il 130%) quest'anno sarà al 118,2% e il prossimi al 118,9%.

CONTI ITALIA FRAGILI, MA POLITICA GOVERNO ACCORTA

"Attraverso la crisi, in un contesto di rischi persistenti sui mercati dei titoli di Stato, il governo italiano ha perseguito una politica di bilancio accorta tenendo conto delle fragili finanze pubbliche dell'Italia, soprattutto il suo elevatissimo debito pubblico": é quanto scrive la Commissione Ue nelle sue previsioni economiche di primavera. Nel testo si sottolineano in particolare gli effetti sul deficit di quest'anno (previsto al 5,3%) dovuti a una crescita della spesa primaria intorno al 5% nel 2009 ("considerevolmente più veloce di quanto previsto dal governo") e a "una caduta delle entrate", sempre lo scorso anno, dovuta a un restringimento della base imponibile e all'aver posticipato al 2010 parte dei pagamenti dovuti dalle pmi nel 2009. Un effetto positivo si è invece avuto da alcune misure, come "la tassa straordinaria sul rimpatrio dei capitali detenuti illegalmente all'estero", lo scudo fiscale. Sul fronte del debito pubblico, che per Bruxelles crescerà più del previsto, la Commissione Ue sottolinea come questo "si sia arrampicato di dieci punti nel 2009" e come "il grosso dell'aumento sia stato dovuto alla caduta del Pil, all'enorme peso degli interessi e ad un avanzo primario negativo dovuto all'attivazione degli stabilizzatori automatici". "Limitate iniezioni di capitale nel settore bancario - aggiunge Bruxelles - a ulteriori accumulazioni di liquidità detenuta dal Tesoro con la Banca d'Italia si sono aggiunte al debito".

UE RIVEDE AL RIALZO PIL EUROZONA +0,9% IN 2010

La Commissione Ue ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita della zona euro, indicando per il 2010 un Pil allo 0,9% contro lo 0,7% previsto lo scorso febbraio. Nel 2011 si stima un Pil all'1,5%. "La ripresa dell'economia nella Ue è graduale ma procede", spiega Bruxelles, anche se "una domanda interna debole continua a darle un carattere contenuto". Inoltre, "la velocità della ripresa varia da Paese a Paese". A trainare sono la Francia (+1,3% nel 2010) e la Germania (+1,2%). Restano in recessione, invece, la Grecia (-0,9%) e la Spagna (-0,4%). Per l'Italia nel 2010 è previsto un Pil allo 0,8%.

05 maggio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-05-04

Scajola si dimette: "Devo difendermi"

Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, e' stato ricevuto a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il ministro dimissionario, che stamani ha annunciato le sue dimissioni, e' arrivato nella sede del governo oltre mezz'ora prima di Berlusconi, impegnato a villa Madama con l'Emiro del Kuwait, Sheikh Sabah Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah. Il presidente del Consiglio e il ministro dello Sviluppo, a quanto si apprende, si sono incontrati nello studio del capo del governo.

"Il ministro Scajola ha assunto una decisione sofferta e dolorosa - ha deto poi il presidente del Consiglio -, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito. Al ministro Scajola va l'apprezzamento mio e di tutto il governo per come ha interpretato il ruolo di ministro dello Sviluppo economico in una fase difficile e delicata che, anche grazie al suo contributo, l'Italia sta superando meglio di altri Paesi".

Berlusconi trova anche il tempo di attaccare la stampa: "Se c'è una cosa" che è "sotto gli occhi di tutti" è che in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa", dice nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi. Una battuta pronunciata in occasione della

presentazione del rapporto Ocse sulla capacità di risposta alle catastrofi naturale, rapporto molto favorevole all'Italia. Il premier soddisfatto ha osservato: "Altre volte abbiamo avuto dei rapporti fatti da osservatori internazionali", come appunto quello sulla libertà di stampa, che "ci mettevano in situazione di grande distanza dai primi. Ecco, credo che c'è la sicurezza di tutte che abbiamo fin troppa libertà di stampa, è un fatto indiscutibile".

In mattinata si era riunito con alcuni suoi fedelissimi per preparare la conferenza stampa con i giornalisti. Poco prima di mezzogiorno l'annuncio: "Mi dimetto". L'incontro con la stampa, convocata presso la sede del ministero dal ministro travolto dallo scandalo della casa al Colosseo è cominciato proprio con queste parole. Scajola lascia l'incarico: "Devo difendermi, non posso continuare a fare il ministro". E poi la provocazione: "Un ministro non può sospettare di stare in una casa pagata da altri".

VIDEO Le dimissioni in diretta

LO STRISCIONE "Cerchi casa? Chiedi a Scajola"

Le dimissioni del 2002 per le frasi su Biagi

Sul sito Pdl: "Cacciatelo!"

Libero e Giornale: "Che guaio"

"Vivo da 10 giorni una grande sofferenza", dice in conferenza stampa, e "in questa situazione che non auguro a nessuno, devo difendermi. E per difendermi, non posso piu' continuare a fare il Ministro"

"Ho avuto attestati di stima da Berlusconi, da colleghi di governo e da tutta la maggioranza": ha affermato il Ministro dello Sviluppo Economico. ''Mi trovo esposto ogni giorno - ha detto Scajola - a ricostruzioni giornalistiche contraddittorie. In questa situazione che non auguro a nessuno io mi devo difendere. E per difendermi non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni, senza mai risparmiarmi. Ne siete testimoni, ho dedicato tutte le mie energie e il mio tempo commettendo sbagli ma pensando di fare il bene''.

Sono estraneo ai fatti e lo dimostrerò. "Sono certo che le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con il lavoro che anche io ho contribuito" a fare in questi due anni.

''Ho imparato nella mia vita che la politica da' sofferenze. Ma ho anche imparato che sono compensate da soddisfazioni. So che tutti i cittadini hanno grandi sofferenze e io non sono l'unico che sta soffrendo''.Lo ha detto il ministro per lo Sviluppo conomico, Claudio Scajola, nel corso della conferenza stampa con cui ha annunciato le proprie dimissioni.

Finita la sua dichiarazione Claudio Scajola saluta i giornalisti e se ne va. A questo punto i cronisti protestano rumorosamente perche' non hanno avuto modo di fare nemmeno una domanda.

Le dimissioni di Claudio Scajola sono "una scelta giusta". Lo dice Pier Luigi Bersani a Repubblica tv. "Mi pare- aggiunge- che le cose che Scajola ha detto fin qui non sono convincenti per nessuno. Se non ha nient'altro da aggiungere- dice Bersani- mi pare inevitabile che Scajola rassegni le dimissioni. Anche perche' e' emerso un verminaio sui meccanismi di appalti, che avvengono secondo procedure secretate, e chiedo che venga scavato fino in fondo. Perche' e' una vicenda intollerabile", dice Bersani.

Le sue dimissioni sono un'altro episodio di un governo e una maggioranza "in stallo", che prelude "strappi" all'interno del centrodestra. È l'analisi del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commentando l'accettazione delle dimissioni del ministro da parte del premier Berlusconi.

Intanto emergono testimonianze e documenti che inguaiano il ministro. "Portai gli assegni circolari direttamente al ministero, dove si doveva stipulare l’atto". Non ha vuoti di memoria l’architetto Angelo Zampolini su quel giorno di luglio 2004, quando la proprietà dell’appartamento romano di via del Fagutale n°2 passava dalle mani delle sorelle Papa a quelle del ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola. E, com’è noto, per il rogito non possono mancare i soggetti coinvolti. "Ricordo - dice l’architetto - che erano presenti il ministro, le due venditrici e il notaio. Consegnai i titoli direttamente al ministro". Si trattava di assegni per un valore di 900 mila euro.

La testimonianza di Zampolini aderisce al racconto delle due sorelle Papa, Beatrice e Barbara. Le proprietarie dell’appartamento, infatti, hanno detto per tre volte agli inquirenti che "quegli assegni sono stati consegnati dal ministro Scajola". Titoli che le due sorelle si sono divise equamente, 40 a testa, e che, una volta depositati in banca, hanno attirato l’attenzione, sembrando i figli di operazioni sospette. All’incontro, le due proprietarie sono lusingate dall’acquirente e non si mettono a discutere di modi o tempi del pagamento. Dal ministro, ricevono un acconto 200 mila euro in contanti che si dividono a metà.

La prima a essere ascoltata dagli investigatori, il 23 marzo, è stata Beatrice. "Riconosco i 40 assegni circolari emessi dalla Deutsche Bank il 6 luglio 2004 - ha detto - mi sono stati consegnati dal ministro Scajola che ha acquistato la nostra casa di famiglia per 1 milione e 700 mila euro. Fu il ministro, davanti al notaio Napoleone, a consegnarmeli, mentre la restante parte mi è stata data in contanti". Una cifra, questa di 1.700.000 euro, che non corrisponde a quella dichiarata da Scajola: i 610 mila euro che compaiono anche nel documento notarile. Infatti, le vecchie proprietarie aggiungono che "nell’atto non figura questo passaggio perché ci eravamo accordati per denunciare solo 600 mila euro". Inoltre, secondo le Papa, l’incontro si è svolto "in via della Mercede in una sala riunioni, nella disponibilità del ministro" e c’era anche "il direttore dello sportello B della Deutsche Bank".

Un altro dato del racconto di Zampolini che sembra coincidere con gli atti in mano degli inquirenti riguarda la provenienza dei soldi serviti per avere in cambio gli assegni circolari. "Io li ho ricevuti da un cittadino tunisino che collaborava con Anemone - ha detto l’architetto - ma non saprei come rintracciarlo". I carabinieri del Ros, però, lo avevano già trovato: si tratta di Laid Ben Fathi Hidri, l’autista di Angelo Balducci. Il tunisino, infatti, ha dichiarato ai magistrati di avere avuto più volte il compito di prendere soldi liquidi e di portarli a Zampolini. Erano "buste dal contenuto sconosciuto" destinate "a vari soggetti, alcuni anche ministri", ha detto Fathi Hidri.

Secondo la versione di Zampolini, Anemone lo "incaricò di trovare un appartamento per Scajola". Vicenda di cui "era informato anche Angelo Balducci. Inizialmente visionammo un altro immobile nella zona del Gianicolo, ma il ministro mi spiegò che non gli piaceva e così gli proposi quello al Colosseo che poi effettivamente venne acquistato. La procedura fu quella seguita solitamente: versai sul mio conto corrente i soldi messi a disposizione da Anemone e poi provvidi a prelevarli sotto forma di assegni circolari".

Intanto il costruttore Diego Anemone ha fatto sapere, tramite i suoi legali, di non avere mai dato il denaro a Zampolini. Domenica prossima, Anemone uscirà dal carcere e, dice il suo avvocato, "chiarirà tutto".

04 maggio 2010

 

 

 

Editoria, Ciarrapico indagato per truffa

L'imprenditore e senatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico è stato indagato dalla Procura di Roma per truffa aggravata. Avrebbe avuto contributi per l'editoria pari a circa 20 milioni. Medesima cifra è stata posta sotto sequestro dai militari del Nucleo speciale di polizia valutaria di Guardia di finanza.

Oltre a lui sono indagati il figlio Tullio e altre cinque persone, prestanomi amministratori di fatto di società ricollegabili all'editore.

La procura parla di "gravi fatti di fraudolente percezioni di contributi all'editoria per importi complessivi pari a circa 20 milioni di euro dal 2002 al 2007 e per analoghi tentativi susseguitisi fino all'anno in corso, in danno dello Stato - presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per l'informazione" da parte delle società editrici Nuova Editoriale Oggi srl e Editoriale Ciociaria Oggi srl.

I militari della Guardia di finanza, nucleo speciale di polizia valutaria, diretti dal colonnello Leandro Cuzzocrea e su disposizione del pm Simona Marazza, responsabile dell'inchiesta, hanno eseguito sequestri preventivi a Roma, Milano e in altre città, di immobili, quote societarie e conti correnti ed una imbarcazione di lusso, che era ormeggiata a Gaeta. Gli accertamenti sono stati coordinati dal procuratore aggiunto della Capitale, Pietro Saviotti.

Il sequestro di beni e quote societarie per quasi 20 milioni di euro ha riguardato "beni riconducibili, attraverso intestazioni fittizie" a Giuseppe Ciarrapico "rilevato come effettivo proprietario delle società editrici". Il reato di truffa aggrava secondo l'articolo 640 bis del codice penale, per gli inquirenti, si completa proprio perché Ciarrapico e gli altri, tra cui il figlio Tullio, avrebbero chiesto e ottenuto dallo Stato i finanziamenti dal Dipartimento per l'editoria con società che figuravano come cooperative. Le quote societarie i beni e tutto quanto è stato sequestrato dagli investigatori delle Fiamme gialle saranno adesso affidati ad un custode societario.

L'indagine a carico di Giuseppe Ciarrapico è partita oltre tre anni fa, dopo che dalle verifiche della Gdf è emerso che l'imprenditore ha incassato il doppio dei soldi che avrebbe dovuto avere come contributo pubblico per diversi giornali locali di cui il senatore del Pdl è editore. L'inchiesta è stata comunque avviata dalla magistratura dopo una puntata di 'Report', il programma di Raitre condotto da Milena Gabanelli in cui sono stati denunciati numerosi casi di finanziamenti sospetti concessi ai mass media. Nell'ambito dello stesso filone d'inchiesta, nel maggio del 2006, finirono in carcere quattro persone, tra cui l'ex direttore

del Giornale d'Italia e all'epoca amministratore unico della società editrice dello stesso quotidiano. Secondo l'accusa, in pratica, Ciarrapico avrebbe eluso la legge per l'emanazione dei contributi all'editoria (la 250 del '90) facendo figurare che le due società, Editoriale Ciociaria Oggi e Nuova Editoriale Oggi, amministratrici degli otto giornali da lui controllati che avevano gestioni separate.

L'ex re delle acque minerali - sempre secondo l'accusa -

avrebbe sfruttato la complicità di dipendenti a lui legate per

cercare di non incappare nei controlli che poi, in realtà, lo

hanno inguaiato. Il reato di truffa aggravata in concorso è

contestata a collaboratori, che secondo i pm erano semplici

'prestanome'.

04 maggio 2010

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"Grave che non faccia niente per Unità d'Italia"

Per Gianfranco Fini è molto grave che il Pdl non abbia presentato una proposta per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il presidente della Camera lo dice in una intervista. "Nel mio intervento alla Direzione del Pdl, che tante polemiche suscitò - aggiunge - mi ero permesso di chiedere per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario? E non sarà, avevo chiesto, perchè gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?".

Fini non è meravigliato dalla presa di posizione del Carroccio: "Ovviamente depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell'unità nazionale. Però non mi meraviglia. La Lega - sostiene - in fondo non è un partito nazionale. I sostenitori di Bossi, lo sappiamo, si sentono figli di una nazione tanto inesistente quanto retoricamente declamata". La critica è per il suo partito: "Si dà il caso - spiega - che il Pdl sia il maggior partito italiano, in cui sono confluite culture politiche rilevanti, tra cui quella di destra. Avendo contribuito a fondarlo, considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l'Unità".

04 maggio 2010

 

 

 

FareFuturo, il premier indaga sui finanziatori

di Il congiuratotutti gli articoli dell'autore

Non ci sono solo i circoli di Generazione Italia a far arrabbiare il premier. Anzi, per lui l’annuncio dato ieri in proposito dal presidente della Camera in qualche modo rappresenta almeno un elemento di chiarezza in un percorso che, nella sua visione, porterà prima o poi Fini e i suoi uomini fuori dal Pdl. Quel che dà più fastidio a Berlusconi è piuttosto il continuo controcanto che, in attesa di quello che gli appare un inevitabile esito finale, continuerà ad arrivare dalla terza carica dello Stato e dai suoi uomini su ogni scelta di Palazzo Chigi. Il Cavaliere vuole limitare al massimo quello che considera un vero e proprio stillicidio di consenso nei suoi confronti, proveniente soprattutto da quella che ha individuato da tempo come la principale centrale del dissenso: FareFuturo. Raccontano da Palazzo Grazioli che alcuni giorni fa, stufo delle solite critiche, ha deciso di non rimanere oltre con le mani in mano e di voler cominciare a capire come limitare, sul piano della battaglia culturale, il terreno d’azione di quel fastidioso circolo, iniziando dalle fonti di approvviginamento. Per questo, adottando uno schema già usato tempo fa in occasione dell’appello agli inerzionisti a tener presente il tasso di "negatività" delle testate sulle quali comprare o meno pubblicità, ha domandato che sul suo tavolo venisse portata la lista degli imprenditori che contribuiscono alla fondazione presieduta da Adolfo Urso. Una richiesta consegnata ai suoi più fedeli collaboratori, da non diffondere, per ora. Berlusconi vuole vedere, scritti nero su bianco, i nomi dei non pochi uomini di impresa che sostengono il think tank del presidente della Camera, e magari cercare di capirne le ragioni, per verificare se, anche di fronte alla svolta antiberlusconiana del cofondatore Pdl, siano o meno ancora intenzionati ad aiutare un pensatoio che ogni giorno di più si dimostra la spina nel fianco del governo. Soprattutto vuole capire se siano o meno consapevoli che aiutare chi rema contro il presidente del consiglio può essere controproducente. Sono proprio tutti sicuri di poter continuare a farlo senza entrare in contrasto con quello che, visto da Palazzo Chigi, appare incontestabilmente come il bene del Paese? Insomma, si chiedono gli uomini del presidente, questi imprenditori non temono di essere in conflitto di interessi con il governo?

04 maggio 2010

 

 

 

Fini lancia la politica sui territori: "Basta coi sondaggi"

Gianfranco Fini, in un video sul sito di Generazione Italia, lancia la sua idea di politica, contrapposta neanche troppo implicitamente a quella basata "sui sondaggi". "Generazione Italia ha l'obiettivo primario di garantire in tutto il territorio nazionale la presenza di tanti circoli, composti da volontari", dice il presidente della Camera. "La politica non può essere solo un mestiere, la politica deve essere innanzuttito partecipazione, anche piena di di passione, per fare in modo che il futuro sia migliore del presente e in particolar modo il futuro dei più giovani".

Del resto, la politica sul territorio Fini la sta facendo da tempo. Gianmario Mariniello, di Generazione Italia, fa sapere che "cresce la lista di amministratori locali che condividono la battaglia interna al Pdl di Gianfranco Fini: abbiamo superato 'quota 500' e andiamo avanti". "Con la "rete" di Generazione Italia sul territorio, tutti questi amministratori, che spontaneamente, senza alcuna sollecitazione, hanno aderito alla nostra iniziativa, formeranno un network di sicuro successo. L'obiettivo è arrivare a quota 1000, per poi organizzare una grande Convention a Roma. Siamo a metà dell'opera".

In mattinata, il presidente della Camera si era scagliato proprio contro una politica basata solo sui sondaggi, sottolineando la necessità di una "cultura rinnovata e strategica capace di pensare alle conseguenze della politica sul futuro". Parlando al convegno organizzato dalle fondazioni Farefuturo e Respublica, la terza carica dello Stato ha detto: "Soffriamo di uno schiacciamento sull’immediato, la cultura del sondaggio è l’unico strumento di strategia politica: per uscirne è necessaria una cultura rinnovata e strategica capace di pensare alle ricadute della politica sul futuro, una cultura libera dall’immobilismo, dalla paura dell’altro e del nuovo".

"Oggi viviamo un inno al presentismo - ha sottolineato il presidente della Camera - e non è una questione solo italiana o europea, ma occidentale. Nel giro di quindici anni il mondo è cambiato, ci sono nuove sfide ma la politica non ha modificato il suo linguaggio. Ha preferito cavalcare la paura e il presentismo abdicando a visioni di prospettiva e cercando un consenso di breve periodo". Il presidente della Camera, infine, ha richiamato l’importanza dei partiti politici: "E’ importante il ruolo svolto dai partiti politici perché se è vero che i partiti-chiesa sono tramontati in maniera irreversibile è vero anche che oggi hanno la responsabilità importante di fornire ai cittadini gli strumenti per concretizzare il loro impegno politico attraverso la partecipazione elettorale".

L'Unione europea, ha fatto poi notare Fini, vive lo strano paradosso, dopo l'approvazione del Trattato di Lisbona del "massimo dei poteri attribuiti al Parlamento e del minimo di partecipazione democratica dei cittadini alla sua elezione" con il 43,2% di afflusso alle urne pari a circa 162 mln aventi diritto. Per superare le contraddizioni insite in questo paradosso il presidente della Camera ha indicato la necessitá di un superamento, da parte delle forze politiche dei tradizionali modi di affrontare il dibattito, di 'leggerè la societá e di "appiattimento sul presente", fomentato, quest'ultimo, dalla tecnica dei sondaggi validi per il "market to market" ma che privano la politica dello sguardo di prospettiva. Per superare questo gap, Fini ha ricordato lo spirito "universalistico del Cristianesimo" che è nella matrice culturale del Partito popolare europeo.

03 maggio 2010

 

 

 

2010-05-02

"Unità d'Italia leghisti a cerimonia? Non credo"

"Non so se ci sarà un leghista alla cerimonia per il 150esimo dell'unità d'Italia che si terrà a Quarto alla presenza del Capo dello Stato". Così Roberto Calderoli ha risposto a Lucia Annunziata durante la trasmissione 'In mezz'orà. "Non lo so, vedremo - ha risposto Calderoli -. Ma penso che la miglior risposta sia realizzare l'unità d'Italia attraverso il federalismo. È inutile parlare di un totem sapendo che ci sono differenze nel paese, chi lavorerà per realizzare l'unità paese festeggerà così il 150esimo. La celebrazione in se stessa ha poco senso - ha insistito Calderoli -, trovo che sia meglio dare soluzioni, sollevare la bandiera non basta", perciò ad Annunziata che gli ha chiesto se lui personalmente parteciperà alla cerimonia Calderoli ha risposto: "io sarò a lavorare per realizzare questo progetto".

"Le dichiarazioni di Calderoli sono sconcertanti, ma purtroppo non originali perché ormai è diventata una triste abitudine che i ministri della Lega esternino contro la Costituzione e l`unità d`Italia". È quanto afferma Matteo Orfini, responsabile Cultura della segreteria del Pd a proposito delle affermazioni del ministro sulle celebrazioni del 150esimo dell'unità d'Italia. "Partecipare alle celebrazioni dei 150 anni ha un forte valore e non toglierebbe tempo al lavoro del governo per realizzare le riforme - osserva Orfini -. Tuttavia, questo fatto increscioso evidenzia con forza lo scarso interesse che questa maggioranza attribuisce alle celebrazioni dell`Unità d`Italia, come testimoniano le dimissioni di molti autorevoli membri del comitato del centocinquantenario".

02 maggio 2010

 

 

Elezioni? Nervi tesi nel Pdl

L'unica alternativa al governo Berlusconi sono le elezioni. E l'ipotesi di un esecutivo tecnico guidato da Giulio Tremonti non è all'ordine del giorno. Anche perchè il primo ad essere "contrario" è lo stesso ministro dell'Economia. A stoppare eventuali scenari alternativi a quello attuale ci pensa Roberto Calderoli. Ospite della trasmissione 'In 1/2 orà, il ministro della Semplificazione prova a fare chiarezza: che Berlusconi sia il leader "non ci piove"; e l'idea di andare al voto rappresenterebbe un venir meno al senso di responsabilità di fronte "alla crisi" ed alla necessità di "fare le riforme". Il Carroccio dice no alle urne, ma chiede alla maggioranza un impegno preciso: "Utilizzare i prossimi tre anni per fare le riforme". Il ministro leghista evita di entrare nelle 'beghè interne al Pdl anche se non risparmia critiche all'atteggiamento di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, è la spiegazione di Calderoli, è "frustrato" per essere l'eterno delfino "che non decolla mai" e per questo, sbagliando, "prende di punta" lo stesso Cavaliere.

Parole, quelle del ministro, che seguono però la preoccupazione fatta filtrare nei giorni scorsi dal Carroccio sullo scontro interno al Popolo della Libertà. Il premier che ha trascorso la giornata ad Arcore, dove resterà anche domani (non si esclude la tradizionale cena del lunedì con il Senatur), mantiene la linea decisa nei giorni scorsi e cioè evitare repliche alle 'provocazionì. Difficile però non pensare che le 'uscitè del 'finianò Italo Bocchino sui contratti della Rai e la Endemol (società che ha nella proprietà il Cavaliere e i suoi figli) siano passate inosservate. "I contratti più importanti della Rai vanno a Silvio Berlusconi e ai suoi figli, proprietari della Endemol", dice Bocchino a Sky Tg24 facendo riferimento all'articolo apparso su Il Giornale in cui si parlava di sua moglie, proprietaria di una casa di produzione e dei contratti con il servizio pubblico. Quell'articolo, così come le notizie apparse sul quotidiano diretto da Vittorio Feltri, sono definite "spazzatura".

E sono sempre le parole del parlamentare vicino a Gianfranco Fini a far salire la temperatura all'interno del Pdl. A proposito delle riforme, Bocchino non risparmia un'altra frecciata al Cavaliere: "Noi dobbiamo affrontare le riforme economiche e sociali - spiega - e non dobbiamo fermarci a dire al Paese che vogliamo fare la riforma della Costituzione e della giustizia". Una sorta di agenda di priorità che scatena la reazione della maggioranza interna. Sandro Bondi si dice "dispiaciuto" dall'atteggiamento del deputato 'finianò invitandolo ad un confronto "utile al partito" e non "a sfibranti e meschine scaramucce da cortile". Osvaldo Napoli invece lo paragona al dottor Jackyill e mister Hide: "Bocchino che riscrive l'agenda del governo è lo stesso che fino all'altro giorno, nella veste di capogruppo vicario del Pdl, condivideva quella stessa agenda e le difendeva nel confronto politico". Che la situazione sia tutt'altro che tranquilla lo testimonia poi il botta e risposta tra Ignazio la Russa e Carmelo Briguglio, altro esponente della componente finiana.

A scatenare la polemica il battesimo oggi a Milano di 'Nostra destra' voluta dal coordinatore del Pdl che raccoglie i dirigenti lombardi provenienti da An. Non si tratta di una corrente, precisa il ministro della Difesa ma "un'aera che vuole dare il suo contributo al Pdl". Una spiegazione che non convince Briguglio: "La nascita di un'altra area o corrente che dir si voglia dentro il Pdl - è la replica - è un dato positivo perchè sancisce tutte le ragioni della minoranza interna circa la necessità del pluralismo". La replica di La Russa non si fa attendere: "Sono sciocchezze", taglia corto.

02 maggio 2010

 

 

Pdl: Bocchino, mia moglie fa lo stesso lavoro dei Berlusconi

"È vero che mia moglie ha contratti con la Rai per diversi milioni, in quanto titolare di una società che produce fiction, vendendole anche alla Tv pubblica. Fanno altrettanto le società della famiglia Berlusconi, che sono infatti i primi fornitori della Rai" attraverso la Endemol. Italo Bocchino non fa sconti a Berlusconi, dopo che è stato costretto a dimettersi da vicecapogruppo del Pdl alla Camera e messo sotto inchiesta dal "Giornale" per il fatto che la moglie vende i suoi programmi alla Rai. "Non lo trovo scandaloso", aggiunge il parlamentare: "La Endemol è una grande società che fa produzione, ricchezza e audience. Quello che troverei scandaloso sarebbero scelte al di fuori della normativa vigente". E aggiunge: "Se vogliamo fare un codice etico per cui con la Rai non possono avere nulla a che fare i parenti fino al sesto grado di chi siede in Parlamento, io sarei d'accordissimo: però il maggior colpito sarebbe Berlusconi, che è il maggior beneficiario insieme ai suoi figli".

"Mia moglie -spiega l'esponente del Pdl- fa quello di mestiere, e i prezzi indicati dall'articolo sono quelli di mercato. Ricordo che l'ho conosciuta nel '93, e che lei già nel '90 aveva prodotto due documentari firmati da registi importanti per la Rai, in occasione dei Mondiali di calcio". Secondo Bocchino non è un atto illecito che i familiari d i esponenti politici producano programmi per la Rai: "Se vogliamo fare un codice che lo vieti, io sono d'accordo. Ma al momento è un atto lecito, non riesco a capire come si fa a considerarla un'accusa. È come se io accusassi il premier del fatto che il maggior produttore di programmi per la Rai siano le società di Berlusconi e dei suoi figli...".

Il partito

"Il ruolo di un grande partito è quello di un esercizio serio della democrazia interna che non può portare alla marginalizzazione di un dirigente politico al quale non vengono addebitati errori nella conduzione del gruppo parlamentare, ma vengono addebitati giudizi non soddisfacenti verso il leader del partito", dice Bocchino. "La nostra - ribadisce Bocchino - è una scelta politica e andiamo avanti con la nostra battaglia che è interna al partito che vogliamo più forte, più democratico, più partecipato e più attento sui temi trascurati in questi anni".

Le riforme

La riforma della Costituzione "è molto importante" ma "non interessa i cittadini", mentre la riforma della giustizia "interessa solo il 6% degli italiani, gli altri no". I cittadini hanno altre priorità: "Fisco più equo, lavoro, previdenza". Il finiano riscrive le priorità delle riforme, derubricando quella riforma della giustizia indicata da Silvio Berlusconi come primo punto da affrontare. "Gli italiani sono interessati a 3 riforme - sostiene Bocchino - cui deve mettere mano il governo. In primo luogo, un fisco più equo: bisogna fare pagare tutti, con sanzioni più severe e anche le manette agli evasori. Poi il lavoro: il Governo ha fatto un ottimo lavoro, la disoccupazione è all'8%, è alta, ma in Ue è al 10 e in Spagna al 20%. Ma ora bisogna riformare il mercato più flessibile ma senza sacche di precariato con diritti compressi". Terza riforma, la previdenza: "Stiamo invertendo l'ordine naturale, i nonni e i padri stanno mangiando la ricchezza di figli e nipoti, lasciandogli una previdenza che li lascerà indebitati e costretti a lavorare ancora più a lungo. Noi avevamo fatto una riforma perfetta, la Maroni, purtroppo cancellata dal Governo Prodi. Dobbiamo riprenderla".

02 maggio 2010

 

 

 

 

 

2010-04-30

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-27

Bocchino, le dimissioni sono ufficiali Fini vuole la presidenza del gruppo

''Caro Fabrizio, dopo quanto accaduto in direzione nazionale credo sia opportuno favorire un chiarimento all'interno del gruppo parlamentare anche al fine di accogliere la richiesta di mie dimissioni reiteratamente avanzata dal presidente Berlusconi attraverso te e a mezzo stampa''. Inizia cosi' la lettera che Italo Bocchino, capogruppo vicario alla Camera del Pdl, ha scritto ieri e consegnato oggi al capogruppo Fabrizio Cicchitto, con il quale ha avuto un lungo colloquio.

''Ti comunico pertanto - si legge nella lettera - che e' mia intenzione avviare il percorso che portera' alla formalizzazione di queste dimissioni nell'assemblea del gruppo, che dovremo convocare per eleggere i nuovi vertici. Il regolamento, infatti lega il destino del presidente al vicario (simul stabunt simul cadent) ed e' inevitabile il ricorso all'assemblea, cosa assai utile anche per favorire l'espressione democratica dei colleghi deputati e per dare la possibilita' alla minoranza di contare le proprie forze''.

''Prima di convocare congiuntamente l'assemblea del gruppo - aggiunge Bocchino - ti prego di favorire un mio incontro con il presidente Berlusconi anche alla presenza del coordinatore Verdini affinche' si possa dare vita ad un chiarimento politico

che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovra' fare''. ''Visto il rapporto che ci lega - conclude - ho il dovere di comunicarti che all'assemblea del gruppo presentero' la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Cio' non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso''.

Secondo l'ufficio stampa del Pdl, però, "il destino del vicario non coinvolge la presidenza. L'art.8 del regolamento del Gruppo non lega affatto il destino del Presidente e del Vicepresidente Vicario a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica".

''Ho preso atto della lettera di dimissioni dalla carica di vicecapogruppo vicario che mi e' stata oggi presentata dall'onorevole Italo Bocchino. Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica e anche sullo statuto del Gruppo. E' evidente che il problema delle dimissioni dell'onorevole Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del Partito''. Lo afferma Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, annunciando di aver ricevuto la lettera di dimissioni di Bocchino dal ruolo di

vicepresidente dei deputati del partito. ''Di conseguenza - spiega Cicchitto - si e' deciso di prendere il tempo necessario per un esame della situazione. Nel frattempo e' stato concordato il massimo impegno comune per assicurare l'unita' politica e operativa del gruppo a sostegno del Governo''.

Nascono però malumori all'interno della corrente finiana sulla candidatura di Bocchino: ''Se per davvero l'onorevole Bocchino, vice capogruppo dimissionario del PdL alla Camera, intende candidarsi a presidente dello stesso gruppo ''per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo'', allora lo faro' anch'io''. Roberto Menia, finiano doc e sottosegretario all'Ambiente, porta allo scoperto i malumori di alcuni ex An verso il dimissionario Italo Bocchino, capogruppo vicario del Pdl alla Camera. ''Non so quale consenso egli pensi di avere - afferma Menia - ma non ha certo il mio ne' quello di molti che con lealta' seguono Fini e con altrettanta lealta' sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte''.

27 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-26

Fini ai suoi: "Liberi di dissentire"

Dentro il Pdl, leali al governo e alla maggioranza ma liberi di dissentire: Gianfranco Fini fa il punto con i parlamentari che gli sono rimasti fedeli, cerca di rassicurare i finiani che lo hanno seguito nell'ultimo strappo e di mostrare loro la rotta, nella sala della Camera intitolata all'indimenticato Pinuccio Tatarella. Contare tutti i 'finiani' anche oggi è impossibile per la stampa, tenuta rigorosamente lontana dal vertice della minoranza del Pdl da uno stuolo di commessi di Montecitorio. Si può dire invece che qualcuno già scende dalla scialuppa (oggi Amedeo Laboccetta, dopo un colloquio di quasi un'ora nello studio del presidente Fini, dice "Io non ci sto") e altri non si censurano nelle critiche.

Roberto Menia, fedelissimo dell'ex leader di An e suo amico personale, chiede ad esempio "Dove si va a sbattere? Qual è la strategia?". "Siamo passati da ipotesi di gruppi autonomi ad una non definita area di minoranza - rimarca Menia -. E Fini, da leader di An a capo di una piccola minoranza. Ne valeva la pena?". E il sottosegretario all'Ambiente chiede che siano censurati, anzi "licenziati i vari fautori di governi tecnici e ribaltoni, come a suo giudizio è il direttore di Farefuturo Alessandro Campi. La riunione si fa lunga, ognuno dice la sua e Fini ascolta, palesemente desideroso di dilatare al massimo lo spazio del confronto interno, tanto che resti agli atti la differenza rispetto alla direzione di giovedì scorso e alla liturgia celebrativa dell'operato del governo e del suo premier Silvio Berlusconi, naturalmente fatto salvo il grave scontro tra i due co-fondatori. "Non è in discussione la permanenza nel Pdl - mette subito in chiaro l'ex leader di An - e dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e alla maggioranza di governo, dobbiamo mostrare agli elettori totale fedeltà al programma elettorale". Un'indicazione soprattutto ad uso di chi da oggi in poi andrà in tv o farà dichiarazioni.

Nessun pretesto, insomma, offerto a chi vuole bollare la nuova "minoranza politico-culturale" come un manipolo di facinorosi pronti a sabotare l'agenda di governo. Fini torna a spiegare, in una riunione fiume ancora in corso, che non si può accettare una Lega 'dominus' della coalizione e che il federalismo fiscale può essere realizzato a patto che non ci sia un Nord che se ne avvantaggia rispetto al Sud. Poi chiede ai suoi di affrontare i prossimi delicati passaggi parlamentari, primo tra tutti quello sulle intercettazioni, senza censurare divergenze di opinioni ma con spirito costruttivo. Non ci saranno imboscate né le "scintille in Parlamento" di cui parlava Sandro Bondi al termine della direzione. Un concetto che Fini tornerà a spiegare domani in tv ospite di Ballarò, seconda tappa mediatica dopo 'In 1/2 ora' di Lucia Annunziata di una campagna televiva che l'ex leader di An vuole fare per spiegare agli italiani le sue posizioni politiche.

Dopo aver definito ieri "irresponsabili" coloro che spingeranno verso le elezioni anticipate, Fini cerca oggi di coinvolgere i suoi in un'ottica costruttiva. "Facciamo un seminario - li esorta - un convegno con le nostre proposte che funga da piattaforma programmatica per rendere più forte il Pdl". C'é già una data in agenda: venerdì 14 maggio. Intanto, resta la questione relativa ad Italo Bocchino, capogruppo vicario del Pdl che, per evitare polemiche e strumentalizzazioni politiche, domani vuole consegnare 'brevi manu' al capogruppo Fabrizio Cicchitto la lettera delle sue dimissioni. "Adesso toccherà a loro darci una risposta", spiega Bocchino nella riunione, forse alludendo alla clausola del regolamento approvato dal gruppo che lega il destino di Bocchino a quello di Cicchitto, essendo stati eletti in ticket. Insomma: simul stabunt, simul cadent.

"Per litigare bisogna essere in due", ma "per divorziare basta essere in uno": così Silvio Berlusconi rispondendo ad una domanda su quale sia il segreto di un buon matrimonio politico, nel corso della conferenza stampa con Putin.

26 aprile 2010

 

 

 

 

Fini: "Non mi pento di quello che ho detto Elezioni? Da irresponsabili"

"Non faccio un nuovo partito nè ci saranno imboscate" "Non mi pento di quanto ho detto a Berlusconi perchè il presidente del Consiglio ha detto una cosa che non corrisponde al vero, cioè che io mi dovrei dimettere perchè ho espresso una opinione in parte dissenziente da quanto espresso dal presidente del Consiglio che è il leader anche da me riconosciuto del Pdl". È quanto ha detto Gianfranco Fini intervenendo alla trasmissione di Lucia Annunziata In mezz'ora.

Poi il riferimento allo scontro con Berlusconi. "Nessuno può dire dimettiti per le tue opinioni politiche, semmai pronto a discutere della possibilità di dimettermi se mi dimostrano che vengo meno ai miei doveri di rispettare e far rispettare il regolamento. Il presidente della Camera non deve dimettersi per esprimere delle opinioni all'interno del suo partito, in alcuni casi dissenzienti rispetto a quelle del presidente del Consiglio e leader del partito", ha precisato Fini. Che ha aggiunto: "Io di destra ero e di destra sono" e "nel Pdl penso di rappresentare la sensibilità della destra moderna, che non ha la bava alla bocca e cerca di dialogare con l'avversario" perchè la sua voce "sarà molto più forte di quanto non facciano pensare i numeri in Direzione".

E sul capitolo "epurazioni": Il rischio di epurazioni all'interno del Pdl "è stato messo in conto" ma si tratterebbe di una mossa "poco liberale", dice il presidente della Camera che: "dipenderà da Berlusconi". "Chi oggi mi sostiene - dice Fini - non lo fa certo per interesse. Non credo che la maggioranza ampia del Pdl reputi oggi - aggiunge però - intelligente fare la lista degli epurandi perchè c'è poco di liberale. Faremo delle discussioni sulle modalità con cui far funzionare meglio il partito e nulla più di questo in vista del Congresso". Ricordando poi che Italo Bocchino ha messo sul tavolo le proprie dimissioni, Fini aggiunge: "Ma davvero - chiede - oggi bisogna che il vicario del gruppo Pdl alla Camera metta la sua testa? E per che cosa? Non è un problema di posti - conclude - o di liste di epurazione".

Riforme Discutere non vuol dire opporsi alle riforme. Nemmeno nel campo della giustizia. Fini piega così il senso del suo intervento in Direzione Nazionale, uno dei più contestati dal premier Berlusconi. "Quelli che si riconoscono nelle mie parole - ha detto Fini intervenendo a in mezz'ora - chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Noi - ha spiegato - siamo favorevoli alla separazione delle carriere ma nessuno ci chieda che i pm siano dipendenti dall'esecutivo". Anche per questo, ha aggiunto, "se c'è la volontà di ascoltare si trova sempre un punto di equilibrio rispettoso degli equilibri costituzionali come, ad esempio, del ruolo della magistratura".

25 aprile 2010

2010-04-25

25 aprile, contestata la Polverini a Roma. Berlusconi parla in tv

"La sfida è ora, nei fatti. Scrivere insieme una nuova condivisa pagina della nostra storia democratica, della nostra Italia". È l'appello con il quale il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, conclude il videomessaggio preparato per il 65esimo anniversario della Liberazione. Una "sfida" da realizzare "insieme alle forze politiche che non rifiutano a priori il dialogo e si preoccupano della libertà", aggiunge il premier.

Intanto a Roma, la presidente della Regione Lazio Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta san Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. La presidente è stata bersagliata da urla 'buu, buù e lancio di uova e frutta e alcuni fumogeni.

Un frutto ha colpito all'occhio il Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti che le era accanto. Polverini è stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso che non ha svolto lasciando la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele "Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita". Anche Zingaretti, che porta visibile il segno dell'oggetto che l'ha colpito in volto, ha lasciato Porta san Paolo. Sul palco con loro, nei primi istanti, anche il presidente dell'Anpi Massimo Rendina che invitava la folla alla calma.

È durissimo Nicola Zingaretti nel commentare le contestazioni subite da Renata Polverini alla manifestazione per il 25 aprile a Roma, di cui ha fatto anche lui le spese. "Ho difeso il diritto a prendere la parola del presidente della Regione Lazio Renata Polverini", ha sottolineato il presidente della provincia di Roma in una nota. "Nessuno proprio in nome dei valori del 25 Aprile si deve permettere anche solo di teorizzare che qualcuno con un'idea diversa dalla propria non abbia il diritto di parola nelle piazze del nostro Paese", ha sottolineato, "la differenza tra il fascismo e la democrazia è proprio questa. Era una bella piazza, rovinata da un gruppo di mascalzoni che nulla hanno a che fare nè con la libertà nè con la democrazia". "Mi dispiace - ha continuato Zingaretti - perchè avremmo dovuto dare a Remo Comanducci il riconoscimento di Provincia Capitale. Remo 65 anni fa a Porta San Paolo ha lottato e rischiato la vita per tutti noi e non si meritava di assistere dopo tanti anni a uno spettacolo del genere. Da parte mia continuerò oggi e sempre a ricordare il suo impegno e quello di molti altri".

25 aprile 2010

 

 

 

Silvio snobba il 25 aprile, poi va a reti unificate

di Natalia Lombardotutti gli articoli dell'autore

Approfitta della Festa della Liberazione, Silvio Berlusconi, per mandare un messaggio praticamente a reti unificate ai telegiornali, anche per equiparare il peso del consenso ricevuto ieri dal Presidente Napolitano alla Scala, dov’era presente. Già registrato dal "set" di Palazzo Chigi curato dal suo regista personale, all’ora di pranzo il premier "entra" nelle case degli italiani con un discorso che dovrebbe essere teso alla conciliazione nazionale, con un passaggio sulla necessità di fare le riforme condivise e con la "partecipazione ad una fase dialettica e ad una fase di approvazione che ci veda tutti concordi". Berlusconi si prende il 25 aprile mentre ad Arcore aspetta Putin per un’allegra serata. Già alle 11,30 il messaggio si potrà ascoltare in bassa frequenza dalla sala stampa di Palazzo Chigi e dal sito governo.it. [

È solo la seconda volta dal 1994 che Berlusconi celebra il 25 aprile, e il messaggio di oggi sarà, dicono i suoi, sulla falsariga di quello tenuto lo scorso anno ad Onna, sul set ben più drammatico del terremoto e dell’eccidio nazifascista. Solo allora riconobbe il valore della Resistenza (i partigiani della Brigata Maiella gli misero al collo il fazzoletto) ma nell’ottica di superarne la storia "che divide". Così oggi riproporrà l’idea di trasformare la Festa della Resistenza in festa della Libertà (che fa assonanza con il suo Popolo). A margine, in Abruzzo, invitò alla pietà anche per i repubblichini di Salò. Ma è stato proprio Napolitano ieri a citare un passaggio del discorso di Onna, (il premier lo ha ringraziato), sul "profondo significato nazionale" del 25 aprile come "ponte ideale" con i 150 anni dell’Unità d’Italia. Le celebrazioni che Gianfranco Fini gli ha rinfacciato di trascurare. Il Capo dello Stato invita a "uscire dalla spirale delle contrapposizioni", quindi il premier non può che sottolineare la volontà di fare riforme condivise. Per quindici anni Berlusconi ha snobbato il 25 aprile, facendo anche gaffe sulla Resistenza ("sarò lieto di conoscere papà Cervi", disse nel 2000 ignorandone la morte da trent’anni) o riducendo il dramma degli antifascisti in esilio a "una vacanza". Il testo è scritto ma "l’uomo si sa com’è", dicono anche i suoi, e potrebbe rifilare a braccio un colpetto a Fini, uno ai giudici. Si mostrerà col volto bonario di chi non s’infila "nelle burrasche, come ha detto ieri: "Io non litigo mai, per litigare si deve essere in due e l’ho detto anche a chi ha cercato di farlo". Il duello s’è spostato in tv: alle 14,30 Fini è ospite in uno dei programmi invisi al premier e su RaiTre: da Lucia Annunziata a In Mezz’ora in un’intervista registrata giusto poco dopo aver ascoltato Silvio. Forse martedì sarà a Ballarò, e magari anche da Fabio Fazio, nel ruolo "politico e istituzionale" alla Nancy Pelosi che rivendica Fini.

25 aprile 2010

 

 

 

Zingaretti: bella piazza rovinata da mascalzoni

"Ho difeso il diritto a prendere la parola del presidente della Regione Lazio Renata Polverini, nessuno proprio in nome dei valori del 25 Aprile si deve permettere anche solo di teorizzare che qualcuno con un'idea diversa dalla propria non abbia il diritto di parola nelle piazze del nostro Paese. La differenza tra il fascismo e la democrazia è proprio questa. Era una bella piazza, rovinata da un gruppo di mascalzoni che nulla hanno a che fare nè con la libertà nè con la democrazia". È quanto afferma in una nota il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.

"Mi dispiace - continua Zingaretti - perché avremmo dovuto dare a Remo Comanducci il riconoscimento di Provincia Capitale. Remo 65 anni fa a Porta San Paolo ha lottato e rischiato la vita per tutti noi e non si meritava di assistere dopo tanti anni ad uno spettacolo del genere. Da parte mia continuerò oggi e sempre a ricordare il suo impegno e quello di molti altri".

25 aprile 2010

 

 

 

Fini: "Non mi pento di quello che ho detto Elezioni? Da irresponsabili"

"Non faccio un nuovo partito nè ci saranno imboscate" "Non mi pento di quanto ho detto a Berlusconi perchè il presidente del Consiglio ha detto una cosa che non corrisponde al vero, cioè che io mi dovrei dimettere perchè ho espresso una opinione in parte dissenziente da quanto espresso dal presidente del Consiglio che è il leader anche da me riconosciuto del Pdl". È quanto ha detto Gianfranco Fini intervenendo alla trasmissione di Lucia Annunziata In mezz'ora.

Poi il riferimento allo scontro con Berlusconi. "Nessuno può dire dimettiti per le tue opinioni politiche, semmai pronto a discutere della possibilità di dimettermi se mi dimostrano che vengo meno ai miei doveri di rispettare e far rispettare il regolamento. Il presidente della Camera non deve dimettersi per esprimere delle opinioni all'interno del suo partito, in alcuni casi dissenzienti rispetto a quelle del presidente del Consiglio e leader del partito", ha precisato Fini. Che ha aggiunto: "Io di destra ero e di destra sono" e "nel Pdl penso di rappresentare la sensibilità della destra moderna, che non ha la bava alla bocca e cerca di dialogare con l'avversario" perchè la sua voce "sarà molto più forte di quanto non facciano pensare i numeri in Direzione".

E sul capitolo "epurazioni": Il rischio di epurazioni all'interno del Pdl "è stato messo in conto" ma si tratterebbe di una mossa "poco liberale", dice il presidente della Camera che: "dipenderà da Berlusconi". "Chi oggi mi sostiene - dice Fini - non lo fa certo per interesse. Non credo che la maggioranza ampia del Pdl reputi oggi - aggiunge però - intelligente fare la lista degli epurandi perchè c'è poco di liberale. Faremo delle discussioni sulle modalità con cui far funzionare meglio il partito e nulla più di questo in vista del Congresso". Ricordando poi che Italo Bocchino ha messo sul tavolo le proprie dimissioni, Fini aggiunge: "Ma davvero - chiede - oggi bisogna che il vicario del gruppo Pdl alla Camera metta la sua testa? E per che cosa? Non è un problema di posti - conclude - o di liste di epurazione".

Riforme Discutere non vuol dire opporsi alle riforme. Nemmeno nel campo della giustizia. Fini piega così il senso del suo intervento in Direzione Nazionale, uno dei più contestati dal premier Berlusconi. "Quelli che si riconoscono nelle mie parole - ha detto Fini intervenendo a in mezz'ora - chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Noi - ha spiegato - siamo favorevoli alla separazione delle carriere ma nessuno ci chieda che i pm siano dipendenti dall'esecutivo". Anche per questo, ha aggiunto, "se c'è la volontà di ascoltare si trova sempre un punto di equilibrio rispettoso degli equilibri costituzionali come, ad esempio, del ruolo della magistratura".

25 aprile 2010

 

 

 

Bossi: "Federalismo o si va al voto". Bocchino: "Verso il congresso del PdL"

L'ultimatum di Umberto Bossi agli alleati, federalismo o si torna alle urne, è al centro della scena politica a 24 ore dalla tempestosa direzione del Pdl che ha visto lo scontro frontale tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. "Lealtà al governo ma accelerare il percorso verso il congresso del Pdl", risponde in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera.

"Occorre recuperare - dice - gli aspetti positivi di quanto accaduto, accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini".

"Noi non ce ne andiamo", dice Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera. Restiamo e non faremo nulla di quel che ci viene attribuito. Nessun boicottaggio, per intenderci. Certo, continueremo ad esprimere le nostre idee, anche se dissonanti". Bongiorno sottolinea come le elezioni anticipate "non sembrano nè prevedibili nè auspicabili. E comunque -aggiunge- la decisione spetta al Capo dello Stato". Quanto a Fini, "ovviamente non si dimette. Io -prosegue Bongiorno- farò quello quel che lui mi chiederà di fare. In ogni caso, il problema si risolverà da sé: le presidenze di commissione scadono tra poco. Leggo che circolano liste di proscrizione. Vedremo cosa farà Berlusconi. Per me non fa una gran differenza, visto che resterò al fianco di Fini come consigliere giuridico".

Anche i quotidiani di partito e di area, come del resto anche gli altri media, dedicano ampio spazio alla decisa presa di posizione del leader leghista, mantenendo accesi i riflettori anche sul duello tra il premier e il presidente della Camera.

Il Giornale parla di "resa dei conti" nel Pdl, titolando "Voglia di elezioni" e sottolineando come il senatur sia "pronto alla crisi per sventare le imboscate del presidente della Camera contro il federalismo". Per il quotidiano diretto da Vittorio Feltri il Cavaliere sarebbe "tentato dal blitz" perché Fini "ora farà il guastatore".

Per Libero siamo alla 'vendetta di Silviò: il Cavaliere, scrive il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, "ha fretta: teme che Fini blocchi le riforme e vuol cacciarlo subito dal Pdl. "O me o lui". Intanto manda la Lega a minacciare il voto e stoppa tutti gli uomini del rivale nelle giunte". Emblematica la vignetta che Libero propone in prima pagina, con Bossi nelle vesti di arbirto che sventola il cartellino rosso da espulsione sotto il naso di Fini, reo di essersi tolto la maglietta (quella azzurra del Pdl), rievocando il caso Balotelli, il giocatore dell'Inter che dopo un alterco con i tifosi neroazzurri ha gettato via la maglietta, sommerso dai fischi del pubblico.

Anche Il Secolo d'Italia dedica spazio in prima pagina al leader leghista, ma con un taglio ovviamente diverso rispetto a Libero e Il Giornale: "È il turno di Bossi. Preoccupato per il 'suò federalismo irrompe nel dibattito del Pdl", titola il quotidiano diretto da Flavia Perina. "Il day after del confronto in direzione tra Berlusconi e Fini si è consumato -aggiunge- tra aut aut espliciti, garbate richieste di farsi da parte e sottoli minacce di epurazione". In un articolo in prima pagina, rifà i conti della votazione sul documento finale della Direzione Pdl e, di fatto, contesta quel 93,02% di sì (pari a 158 voti) contro il 6,39% di no, diffuso dall'ufficio stampa del partito. Nel testo si sottolinea come non sia stata effettuata la conta dei voti favorevoli, perché altrimenti "si sarebbe arrivati a quaranta, forse cinquanta" mani alzate e "50 a 13, il risultato più probabile, avrebbe significato accreditare a Fini il 25%".

Per Il Foglio, Bossi "cavalca il caso Fini", mentre Berlusconi "minaccia guerra ma fa lavorare i pontieri". La Lega, "un po' furba un po' confusa, mette sotto pressione gli alleati. Berlusconiani e finiani negoziano".

"Bossi prende il fucile", è il titolo in prima pagina del Riformista: "il senatur -scrive il quotidiano della famiglia Angelucci, la stessa di Libero - pronto a fare il lavoro sporco per far fuori Fini. In Cdm Berlusconi ipotizza lo scioglimento e Letta lo deve fermare". Ma ce n'è anche per le opposizioni che "come le stelle stanno a guardare". E il Quirinale? "Vigile osservazione", scrive il Riformista, secondo il quale il Colle esclude il ricorso ad elezioni anticipate.

24 aprile 2010

 

 

 

Da Bersani appello alle opposizioni: "Uniti contro il rischio di deriva". Patto repubblicano anche con Fini

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani chiama all'unità le forze di opposizione: "Le tensione nella maggioranza in futuro sono certe, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani analizzando la tensione nella maggioranza - ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici".

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani spiega il senso di un "patto repubblicano" con personalità come Gianfranco Fini che non vuol dire, precisa, "fare governi insieme". "Bisogna rivolgersi - spiega Bersani - ad altri partiti ma anche forze sociali ed economiche perchè reagire ad una democrazia plebiscitaria, che ha dimostrato di non saper decidere, non è solo questione di opposizioni". Sui problemi economici del paese e sulle riforme serve dunque "un patto largo in parlamento" coinvolgendo però anche personalità e forze esterne. Il banco di prova per il leader Pd, potrà avvenire già in tempi ravvicinati: "martedì alla Camera si metterà ai voti la proposta di dare un reddito a coloro ai quali scadono gli ammortizzatori sociali o non hanno ammortizzatori. Il governo si è messo di traverso. Vediamo se su un tema concreto il paese capisce di che cosa parliamo".

Zingaretti, appello al Pd

Il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti: "È evidente che lo spettacolo che abbiamo visto noi e qualche milione di italiani non è stato edificante. Ma dico al mio partito e al centrosinistra tutto: occhio a fare spallucce, a fare gli scandalizzati e ad assumere l'aria di sufficienza. Quel che è successo in realtà è assai insidioso: il Pdl in quel modo ha occupato e occupa tutto lo spazio politico, fa al contempo la parte della maggioranza e quella dell'opposizione".

"Alla direzione del Pdl abbiamo assistito ad uno scontro tra idee, portato avanti con una schiettezza e una durezza che non turbano la gente, abituata al linguaggio semplificato dell'Isola dei Famosi o dei talk show rissosi- spiega Zingaretti- dobbiamo capire che quella della maggioranza è una forma di comunicazione facilmente decodificabile dai fruitori di televisione. Noi dovremmo avere la stessa forza e la stessa determinazione per imporre la nostra agenda nella vita politica italiana. L'ultima direzione del Pd ha aperto un percorso per la conferenza programmatica che però avrà un senso se ci metteremo l'anima e il cuore. Solo così riusciremo a parlare in modo diretto alla gente e a farci capire".

Vendola: servono subito gli Stati Generali della sinistra

"Se il centrosinistra pensa di schierarsi esclusivamente secondo il dibattito del Pdl fa un suicidio preventivo - ammonisce Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola - le nostre identità non possono dipendere dal posizionamento sulla scacchiera del Pdl. E il deficit di 'alternatività del centrosinistra manda in corto circuito tutto il sistema". Secondo il leader di Sinistra e Libertà, "la rimozione della sconfitta elettorale operata dal Pd è clamorosa. Tanto clamorosa che sembra perfino che il Pd abbia introiettato la sconfitta come un destino. Ne è un esempio la formazione delle nuove giunte regionali". Quindi, conclude Vendola, "dobbiamo convocare al più presto gli stati generali dell'alternativa. Aperti a movimenti e associazioni perchè ormai è chiaro che i partiti da soli non ce la fanno".

Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, commenta su "Il Manifesto" il conflitto apertosi dentro il Pdl: "È evidente che esistono due destre. C'è una destra "americana", liberista ma non liberale in cui Berlusconi è il garante del carisma populista e la Lega del radicamento territoriale. E c'è invece un'altra destra che propone un partito conservatore di tipo europeo. Fini critica da destra il municipalismo della Lega, le pensioni e la privatizzazione dei servizi locali, però è liberale nel senso che almeno rispetta l'Habeas Corpus, vuole l'inclusione, aspira ai diritti civili e alla laicità della politica. Tra queste due destre si è aperta una partita brutale e di lungo periodo".

24 aprile 2010

 

 

 

25 aprile, Napolitano: "ha profondo significato nazionale"

Standing ovation alla Scala di Milano per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In sala anche Berlusconi, cha applaude in piedi il Capo dello Stato.

"Si può comprendere con quale animo ho accolto l'invito per le celebrazioni della Liberazione". Discorso al paese dal palcoscnico del glorioso teatro La Scala.

Fu Milano che assunse la guida politica della Resistenza. "Fu frutto di lunga eroica semina". La rievocazione degli eventi di Milano, citando il nome di Sandro Pertini. "Il suo nome spicca in tutto il percorso della Resistenza, tra quelli che a Milano la guidarono", sottolinea Napolitano. "Fu un combattente senza eguali".

"Non si può smarrire il riferimento ai fatti, mai rinunciare a ricostruire e tramadare quelle esperienze reali", è l'appello di Napolitano.

IL DISCORSO Il presidente della Repubblica ha confessato la sua "sincera emozione" ad intervenire a Milano alle celebrazioni del 25 aprile. Il capo dello Stato ha spiegato la sua emozione "per quel che Milano ha rappresentato in una stagione drammatica, in una fase cruciale della storia d'Italia. E tanto più forte è l'emozione nel rivolgere questo mio discorso dal palcoscenico del glorioso teatro la Scala, che seppe risollevarsi dai colpi distruttivi della guerra per divenire espressione e simbolo del mondo intero, della grande tradizione musicale e culturale italiana". Dopo il ricordo della resistenza, il capo dello Stato ha sottolineato anche gli ultimi giorni della guerra con riferimento a piazzale Loreto. "Si consumarono a Milano - ha spiegato - anche gli ultimi tentativi di impossibili trattative cui si erano dimostrati ambiguamente disponibili i capi fascisti. E a Milano si compì il tragico epilogo dell'avventura mussoliniana, in uno scenario di orrore che replicò altri orrori nello stesso luogo di piazzale Loreto. La guerra era finita con la vittoria delle forze alleate; e insieme era finita con la sconfitta del fascismo repubblichino anche la guerra civile fatalmente intrecciatasi con la resistenza".

LA COMMOZIONE Momenti di commozione durante il suo discorso, quando ha citato Sandro Pertini. Parlando della storia dell'ex presidente della Repubblica, Napolitano si è commosso quando ha ricordato la fotografia che lo ritrae mentre tiene un discorso il 26 aprile del '45 in piazza del Duomo a Milano. "È stato un onore per l'Italia - ha detto - avere tra i suoi presidenti Sandro Pertini".

RACCONTARE PER RICORDALE: la Liberazione non è immagine sbiadita. Non si deve ridurre il movimento di Liberazione a un'immagine sbiadita e ad un oggetto di dispute astratte. Questo in sintesi un concetto espresso dal presidente della Repubblica nel suo intervento al teatro della Scala. Dopo aver ricordato i fatti della Resistenza, infatti, Napolitano ha spiegato: "ho voluto partire da un sommario richiamo a drammatici eventi, a memorabili momenti della storia della resistenza. Non si può mai smarrire il riferimento a tutto ciò, rinunciare a ricostruire e tramandare costantemente quelle esperienze reali, e non si vuole ridurre il movimento di Lberazione a immagine sbiadita o ad oggetto di dispute astratte".

"USCIRE DA SPIRALE CONTRAPPOSIZIONI""Ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, al di là degli steccati e delle quotidiane polemiche che segnano il terreno della politica", ha detto Napolitano alla vigilia della la Festa del 25 Aprile. "Le condizioni sono ormai mature per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza - ha continuato -, per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più condivisa e duratura". "Vedo in ciò - ha proseguito - una premessa importante di quel libero, lungimirante confronto e di quello sforzo di raccoglimento unitario di cui ha bisogno oggi il Paese, di cui ha bisogno oggi l'Italia". In sala ad ascoltare, anche Sivio Berlusconi. Giorgio Napolitano dice che in Italia si sono accumulati "nei decenni" problemi complessi, "talvolta per eredità di un più lontano passato", e per risolverli occorre "un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità". Occorre, sottolinea, "uscire da una spirale di contrapposizioni indiscriminate".

24 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-24

Da Bersani appello alle opposizioni: "Uniti contro il rischio di deriva". Patto repubblicano anche con Fini

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani chiama all'unità le forze di opposizione: "Le tensione nella maggioranza in futuro sono certe, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani analizzando la tensione nella maggioranza - ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici".

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani spiega il senso di un "patto repubblicano" con personalità come Gianfranco Fini che non vuol dire, precisa, "fare governi insieme". "Bisogna rivolgersi - spiega Bersani - ad altri partiti ma anche forze sociali ed economiche perchè reagire ad una democrazia plebiscitaria, che ha dimostrato di non saper decidere, non è solo questione di opposizioni". Sui problemi economici del paese e sulle riforme serve dunque "un patto largo in parlamento" coinvolgendo però anche personalità e forze esterne. Il banco di prova per il leader Pd, potrà avvenire già in tempi ravvicinati: "martedì alla Camera si metterà ai voti la proposta di dare un reddito a coloro ai quali scadono gli ammortizzatori sociali o non hanno ammortizzatori. Il governo si è messo di traverso. Vediamo se su un tema concreto il paese capisce di che cosa parliamo".

Zingaretti, appello al Pd

Il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti: "È evidente che lo spettacolo che abbiamo visto noi e qualche milione di italiani non è stato edificante. Ma dico al mio partito e al centrosinistra tutto: occhio a fare spallucce, a fare gli scandalizzati e ad assumere l'aria di sufficienza. Quel che è successo in realtà è assai insidioso: il Pdl in quel modo ha occupato e occupa tutto lo spazio politico, fa al contempo la parte della maggioranza e quella dell'opposizione".

"Alla direzione del Pdl abbiamo assistito ad uno scontro tra idee, portato avanti con una schiettezza e una durezza che non turbano la gente, abituata al linguaggio semplificato dell'Isola dei Famosi o dei talk show rissosi- spiega Zingaretti- dobbiamo capire che quella della maggioranza è una forma di comunicazione facilmente decodificabile dai fruitori di televisione. Noi dovremmo avere la stessa forza e la stessa determinazione per imporre la nostra agenda nella vita politica italiana. L'ultima direzione del Pd ha aperto un percorso per la conferenza programmatica che però avrà un senso se ci metteremo l'anima e il cuore. Solo così riusciremo a parlare in modo diretto alla gente e a farci capire".

Vendola: servono subito gli Stati Generali della sinistra

"Se il centrosinistra pensa di schierarsi esclusivamente secondo il dibattito del Pdl fa un suicidio preventivo - ammonisce Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola - le nostre identità non possono dipendere dal posizionamento sulla scacchiera del Pdl. E il deficit di 'alternatività del centrosinistra manda in corto circuito tutto il sistema". Secondo il leader di Sinistra e Libertà, "la rimozione della sconfitta elettorale operata dal Pd è clamorosa. Tanto clamorosa che sembra perfino che il Pd abbia introiettato la sconfitta come un destino. Ne è un esempio la formazione delle nuove giunte regionali". Quindi, conclude Vendola, "dobbiamo convocare al più presto gli stati generali dell'alternativa. Aperti a movimenti e associazioni perchè ormai è chiaro che i partiti da soli non ce la fanno".

Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, commenta su "Il Manifesto" il conflitto apertosi dentro il Pdl: "È evidente che esistono due destre. C'è una destra "americana", liberista ma non liberale in cui Berlusconi è il garante del carisma populista e la Lega del radicamento territoriale. E c'è invece un'altra destra che propone un partito conservatore di tipo europeo. Fini critica da destra il municipalismo della Lega, le pensioni e la privatizzazione dei servizi locali, però è liberale nel senso che almeno rispetta l'Habeas Corpus, vuole l'inclusione, aspira ai diritti civili e alla laicità della politica. Tra queste due destre si è aperta una partita brutale e di lungo periodo".

24 aprile 2010

 

 

 

Bossi: "Federalismo o si va al voto". Bocchino: "Verso il congresso del PdL"

L'ultimatum di Umberto Bossi agli alleati, federalismo o si torna alle urne, è al centro della scena politica a 24 ore dalla tempestosa direzione del Pdl che ha visto lo scontro frontale tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. "Lealtà al governo ma accelerare il percorso verso il congresso del Pdl", risponde in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera.

"Occorre recuperare - dice - gli aspetti positivi di quanto accaduto, accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini".

"Noi non ce ne andiamo", dice Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera. Restiamo e non faremo nulla di quel che ci viene attribuito. Nessun boicottaggio, per intenderci. Certo, continueremo ad esprimere le nostre idee, anche se dissonanti". Bongiorno sottolinea come le elezioni anticipate "non sembrano nè prevedibili nè auspicabili. E comunque -aggiunge- la decisione spetta al Capo dello Stato". Quanto a Fini, "ovviamente non si dimette. Io -prosegue Bongiorno- farò quello quel che lui mi chiederà di fare. In ogni caso, il problema si risolverà da sé: le presidenze di commissione scadono tra poco. Leggo che circolano liste di proscrizione. Vedremo cosa farà Berlusconi. Per me non fa una gran differenza, visto che resterò al fianco di Fini come consigliere giuridico".

Anche i quotidiani di partito e di area, come del resto anche gli altri media, dedicano ampio spazio alla decisa presa di posizione del leader leghista, mantenendo accesi i riflettori anche sul duello tra il premier e il presidente della Camera.

Il Giornale parla di "resa dei conti" nel Pdl, titolando "Voglia di elezioni" e sottolineando come il senatur sia "pronto alla crisi per sventare le imboscate del presidente della Camera contro il federalismo". Per il quotidiano diretto da Vittorio Feltri il Cavaliere sarebbe "tentato dal blitz" perché Fini "ora farà il guastatore".

Per Libero siamo alla 'vendetta di Silviò: il Cavaliere, scrive il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, "ha fretta: teme che Fini blocchi le riforme e vuol cacciarlo subito dal Pdl. "O me o lui". Intanto manda la Lega a minacciare il voto e stoppa tutti gli uomini del rivale nelle giunte". Emblematica la vignetta che Libero propone in prima pagina, con Bossi nelle vesti di arbirto che sventola il cartellino rosso da espulsione sotto il naso di Fini, reo di essersi tolto la maglietta (quella azzurra del Pdl), rievocando il caso Balotelli, il giocatore dell'Inter che dopo un alterco con i tifosi neroazzurri ha gettato via la maglietta, sommerso dai fischi del pubblico.

Anche Il Secolo d'Italia dedica spazio in prima pagina al leader leghista, ma con un taglio ovviamente diverso rispetto a Libero e Il Giornale: "È il turno di Bossi. Preoccupato per il 'suò federalismo irrompe nel dibattito del Pdl", titola il quotidiano diretto da Flavia Perina. "Il day after del confronto in direzione tra Berlusconi e Fini si è consumato -aggiunge- tra aut aut espliciti, garbate richieste di farsi da parte e sottoli minacce di epurazione". In un articolo in prima pagina, rifà i conti della votazione sul documento finale della Direzione Pdl e, di fatto, contesta quel 93,02% di sì (pari a 158 voti) contro il 6,39% di no, diffuso dall'ufficio stampa del partito. Nel testo si sottolinea come non sia stata effettuata la conta dei voti favorevoli, perché altrimenti "si sarebbe arrivati a quaranta, forse cinquanta" mani alzate e "50 a 13, il risultato più probabile, avrebbe significato accreditare a Fini il 25%".

Per Il Foglio, Bossi "cavalca il caso Fini", mentre Berlusconi "minaccia guerra ma fa lavorare i pontieri". La Lega, "un po' furba un po' confusa, mette sotto pressione gli alleati. Berlusconiani e finiani negoziano".

"Bossi prende il fucile", è il titolo in prima pagina del Riformista: "il senatur -scrive il quotidiano della famiglia Angelucci, la stessa di Libero - pronto a fare il lavoro sporco per far fuori Fini. In Cdm Berlusconi ipotizza lo scioglimento e Letta lo deve fermare". Ma ce n'è anche per le opposizioni che "come le stelle stanno a guardare". E il Quirinale? "Vigile osservazione", scrive il Riformista, secondo il quale il Colle esclude il ricorso ad elezioni anticipate.

24 aprile 2010

 

 

 

 

Bossi esce allo scoperto: "Fini gattopardo. Da sbatter fuori subito"

"Siamo davanti a un crollo verticale del governo e probabilmente di un'alleanza, quella di Pdl e Lega", dice Umberto Bossi in un'intervista sulla Padania. II Senatur ne era stato zitto finora e aveva consigliato cautela a Berlusconi, ma ora non si tiene più: "Fini, invidioso e rancoroso per le nostre ripetute vittorie ha rinnegato il patto iniziale e non ha fatto altro che cercare di erodere in continuazione ciò che avevamo costruito". Bossi definisce Fini "un vecchio gattopardo democristiano" e dice che Berlusconi "avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito senza tentennamenti invece di portarlo in tv dandogli voce e rilievo". Poco dopo, "riparla" Berlusconi: "Non ci sarà un'altra svolta del predellino, il Pdl resta", dice ai cronisti il presidente del Consiglio presentando il fuoristrada russo "Uaz". Poi Bossi, in serata, rincara la dose in un'intervista a SkyTg24: "Fini ha esagerato per tanti versi e ha raccontato bugie". E alla giornalista che gli chiede se, secondo lui, dovrebbe dimettersi da presidente della Camera risponde: "E' un problema... Dipende se è un uomo d'onore."

La crisi irrompe anche nella formazione della giunta di Renata Polverini: al termine di un incontro a Palazzo Grazioli con Berlusconi, la neo governatrice della Regione Lazio tranquillizza i cronisti sostenendo che c'è accordo sulla composizione della giunta. Ma Lorenzo Cesa ha chiamato la Polverini e ha avanzato le proprie richieste, minacciando l'appoggio esterno. Lapidario il commento della governatrice: "L'Udc è libera di chiedere ciò che vuole. Quando definiremo la giunta ci saranno i nomi, ma la quadra sui partiti c'è".

 

Bossi in giornata ha parlato a tutto campo e con tutte le testate. Al telefono con l'Ansa, ha aggiunto: "Io sono per la mediazione, certo, ma la gente del nord, i leghisti, sono arrabbiatissimi, è un vero bombardamento di persone che non ne possono più di sceneggiate, rinvii e tentennamenti".

In mattinata, nell'analisi sul quotidiano leghista, Bossi aveva detto: "Fini ha lavorato per la sinistra, comportandosi come un vecchio gattopardo democristiano: fingi di costruire per demolire e non muovere nulla". Secondo Bossi, con queste premesse, "sarà proprio la sinistra a vincere le prossime elezioni. Grazie a lui". "Fini - dice ancora i leader della Lega - è palesemente contro il popolo del Nord, a favore di quello meridionale. D'altra parte era troppo spaventato delle possibili conseguenze del federalismo, che comunque avrebbe fatto bene anche al Sud".

Il rimprovero a Berlusconi è di non averlo subito "sbattuto fuori". "Quella era la strada da seguire". Bossi traccia la rotta per il futuro: "Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione, un nuovo cammino del popolo padano. Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare. Una nuova strada ci aspetta e sarà una strada stretta, faticosa, difficile ma che potrebbe regalarci enormi soddisfazioni".

"Saremo soli - conclude il leader leghista - senza Berlusconi. La nostra gente non digerirà facilmente la mancata conquista del federalismo e noi Lega, dovremo comportarci di conseguenza. Berlusconi quindi diventerà il vero e unico baluardo anticomunista del paese e prevedo che raccoglierà molti consensi".

23 aprile 2010

 

 

 

 

Berlusconi-Fini, lo scontro si sposta in tv

di n.l.tutti gli articoli dell'autore

Dallo scontro quasi fisico nella sala dell’Auditorium della Comiciliazione, al più mediato, è il caso di dirlo, duello in televisione. Silvio Berlusconi sta preparando un messaggio praticamente a reti unificate, registrato nel set allestito dai suoi fedelissimi registi a Palazzo Chigi e inviato ai telegiornali, approfittando della celebrazione del 25 aprile della quale si è sempre disinteressato.

Gianfranco Fini, dopo il match con Silvio, abbandona il vestito super partes e lancia la sfida televisiva in prima persona (dopo che il premier aveva additato i suoi, Bocchino, Raisi e Urso per aver messo "il Pdl al pubblico ludibrio in tv"). Così Fini ha segnato sul caldendario una serie di appuntamenti in tv. Per giunta nei programmi più invisi al cavaliere, e su RaiTre: domani sarà ospite di Lucia Annunziata a In mezz’ora, un’intervista già prevista, spiega la giornalista, che chiederà a Fini qual è stato il punto di rottura e quale sarà il suo percorso adesso. Il presidente della Camera potrebbe andare anche a Ballarò martedì e sembra siano in corso trattative anche con Fabio Fazio per Che tempo che fa, sempre Raitre.

Per Fini è un modo di spiegare agli italiani le sue ragioni, e, rivolto al presidente del Consiglio, sembra rivendicare il diritto a fare politica anche da presidente della Camera, non volendo dargli la soddisfazione di dimettersi. Del resto il presidente del Senato Schifani aveva concesso una grande intervista propedeutica alla resa dei conti nel Pdl.

Berlusconi dal canto userà il 25 aprile per ribadire, con ogni probabilità, la sua indiscussa sovranità incrinata dalle accuse di Fini, e per rilanciare i suoi propositi di stravolgimento della Costtuzione, facendoli apparire bonariamente come una manosanta per la democrazia, magari con un’azione di marketing con qualche promessa fiscale.

In quindici anni il premier, anche dall’opposizione, non ha mai celebrato la Festa della Liberazione (anzi, in più occasioni ha sminuito il valore della Resistenza se non dileggiato i partigani o i combattenti "in vacanza" al confino). L’anno scorso si decise a festeggiare il 25 aprile dal set delle rovine di Onna: ghiotta occasione mediatica per lanciare la sua proposta: perché non chiamarla Festa della Libertà?

24 aprile 2010

 

 

 

 

 

2010-04-21

Una corrente per Fini: "Silvio accetti il dissenso. An ora è davvero finita"

di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore

Non piace la parola corrente? Allora si può chiamarlo club degli amici di Paperino, non è questo il punto". "Io pongo questioni politiche, non ho intenzione di stare zitto né di togliere il disturbo. E spero che Berlusconi accetti il dissenso, perché non si può fare l’ennesima apparente riconciliazione. Se giovedì sarò solo pazienza, se ci saranno altri con me si tratterà di una base molto diversa da quella che si è vista fino ad ora"<MD>. Tredici mesi dopo lo scioglimento ufficiale, seduto sul tavolone della Sala Tatarella alla Camera di fronte a 54 ex aennini, Gianfranco Fini celebra il secondo funerale di Alleanza Nazionale, citando Ezra Pound come fece al congresso il 22 marzo di un anno fa. <MD>"Oggi prendo atto che l’esperienza di An si è definitivamente conclusa"</MD>, dice. Ma stavolta lo fa con il sollievo di chi non vuole avere nulla da perdere, in specie se si tratta di qualcosa che si è già lasciato alle spalle: "Comunque vada, non voglio più sentir parlare del 70-30. Magari saremo anche 90 a 10, alla fine, ma di certo oggi si apre una fase nuova", spiega.

Mentre lontano dalla riunione i suoi ex colonnelli - l’altra ex An - raccolgono 75 firme sotto un documento che recita "Il Pdl è una scelta irreversibile" per dimostrare a Berlusconi che anche loro sono in grado di muovere le truppe come e più di lui, l’ex leader di An si fa bastare i 52 parlamentari (39 deputati, 13 senatori) che hanno retto a - dice uno - "pressioni inverosimili dei berluscones" e si sono presentati comunque, per sottoscrivere la loro "solidarietà" e il mandato a "porre le sue questioni nella direzione del Pdl".

L’obiettivo del giorno, del resto, era dimostrare che, dice Bocchino "con lui non ci sono quattro gatti" - la tesi dei suoi ex colonnelli - bensì una pattuglia tale da creare potenziali seri problemi al Cavaliere, sia alla Camera che al Senato. Il resto, per le prossime 24 ore, son quisquilie. "Questioni da definire, persino nella sua testa" spiega un fedelissimo.

Pur di arrivare al numero, Fini ha infatti messo nel cassetto ogni ipotesi di organizzazione concreta avanzata in questi giorni, sconfessando apertamente anche quanti (vedasi Bocchino) "hanno cercato di interpretare il mio pensiero, incendiando il dibattito": no dunque a parlare di scissione, elezioni, gruppi autonomi, spiega nella riunione. L’ultima ipotesi resta tuttavia in circolo, con l’argomentazione che, dice Fini, "in Sicilia convivono da un anno e mezzo Pdl e Pdl-Sicilia, senza che nessuno dica niente, ma se qui si ipotizza di fare i gruppi di Pdl-Italia, scatta l’accusa di tradimento". Per ora, tuttavia, meglio l’opzione minima: il diritto di fare la minoranza, la solidarietà dei fedelissimi. Come l’elastico di una fionda, Fini parte da questa base minima, per tentare l’azzardo massimo ipotizzabile nella direzione Pdl. Poco gli importa che tra i 54 di ieri qualcuno gli abbia spiegato che non lascerà il Pdl, e qualcun altro abbia chiarito che seguirà lui, ma non "nuovi sergenti" come Bocchino. Fuori dalla sala Tatarella lo aspettano i Pisanu, i Martino, i Micciché, i Lombardo. È anche a loro che Fini parlerà, domani.

21 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

La Trota si presenta: "No ai culattoni, non tifo per l’Italia"

di Marcella Ciarnellitutti gli articoli dell'autore

Mostra di avere poche idee, e anche confuse (ricordate Flaiano) il guizzante Renzo Bossi preso all’amo da "Vanity Fair", settimanale patinato, in un’intervista, tra il pubblico e il privato conquistata non perché è il figlio dell’Umberto ma grazie alle tredicimila preferenze raccolte in Lombardia che ne hanno fatto il più giovane consigliere regionale mai eletto nella regione.

Il pensiero di Bossi jr. si snoda attraverso alcune padane certezze. A cominciare da quella che nella vita "penso si debba provare tutto tranne due cose: i culattoni e la droga". Un’affermazione dura e pura nello stile della casa. Senza mediazioni. E va bene. Ma è sul pallone che la trota che studia da delfino va a cadere. A pochi giorni dai Mondiali ecco che ci tiene a precisare che lui non seguirà le gesta degli azzurri in Sudafrica: "Non tifo Italia". Perché non si sente italiano?. "Bisogna intendersi su che cosa significa essere italiano. Il tricolore, per me, identifica un sentimento di cinquant’anni fa". Inutile andare a cercare cosa nel Paese sia successo mezzo secolo fa che abbia qualche cosa a che vedere con la bandiera e la nazione. È che il giovane Bossi, evidentemente, oltre non ci arriva proprio. A rimetterlo in riga ci ha pensato uno gloria della nazionale, Gigi Riva. "Se non sta bene può anche andarsene dall’Italia, nessuno ne farà una malattia" ha detto l’indimenticabile Rombo di tuono aggiungendo che "è un’affermazione stupida e grave, se inizia così in politica non va molto lontano. Forse voleva dire qualcosa di clamoroso per farsi conoscere, ma l’Italia viene prima di lui e resterà anche dopo di lui". "Si fa sempre il tifo per la nazionale e il proprio paese. È assurdo che una persona eletta pronunci queste frasi. Purtroppo non c'è da meravigliarsi visto che viene dall'esponente di un partito che continua ad insultare l'unità italiana e la sua bandiera". Così Walter Veltroni.

Per il resto l’intervista fornisce tutta una serie di informazioni sul ragazzo alle prime armi e alle prime dichiarazioni sballate. Dorme poco. Come papà. E beve tanta Coca Cola. Rifiuta l’etichetta di pluribocciato. A far bene i conti solo tre volte. E scusate se è poco. Ma ora, dopo la faticosa conquista del diploma, si è iscritto ad Economia, "ma in un’università straniera perché non voglio trovarmi i giornalisti in aula quando faccio gli esami". Dalla Scuola Radio Elettra di papà, comunque un bel passo avanti.

La candidatura. "Papà aveva paura, visto il clima politico, che mi facessero a pezzi poi mi ha detto, ok prova". L’amore. "Da poco. Una bresciana di 20 anni che vota Lega ma non è una militante". Il matrimonio. "In chiesa, non con rito celtico". Presto e presto anche bambini. Il razzismo. "Rimbalza il clandestino non è un videogame razzista. Non l’ho inventato io. C’è la cartina dell’Italia e, quando arriva una barca di clandestini, cliccando compare una rete che la respinge. Non spari mica". La geografia politica. "Non sono mai sceso a Sud di Roma". E il napoletano "di Apicella non lo capisco". Simpatie politiche, la Moratti e Maroni con cui condivide la passione per la musica. La violenza. "Faccio a botte per motivi politici". Insomma "la stupidità ha fatto progressi enormi" per dirla sempre con Flaiano.

21 aprile 2010

 

 

 

2010-04-18

La Lega: marciamo contro la tomba della bimba musulmana, poi si vergogna

di Toni Joptutti gli articoli dell'autore

Volantino? Quale volantino?". Miracolo a Udine: la Lega si vergogna dei suoi ultimi passi e li infila sotto il tappeto. Doveva essere il giorno dello svelamento, della denuncia contro l'amministrazione comunale di centrosinistra del capoluogo friulano. L'occasione era scabrosa: pochi giorni fa è stata sepolta una neonata, figlia di genitori musulmani, in un fazzoletto di terra del cimitero periferico di Paderno, satellite urbano della città. Prima frattura nella ritualità cristiana, da queste parti. Un voto di ampia maggioranza (giunta di centrosinistra ampio, senza Udc, e Lega modesta in comune) ha stabilito che una zona di quel cimitero frazionale abbia le fosse orientate in un certo modo, verso la Mecca, così se qualcuno ne fa richiesta ecco che ha la possibilità di deporre il corpo del proprio caro in accordo con ciò che prescrive la sua religione. Ma nessun cristiano si è mai chiesto se la sua tomba fosse o no orientata verso la Mecca.

E chissà quante sono le lapidi nel nostro paese involontariamente rivolte verso la città santa dei musulmani.

Infatti, precisa il sindaco, Furio Honsell, quella non doveva essere una zona riservata per nessuno, chiunque poteva, può chiedere di essere sepolto lì. Invece, fuoco e fiamme leghiste. Il capogruppo in consiglio Luca Dordolo s'è dato da fare con l'accetta: "vogliamo forse che il nostro cimitero si trasformi in un ricettacolo di salme musulmane venute da ogni dove"? "Ricettacolo di salme" è testuale, terribile e insieme denso di una sua notevole comicità. Quindi: "sabato suoneremo le nostre trombe, volantineremo per denunciare, forti dell'appoggio che ci viene dalle 1700 firme di persone, su settemila complessive, del nostro quartiere". Bene: se la Lega "dice e fa", andiamo a vedere. Ieri mattina, sabato, mercato di Paderno, banchetti, profumo di formaggi e di insaccati; in fondo, gazebo della Lega, tesseramento. Ecco, vorrei un volantino sulla storia della bimba musulmana sepolta qui..."Non c'è volantino, solo tesseramento" - rispondono. Scusate, ma che è successo? L'aveva detto Dordolo che avreste volantinato sulla questione..."Sa chi è Dordolo? È quello là" - ah grazie. Allora, Dordolo? "Era tutto pronto, l'avevo scritto io, l'ho anche mandato in giro, niente di speciale, si spiegava cos'era successo attorno a questa vicenda, ma purtroppo...". Dordolo, non mi dica, la sua Lega l'ha insabbiata? "Non so, fatto sta che è sparito il volantino, chieda a quello là, il senatore Pittoni". Senatore si mettono a tacere le voci scomode? "Rispetto per il momento, è morta una bimba, non è proprio il caso di offrire il fianco alla speculazione di chi potrebbe sostenere che siamo senza cuore, ne parleremo più avanti".

I volontari offrono altri volantini alla gente con la spesa, programmi di governo, pochi accettano, le donne in particolare rifiutano: no grazie non voglio neppure leggere quella roba lì. Ma il tesseramento va avanti. In mattinata, hanno aderito al bossismo mortuario di Udine nell'ordine: il marito di una signora moldava, un pensionato e un cassintegrato. Senza cuore? E che immagine volete avere se togliete il pane di bocca ai bimbi delle scuole, se li lasciate a terra senza trasporti quando i genitori non pagano le rette, se fate casino quando viene sepolta una bimba musulmana, una bimba una? E lei, Dordolo parla di "ricettacolo di salme", ma cosa pretende? "Effettivamente, ricettacolo è una parola sbagliata" e dai e dai, "e poi penso che chi ha tolto il pane di bocca a dei bimbi, fermo restando che i furbi si devono mettere in regola, ecco penso che chi lo ha fatto sia un gretto".

Molto bene, vediamo invece che accade nel "popolo" della Lega, quello che non sarebbe gretto ma firma contro il ricettacolo di salme. Hosteria simpatica e accogliente a pochi passi dal mercato di Paderno e dal discusso cimitero orientato in modo sospetto. "In questo sto con la Lega" - spiega gioviale il paron di casa, "cosa fa? Sta guardando il grembiule?" Effettivamente sto guardando il grembiule: c'è un fascio littorio e sotto l'interessante scritta "boia chi molla". "Sono nero, si vede, no? Ma sono buono, pasta buona". Meno male che la pasta è buona. Il sindaco, fisico, ex rettore universitario, famoso ospite di Fazio in tv è ottimista: "Se hanno nascosto il volantino è già un buon risultato. Vede vincono con la truffa, con l'inganno ma ne sono certo: molto presto tutto sarà chiaro, la gente li abbandonerà in tutto il paese". Speriamo non dopo una guerra.

18 aprile 2010

 

 

 

Borsellino: "L’attacco a Gomorra è un favore alla mafia"

di Saverio Lodatotutti gli articoli dell'autore

Ci sono malattie tropicali dalle quali non si guarisce mai definitivamente, ma che vanno tenute sotto cura e osservazione, se con esse si vuole tranquillamente convivere. Questa malattia tropicale, se così si può dire, per Silvio Berlusconi è rappresentata dalla lotta alla mafia, e da tutto quello che le ruota attorno.

E così, a ondate ricorrenti, Silvio Berlusconi si ricorda che con la mafia deve scendere a patti, come diceva quel Pietro Lunardi, ministro di un suo dei suoi tanti governi, che ammise papale papale: "Con la mafia bisogna convivere". A periodi lo assale la preoccupazione che i suoi personalissimi "eroi", i mafiosi, possano assestare un brutto colpo di coda, magari perché non soddisfatti da quelle promesse elettorali che, come è risaputo, non si negano a nessuno. Non si spiega altrimenti che il premier non perda occasione di tirar fuori l’artiglio, sollevando tempeste mediatiche per mettersi al riparo dalla critica che non sa, non vuole, non riesce a governare.

Mai che abbia detto "se trovo quei delinquenti mafiosi che hanno ucciso centinaia di poliziotti, carabinieri e magistrati li strozzo con le mie mani". Ci mancherebbe. Lui vuole strozzare con le sue mani autori di romanzi e fiction tv, scrittori e registi, gente per bene, insomma. Rita Borsellino, oggi europarlamentare, in anni assai lontani, forse qualcuno lo ricorderà, non fece entrare Berlusconi a casa sua, per la semplicissima ragione che, in lui, già si manifestano i primi segni della malattia tropicale. E con eccellente occhio diagnostico, vide molto lontano.

Rita, gli anni passano, ma il nostro premier non guarisce.

"Il nostro premier non guarisce perché ci sono malattie croniche e che restano sempre latenti. Le sue, purtroppo, non sono frasi occasionali, ma l’ espressione di una convinzione profonda e che viene da lontano. È proprio così: soffre di una malattia cronica. Hai ricordato quando, nel 1994, in occasione del suo primo governo, io non volli avere il piacere di incontrarlo, nella mia casa di via d’Amelio. Non so se la mia decisione fu profetica. So di certo che la sua richiesta di vedermi, giunta all’improvviso, senza nessun rispetto di un minimo di privacy-passò con la sua scorta, scese e citofonò - mi lasciò sconcertata e infastidita".

Rita, ma che voleva?

"Me lo disse per citofono: "signora, cosa possiamo fare contro la mafia?". E io: "tutto, perché siete al governo"".

E lui?

""Grazie, signora. La richiamerò da Roma". Ma non mi ha mai richiamato".

Secondo te, come mai Berlusconi sente il bisogno, ancora oggi, di pronunciare parole tanto sconnesse su una questione che sta a cuore alla maggioranza degli italiani, tantissimi dei quali, per altro, lo votano?

"Cominciamo col dire che la mafia non si può nascondere sotto il tappeto come la polvere. Non è parlando di mafia che si denigra il Paese. Fiction come "La Piovra", romanzi come "Gomorra", non fanno altro che denunciare una realtà drammaticamente esistente. E’ l’esistenza, la persistenza, la visibilità in tutto il mondo della mafia di casa nostra il vero bubbone da estirpare. Il silenzio è uno strumento che la mafia gradisce. Prova ne sia che per oltre un secolo i mafiosi hanno fatto dell’omertà un totem intangibile. Intitolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino non è , come ha detto Gianfranco Miccichè, una scelta che allontana i turisti, bensì il riconoscimento di un percorso di liberazione dalla mafia portato avanti spesso da uomini soli e isolati. Vale l’identico discorso per Pio La Torre e Peppino Impastato i cui nomi si pretenderebbe di cancellare da un aeroporto e da una piazza. Mi sembra che la società mostri più maturità nell’affrontare il problema di quanto non abbiano mostrato di saper fare certe istituzioni".

Rita, sei proprio su un altro pianeta. Berlusconi e il suo governo, sono convinti di stare conducendo una guerra epocale contro Cosa Nostra.

"Mi sembra un miracolo che le forze dell’ ordine e la magistratura riescano ancora a ottenere risultati così importanti nonostante i continui tagli economici e di organico e la delegittimazione, di cui il nostro premier gratifica, un giorno sì e l’altro pure, i magistrati stessi. E poi, un’altra riflessione: se analogo risultato fosse ottenuto per quanto riguarda i mafiosi che fanno politica, o i politici che sono mafiosi, la musica sarebbe tutt’altra".

In che senso?

"Solo quando il governo deciderà di tagliare i rami delle complicità istituzionali, politiche, economiche, potremo dire che la sconfitta di Cosa Nostra sarà a portata di mano. Sin quando ciò non accadrà, e il nostro premier non saprà resistere alla tentazione di aprire bocca su una materia che, evidentemente, non gli è congeniale, ci ritroveremo sempre al punto di partenza".

18 aprile 2010

 

 

 

Asili in leasing e strade a rate

di Adriana Comaschitutti gli articoli dell'autore

Non più auto aziendali: oggi è l’asilo che si "compra" in leasing, la manutenzione delle strade è a rate, le forniture si pagano dopo un anno, le opere pubbliche le realizza una società patrimoniale esterna. Suona così il "dizionario" dei Comuni ai tempi del Patto di stabilità. Costretti a inventare ogni giorno nuovi modi di rientrare nei vincoli imposti dal governo, i sindaci sono sempre più acrobati del bilancio. Abilità che però dal prossimo anno non basteranno più. Nemmeno per i più virtuosi.

E il caso dei comuni del circondario bolognese, fino a oggi sinonimo di qualità dei servizi. A Pianoro, 17.550 abitanti, il primo addio è stato quello alla manutenzione: di strade, edifici pubblici, impianti sportivi. Quest’ultima è stata recuperata in corner affidandola alle associazioni che li gestiscono, il che però significa che magari le società sportive ritoccheranno all’insù le tariffe per gli utenti. Non che il Comune avesse molta scelta, con 2 milioni congelati in cassa dal Patto. "In base alle ultime disposizioni di marzo – racconta il direttore generale Luca Lenzi – la nostra capacità di spesa sul 2010 passa dai 3 milioni previsti a 1,5 milioni. E dire che avevamo messo in bilancio alienazioni di beni per 2,5 milioni: tutto inutile, non potremo reinvestirli".

Il municipio ha deciso di salvare il salvabile, cioè la manutenzione di sette scuole. Anche quest’ultima frontiera però sta per essere superata, "dal prossimo anno avremo un drammatico problema anche sui servizi. Così stiamo pensando di chiudere la scuola materna di una nostra frazione, Botteghino di Zocca". Un colpo, nel quinto comune della provincia per tasso di natalità. "Un’umiliazione", riassume Lenzi, "la nostra autonomia fiscale tra il 2007 e il 2009 è crollata dal 92 al 53%. Dov’è il federalismo fiscale di cui parla la Lega?".

Stessa domanda a Sala Bolognese, 8.200 anime. "Mica chiedo di spendere i soldi degli altri, ma quelli dei miei cittadini - quasi grida il sindaco Valerio Toselli - sul 2010 se rispetto i vincoli del Patto ho una capacità di spesa di 450 mila euro, con questi soldi non ci fai niente. E questo mentre ho 3 milioni fermi, di cui 900 mila euro di fatture già emesse: è un dramma per le imprese del territorio che ci hanno fornito materiali o servizi". Non lo consola aver portato a casa l’indispensabile, ovvero la manutenzione ordinaria delle strade e la costruzione di un nuovo nido, per cui il Comune ha fatto ricorso a un leasing "così gli interessi si spalmano nel tempo". Non lo consola perché "gli interessi costano. E tutti i lavori di manutenzione straordinaria annullati oggi ci costeranno il doppio domani": usura e deterioramento non si fermano davanti alle percentuali di miglioramento del saldo dettate dal Patto.

Non se la passa meglio Casalecchio, quasi 36 mila residenti alle porte di Bologna. "Come altri abbiamo costituito una società patrimoniale per realizzare una parte dei nostri investimenti", racconta il primo cittadino Simone Gamberini, coordinatore provinciale Anci: l’ampliamento di una scuola elementare per 1,6 milioni, la costruzione di una materna. Così li ha sottratti in parte ai tetti del Patto "ma si tratta di palliativi". Se gli altri piangono per i mancati investimenti, Casalecchio soffre sull'altro fronte su cui batte il Patto, quello della spesa corrente. E allora ecco "la dilazione dei pagamenti, per i grossi fornitori siamo anche sopra i 300 giorni, sui servizi non possiamo andare oltre i due-tre mesi, ci sono stipendi in ballo".

Tutti equilibrismi inutili: "Nel 2011 – avverte Gamberini - il 90% dei 60 comuni del Bolognese non riuscirà più a rispettare il Patto, i nuovi obiettivi fissati sono troppo alti". L’altra certezza è che i Comuni "hanno sempre meno risorse mentre affrontano sempre più spese sociali. A Budrio – racconta il sindaco Carlo Castelli – con la crisi sono raddoppiate le persone che si rivolgono al nostro sportello sociale. E dobbiamo sostenere i cassintegrati: 900 su 18 mila residenti".

18 aprile 2010

 

 

 

 

C'è una Italia divorata dai mostri

di Andrea Bonzitutti gli articoli dell'autore

"Ci sono momenti in cui il cervello si stacca dal cuore". In uno di quei momenti, Mario Farisano, operaio 44enne in cassa integrazione della Nuova Renopress di Budrio, nel Bolognese, si è tolto la vita. L’ha fatto nel garage della propria casa, una palazzina pietra a vista di tre piani a Marmorta, piccolissima frazione di Molinella, a pochi chilometri dal luogo di lavoro. Si è impiccato con la corda per saltare della più piccola delle sue due figlie, che hanno 6 e 13 anni. E che ora sono senza papà, come Ida è rimasta senza marito. Senza occupazione - Ida lavorava da un artigiano - la donna lo era già da un anno. A trovarlo, è stato il cognato Gerardo, anche lui cassintegrato dell’azienda budriese. Mario, trasferitosi in Emilia-Romagna più di dieci anni fa dalla Basilicata, si è ucciso dopo aver portato la bambina più piccola all’asilo. Ieri, la famiglia si è chiusa al proprio interno. In un bar vicino incrociamo Michele, uno dei nipoti: ha gli occhi lucidi, e ribadisce che questo è il giorno del silenzio. Mentre il cognato fa capire che, quando sei a casa, entri in una spirale in cui non è facile chiedere e ottenere aiuto. "E, alla fin fine, le bollette le devi pagare comunque".

Nella tragedia, poi, la beffa: nella mattinata di venerdì, mentre i sanitari constatavano il decesso dell’uomo, un’azienda metalmeccanica avrebbe chiamato a casa Farisano per fissare un colloquio: Mario aveva mandato molti curricula in giro, e la sua specializzazione era alta. Ma il telefono ha squillato troppo tardi. Cosa può aver spinto ad un gesto così estremo? I compagni di lavoro di Mario sono convinti che la situazione della Renopress abbia avuto un ruolo, forse decisivo. L’aria che si respirava in azienda era pesante. E non da ieri: dopo un anno di cassa integrazione, la fonderia aveva ritirato i 106 licenziamenti, ottenendo - grazie alla mediazione della Regione - un altro anno di cassa integrazione straordinaria. Pesante, ma non senza speranza: i 365 giorni potevano essere utilizzati per cercare un nuovo acquirente. Finora Mario, uno dei pochissimi "fornai" (nel senso di addetti ai forni) era riuscito a lavorare una settimana al mese, portando il suo stipendio da 600 a 900 euro. Il 15 marzo, però, la produzione si era fermata. In attesa dell’arrivo dell’assegno di cassa, neanche un euro era stato versato sul suo conto.

Lì, ipotizza Donatella Colombelli, sua collega alla Nuova Renopress, forse qualcosa si è rotto. "A quanto so, da allora non usciva più molto di casa. Lunedì, quando il delegato Fiom ci ha spiegato che era stato fissato l’incontro con le banche per l’anticipo della cassa integrazione - racconta Donatella -, io ho guardato Mario e gli ho detto: dai, possiamo dire di avere un piccolo aiuto. Ma lui mi fa, laconico: "Proviamo a vederla così". Non sembrava molto convinto". Eppure, Mario era uno dei più attivi nella lotta per salvare la fonderia: "Interveniva spesso in assemblea - ricorda il sindaco di Budrio, Carlo Castelli - e, se c’era un collega abbacchiato, era il primo a fare una battuta per tirarlo su. Quando mi hanno detto cos’era successo, ho risposto: "Siete sicuri sia proprio quel Mario lì?"". Su Facebook, oltre ai due profili personali - uno dei quali conta 441 amici -, Mario interveniva sovente. E contribuiva alla pagina dei "Noi, 106 licenziati della Nuova Renopress". Il suo hobby, che gli consentiva di tirare su un piccolo extra, era la musica. Mario cantava col karaoke. Tanto che nel garage, luogo scelto per farla finita, c’è ancora la consolle per le basi. "Aveva sempre un sorriso per tutti - chiosa Donatella -. Io non so cosa scatti nella mente di una persona, ma può essere che a un certo punto uno non ce la faccia più. E il cervello si stacchi dal cuore".

18 aprile 2010

 

 

 

 

 

2010-04-17

Maxi-rissa tv tra esponenti Pdl

"Gli italiani che hanno seguito ieri sera la trasmissione di Gianluigi Paragone, 'L'ultima Parola', su Raidue, ne saranno rimasti schifati. Lo spettacolo indegno che ha visto protagonisti una serie di esponenti del Pdl di vecchio e nuovo conio è stato davvero eloquente e credo che il presidente del Consiglio farebbe bene a prenderne visione. Tra Urso e Bocchino da una parte, Lupi e Santanchè dall'altra, se ne sono date di santa ragione". Tocca al blog di Francesco Storace, segretario de La Destra e alleato Pdl, dare il quadro della rissa tv tra esponenti Pdl andata in onda venerdì sera.

"Abbiamo persino assistito all'esilarante 'fascista' e 'squadrista' gettato in faccia da Italo Bocchino (ex An) a Maurizio Lupi. È una crisi irreversibile. Quando i panni sporchi vengono sventolati in quella maniera in pubblico non c'è pace che tenga. Traspariva odio e questo non va bene – continua Storace - Noi non facciamo parte del Pdl; ci siamo alleati con questa importante forza politica alle elezioni regionali, siamo italiani e abbiamo diritto di preoccuparci per chi rappresenta la Nazione. Il Pdl, stando alle immagini trasmesse dalla Rai ieri sera, sembra odiarsi al proprio interno ed è un segnale pessimo per chi inneggia al partito dell'amore. Non è ironia la nostra, ma amara constatazione di uno stato di fatto che fa male anche a noi, che questo Paese lo amiamo davvero e non vogliamo vederlo precipitare a sinistra di qui a qualche tempo. Sembrava un episodio minore quello successo a Latina, dove una faida interna ha portato alla cacciata del sindaco nella città dove il Pdl miete più consensi. Invece no, la spaccatura pare molto più profonda".

"Ma così non si va da nessuna parte. Credo che siano vani gli appelli del presidente Berlusconi. Alla direzione di giovedì prossimo - se a questo punto sarà confermata... - Fini potrà solo fingere la pace. Ma il clima, ormai, è quello e se ne deve prendere atto. Meglio, molto meglio staccare la spina. A che serve, a chi serve continuare così, se ascoltando gli esponenti finiani in tv sembrava di ascoltare l'opposizione travagliesca e dipietrista? Berlusconi non indugi più: se vogliono la scissione, questa è già programmata per farla esplodere col massimo di potenzialità e fare più danno possibile. Non vale la pena di rincorrerli: si aggiunge danno a danno. Il Paese ha bisogno di una maggioranza non litigiosa e quanto abbiamo visto è orribile".

17 aprile 2010

 

 

 

 

Berlusconi ora prova a mediare: "Il governo andrà avanti comunque"

In gergo militare si chiama "guerra di posizione". Ma l'espressione sembra appropriata anche per descrivere lo stato dell'arte nel Pdl: Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini restano sulle rispettive posizioni, mentre i colonnelli lavorano ai fianchi e gli ambasciatori lanciano segnali distensivi. Di fatto uno stallo, in attesa della Direzione nazionale di giovedì prossimo in cui si potrebbe arrivare ad un documento condiviso o alla definitiva rottura. "La maggioranza resisterà, il governo continuerà, sono cose superabili", afferma il presidente del Consiglio da Milano, ostentando ottimismo. Per Berlusconi il Pdl si può "ricompattare". Lo dice ricordando di conoscere Fini da "quindici anni". In ogni caso, aggiunge con quello che suona come un monito, "in qualunque direzione si vada non ci saranno problemi, state sereni".

Ma nel gioco delle parti, l'ottimismo del premier è mitigato dal pessimismo di uno dei suoi più stretti collaboratori: "Non sono certo" che i contrasti fra Fini e Berlusconi si appianeranno, afferma il ministro della Giustizia Alfano. "Una soluzione va trovata", aggiunge, "purchè sia definitiva". E mentre Fabrizio Cicchitto invita il presidente di Montecitorio a fermarsi prima che sia troppo tardi, la Destra di Francesco Storace consiglia al Cavaliere di "staccare la spina" con Fini. Sul fronte opposto, il presidente della Camera tace. A parlare ci pensano i senatori a lui vicini che si riuniscono in un ristorante romano per fare il punto della situazione. I numeri per fare un gruppo ci sono eccome, dice entrando Pasquale Viespoli che con voluta malizia aggiunge: In Senato "da tempo è attivo un coordinamento non soltanto di ex-An". Come dire: la corte ai senatori non la fa solo Berlusconi. Al termine del pranzo, però, i toni sono decisamente più concilianti: i 14 senatori stilano un documento in cui esprimono sì "solidarietà" a Fini per i "giudizi ingenerosi e i toni astiosi" usati da alcuni, ma allo stesso tempo tirano il freno sull'ipotesi dei gruppi. "Al momento nessuno ne parla e francamente non so chi ne abbia mai parlato", cade dalle nuvole Andrea Augello. Il documento, del resto, è chiaro: "Occorre riportare il confronto su un piano costruttivo, isolando quanti lavorano per destabilizzare i rapporti fra i confondatori del Pdl". Insomma, per i finiani "anche solo parlare di scissioni ed elezioni anticipate" è qualcosa di "incomprensibile".

Ed anche se Fabio Granata sostiene che da parte di Fini "non c'è nessuna retromarcia" e che nulla "si è ricomposto", il documento dei 14 viene accolto con soddisfazione dai 'berlusconianì: "Rappresenta un implicito invito all'unità dei gruppi parlamentari", dicono Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. Ma anche il finiano Italo Bocchino cerca di allontanare il dibattito dalle polemiche di chi accusa gli ex aennini di puntare unicamente a nuove "poltrone", per cercare di spostarlo su temi concreti come le "politiche per il Sud".

Fra i pontieri c'è anche Gianni Alemanno, che tuttavia non nasconde una certa preoccupazione: "Stiamo lavorando a una ricomposizione, ma è difficile fare previsioni", riconosce il sindaco di Roma. Nella "guerra" fra i cofondatori, dunque, nessuno dei due arretra, ma neanche attacca. Si lavora dietro le quinte, in attesa della Direzione Nazionale di giovedì. Gli ottimisti sono convinti che si possa arrivare ad un documento in cui da una parte si conceda qualcosa a Fini e dall'altra si dia soddisfazione al premier sul fatto che nel Pdl si deve decidere a maggioranza. Un punto di caduta su cui puntano i "diplomatici", ma che potrebbe non bastare ai "colonnelli".

17 aprile 2010

 

 

 

Nel bunker di Fini avevano già studiato il "piano B"

di Il Congiuratotutti gli articoli dell'autore

Che quello di Schifani fosse un bluff è diventato ufficiale ieri sul far della sera, quando il premier ha teso la mano verso Fini, faticosamente e giusto lo stretto necessario per evitare la catastrofe del Pdl. Ma già il calendario l’aveva chiarito. Perché per svolgere le elezioni anticipate a giugno il presidente Napolitano avrebbe dovuto sciogliere le Camere entro le prossime due settimane. Eventualità del tutto impossibile. E così giovedì notte - nel momento più teso dello scontro con Berlusconi - nel quartier generale di Gianfranco Fini si è tirato un sospiro di sollievo. Scavallare giugno significava avere davanti un tempo tecnico di un anno per organizzarsi. E magari - era questa una delle contromosse più gettonate - approvare una legge elettorale di tipo tedesco (come piacerebbe all’Udc e alla stessa Lega) eliminando il premio di maggioranza in modo di togliere dalle mani del Cavaliere le chiavi della vittoria.

C’era poi un’altra ragione che tranquillizzava i finiani. Una ragione che derivava direttamente dai guai giudiziari del premier. Alla soddisfazione di obbligare Fini a lasciare il suo scranno a Montecitorio sarebbe seguita per Berlusconi la preoccupazione per la perdita, con le elezioni, dello status di "imputato protetto". Insomma, tutto faceva pensare che, alla fine, come in effetti è avvenuto, una qualche soluzione per evitare la frantumazione del Pdl sarebbe stata trovata. E già si ragionava su possibili compromessi che, dopo quel tirato "andiamo avanti assieme" di ieri, ora tornano all’ordine del giorno. Per esempio la sostituzione nel ruolo di coordinatore del Pdl dell’ormai perduto Ignazio la Russa (d’altra parte già sufficientemente impegnato per via del suo ministero) col finiano d’acciaio Italo Bocchino.

Ma, come accade anche nei matrimoni quando sono ormai irrimediabilmente logorati, al momento della pace segue, subito, quello dell’insofferenza. Ed ecco che già sono ricominciati i ragionamenti attorno a quella parola - "schizoide" - precipitata su Palazzo Chigi dall’alto del Colle. C’è chi teme che sul premier l’odore delle urne eserciti ormai un’attrazione irresistibile e che presto, magari usando come tramite un altro Schifani, rilanci la minaccia.

17 aprile 2010

 

 

 

Saviano? Colpevole di far pubblicità alla mafia...

di Marcella Ciarnellitutti gli articoli dell'autore

La pubblicità alla criminalità organizzata la fanno gli autori che dedicano sceneggiati e libri a questo argomento. Sono gli sponsor. Silvio Berlusconi replica. Per lui "la mafia è la sesta organizzazione criminale al mondo, secondo classifiche non so come compilate, ma è la più conosciuta" proprio per quel "supporto promozionale" che per il Cavaliere sono state prima le serie della Piovra con le avventure del commissario Cattani, e poi quel "Gomorra" di Roberto Saviano che ha dato un contributo determinante a far conoscere il vero volto della camorra. Cinque milioni e mezzo di copie vendute in 43 Paesi. Edizioni Mondadori.

Evidentemente innervosito dai guai giudiziari del fido Marcello Dell’Utri, il premier si è lasciato andare a giudizi lapidari contro gli autori di quelle opere che lui non condivide e assolutamente non in linea con gli obbiettivi del suo governo che consistono nell’"avere in giro un numero di latitanti possibilmente vicini allo zero e di avere veramente distrutto le organizzazioni criminali, mafia, camorra, ‘ndrangheta. Vogliamo fare di questa priorità un punto centrale dell’azione di governo". Ma se questa è la priorità allora la mafia è o non è un’invenzione "colta"? Inutile attendersi una risposta dal presidente che la gira e la rigira come più gli fa comodo. Ed ieri aveva voglia di negare l’evidenza.

Non è la prima volta che Berlusconi scivola su questi giudizi. "Se trovo chi ha fatto le nove serie della Piovra programmate in 160 Pese e chi scrive libri sulla mafia che non ci fanno fare una bella figura, lo strozzo" disse nel novembre dello scorso anno suscitando reazioni giustamente indignate. Non contento è anche passato all’attacco di Gomorra. D’altra parte questa è un tormentone da cui il premier non riesce a venir fuori. Già nel 1994 per lui la Piovra era "un disastro che abbiamo combinato in giro per il mondo". E poi "cos’è la mafia? Un decimillesimo, un milionesimo. Noi non vogliamo che un centinaio di persone diano un’immagine negativa in tutto il mondo". Sarebbe bene che si mettesse d’accordo con se stesso. La mafia esiste ono? Il suo governo combatte una grande organizzazione o i risultati vantati vanno commisurati alla approssimativa identità che lui ne dà?

Le reazioni indignate. "Roberto Saviano è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del Consiglio avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo" ha affermato Walter Veltroni chiedendo che se ne discuta in Commissione antimafia. Anna Finocchiaro: "Nelle parole del premier c’è un riflesso inquietante e pericoloso: ricorda periodi storici e modi di concepire la comunicazione che con la democrazia hanno ben poco a che vedere". Il leader dell’Idv, Di Pietro: "Berlusconi chieda scusa a Saviano". Ancora una volta il commissario Cattani, cioè l’attore Michele Placido, viene tirato in ballo. "il premier sbaglia ed è in contraddizione. Da una parte ci sono scrittori come Saviano che fanno luce su una criminalità così potente e radicata, dall’altra ci sono i meriti che giustamente Berlusconi rivendica della lotta dello Stato alla camorra. C’è stata una grande reazione dello Stato e i cittadini hanno maggiore consapevolezza della camorra proprio grazie a libri come Gomorra. Di cosa si lamenta il premier?".

17 aprile 2010

 

 

 

Pd, Bersani media tra D'Alema e Franceschini: "Ora un progetto per il Paese"

di Andrea Carugatitutti gli articoli dell'autore

Un Bersani con le mani tese verso la minoranza interna guidata da Veltroni e Franceschini, a partire dalla difesa del bipolarismo e dall'ammissione della "delusione" per l'esito del voto, segna la prima direzione Pd del dopo regionali. Una direzione preceduta da un clima piuttosto teso, con l’area democratica a sottolineare la sconfitta alle urne e venerdì il duello D’Alema-Franceschini sul bipolarismo e soprattutto sul rapporto con Gianfranco Fini. Ma alla fine il segretario riesce a trovare le parole giuste per non scontentare nessuno, per tenere abbastanza unito il partito su una linea attendista nei confronti della crisi nel Pdl, ("Sono questioni loro", sintetizza Franco Marini), ma pronto a firmare un "patto repubblicano" con le forze disponibili a fermare la "deriva plebiscitaria" di Berlusconi, dunque anche con quella destra "normale" incarnata da Fini.

Insomma, il dilemma "Fini sì Fini no" sembra sciogliersi alla luce dell’idea, fatta propria anche da Bersani, che i due litiganti del Pdl alla fine troveranno un modo per aggiustarsi tra loro. Sul bipolarismo Bersani è ecumenico: "Noi pensiamo ad una forma di bipolarismo più europeo, più moderno, più in grado di decidere", conclude a metà pomeriggio. "Dobbiamo prendere atto che negli ultimi 15 anni, tranne qualche riforma dei governi di centrosinistra, le riforme non sono state fatte perchè ha prevalso una democrazia plebiscitaria che accumula consenso ma non decide".

Bersani, che lancia l’asseblea nazionale per il 22 maggio (obiettivo: discutere del progetto per l’Italia) concede qualcosa alla minoranza anche sul tema della riforma elettorale: "Le soluzioni per una riforma sono diverse ma vanno tenuti fermi tre paletti: il sistema bipolare, la scelta del deputato e la garanzia di una maggioranza stabile". "L'attuale legge elettorale è una vergogna, è l'architrave del meccanismo plebiscitario e populista di Berlusconi", dice il leader Pd. "Dobbiamo combattere per oltrepassarla. Intorno a questi tre criteri possiamo ragionare insieme e arrivare a proposte più precise ma cerchiamo di sdrammatizzare il tema perchè le leggi elettorali vanno e vengono, mentre Berlusconi sta qui dal ‘94...".

Messe a posto le questioni che avevano agitato venerdì lo scontro tra D’Alema e Franceschini, Bersani passa all’attacco sul terreno a lui più caro, quello delle proposte per il Paese. "Mettiamoci subito al lavoro sul progetto per l’Italia. Il futuro è una sfida: mettiamoci all’altezza di questa sfida. Serve un progetto per l'Italia, un’agenda che ci porti a fare emergere la nostra visione del Paese". Pochi i punti cardine: "Lavoro inteso come lavoro delle nuove generazioni, fisco, educazione e cioè scuola e università, istituzioni, giustizia e informazione". "Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Dobbiamo trasmettere positività, il partito non può essere il nostro oggetto di discussione col Paese: è lavorando per l’Italia che daremo il profilo al partito, le nostre parole da contrapporre all’ideologia di Berlusconi e della Lega sono uguaglianza, diritti, civismo e merito".

Tra i primi passi concreti della nuova agenda Pd, Bersani annuncia una proposta di legge per mettere fuori i partiti dalla Rai e una nuova norma Antitrust per affrontare (e risolvere) il conflitto d'interessi. E sulla giustizia prende le difese del responsabile del settore Andrea Orlando, criticato nei giorni scossi per aver presentato al Foglio una bozza di riforma: "La giustizia non è un tabù, è un servizio che non funziona, le nostre proposte sono contro le leggi ad persona, m si può essere d’accordo o meno ma non esiste che tra di noi si parli di "intelligenza con il nemico"".

Veltroni sceglie di non intervenire e se na va senza fare commenti, Franceschini nel suo intervento apprezza la "difesa del bipolarismo" da parte del segretario ma ribadisce la sua linea su Fini: "Non bisogna fare a Fini il torto di considerarlo "di qua" e coinvolgerlo in scenari confusi perché lui sta facendo una battaglia per una destra normale ma è un nostro avversario. Dare l’idea che Fini è un nostro interlocutore sarebbe un grande regalo per Berlusconi". E aggiunge: "La missione del Pd è cambiare il paese rimettendo in discussione tutto, non sommando le singole sigle". "Il partito non è solo di chi ha vinto il congresso ma insieme di chi ha vinto e di chi ha perso. Tra il silenzio e la litigiosità c'è la via di mezzo del confronto chiaro, dobbiamo discutere per contribuire a fare le scelte".

L’occasione sarà l’assemblea nazionale convocata per il 22 maggio, e intanto Franceschini risponde anche a quell’ala cattolica, da Fioroni a Castagnetti, che anche oggi ha ribadito il suo disagio in un partito troppo "di sinistra": "Il Pd ha ancora la colla fresca. E se ci sono dei dirigenti che percepiscono con disagio un pd comepartito di sinistra, questo è un segnale che deve essere ascoltato". Non mancano segnali di apertura a Bersani anche da altri esponenti della minoranza. "La direzione è stata utile ed è stata imboccata la strada di un chiarimento", dice Fioroni. "Abbiamo fatto un primo passo verso il rilancio del progetto originario dopo la "sconfitta elettorale", dice il braccio destro di Veltroni Walter Verini. "Si è compiuto un passo in avanti sulla direzione di investire sul progetto del Pd, sul suo rapporto con l’Italia, lasciando molto, ma molto, sullo sfondo quelle cose che ci avevano imbrigliato, tipo la politica delle alleanze". mentre Fassino dà atto al segretario di aver presentato "un'analisi del voto più

preoccupata del giudizio iniziale e una griglia per il rilancio".

D’Alema, anche a costo di un certo isolamento, ha ribadito le sue tesi sulla crisi del bipolarismo e sulla necessità di "interloquire" con quella destra incarnata da Fini che può dare a una mano per fermare la "spallata plebiscitaria" di Berlusconi. "Dire che vogliamo fare domani un governo insieme a Fini è una scemenza, a me interessano i contenuti, dalle riforme all’immigrazione, e non per fare manovrette politiche", spiega D’Alema. Che ribadisce il suo sostengo per un sisyema dell’alternanza, che va però ripensato, "perchè la tanto vituperata e consociativa prima repubblica è stata in grado di produrre riforme profondissime, mentre la second, quella delle decisione, appare molto debole". Nessuna marcia indietro, dunque. D’Alema ribadisce la sua ricetta sul bipolarismo in crisi e anche sul dialogo con la nuova forza parlamentare che Fini starebbe per lanciare. "Non vorrei che nel nome del bipolarismo lo rimproverassimo di dare fastidio a Berlusconi, sarebbe un eccesso di zelo", conclude l’ex ministro, prima che Rosy Bindi lo inviti al "time out" per aver sforato i tempi.

E proprio la presidente Bindi è protagonista di uno scontro con Paola Concia, a cui avrebbe tolto il diritto di intervenire. "Dopo la relazione di Bersani ha detto che c’erano 60 interventi, troppi, e che avrebbero dovuto parlare solo le personalità politicamente rilevanti", accusa Concia. "Io e altri siamo stati "tagliati", evidentemente i temi che rappresento non ionteressano alla Bindi, ma io voglio discutere dentro il mio partito, non sulle pagine dei giornali...". "La prossima volta la facciamo di due giorni così ognuno avrà bei 15 minuti per parlare", replica la Bindi ai colleghi che protestano.

Marta Meo, esponente veneta della mozione Marino, esce nel primo pomeriggio con lo sguardo sconsolato: "Mi pare che questo partito sia in preda all’horror vacui: abbiamo davanti tre anni senza elezioni e senza congressi, sarebbe il momento per parlare di cose concrete, e invece ho l’impressione che non si sappia da dove cominciare. Un’altra conferenza di programma a maggio? Ma non c’erano i forum tematici? Perché non vengono convocati?". Un tema su cui è d’accordo anche Marino, che sprona Bersani a "far funzionare i forum". "Deve fare come un rettore con i dipartimenti, farsi dare dei report su quello che è stato deciso, sull’agenda dei prossimi incontri...".

17 aprile 2010

 

 

 

 

 

2010-04-16

Bossi dice: la cosa non si aggiusterà. Berlusconi ultimatum a Fini

"Io sono un ottimista di natura", ma se Gianfranco Fini decidesse di andare avanti con la costituzione di gruppi autonomi "oggi nell'ufficio politico si è valutato unanimemente che si tratterebbe di una scissione dal Pdl". È il premier Silvio Berlusconi, in una conferenza stampa a palazzo Grazioli al termine della riunione dell'ufficio di presidenza. Ma avverte: non è compatibile l'incarico di presidente della Camera con la nascita di gruppi parlamentari autonomi da lui promossi. Il governo andrebbe avanti anche se si dovessero formare dei gruppi parlamentari dei finiani.

Berlusconi ha anche letto un documento approvato all'unanimità, anche dai membri finiani del Pdl, in cui si auspica l'unità del partito e si invita Fini a non formare gruppi autonomi. "Il governo andrebbe avanti, intendiamo scongiurare l'ipotesi di elezioni anticipate", ha risposto Berlusconi alla domanda se ci sarebbe una crisi di governo in caso di formazione di gruppi parlamentari da parte dei finiani. Berlusconi ha però aggiunto che la formazione di tali gruppi renderebbe incompatibile la possibilità che Fini rimanga alla presidenza della Camera ed ha aggiunto che "tutti i presenti hanno espresso la valutazione che la differenziazione in gruppi parlamentari significherebbe scissione".

Berlusconi ha letto il documento votato all'unanimità, anche dal finiano Italo Bocchino, nel quale si chiede a Fini di "desistere da iniziative trapelate da agenzie circa la costituzione di propri gruppi per continuare insieme la grande avventura del Pdl in cui si riconoscono tutti gli italiani che non votano a sinistra". Il ministro finiano Andrea Ronchi ha confermato i contenuti del documento, aggiungendo che "si auspica una ricomposizione e un incontro con Fini che avverrà alla direzione del partito giovedì prossimo. A questa direzione Fini dirà che il partito va consolidato, rafforzato e non distrutto".

Nel pomeriggio è intervenuto Bossi: "Non ho certezze ma temo che la cosa non si rimetterà a posto...", ha detto. "Quale scenario? Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni".

Intanto, nel pomeriggio il premier ha trovato anche il tempo di attaccare Roberto Saviano. La Piovra e Gomorra come enti di promozione della mafia nel mondo, dal momento che l'organizzazione criminale risulta sesta in classifica ma senz'altro prima per notorietà nel mondo. Mescolando i dati degli osservatori istituzionali agli indicatori mediatici, Silvio Berlusconi torna a criticare i programmi basati sul storie di criminalità organizzata. La sua avversione per 'La Piovra' era nota, oggi, dalla sala stampa di Palazzo Chigi, in 'black list' finisce anche Roberto Saviano. Il presidente del Consiglio, con i ministri di Interno e Giustizia al suo fianco, osserva che la mafia ha goduto di "un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un fatto di giudizio molto negativo per il nostro Paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra, programmate dalle televisioni di 160 Paesi nel mondo, e tutto il resto, tutta la letteratura, il supporto culturale, Gomorra e tutto il resto".

La rottura di ieri

Ieri l'atteso colloquio fra Berlusconi e Fini alla Camera è andato male e la terza carica dello Stato ha minacciato di costituire un suo gruppo parlamentare se il Pdl non si smarcherà dalla Lega e se non ci sarà un chiarimento interno al partito. All'ufficio di presidenza di oggi dovrebbe seguire una direzione nazionale fra una settimana. Fini ha accolto positivamente la convocazione degli organi di partito definendola, in una nota, "una prima risposta positiva ai problemi politici che ho posto ieri al presidente Berlusconi". "Mi auguro che a partire dalla riunione, cui parteciperò, possa articolarsi una risposta positiva anche nel merito delle questioni sul tappeto, a cominciare dal rapporto tra il Pdl e la Lega".

Il neo ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan ha commentato l'idea di Fini di creare gruppi del Pdl autonomi in Parlamento definendola una "follia". "Ho visto Berlusconi sereno e determinato. Auspico si ricomponga, anzi sono sicuro che si ricomporrà. L'altra soluzione non ha futuro. Quello che sta prospettando Fini mi sembra una follia", ha detto Galan uscendo dal Consiglio dei ministri. Altero Matteoli, ministro ex An dei Trasporti, ha auspicato una soluzione pur senza fare previsioni: "Auspico una soluzione ma non ho la sfera di cristallo".

Ieri il presidente del Senato Renato Schifani ha detto che se la maggioranza dovesse dividersi bisognerebbe tornare alle urne mentre i coordinatori nazionali del Pdl, fra i quali l'ex colonnello di An Ignazio La Russa, hanno espresso "profonda amarezza" per l'atteggiamento di Fini, definito "sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni". Quello di ieri è stato il primo incontro fra i due cofondatori del Pdl dopo le elezioni regionali, dopo che negli ultimi giorni sono riaffiorate divergenze sui contenuti ed i modi delle riforme istituzionali che la maggioranza vorrebbe affrontare negli ultimi tre anni della legislatura.

16 aprile 2010

 

 

 

 

"Pdl Italia", la conta è partita: 68 parlamentari pronti allo strappo

di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore

Berlusconi sappia che se io devo lasciare la presidenza della Camera, lui dovrà lasciare la presidenza del Consiglio. Ma non è questo che voglio, non voglio la crisi di governo né di maggioranza. E infatti, Gianni, Silvio a me non ha chiesto dimissioni e tu non puoi dire il contrario, perché sei stato testimone del nostro colloquio". Quando volge al termine la giornata più difficile nel pluridecennale rapporto con Berlusconi, al telefono con Gianni Letta Gianfranco Fini non chiede solo che si smentisca la voce che circola, ma prova ancora a spiegare le sue ragioni. Quelle stesse che ha spiegato a ora di pranzo a Berlusconi. Lo fa anche, subito dopo con La Russa e Matteoli, i suoi ex colonnelli passati di là: "Guardate che io faccio il presidente della Camera, non voglio posti e non faccio richieste per me. Mi faccio carico di una responsabilità: ho messo il mio partito nel Pdl, ma quella gente, quelle istanze, quella destra nel Pdl non c’è. E non posso permettere che siano buttati a mare cinquant’anni di storia. Possibile che Berlusconi non lo capisca?".

Parla al telefono, Fini, di fronte ai molti suoi fedelissimi autoconvocati nel suo studio quando, dopo aver covato per mesi sotto la cenere, ieri a pranzo lo scontro tra i due fondatori del Pdl è esploso in tutta la sua violenza finale. Fini il freddo, Fini il prudente, a tavola si è ritrovato infatti a minacciare a Berlusconi quel che fino a poche ore prima negava di voler fare nell’immediato: "O ti siedi con me e vediamo come fare in modo che io possa contare realmente nelle decisioni e nel Pdl, o sono pronto a fare miei gruppi parlamentari autonomi", è stata la sua conclusione del pasto. Uno spettro scissionista che sempre è aleggiato in questi mesi, ma che soprattutto dopo le elezioni, è parso all’ex leader di An "fuori luogo, perché gli spazi si sono ristretti". A fargli cambiare idea, ieri, l’atteggiamento di Berlusconi.

"Mi è venuto a fare il comizio, capite?" ha spiegato poi ai suoi. "Il comizio, lui, a me, che faccio comizi da una vita". A Berlusconi, infatti, come altre volte, l’ex leader di An aveva spiegato che "non possiamo andare avanti così, a colpi di slogan, mentre tu ti occupi soltanto del governo e porti il Pdl ad appiattirsi sulle richieste della Lega. Non possiamo andare avanti così, con Calderoli che tra una canzone e una barzelletta mette sul piatto la riforma presidenziale di cui parliamo da anni. Con un partito nel quale il dibattito non esiste oppure viene criminalizzato, senza che si mettano a tema questioni fondamentali come quella della Sicilia, dove da un anno esistono due Pdl senza che il partito se ne occupi. Per non parlare del tuo Giornale, che mi dipinge come un traditore ogni giorno, e di tutte le decisioni che non hai condiviso".

La questione, a sentire coloro che con Fini hanno parlato prima dell’incontro, doveva aprire la strada anche a una ridiscussione dei pesi interni al Pdl, nel quale il teorico 70-30 da spartirsi tra ex Fi ed ex An si è di fatto trasformato, complici le defezioni dei La Russa, dei Gasparri e dei Matteoli, "in un 90 a 10 per Berlusconi". Ma non si è arrivati nemmeno a discutere di questo. Il Cavaliere, infatti, ha minimizzato ("la Lega la tengo sotto controllo io, e tu sarai il grande riformatore"), provocando la reazione di Fini. "Mi ha fatto la solita cantilena, come se nemmeno mi ascoltasse", ha spiegato poi. Ma non è più epoca di cantilene. Soprattutto per via del fantasma che il presidente della Camera ha visto alzarsi dietro la nenia berlusconiana: quello della marginalizzazione senza ritorno.

Da qui al concretizzarsi dei gruppi autonomi (Pdl-Italia, il nome) il passo è diventato improvvisamente brevissimo. Molti finiani si sono materializzati nello studio del presidente (tra i ministri, solo Ronchi). Ed è partita subito la conta. Alla Camera 50 e 18 al Senato, secondo la voce più accreditata (e più ottimistica, perché c’è chi cala a 45 e 8). Insieme a qualche defezione di presunti fedelissimi (Berselli, Gamba, Caruso e Gramazio), proprio da Palazzo Madama, dove per ammissione dei finiani "abbiamo problemi di numeri". Una strada che a prenderla sul serio non esclude nessuno scenario: perché, come ha detto Fini ai suoi "ho fondato un partito, sono pronto a fondarne un altro". Una strada che però è in stand by fino a lunedì. Nella speranza di una ricomposizione finale, che Fini coltiva, nonostante tutto.

16 aprile 2010

 

 

 

 

Bocchino-spiato sentito dal Copasir: "Servono accertamenti"

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

Un pasticciaccio. O meglio, dice un parlamentare "un pasticcino su cui tocca andare fino in fondo per chiarirne gli ingredienti". Ingredienti a dir la verità tutti dannatamente seri: sms di minacce, pedinamenti, denunce alla procura della Repubblica, richiesta di autorizzazioni alla Giunta della Camera e, ultima di ieri, la convocazione davanti ai membri del Copasir. Perché destinatari del pasticciaccio-pasticcino sono un parlamentare del calibro di Italo Bocchino, vicecapogruppo di maggioranza alla Camera, e addirittura - circostanza questa ancora meno chiara - il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il primo, Bocchino, destinatario di un sms ("bastardo agente segreto") ricevuto la sera del 31 gennaio alle 20.44 mentre era a Reggio Calabria.

Minacce che avrebbero riguardato altri due agenti dell’ex Sismi e a cui, secondo Bocchino, vanno sommati episodi di "pedinamento" che avrebbero riguardato anche il ministro Maroni (seguito da una macchina intestata all’Aise, l’ex Sismi). Dopo qualche giorno di galleggiamento della notizia tra le cose risibili e quelle serie, ieri il fatto ha trovato posto tra le cose possibili. E quindi da verificare come hanno cominciato a fare la procura della Repubblica di Reggio Calabria e il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copasir) presieduto da Massimo D’Alema. Il procuratore Pignatone ha chiesto e ottenuto dalla Camera il via libera per avere i tabulati del cellulare dell’onorevole Bocchino "limitatamente al periodo compreso tra le ore 20 e le ore 21 del 31 gennaio" per identificare "la cabina telefonica da cui è partito il messaggio, mezzo di pagamento e utilizzatore". Il Copasir ieri ha sentito per un’ora e mezza l’onorevole Bocchino.

Audizione al termine della quale è stato deciso, come ha detto Gaetano Quagliarello (Pdl), che ci saranno "ulteriori e necessari approfondimenti". Anche perché, ha aggiunto Ettore Rosato (Pd) "compito del Copasir è vigilare affinché non ci siano deviazioni nei servizi". Eccola qua la parola proibita: schegge di apparati che obbediscono a fini non leciti. Pronunciata dallo stesso Bocchino: "Esistono elementi che possono far pensare che tra gli 007 ci sia qualcuno sconfina in un’attività di controllo di soggetti istituzionali". Lo dice un parlamentare che è stato membro del Copasir. Lo ripete Briguglio, ex di An come Bocchino, e membro attuale del Comitato: "Bocchino è stato è stato vittima di attenzione illegale da parte di un pezzo dei servizi". Il Dis di Gianni De Gennaro, che controlla tutta l’intelligence, scrive comunicati per dire che "non risulta nulla". E che comunque "assumerà informazioni". Il sospetto è anche questo sia il prodotto dell’aria mefitica tra ex Fi e ex An. Per di più con un finiano come Bocchino.

16 aprile 2010

 

 

 

 

 

E al Cdm debutta il neoministro dell'agricoltura Galan

Stamattina al Quirinale ha prestato giuramento l'ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, neo ministro dell'agricoltura e delle politiche forestali. Galan prende il posto del leghista Luca zaia, eletto alla presidenza della Regione Veneto. Dopo la cerimonia, Berlusconi e Galan sono andati a Palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri. La prima uscita europea per il neoministro sarà lunedi' 19 aprile a Lussemburgo per la riunione del Consiglio dei ministri agricoli dell'Ue.

16 aprile 2010

 

 

 

 

pertura a Fini, scontro D'Alema-Franceschini

A Valmontone, al seminario dei Liberal Pd di Enzo Bianco, Massimo D'Alema parla per la prima volta dopo le regionali ma, al di là del giudizio sul risultato elettorale, a tenere banco e ad evidenziare le differenze di vedute dentro il partito è il botta e risposta con Dario Franceschini sul tema delle riforme e sull'evoluzione dello scenario politico, alla luce dello scontro dentro il Pdl tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Entrambi giudicano per ora imprevedibile il percorso che potrà prendere a livello istituzionale, ma sia il presidente del Copasir che il leader di area democratica vedono i rischi di una rottura nella maggioranza di governo, sul da farsi però hanno opinioni decisamente diverse: D'Alema, infatti, pensa che il bipolarismo sia fallito e di fronte al pericolo che "Berlusconi tenti di uscirne con una spallata plebiscitaria il Pd abbia il compito di aprire una fase nuova" che attragga chi oggi si sente "prigioniero nel Pdl". Quindi D'Alema suggerisce una "costituente democratica" che produca un sistema in grado di rappresentare realmente il paese e che perciò superi questo bipolarismo.

Franceschini, invece, pur giudicando vicina una rottura tra il premier e il presidente della Camera, sottolinea come anche con Casini accadde qualcosa di simile, ossia che Berlusconi non tollera le critiche ma osserva: "Ora c'è di mezzo la credibilità delle persone. Se Fini si piega anche questa volta sarà difficile dargli credito in futuro". Il capogruppo democratico non crede poi che il bipolarismo debba essere messo in discussione: "L'alternanza di governo va difesa, non è una cosa solo italiana, ma un sistema su cui tutte le democrazie si stanno assestando, lo abbiamo costruito con fatica in questi quindici anni e non va messo in discussione". Quanto al rapporto con il co-fondatore del Pdl, precisa: "Fini è un avversario, di una destra nazionale ma è e resterà un avversario, ci sono delle strade per superare i limiti di questo bipolarismo ma non possiamo tornare indietro per tattica o necessità".

D'Alema ha premesso, parlando della crisi nel Pdl, che "è imprevedibile" il suo esito ma poi ha aggiunto: "Sicuramente quello che accade tra Berlusconi e Fini è una rottura nettissima se si tradurrà in una rottura parlamentare a breve io credo di no, ma è un rischio che esiste di fronte al quale dobbiamo sviluppare un'azione politica all'altezza non solo della crisi di una formula di governo della destra, ma dell'esaurirsi di un certo tipo di bipolarismo e di una cultura della governabilità di cui anche noi ci dobbiamo liberare". L'ex premier nel suo ragionamento ha ricordato che anche nel centrosinistra spesso si è pensato che la maggiore governabilità e stabilità dei governi si traducesse in un maggior decisionismo, ma questo governo ha dimostrato il contrario: "La decisione non dipende solo dal grado di potere di un governo, soprattutto se si tratta di fare le riforme che cambiano il paese, che richiedono coinvolgimento e condivisione". D'Alema vede una crisi della politica attraverso la quale "rileggere anche il dato elettorale. Un grande partito non può sempre e soltanto parlare di se stesso - osserva - aiutato dai media Berlusconi ha potuto dire che aveva vinto ma non era vero e vorrei che Fini ci aiutasse a dire la verità, il partito di governo ha perso 2 milioni e 600mila voti".

Ma D'Alema non nasconde il fatto che gli elettori non vedano ancora nel Pd un'alternativa, di qui l'aumento dell'astensionismo e il rafforzamento della Lega. Ma il problema del bipolarismo riguarda anche il centrodestra e, avverte l'ex premier, "Berlusconi può essere tentato di uscire da questa crisi con una spallata plebiscitaria" perciò "bisogna rompere questa gabbia, se noi abbiamo una proposta di rinnovamento sistemica daremo aria a chi è prigioniero del Pdl incoraggiando un processo politico nuovo, se invece da questa parte non facciamo che ributtarli indietro la crisi resterà sotto l'egida di Berlusconi".

D'Alema non parla di sistemi elettorali o di riforme costituzionali nel merito ma osserva, interrogato dal moderatore, che "il sistema francese applicato in Italia rischia di cancellare l'unica istituzione al di sopra delle parti, il presidente della Repubblica, e di farlo diventare parte della contesa indebolendo la coesione nazionale". Quello che però ci tiene ad evidenziare è che il Pd deve avere "una capacità di iniziativa, deve stare in campo, solo così Fini e Casini discuteranno con noi, perciò - aggiunge riferendosi al dibattito interno - usciamo dalla discussione falsa di progetto e alleanze sennò ci porteranno alla neuro. È evidente che se non hai il progetto non hai neanche le alleanze e che se hai le alleanze hai anche il progetto, sono due facce dello stesso problema".

Franceschini ritiene invece che "alleanze e progetto stanno insieme ma non sempre è vero che se hai il progetto vengono da sole perché in passato abbiamo fatto le alleanze e poi chiesto a tutti di scrivere il programma evidenziando così l'eterogeneità dei punti di vista. Questo non significa pensare di vincere da soli ma che il Pd deve avere un suo disegno di cambiamento del paese attorno a cui costruire le alleanze". Il capogruppo democratico non pensa infatti che si possa recuperare gli astensionisti proponendo delle alleanze e aggiunge che "gli italiani non si aspettano da noi risposte di ingegneria elettorale ma che riprendiamo le ragioni per cui questo partito è nato". Quanto alla crisi nella maggioranza, Franceschini pensa che "se ci fossero elezioni anticipate per imporre il modello presidenziale allora scatterebbe un'emergenza democratica in cui coinvolgere tutte le forze politiche per una battaglia a difesa della democrazia".

È su questo punto che D'Alema ha replicato giudicandolo "contraddittorio: l'emergenza democratica c'è già, serve oggi una risposta, non credo che arriveremo normalmente alle elezioni, è in campo una riforma costituzionale e l'ipotesi di un referendum, questo è il tema, dobbiamo stare attenti, io non sono mai stato favorevole ad enfatizzare la minaccia per la democrazia ma il rischio c'è". Quindi il presidente del Copasir ha ricordato che "Fini è un attento interlocutore non solo per quanto riguarda le formule e il rapporto con Berlusconi, su diverse questioni delicate come l'immigrazione e la bioetica abbiamo una dialettica di contenuto".

Infine, D'Alema ha voluto puntualizzare a Franceschini che "non c'è nel partito chi si occupa di contenuti e chi di alleanze e alchimie, dal lavoro della mia fondazione è arrivato il contributo più imponente sulle proposte programmatiche ma spesso abbiamo difficoltà ad avere posizioni innovative a causa del dibattito interno e della libertà di coscienza". E sul sistema elettorale, D'Alema ha ricordato che "questo tipo di maggioritario che premia il massimo assemblaggio dà un potere di ricatto alle forze minori che non c'era nella prima Repubblica".

16 aprile 2010

 

2010-04-15

Fini, aria di rottura con Berlusconi: "Pronto a fare gruppi autonomi". "Se lo fai lasci la guida della Camera"

Aria pesantissima, a un passo dalla rottura nel vertice tra il premier Silvio Berlusconi ed il presidente della Camera Gianfranco Fini. Quest'ultimo - riferiscono fonti di maggioranza - ha esplicitamente detto che è pronto a costituire suoi gruppi autonomi in Parlamento, accusando governo e Pdl di andare a traino della Lega. Il premier Berlusconi - riferiscono le stesse fonti - avrebbe chiesto 48 ore di riflessione. L'incontro tra i due leader si è svolto oggi a pranzo a Montecitorio, dopo essere stato più volte rinviato e soprattutto dopo che il premier aveva già visto Umberto Bossi 8che ha commentato: "Il vertice? L'abbiamo già fatto a palazzo Chigi"). Il faccia a faccia è durato due ore e al termine nessuno dei due ha rilasciato dichiarazioni, segnale chiaro che le cose erano andate male. "Ho mangiato benissimo", si è limitato a commentare sorridente Berlusconi lasciando lo studio di Fini al termine del pranzo. Ai cronisti che insistevano per sapere come fosse andato l'atteso incontro, il premier ha detto senza perdere il sorriso: "Non mi pronuncio". Il Cavaliere era accompagnato dal sottosegretario alla presidenza Gianni Letta e dal consigliere Sistino Giacomoni.

L'ultimatum di Fini "Fini chiede a Berlusconi di scegliere in modo chiaro se continuare a costruire il Pdl con lui o se preferirgli invece il rapporto con Umberto Bossi", ha raccontato una fonte vicina alla componente di An nel Pdl. Secondo la fonte "non siamo alla rottura, ma dipenderà da cosa succederà nelle prossime ore". In queste ore Fini ha riunito gli uomini a lui più vicini. Nello studio della terza carica dello Stato sono giunti il presidente vicario del Pdl a Montecitorio Italo Bocchino, il vicecapogruppo Carmelo Briguglio, il viceministro e segretario generale di FareFuturo Adolfo Urso e il sottosegretario all'Ambiente Roberto Menia. Alla riunione in corso nello studio del presidente della Camera sono successivamente arrrivate anche la presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno e il direttore del 'Secolo d'Italià anch'essa parlamentare Pdl vicina a Gianfranco Fini, Flavia Perina.

"Ho fondato un partito, sono pronto a rifondarne un altro". Per ora l'intenzione di Gianfranco Fini è quella di dar vita ad un gruppo (si contano 50 deputati e 18 senatori), ma il presidente della Camera con i suoi fedelissimi non ha escluso nessuna ipotesi in futuro. "Se l'unico modo di ottenere le cose è fare come la Lega allora anche noi ci travestiamo da lupi, saremo una forza di lotta e di governo", ha spiegato durante la riunione con i suoi. Il primo passo è 'Pdl Italià, ma messo alle strette ogni scenario è possibile, anche quello esposto da diversi finiani della creazione di un partito delle riforme, un 'partito della nazionè che coinvolga i delusi del Pdl, i rappresentanti del centro e una parte della sinistra. "Noi - riferisce per esempio una fonte parlamentare dell'Udc - siamo pronti a considerare l'eventualità di sancire un patto per il Paese". Tuttavia anche dopo il braccio di ferro con Berlusconi dalla presidenza della Camera filtra ancora la speranza che il Cavaliere possa riconsiderare le proprie posizioni e si ribadisce la lealtà verso l'esecutivo. E soprattutto non si crede affatto nella eventualità di un voto anticipato, anche perchè - fanno notare fonti parlamentari - Napolitano non scioglierebbe mai le Camere. "Certamente - ha spiegato Fini ai suoi - non siamo noi i traditori del patto. Ma sono stanco di essere preso in giro, Berlusconi è venuto da me solo per fare retorica...".

La terza carica dello Stato ha meditato a lungo se fare o meno lo strappo. È consapevole della posizione delicata che occupa: "Ma - ha osservato secondo quanto viene riferito - questa volta non è in gioco il futuro di Gianfranco Fini, è in gioco il futuro del Paese". Di questo passo - è il ragionamento - avremo l'avanzata degli unni in tutta l'Italia... Tante le richieste dell'ex leader di An. Lo scoglio più grande è appunto il rapporto con il Carroccio, l'appiattimento del Pdl a Bossi. Poi il partito: Fini chiede un azzeramento dei vertici di via dell'Umiltà e la convocazione degli organi. "Questa situazione va avanti da troppo tempo, non ci sto più", è sbottato il presidente della Camera con il premier, "non è possibile che tu mi faccia vedere la bozza delle riforme come se fossi l'ultimo dei deputati". Fini, dunque, ha chiesto una discontinuità suil metodo e sui contenuti della politica del Pdl, Berlusconi ha preso tempo. "Vedremo cosa risponde, ma dobbiamo essere pronti a tutto", ha sostenuto l'ex leader di An.

 

Schifani: se divisi si va al voto Sulla crisi nel Pdl interviene il presidente del Senato Schifani: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori e ripresentarsi a questi con nuovi progetti ed eventualmente con nuove alleanze ove necessarie". Schifani sottolinea che questo "è un concetto che già ho ribadito in epoca non sospetta" e lo ripeto perchè "leggo in queste ore della costituzione di eventuali gruppi diversi da quelli del Pdl". Replica il finiano Bocchino: "Il presidente del Senato Schifani sa bene che ai sensi della Costituzione attualmente vigente in Italia si va alle elezioni anticipate soltanto in caso di assenza di una maggioranza e non quando emergono divisioni interne alla maggioranza. Val la pena ribadire che nessun parlamentare vicino al Presidente Fini farà mai mancare la fiducia al governo Berlusconi in base al mandato ricevuto dagli elettori".

 

La replica del Cavaliere "Rifletti bene su questa decisione di dar vita a gruppi autonomi perchè se lo farai l'inevitabile conseguenza dovrebbe essere quella di dover lasciare la presidenza della Camera". Silvio Berlusconi, a quanto riferiscono fonti della maggioranza, avrebbe replicato così al presidente della Camera, Gianfranco Fini, che nel corso del pranzo a Montecitorio avrebbe ventilato l'ipotesi di dar vita a gruppi autonomi. All'avvertimento del cavaliere, stando alle stesse fonti, Fini si sarebbe riservato di comunicare una decisione entro la prossima settimana.

"Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perchè così hanno voluto gli italiani. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perchè ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al Presidente Berlusconi". È quanto afferma Gianfranco Fini in una nota dopo il colloquio con Silvio Berlusconi. Ora Berlusconi "ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni".

Fonti del Pdl spiegano poi che "non c'è stato alcun ultimatum del presidente Fini al premier Berlusconi. Fini è ovviamente libero di prendere tutte le decisioni che ritiene più opportune e che, su invito del presidente Berlusconi, si è riservato di comunicare la prossima settimana. Sempre fonti della maggioranza riferiscono che il presidente Berlusconi non ha mai invitato il presidente Fini a lasciare la presidenza della Camera. Ma Bocchino conferma la sostanza dell'incontro: "I gruppi autonomi possono esserci nel caso dovessero arrivare risposte negative ai problemi che sono stati posti", ha detto. Il vicecapogruppo del pdl, rispondendo ad una domanda, ha poi detto che l'ipotesi di una eventuale crisi di governo "è da escludere categoricamente".

La reazione dei coordinatori Pdl "Le recenti elezioni regionali e amministrative hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, un traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità ed intelligenza, hanno premiato l'azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso e dell'ulteriore rafforzamento del nostro partito. Da queste inoppugnabili considerazioni nasce la nostra profonda amarezza per l'atteggiamento di Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano". È quanto si legge in una dichiarazione congiunta dei coordinatori del Pdl, Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini, al termine del vertice a Palazzo Grazioli con il premier Silvio Berlusconi.

 

Le opposizioni "Sotto queste tensioni ci sono problemi molto seri. Innanzitutto il distacco profondo tra le politiche del governo e i problemi economici e sociali e le confuse prospettive di riforma evidentemente non condivise". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a proposito delle tensioni interne al Pdl tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. "La verità è che su temi di fondo del Paese, questo è sempre stato un governo senza decisioni e che a furia di decreti e voti di fiducia i problemi politici non si risolvono", conclude Bersani.

"Per il bene del Paese prima ci liberiamo del sistema piduista, che sta portando avanti Berlusconi nel governare non solo il Paese, ma anche nel guidare il Parlamento, meglio è. Mi fa piacere che lo abbia capito anche Fini e mi auguro che la prossima volta lo capiscano anche gli italiani". È il commento alla notizia sulla possibile formazione di gruppi autonomi da parte dei deputati finiani rilasciato dal leader Idv Antonio Di Pietro ai microfoni del Tg3.

15 aprile 2010

 

 

Berlusconi vuole tutto per sé. Ma la Lega ipoteca il 2013

di Ninni Andriolotutti gli articoli dell'autore

Prima Bossi poi Fini. Ieri il Senatur e solo oggi il Presidente della Camera. Spiegano dal Pdl che il pranzo a due "tra Silvio e Gianfranco era fissato da tempo", peccato che lo staff finiano non ne fosse così sicuro e abbia atteso per ore un appuntamento certo. Berlusconi mette in attesa il cofondatore e dà precedenza la leader del Carroccio. E al di là del gran darsi da fare per far coincidere le agende, quel prima Bossi e poi Fini la dice lunga sulle precedenze politiche che vuol marcare il Cavaliere appena rientrato da Washington. Il sospirato vertice - il primo dopo il voto e a molti giorni dal 28 marzo - alla fine si farà. Parlare di disgelo, però, a meno di colpi di scena, sarà arduo facendo l’elenco dei conti in sospeso del premier nei confronti di "Gianfranco" che gli "fa il controcanto". Ultimo in ordine di tempo il battibecco sul semipresidenzialismo alla francese che il Presidente della Camera vorrebbe doppio e Silvio vedrebbe "a turno unico" con "porcellum" immutato.

BOSSI: NIENTE FED CON IL PDL "La legge elettorale non si tocca, mica si può cambiare sempre...", spiega Bossi dando un’altra mano d’aiuto al Cavaliere, mentre l’ex leader di An incita il Pdl a "non appiattirsi sulla Lega". Prima di giungere a Palazzo Grazioli, ieri, il numero uno del Carroccio si è fatto precedere, ieri, da un annuncio niente male. Perché ha chiesto, nell’ordine: "le banche più grosse del Nord", "assessori in Lombardia e Veneto", un premier leghista nel 2013 "perché tutto è possibile" e un sottosegretario "forte" per risarcire la Lega dell’avvicendamento all’Agricoltura tra il Pdl Galan e il leghista Zaia (che si erano già avvicendati alla Regione Veneto). Vista l’aria che tirava tra Calderoli e il Pdl dopo la visita al Quirinale benedetta a metà dal Cavaliere, Bossi è sceso in campo di persona per fare "il garante" delle riforme leghiste, come aveva promesso dopo l’avanzata al nord, mentre annunciava un sindaco padano a Milano dando il preavviso di sfratto alla Moratti. E il pressing del Carroccio per far passare la sua "bozza" di riforme in casa Pdl si è concretizzato ieri in un incontro tra Calderoli, Verdini, Bondi e La Russa. Non perché siamo alla vigilia della federazione Pdl-Lega vagheggiata da qualche esponente azzurro per stuzzicare Fini. Il Carroccio "sta da solo", taglia corto Bossi.

SILVIO PENSA AL PREMIERATO Il fatto è che indeciso per settimane tra elezione popolare del premier o del presidente della Repubblica, Berlusconi sembra propendere in queste ore - ma senza fretta - più per la prima che per la seconda. Per una sorta di "premierato forte" a legge elettorale invariata, cioè, che potrebbe riecheggiare alla lontana quella bozza Violante che piacerebbe al Pd e ad altre parti dell’opposizione. Bersani, però, ieri è tornato a definire "impotabile" la Calderoli, mettendo l’accento sulla distanza che divide i poli sulle riforme. Bossi, da parte sua - accompagnato ieri a Palazzo Grazioli dal figlio Renzo - cerca di superare le ritrosie del Cavaliere, propenso a dare la precedenza alla giustizia e al fisco per spostare più in là una riforma costituzionale che fa poca audience nell’opinione pubblica. Il Senatur, in realtà, si sta spendendo di persona per spingere "l’alleato" sul sentiero di modifiche istituzionali che ruoti attorno al federalismo. Ipotizza bandierine leghiste un po’ dappertutto - perfino a Palazzo Chigi - pronto, domani, a una trattativa "ragionevole" che - senza intralciare i disegni del Cavaliere alleato - possa avvantaggiare il Carroccio in un modo o nell’altro.

RIMPASTO DI GOVERNO Ma a cena da Berlusconi, approfittando della presenza di Zaia e Galan, con Bossi si è discusso ieri sera anche di rimpasto di governo. Fabrizio Cicchitto al governo e Sandro Bondi coordinatore unico del Pdl? Le voci che si susseguono sul balletto ministeriale in calendario sono molte, anche quella - ormai consueta - di Letta vie premier. "Meglio si tocca e meglio si va", mette in guardia però il Cavaliere.

15 aprile 2010

 

 

 

"Finiani" verso nuovo gruppo: "Potremmo essere in 70"

"Allora sei pronto?", "Per che cosa?", "Tu dimmi solo se sei pronto". Con questo scambio di battute, pronunciate col sorriso sulle labbra, il presidente della Camera, si è rivolto a uno dei parlamentari che hanno partecipato al vertice dei "finiani" che ha sancito l'ipotesi di dar vita ad un gruppo parlamentare autonomo rispetto al Pdl. Le cifre fornite dai partecipanti riguardo alle adesioni al nuovo gruppo sono le più diverse: di certo, assicurano, ci sono ampiamente i numeri per formare un gruppo sia alla Camera che al Senato, quindi 20 deputati e 10 senatori.

Ma c'è chi si spinge ad assicurare che la truppa "finiana" sarà molto più nutrita, addirittura composta da una settantina di parlamentari, tra Camera e Senato, che saranno contattati direttamente in queste ore, prima dello scadere delle 48 ore di tempo che Fini e Berlusconi si sarebbero dati per risolvere le tensioni. Tensioni, ribadiscono parlamentari vicini all'inquilino di Montecitorio, che sarebbero in gestazione da tempo. E che riguardano principalmente due punti: la gestione del partito "che di fatto non esiste" e un governo sempre più a "trazione leghista". Punto, quest'ultimo, accentuato dalla netta affermazione del Carroccio alle ultime regionali. Nel partito non si discute - accusano i deputati - non esistono gli organi dirigenti, alcuni dei quali non sono mai stati neppure convocati.

Durante l'incontro tra Fini e Berlusconi, secondo quanto riferito, il premier avrebbe rassicurato il presidente della Camera sulla sua capacità di mediazione e sul fatto che "non è vero che la Lega conta più del Pdl, perchè sono a io a guidare l'esecutivo". Ma la diffidenza dell'inquilino di Montecitorio sarebbe emersa tutta. Dunque l'esito dello scontro sembrerebbe inevitabile: scadute le 48 ore di "cessate il fuoco", un nuovo gruppo parlamentare di estrazione finiana vedrà la luce. Il nome che dovrebbe essere imposto al nuovo gruppo dovrebbe essere quello di "Pdl-Italia". Nessuna conseguenza sulla tenuta del governo, assicurano infine i deputati finiani, ma di certo sarà un duro colpo per la tenuta del partito. Anche, spiega a sera un parlamentare ex An, a costo di tornare a rifare Alleanza Nazionale. Operazione, assicura, che "susciterebbe un grande entusiasmo".

15 aprile 2010

 

 

il SOLE 24 ORE

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2010-05-06

 

 

 

 

 

2010-05-05

Verdini indagato per corruzione in un'inchiesta sugli appalti in Sardegna

5 maggio 2010

Appalti G8: Denis Verdini indagato per corruzione

Il parlamentare del Pdl, Denis Verdini, è indagato per il reato di corruzione nell'ambito dell'inchiesta su un presunto comitato d'affari che coinvolge, tra gli altri l'imprenditore Flavio Carboni. L'iscrizione di Verdini sul registro degli indagati è stata decisa dai responsabili degli accertamenti, i pm Ilaria Calò, Rodolfo Sabelli ed il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Nei giorni scorsi è stata anche perquisita la sede del Credito cooperativo fiorentino, di cui Verdini è presidente.

Oltre a Carboni, nelle scorse settimane hanno ricevuto l'avviso proroga dell'inchiesta altre quattro persone: il costruttore Arcangelo Martino; Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias; Ignazio Farris, consigliere dell'Arpa Sardegna; e un giudice tributario, Pasquale Lombardo. Molte delle ipotesi accusatorie sarebbero basate su intercettazioni, ma anche su un giro di assegni. Per questo si è proceduto al controllo dell'istituto di credito e di conti lì intestati. Le verifiche dei magistrati e dei carabinieri, sarebbero concentrate su diversi appalti pubblici, tra cui alcuni in Sardegna, connessi allo sviluppo di energie alternative.

D'Alema s'infuria a Ballarò

VIDEO / D'Alema a Ballarò

IL PUNTO / Il caso Scajola lascia un'ombra sul governo. E Berlusconi lo sa (di Stefano Folli)

Scajola si dimette. Berlusconi prende l'interim del ministero

La seconda sconfitta del ministro di Imperia (di Gerardo Pelosi)

REAZIONI / Gasparri: che coraggio. Bersani: difesa che sconcerta

SUCCESSORE PROBABILE / Romani cresciuto a pane e tv (di Marco Mele)

Nell'indagine sarebbero 30 i politici coinvolti

VIDEO / Le dimissioni di Scajola (da C6.tv)

5 maggio 2010

 

STEFANO FOLLI

Il caso Scajola lascia un'ombra sul governo. E Berlusconi lo sa

5 maggio 2010

In una futura antologia delle battute più felici pronunciate da Silvio Berlusconi non troverà posto la frase di ieri: "In Italia di libertà di stampa ce n'è fin troppa". L'argomento è di quelli su cui un politico non dovrebbe scherzare troppo. Soprattutto nelle stesse ore in cui un importante ministro del suo governo si dimette accusando i giornali di averlo sottoposto a "un processo mediatico". Si deve rispettare la sofferenza umana di Claudio Scaloja e il suo gesto dignitoso, da uomo che ha compreso l'inutilità dei rinvii. Specie alla luce della scarsissima solidarietà raccolta nel suo partito, dove tanti lo consideravano già liquidato ormai da un giorno o due. Ma al tempo stesso è opportuno ricordare al presidente del Consiglio e allo stesso ministro dimissionario che non c'è stata alcuna "gogna mediatica". I giornali hanno svolto la loro funzione civile man mano che emergevano particolari inquietanti e paradossi inspiegabili intorno alla strana compravendita dell'appartamento con vista sul Colosseo.

Il responsabile dello Sviluppo economico, che tuttora non risulta indagato, avrà ora modo di spiegarsi con i magistrati e di difendersi in ogni sede. Ma dal punto di vista politico la sua permanenza in carica non aveva più senso. E anzi gettava un'ombra obliqua sull'intero governo, nonché sul partito di maggioranza relativa. Con la solita abilità tattica, il premier lo ha compreso prima di altri. Ed è corso ai ripari, facendo capire a Scajola che era giunta l'ora del ritiro.

Questo non significa che la vicenda sia chiusa. Al contrario, l'incidente è grave, ma non solo: quel che è peggio, potrebbe essere l'avvisaglia di una valanga che sta rotolando a valle. Se davvero un "sistema" limaccioso operava nell'ombra, con le sue reti di complicità e il tornaconto di tanti, il caso Scajola potrebbe essere il primo episodio di una storia ancora da scrivere.

Forse anche per questo Berlusconi ha deciso di tagliare corto, pur sapendo che la credibilità del governo ne sarebbe stata comunque incrinata. Ma sotto il profilo politico la tentazione di minimizzare, o peggio l'omertà, era con tutta evidenza una scelta suicida.

Ora si tratta di gestire le conseguenze della vicenda. Non sarà semplice per Palazzo Chigi. In primo luogo, come si è detto, si tratta di capire se le inchieste giudiziarie (e giornalistiche) riserveranno altre sorprese. In secondo luogo c'è da scegliere il nuovo ministro: operazione che rientra nella potestà di Berlusconi e che non dovrebbe dar luogo a problemi irrisolvibili. Molto più difficile sarà affrontare il terzo punto: la questione della legalità e della trasparenza, la lotta alla corruzione.

La corrente che fa capo al presidente della Camera sta già sollevando una bandiera su cui campeggia il motto "Legge e Ordine". Lo strumento di questa battaglia insidiosa, da combattere tutta all'interno del Pdl, è proprio il disegno di legge sulla corruzione: annunciato più che altro per ragioni elettorali all'inizio di marzo e poi inabissatosi, anche per difficoltà tecniche. Fini e i suoi hanno deciso di farne un vessillo. Con un messaggio chiaro: da un lato ci sarebbero quelli che vogliono limitare le intercettazioni e ostacolare la magistratura; dall'altro quelli che intendono combattere sul serio i fenomeni di collusione fra politica e affari. E i due "partiti" convivono all'interno del Pdl. L'affare Scajola equivale a benzina gettata sul fuoco. E Berlusconi ne è consapevole

 

2010-05-04

Il ministro Scajola si è dimesso, la solidarietà del premier

di Nicoletta Cottone

4 maggio 2010

Scajola si è dimesso

Per il Cavaliere l'ex ministro ha dimostrato lasciando l'incarico di governo il suo "alto senso dello Stato". In una conferenza stampa Scajola ha detto: "Per difendermi non posso continuare a fare il ministro"

Si è dimesso il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. "Per difendermi non posso continuare a fare il ministro", ha detto, annunciando le sue dimissioni nel corso di una conferenza stampa convocata questa mattina, alle 11,30, nella sede del ministero di via Veneto. Il ministro dimissionario ha incontrato nel pomeriggio il premier a Palazzo Chigi. "Il ministro Scajola - ha scritto in una nota il premier - ha assunto una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito".

Ha lasciato l'incarico, ha detto Scajola nel corso della conferenza stampa, perché "convinto di essere estraneo a questa vicenda e sicuro che sarà dimostrato, ma poiché considero la politica un'arte nobile, per esercitarla bisogna avere le carte in regola, senza sospetti". Le sue dimissioni, ha precisato, "permetteranno al governo di andare avanti". L'ex ministro ha detto di essere al centro di "una campagna mediatica senza precedenti, su una inchiesta giudiziaria nella quale non sono indagato", di trovarsi "quotidianamente esposto a ricostruzioni giornalistiche di cui non conosco il contenuto e che sono contraddittorie tra di loro. In questa situazione di grande sofferenza e che non auguro a nessuno, io mi devo difendere". Dopo queste dichiarazioni Scajola è andato via dalla sala del Parlamentino, dove si svolgeva la conferenza stampa, senza rispondere alle domande dei giornalisti presenti.

Scajola è chiamato a rispondere dell'acquisto di un appartamento con vista sul Colosseo che, secondo le carte in possesso della procura di Perugia, risulterebbe pagato in parte con 900mila euro di fondi in nero girati dall'imprenditore Diego Anemone, coinvolto nell'inchiesta sul G-8 alla Maddalena. Si tratta di un appartamento di 180 metri quadrati, di 9,5 vani, acquistato da Scajola dalle sorelle Barbara e Beatrice Papa il 6 luglio del 2004, dichiarato nell'atto notarile per 610mila euro, che sarebbe invece stato pagato 1,7 milioni di euro. Dagli accertamenti bancari risulterebbe che per l'acquisto della casa sarebbero stati utilizzati anche 80 assegni, secondo la procura di Perugia, ottenuti dall'architetto Angelo Zampolini, progettista del gruppo Anemone, versando 900mila euro in contanti presso una delle agenzie della Deutsche Bank, intestati direttamente alle proprietarie dell'abitazione. L'ex ministro sarà sentito il 14 maggio prossimo dai pubblici ministeri come persona informata dei fatti, cioè in qualità di testimone.

La vicenda è stata definita dal ministro "un vero e proprio processo mediatico" che ha come unico scopo quello di "infangarlo". Scajola nel corso della conferenza stampa ha detto che "un ministro non può sospettare di abitare in un'abitazione in parte pagata da altri". Sarebbe questa la "motivazione più forte" che lo avrebbe indotto ad annunciare le sue dimissioni. Scajola ha detto che se dovesse acclarare che l'abitazione "fosse stata in parte pagata da altri senza saperne il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciteranno le azioni necessarie per l'annullamento del contratto di compravendita".

L'ex ministro era rientrato ieri sera a Roma da una missione in Tunisia, in anticipo rispetto al programma che prevedeva il suo ritorno per oggi. Stamane avrebbe avuto un colloquio telefonico con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel quale il premier lo avrebbe invitato a non lasciare l'incarico. Il tam tam sulle possibili dimissioni di Scajola circolava da giorni. L'ex ministro aveva anche annunciato di voler riferire sulla vicenda in parlamento solo dopo aver parlato con i magistrati di Perugia "come persona informata dei fatti".

4 maggio 2010

 

 

La seconda sconfitta del ministro ligure

di Gerardo Pelosi

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4 maggio 2010

"Dai nostri archivi"

Scajola prima dai pm poi in aula

Il ministro Scajola si è dimesso, la solidarietà del premier

Due settimane di attesa per i chiarimenti sono troppe

Scajola: "Colpita la famiglia, ma ho la coscienza pulita"

Scajola in bilico. Oggi faccia a faccia con Berlusconi

 

ROMA- "Mi piacciono le cose che funzionano" avrebbe detto a chi lo interrogava sullo stato di efficienza della collezione di auto e moto d'epoca chiuse nel garage della sua villa, sulle colline di Imperia. Un decisionista nato Claudio Scajola, semplicemente "u ministru" come la chiamano a Imperia o "sciaboletta" come è conosciuto a Roma. Ma sempre e comunque interprete perfetto dello "zeitgeist" dominante. Doppiopetto prima e doppiopetto ora. Con pochissime concessioni al gusto cambiato.

Cresciuto all'ombra del ras della dc ligure, Paolo Emilio Taviani, gli anni '80 e '90 lo vedono amministratore pubblico e sindaco di Imperia. Poi coinvolto nella vicenda per l'appalto del Casinò di Sanremo, indagato dal procuratore di Milano Piercamillo Davigo e recluso per 70 giorni a San Vittore, quindi prosciolto. Infine, nel '95, approda a Forza Italia dove Silvio Berlusconi, che apprezza tutto quel decisionismo, lo nomina responsabile dell'organizzazione del partito. Il suo lavoro piace e gli vale la poltrona di ministro dell'Interno dopo le elezioni del 2001. La prova del fuoco è il G8 di Genova. Al consiglio europeo di Goteborg, un mese prima, era rimasto sull'asfalto un dimostrante ferito dalle forze dell'ordine. "Non voglio che accada a Genova una cosa simile" ammonisce il "cavaliere". Il capo della polizia, Gianni De Gennaro, lo rassicura: "Il nostro modus operandi è totalmente diverso da quello della polizia svedese". Sta di fatto che a Genova ci scappa il morto, Carlo Giuliani. Scajola ammette di avere dato l'ordine di sparare se fosse stata sfondata la zona rossa. Poi ritratta. Ma sotto accusa è De Gennaro per il quale si pensa a un ben retribuito esilio in un ufficio Onu contro la droga (ma il segretario Kofi Annan non ci sta a togliere le castagne dal fuoco al governo Berlusconi).

Si arriva al 2002 e all'assassinio del giuslavorista Marco Biagi, professore dell'Università di Modena, consulente prima del ministro del Lavoro Bassolino e poi del successore Roberto Maroni. Divampa la polemica sulla scorta negata. Il 29 giugno del 2002 nella stazione della polizia marittima di Limassol appena chiusa la conferenza stampa che annuncia la consegna di nuovi pattugliatori italiani alla marina cipriota in funzione anti-immigrazione, Scajola parla del terrorismo che tornerà a colpire. Ma a Bologna, chiediamo al ministro l'inviato del Corriere Dino Martirano e chi scrive, se ci fosse stata la scorta Biagi non sarebbe stato colpito. Aggiungo: "Si ricorderà, ministro, che nel processo Moro è agli atti che numerosi br pentiti o dissociati ebbero a spiegare che il loro obiettivo iniziale da colpire era Andreotti che già all'epoca si serviva di un'auto blindata mentre il capo scorta di Moro, maresciallo Leonardi usava la Fiat 130 di serie perché riteneva le blindate poco affidabili; di lì la scelta di colpire Moro; quindi le protezioni un risultato di deterrenza ce l'hanno comunque". "Allora dovremmo difendere tutti quanti" risponde indispettito il ministro. E io ribatto: "Ma Biagi non era uno qualunque, aveva scritto il libro bianco, era consulente del ministro del Welfare, della Cisl della Confindustria... era una figura centrale nel dibattito sulle riforme..".

Scajola ha un abito leggero color panna. È senza cravatta e ha la giacca appesa a un dito dietro le spalle. Non risponde al momento. Fa per andarsene. Poi ci ripensa e si para nuovamente davanti a noi: "Ma quale figura centrale – ci dice - fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva solo il rinnovo del suo contratto di consulenza". Interviene il suo addetto stampa Roberto Arditti, lo sottrae a qualunque ulteriore spiegazione e ci dice: "Adesso basta, il ministro deve imbarcarsi, lo aspettano sulla motovedetta Odysseus". La navigazione è tranquilla fino all'approdo. Poi colazione al ristorante Zephiros di Limassol. Nessuno torna più su Biagi, tantomeno Scajola che forse avrebbe potuto aggiungere dettagli e spiegare il senso delle sue dichiarazioni.

Poi qualche giorno di buriana fino alle dimissioni. Ma nessuno fa quello che Scajola aveva suggerito: chiedere lumi a Maroni che in effetti si era servito dell'opera di Biagi ma dopo molte diffidenze. Curioso che sia stato proprio Maroni, nell'ultima vicenda dell'appartamento pagato in nero, il più impegnato a difendere Scajola.

Una cosa è certa: queste seconde dimissioni, così come le prime non coincideranno affatto con la morte politica di Scajola. Lui continuerà a svolgere per il "capo" ossia per Berlusconi il ruolo che gli spetta nel partito pronto a rientrare in una responsabilità di governo se e quando le circostanze lo consentiranno. Per ora si tratta solo di uscire momentaneamente di scena. E consolarsi, magari, lucidando le auto d'epoca nel garage della villa di Imperia.

4 maggio 2010

 

 

 

 

Le reazioni al caso Scajola

Gasparri: "Coraggio da apprezzare"

Bersani: "Difesa che sconcerta"

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4 maggio 2010

"Dai nostri archivi"

Il ministro Scajola si è dimesso, la solidarietà del premier

Scajola prima dai pm poi in aula

Scajola: non mi faccio intimidire

La seconda sconfitta del ministro ligure

Due settimane di attesa per i chiarimenti sono troppe

"Ho appreso delle dimissioni di Scajola dalle agenzie di stampa. Lui le ha motivate con la volontà di difendersi più liberamente svestito dal ruolo istituzionale. Penso sia un gesto che si è determinato per rendere un servizio al Paese". Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano, commenta le dimissioni del ministro Scajola, parlando a Napoli a margine di un appuntamento alla Corte d'appello. A chi gli chiede se questo gesto sia un'assunzione di responsabilità, Alfano risponde che "assolutamente no se si intende il riconoscimento del torto. Se invece si intende un gesto che gli consente di difendersi di fronte all'opinione pubblica, di fronte a un attacco derivato dalle notizie pubblicate dai giornali e di parlare svestito della carica governativa di fronte al giudice, allora sì". Il ministro aggiunge ancora che Scajola "ha compiuto una scelta che lo pone come un cittadino che intende difendersi", conclude.

Cicchitto (Pdl): Solidarietà per la sentenza mediatica"

"Ribadisco la mia solidarietà al Ministro Scajola e gli esprimo il più forte augurio che le sue dimissioni servano a chiarire tutta la situazione visto che esse avvengono in una situazione singolare perchè le comunicazioni giornalistiche e mediatiche hanno largamente prevalso sul confronto propriamente giudiziario che invece avverrà nel futuro". Lo afferma in una nota il presidente dei deputati del pdl, Fabrizio Cicchitto, sottolineando come "negli anni passati la 'sentenza anticipatà ha rappresentato uno degli elementi pi— inquietanti della vicenda italiana".

Gaparri (Pdl): "Apprezziamo il suo coraggio"

Il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, "prende atto" della decisione del ministro Pdl Claudio Scajola di rassegnare le dimissioni in seguito al suo coinvolgimento nell'inchiesta di Perugia sul G8. "Decisione sofferta - commenta Gasparri - apprezziamo il suo coraggio di assumersi questa responsabilità prima ancora che la vicenda desse luogo ad accuse".

"Ci auguriamo - aggiunge Gasparri, fermato dai cronisti al termine della conferenza dei capigruppo - che possa dimostrare la sua totale estraneità alla vicenda". Quanto all'ipotesi che le dimissioni possano essere respinte, Gasparri ne dubita: "Io credo che se Claudio ha assunto questa decisione ed ha mostrato questa determinazione, non lo ha fatto per compiere un ato solo formale. Poi ovviamente il presidente del Consiglio farà le sue valutazioni, ma Scajola ha voluto distinguere la sua ottima azione di governo da questa vicenda da cui penso che uscirà a testa alta".

Bersani: "Sconcertato, forse esistono benefattori sconosciuti"

"Tutto questo ci lascia veramente sconcertati: questo mi viene da dire, ascoltato le parole di Scajola". Lo ha detto il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, commentando le parole di Scajola a proposito della possibilità che il suo appartamento sia stato pagato da altri a sua insaputa. "Ne abbiamo viste tante - ha aggiunto riferendosi alle parole del ministro in conferenza stampa sull'acquisto del suo appartamento a Roma - forse siamo in presenza di benefattori sconosciuti: così siamo nella tipicità italiana. Mi auguro che Scajola sia in grado di dimostrare le cose che dice". Bersani ha commentato le decisioni del ministro proprio mentre questi stava tenendo la conferenza stampa, che è stata trasmessa da Repubblica Tv durante l'intervento di Bersani.

"Le cose dette fin qui per tentare di dare spiegazioni - ha detto il segretario del Pd - non sono convincenti per nessuno. Se non ha altro da aggiungere, mi sembra inevitabile che Scajola rassegni le dimissioni". "Voglio credere - ha poi proseguito - che questo verminaio che è emerso a proposito di meccanismi di appalti con procedure secretate o straordinarie, venga scavato fino in fondo, che la magistratura sia messa in condizioni di fare quello che deve fare. Tutto questo è intollerabile; non possiamo accettare che nel cuore dello Stato ci sia un conto aperto per la corruzione".

Finocchiaro (Pd): "I fatti sono di una solarità evidente"

"Le dimissioni di Scajola sono un atto corretto. Era difficile sostenere la sua posizione ed ha fatto bene a rassegnare le dimissioni". Lo afferma il capogruppo dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, al termine della Conferenza dei capigruppo. Alla domanda se Berlusconi respingerà le dimissioni di Scajola, Finocchiaro commenta: "In questo caso il ministro vada dai magistrati e subito dopo venga in Parlamento. Ci sono accuse gravi - prosegue Finocchiaro - che vengono riportate dagli organi di stampa di tutte le tendenze politiche. I fatti sono di una solarità evidente".

Donadi (Idv): "Dimissioni tardive, ma sono una lezione per la Casta"

"Le dimissioni di Scajola sono tardive, ma rappresentano comunque una vittoria delle opposizioni e una lezione per la Casta: nessuno è intoccabile". Lo afferma il capogruppo Idv Massimo Donadi secondo il quale "ora sarà la magistratura ad accertare le responsabilità. La politica deve recuperare l'etica pubblica ed il rispetto della legalità". "Idv è da sempre impegnata in questa battaglia - aggiunge Donadi -. Il governo non può far finta di niente e neanche il parlamento, per questo è indispensabile portare in Aula al più presto il Ddl anticorruzione".

4 maggio 2010

 

 

 

IL SUCCESSORE PROBABILE / Romani cresciuto a pane e tv

di Marco Mele

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4 maggio 2010

IL CANDIDATO PROBABILE / Romani cresciuto a pane e tv

"Dai nostri archivi"

Digitale pay: Mediaset chiude alla concorrenza

Digitale terrestre, a metà novembre lo switch off di Roma

Pay Tv, pronto un decreto per abbassare la pubblicità oraria. Fox: "Danni per i concorrenti di Mediaset"

"Centro di produzione Rai nel sito Expo"

Mediaset in piazza a Roma: il digitale non si rinvia

"Da giovane andavo con il phon nei boschi per scongelare i trasmettitori televisivi". Paolo Romani, fino a oggi viceministro delle comunicazioni, "sin da piccolo" si occupa di emittenza radiotelevisiva. Comincia nel 1974 con TeleLivorno, poi passa a lavorare con l'editore Alberto Peruzzo a Rete A. Dall'86 al 90 è amministratore delegato di Telelombardia, poi coinvolta da un fallimento.

Dal 1994 viene nominato deputato e dal 1998 al 2005 è coordinatore regionale di Forza Italia per la Lombardia. E stato, tra l'altro, presidente della IX Commissione della Camera su Trasporti, Poste e Telecomunicazioni dal giugno 2001. Dopo essere stato per due volte sottosegretario alle Comunicazioni, è nominato viceministro nel maggio 2009.

Ha chiuso ieri la quinta Conferenza Nazionale sul digitale terrestre parlando senza peli sulla lingua: o le televisioni investono sulla capacità assegnata (gratuitamente) agli operatori nazionali e locali, sfruttando tutta la banda, al contrario di quanto avviene nel Lazio, nel Piemonte Occidentale, in Sardegna e nelle altre aree digitali, oppure sarà difficile difendere davanti alla Ue la mancanza di un dividendo digitale costituito da frequenze tv in eccesso da dedicare alla banda larga mobile. Dà invece una sponda alle tv locali contro il nuovo Piano dell'AGCOM.

Non ha esitato a precipitarsi a Bruxelles per convincere la direzione alla concorrenza comunitaria a non concedere a Sky una riduzione degli obblighi contratti sino al 31 dicembre 2011. "Ho rappresentato gli interessi dell'intero sistema tv, non quelli di Mediaset" ha detto ieri dal palco del Teatro Dal Verme e può giustamente rivendicare la soluzione del caso Europa 7, per il quale è stata importante la vecchia amicizia con Francesco Di Stefano, da pionieri della tv commerciale.

Se sarà il nuovo ministro delle Sviluppo Economico porterà in dote la profonda conoscenza dell'apparato dell'industria elettronica, informatica e delle telecomunicazioni. Senza mai perdere d'oc chio le "sue" televisioni.

4 maggio 2010

 

 

 

La procura chiede giudizio immediato per gli indagati dell'inchiesta Grandi eventi

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4 maggio 2010

 

La procura di Firenze ha depositato la richiesta di giudizio immediato per Angelo Balducci, Fabio De Santis, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Guido Cerruti, arrestati nell'ambito dell'indagine sull'appalto per la scuola marescialli dei carabinieri di Firenze, filone toscano dell'inchiesta sui Grandi eventi. Le posizioni degli altri indagati sono state stralciate. Secondo quanto previsto dal codice di procedura penale il pubblico ministero può richiedere il giudizio immediato, entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, "per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini". La richiesta è stata depositata al gip, che ha cinque giorni per emettere il decreto con il quale dispone il giudizio immediato o rigetta la richiesta, ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

4 maggio 2010

 

 

 

Ciarrapico indagato per truffa ai danni dello Stato

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4 maggio 2010

Ciarrapico indagato per truffa ai danni dello Stato

"Dai nostri archivi"

San Marino "apre" sulle rogatorie dall'Italia

E nell'indagine sarebbero 30 i politici coinvolti

Il redditometro guida i controlli del fisco

"Prorogare divieto per incroci tra tv e carta stampata"

Stefania Prestigiacomo indagata per peculato

Il senatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico è indagato dalla Procura di Roma per truffa aggravata ai danni dello Stato. Oltre a Ciarrapico sono indagate altre sei persone, tra cui il figlio Tullio. L'indagine si riferisce alla fraudolenta percezione di contributi destinati all'editoria per importi complessivi pari a circa 20 milioni di euro dal 2002 al 2007. I contributi sono stati percepiti dalle società editrici Nuova Editoriale Oggi e Editoriale Ciociaria Oggi. Su richiesta della Procura di Roma, la Guardia di Finanza ha posto sotto sequestro a Roma, Milano e altre località italiane, conti correnti, immobili, quote societarie e un'imbarcazione di lusso per un importo complessivo di circa 20 milioni. Tutti i beni posti sotto sequestro sono riconducibili, attraverso intestazioni fittizie, allo stesso senatore Ciarrapico.

Le indagini, condotte dall'aggiunto Pietro Saviotti e dal sostituto Simona Marazza, e affidate al Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza guidato dal colonnello Leandro Cuzzocrea, hanno portato ad accertare, si legge in una nota diramata dalla Procura, "gravi fatti di fraudolente percezioni di contributi all'editoria" erogati dal Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri. I contributi su cui indaga la Procura di Roma vanno dal 2002 al 2010, per importi annuali di circa 5 milioni di euro. I sequestri preventivi posti in essere dalle Fiamme Gialle si riferiscono ai contributi illegittimamente percepiti dal 2002 al 2007. I contributi per il 2008, il 2009 e il 2010 non sono stati invece erogati proprio per effetto dell'inchiesta condotta da Piazzale Clodio. Gli altri indagati, tutti per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono prestanome o amministratori di fatto o di diritto delle società coinvolte.

La legge per l'editoria del 201 del 1990 prevede che, per accedere ai contributi, le società editrici debbano possedere determinati requisiti: devono essere scisse tra di loro, vale a dire non devono esserci collegamenti tra le società editrici; in secondo luogo le società devono essere partecipate da una società cooperativa al 51 per cento. Nel caso in questione, secondo gli inquirenti, i contributi sono stati chiesti da due società editrici, la Nuova Editoriale Oggi e la Editoriale Ciociaria Oggi, che fanno parte di uno stesso gruppo societario e che non sono partecipate al 51% da una società cooperativa. I sequestri riguardano conti correnti, fondi, immobili, le quote societarie delle due società coinvolte e di altre aziende che operano nel settore sanitario. Sotto sequestro anche un'imbarcazione di Ciarrapico ormeggiata nel porto di Gaeta. La gestione dei beni sotto sequestro é affidata al custode giudiziale nominato dal gip. I sequestri, fanno presente gli investigatori, non incidono sull'operatività delle società coinvolte. L'inchiesta nasce da una serie di accertamenti a campione sui contributi all'editoria condotti dalla Guardia di Finanza. (Il Sole 24 Ore Radiocor)

4 maggio 2010

 

 

 

 

2010-05-02

Per Calderoli Fini soffre la "frustrazione di eterno delfino"

2 maggio 2010

Per Calderoli Fini soffre la "frustrazione di eterno delfino"

"Dai nostri archivi"

Fini: non divorzio ma chiedo rispetto

Battaglia nel Pdl sui vertici del gruppo a Montecitorio

Il duro botta e risposta tra Fini e il Cavaliere

"Bocchino dimissionato senza ragione", dice Fini

Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini

Roberto Calderoli interpreta lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi anche come il frutto della "frustrazione del presidente della Camera rispetto al ruolo perenne di delfino del premier che non spicca mai il volo". In un'intervista alla trasmissione Rai "In mezz'ora" il ministro leghista osserva che Fini ha fatto "una scelta istituzionale che lo ha allontanato dalla partecipazione attiva" ma quel ruolo di delfino "deve conquistarselo sul campo dimostrando di essere in grado di sostituire Berlusconi dentro il Pdl e nel rapporto con la Lega".

Calderoli ha detto di non condividere la tesi di chi sostiene che il premier non accetti il confronto interno: "Io nego che Berlusconi rifiuti il confronto perché tantissime volte discutendo con lui è partito da una posizione ed è arrivato a un'altra, quindi io questa mancanza di democrazia non l'ho mai trovata, anzi c'è sempre stata apertura da parte sua".

Parlando della presenza di esponenti leghisti alle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, il ministro rivela: "Io non so se ci sarò" ma "Sicuramente sarò al lavoro per realizzare il federalismo"

 

Poi: "Ho fiducia nell'onestà di Scajola e nel suo non essere imbecille". Questo il commento del ministro alla vicenda che vede come protagonista il collega Claudio Scajola. "Non è nè disonesto nè cretino", ha ribadito, "si è spiegato in consiglio dei ministri, sono portato a credere a lui. Il resto lo verificherà la magistratura".

E ancora: "Dico di no alle elezioni anticipate ma i tre anni di legislatura devono essere impiegati per fare le riforme; ora bisogna avere senso di responsabilità rispetto alla crisi e alla necessità di riforme". E se anche il primo a parlare di elezioni anticipate fu il leader della Lega Nord, il ministro risponde: "È stata un'ottima mossa di Bossi perchè subito le turbolenze si sono ridotte".

"Sul federalismo fiscale Fini aveva sollevato alcune perplessità, sono stato da lui e l'ho tranquillizzato sul fatto che non ci sarà nessun rischio per la coesione sociale, che comunque al momento nel paese non c'è". Assicura poi che l'incontro avuto con il presidente della Camera sul federalismo fiscale è stato utile a chiarirne alcuni aspetti e poi ha aggiunto: "I relatori del provvedimento sono pugliesi, non credo che il Mezzogiorno non sia rappresentato su questa materia".

Commentato la rinuncia di Domenico Siniscalco al ruolo di presidente del Consiglio di gestione di Intesa SanPaolo aggiunge: ""La vicenda è tutta interna alla Compagnia San Paolo, che se la sono cotta e mangiata: un mondo che fa riferimento al centrosinistra". "Le Fondazioni - ha poi aggiunto allargando il discorso - devono avere rapporti sul territorio, per dare un indirizzo che le leghi al territorio". Alla domanda se la Lega punta a dei nomi per quelle Fondazioni che nei prossimi anni rinnoveranno i propri vertici, Calderoli ha risposto: "intendiamo indicare persone che diano un indirizzo diverso. Oggi le Banche sono come supermercati, staccate da territorio e piccole imprese". A giudizio di Calderoli, però, il potere delle banche "oggi è tutto in mano ai poteri forti". Alla domanda su chi siano tali poteri forti, il ministro ha indicato "Unicredit e Intesa SanPaolo". Diverso il discorso sul neo presidente di Bpm, Massimo Ponzellini: "È un amico, amico di Tremonti, parente di Giancarlo Giorgetti. È competente, simpatico, francamente che sia prodiano... Vuol dire che Prodi ci aveva azzeccato. È un interlocutore serio, la sua vicinanza con Tremonti rende lo cose più semplici".

 

Infine "Io credo che Maroni lo abbia detto dando un significato particolare alla cose visto il suo impegno e quello del governo nella lotta alla criminalità organizzata, compresa quella campana. Si tratta di una proposta di valore ma, io resto dell'idea che moglie buoi dei paesi tuoi. Noi siamo pronti a sostenere una candidatura napoletana del Pdl" dice il ministro per la Semplificazione a proposito della candidatura di un esponente leghista a sindaco di Napoli, proposta dal titolare dell'Interno.

Berlusconi: "Mai dato del traditore a Fini"

"Bocchino dimissionato senza ragione", dice Fini

IL PUNTO / Chi vuole il voto anticipato avrà bisogno della pistola di Sarajevo (di Stefano Folli)

Fini: "Non divorzio, ma chiedo rispetto"

2 maggio 2010

 

 

 

 

 

2010-04-30

"Bocchino dimissionato senza ragione", dice Fini

di Celestina Dominelli

29 aprile 2010

Dimissioni definitive di Bocchino: "Epurato da Berlusconi"

"Dai nostri archivi"

Bocchino lascia e accusa il premier

Le dimissioni di Bocchino agitano il Pdl

Fini: non divorzio ma chiedo rispetto

Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini

Bossi: senza federalismo faremo la fine della Grecia

"Ritengo che Italo Bocchino sia stato dimissionato senza che ci fosse una ragione. Per questo ha la mia solidarietà". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini rispondendo all'università dell'Insubruia alla domanda di uno studente di scienze della comunicazione

Il vicecapogruppo vicario del Pdl, Italo Bocchino, ha spiazzato tutti e ha presentato una nuova lettera di dimissioni dal gruppo parlamentare, dimissioni stavolta "definitive". L'assemblea dei deputati di Montecitorio, che avrebbe dovuto discutere del caso Bocchino, è stata perciò sconvocata. "Ritengo che Italo Bocchino sia stato dimissionato senza che ci fosse una ragione. Per questo ha la mia solidarietà", ha detto questa mattina il presidente della Camera Gianfranco Fini rispondendo all'università dell'Insubruia alla domanda di uno studente di scienze della comunicazione.

Bocchino aveva accompagnato il suo passo indietro con un affondo durissimo contro il Pdl e il premier Silvio Berlusconi. "È stato lui – ha spiegato Bocchino – a chiedere la mia testa. Non esiste un solo partito democratico dove possa accadere ciò che è accaduto oggi". Il fedelissimo del presidente della Camera ha poi rivelato il retroscena del colloquio avuto con Berlusconi prima della puntata di Ballarò cui ha partecipato la scorsa settimana. "Berlusconi mi ha chiamato la sera che dovevo partecipare a Ballarò. Aveva toni concitati e mi ha detto: "se vai, farai i conti con me. Dopo vedrai..."". Per Bocchino, quindi, il premier ha dato il via a "un'epurazione figlia di un'ossessione" nei suoi confronti. "Berlusconi - rivela Bocchino - mi chiedeva da un anno di limitare le presenze in tv, perché non ero allineato su ogni sua singola parola". Poi l'attacco a muso duro contro il partito. "Chi ha voluto chiamare il partito Popolo della libertà e l'ha addirittura definito il partito dell'amore, non fa oggi una bella figura".

Il premier, in ogni caso, non ha fatto mistero di volere l'uscita definitiva di Bocchino dai vertici del gruppo e lo ha confermato anche ieri sera durante una cena con alcuni senatori a Palazzo Grazioli. "Ho chiamato Bocchino l'altra sera quando doveva andare a Ballarò. Con me, devo dire, è stato anche un po' insolente. Gli ho detto che non si può andare in tv a fare sceneggiate coinvolgendo il partito. Tutti nel Pdl devono capire che non si può sputtanare il partito". Il Cavaliere sarebbe poi infastidito dalle beghe interne di partito. "Io ho un Paese da governare e dei problemi da affrontare - è il suo ragionamento – e francamente è deprimente perdere così tanto tempo per certe cose...".

Intanto l'ex premier Massimo D'Alema è tornato stamane ad attaccare il Cavaliere. "Il problema non è Gianfranco Fini. La posizione di Berlusconi è l'ostacolo vero a fare un dialogo vero". Il motivo? Secondo il presidente del Copasir, "a Berlusconi piace il monologo, anche per questo gli dà fastidio Fini perchè è una personalità forte che pretende di discutere. Cosa che avviene in tutti i partiti democratici ma non in quel partito perchè lì c'è un capo. La democrazia di un uomo solo al comando non c'è da nessuna parte nel mondo e non funziona e non funziona neanche da noi".

IL PUNTO / Chi vuole il voto anticipato avrà bisogno della pistola di Sarajevo (di Stefano Folli)

Fini: "Non divorzio, ma chiedo rispetto"

Della Vedova (deputato finiano del Pdl): "Le dimissioni di Bocchino vanno respinte" (di Sara Bianchi)

29 aprile 2010

 

 

 

STEFANO FOLLI

Chi vuole il voto anticipato avrà bisogno della pistola di Sarajevo

30 aprile 2010

Il caso Bocchino, per quanto surreale e più o meno incomprensibile per l'opinione pubblica, dimostra una cosa: la legislatura è logora e avrebbe bisogno di uno slancio straordinario per trovare una ragion d'essere. Viceversa la realtà è amara.

Da un lato il partito di maggioranza vive in un clima di sospetti reciproci. Il contrasto di fondo tra Berlusconi e Fini, obbligati peraltro a convivere nello stesso Pdl, ha generato una situazione senza precedenti. Per cui è evidente che il presidente del Consiglio non ha la minima fiducia nella lealtà del presidente della Camera. E quest'ultimo, ben deciso a non aprire uno scontro frontale sul programma, lascia che il fuoco divampi sugli assetti interni di partito.

La polemica sulla supposta "epurazione" del vicecapogruppo Bocchino, al di là delle ragioni e dei torti, ha visto un Fini spettatore silenzioso. E in questo caso il silenzio non suona certo sconfessione del suo collaboratore, che a sua volta non avrebbe potuto agire come ha agito – compresi gli attacchi inusuali a Berlusconi – senza un qualche assenso dietro le quinte da parte del suo punto di riferimento politico.

Dall'altro lato, come qualcuno ha osservato, il Partito Democratico è riuscito a dividersi persino sulle liti intestine del Pdl. In altre parole anche il giudizio su Fini, ossia come valutare la frattura nella maggioranza, ha visto pareri diversi, quando non opposti, che determinano un sostanziale immobilismo. Con D'Alema che considera Fini "un interlocutore" e Bersani che non la pensa allo stesso modo. Un gioco a somma zero che si riflette sul nodo cruciale: il centrosinistra è disposto ad aprire qualche discussione con il governo in tema di riforme, a cominciare dai vari aspetti del federalismo, oppure è determinato a tenere la porta chiusa? Nonostante qualche segnale (Violante, Orlando sulla giustizia) gli indizi sono piuttosto negativi.

Peraltro il Pd non sembra nemmeno prossimo a scegliere una personalità in grado di presentarsi come futuro candidato a Palazzo Chigi. È il punto sollevato da Di Pietro per dare un senso compiuto alla "strategia dell'alternativa", ma D'Alema ha già detto – non senza sarcasmo – che il problema non è la leadership: non c'è all'orizzonte un Blair italiano o un "Obama bianco". Anche in questo caso il Pd sembra imbrigliato.

A questo punto chi può restituire una prospettiva alla legislatura? Non si capisce. Al di là del richiamo generico alle riforme, è abbastanza chiaro che Berlusconi e Bossi non escludono affatto le elezioni anticipate, benché questa ipotesi sia ancora una carta tenuta ben coperta. Di sicuro il progressivo logoramento dei rapporti politici favorirà lo scioglimento. Non subito, naturalmente, ma in un domani non troppo remoto. Magari in un giorno della primavera 2011, se il calendario delle riforme risulterà di qui ad allora impraticabile.

Ma l'operazione è complessa. Richiede assai più che un litigio con Bocchino. Si tratterà di dimostrare a Napolitano che le Camere sono paralizzate. E al momento non si sa dove sia la pistola di Sarajevo. Non si sa chi potrebbe impugnarla ed essere così sconsiderato da fornire a Berlusconi e Bossi il pretesto per chiedere al Quirinale le elezioni anticipate. Il fronte di chi non le vuole è ampio e comprende anche Fini. Il problema è che tale fronte non costituisce una maggioranza politica. Difficile che lo possa diventare domani.

Venerdí 30 Aprile 2010

 

 

 

STEFANO FOLLI

I paradossi della maggioranza e il logoramento quotidiano

29 aprile 2010

Il governo e la legislatura vivono sul filo di un bizzarro paradosso. Da un lato si annunciano, non senza enfasi, tre anni di riforme. Addirittura "condivise", secondo le parole di Berlusconi il 25 aprile. E Bossi, che l'altro giorno aveva confessato la sua delusione alla "Padania", descrivendo la fine delle alleanze e il fallimento del federalismo, si è corretto in fretta: ieri anche lui prometteva un triennio riformatore e cancellava l'ipotesi di elezioni anticipate.

A sua volta il presidente della Camera, il reprobo di questa fase, insiste nel garantire lealtà al governo, pur ribadendo il proprio diritto al dissenso su alcuni punti: i problemi ci sono, ma nulla che non si possa risolvere con un "sereno confronto". Anche lui, naturalmente, è favorevole alle riforme, quelle istituzionali non meno di quelle economiche.

A questo punto si potrebbe immaginare che la legislatura sia avviata sul giusto binario e che la maggioranza, al netto di qualche dissidio interno, abbia intenzione di fare sul serio. Invece - ecco il paradosso - il centrodestra riesce a farsi battere alla Camera su un emendamento dell'opposizione relativo alla riforma forense. Si dirà che non è nulla di irreparabile, un episodio minore. Eppure ha ragione il capogruppo del Pdl, Cicchitto: è un tipico caso di "sciatteria". Nessuna dietrologia, non c'entra il malessere dei finiani. Solo sciatteria, appunto. Il che è persino più grave.

In ultima analisi, nel momento in cui prefigura un programma eccezionalmente ambizioso, l'asse Berlusconi-Bossi dovrebbe mettere in mostra la propria tensione costruttiva, la volontà di evitare qualsiasi passo falso. Una maggioranza che crede in se stessa e nel lavoro dei prossimi tre anni, per di più desiderosa di coinvolgere il centrosinistra, non può essere così distratta in Parlamento. Per certi aspetti, sarebbe stato meglio che l'incidente di ieri fosse figlio del dissenso dei finiani, anziché, come in effetti è, il prodotto di una banale casualità. Ma qui è tutto il paradosso che rende poco credibili le promesse e i proclami delle ultime ore. C'è un distacco troppo grande tra le buone intenzioni annunciate e la realtà di un piccolo cabotaggio parlamentare esposto a ogni raffica di vento.

C'è anche dell'altro, s'intende. Ad esempio, il caso Bocchino. Una questione aggrovigliata, forse anche poco interessante. Ma se il Pdl accettasse le dimissioni del vicecapogruppo finiano a Montecitorio, l'impressione sarebbe di un dispetto al presidente della Camera. Che peraltro, come ha ribadito ieri sera a "Porta a Porta", non si dimetterà mai dal suo incarico. Continuerà a "occuparsi di politica" in prima persona, con un'offensiva mediatica che in ultima analisi vale molto di più di una corrente con numerosi affiliati. Insomma, i finiani in Parlamento possono essere anche pochi, ma se Fini riesce a tenere alta l'attenzione dei media intorno alle sue tesi avrà evitato in parte l'isolamento in cui Berlusconi si sforza di confinarlo.

Ne deriva un quadro generale di non-rottura e non-accordo. Un quadro in cui l'ottimismo sul futuro della legislatura è un po' di maniera e serve forse a celare altre intenzioni. Di fatto il rischio è il logoramento. Uno stillicidio quotidiano di cui nessuno è veramente responsabile (come l'emendamento bocciato per sciatteria), ma che alla lunga può essere pericoloso per il governo. In quali forme adesso non si può prevedere. Ma il logoramento è sempre pernicioso.

Giovedí 29 Aprile 2010

 

 

Bossi: senza federalismo faremo la fine della Grecia

di Celestina Dominelli

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28 aprile 2010

Bossi senza federalismo faremo la fine della Grecia

"Dai nostri archivi"

Fini: non divorzio ma chiedo rispetto

Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini

Della Vedova sulle dimissioni di Bocchino: "Vanno respinte"

Battaglia nel Pdl sui vertici del gruppo a Montecitorio

Bossi: riforme o si va a votare E su Fini: "È un problema"

 

Le tensioni dentro la maggioranza si scaricano già sui lavori parlamentari: il governo è andato sotto alla Camera su un provvedimento importante come il collegato lavoro e al Senato sulla riforma forense. A Montecitorio la responsabilità va cercata fra i 95 deputati del Pdl assenti durante le votazioni: 45 erano in missione (tra cui il capogruppo Fabrizio Cicchitto), 50 invece gli assenti ingiustificati. Tra questi figura il numero due dei deputati pidiellini, Italo Bocchino, le cui dimissioni stanno agitando la maggioranza. A far mancare il loro supporto, però, ci sono anche altri finiani ingiustificati: Fabio Granata, Carmelo Briguglio, Flavia Perina ed Enzo Raisi. Roberto Menia, Angela Napoli, Silvano Moffa e Andrea Ronchi sono invece assenti perché in missione.

Così, il primo test sulla tenuta in aula del Pdl si conclude con una rovinosa caduta causata dalle defezioni dei fedelissimi di Fini. Mancavano all'appello, però, anche undici leghisti: 8 giustificati, tre no. Intanto oggi, dai microfoni di Radio Radicale, Umberto Bossi ha ribadito che le elezioni non si faranno, se la Lega non le vuole. "Serve il federalismo fiscale - dice il Senatur – altrimenti l'Italia farà la fine della Grecia, è assolutamente necessario". E, alla domanda se Fini è d'accordo, Bossi risponde senza troppi giri di parole. "Penso di sì, sotto sotto. Adesso è tutto preso a cercare di tamponare le beghe avvenute con Berlusconi e quindi si lascia andare a ragionamenti ai quali non crede nemmeno lui, sa anche lui – conclude Bossi – che occorre fare il federalismo fiscale".

Interpellato poi dai cronisti a Montecitorio, il leader lumbard ha rassicurato i suoi sul futuro delle riforme tanto care al Carroccio. "Sul federalismo con Gianfranco Fini non ci sono problemi, non ci sono storie". Il Senatur ha così chiarito i contenuti dell'incontro, avvenuto ieri a Montecitorio, tra Fini, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli e il neogovernatore del Piemonte, Roberto Cota. "Ho detto ai miei di parlare con lui, e da loro ho saputo che non ci sono problemi per il federalismo". Bossi ha quindi ribadito che il federalismo deve essere portato avanti senza tentennamenti. "Il federalismo o lo fai o l'Italia fa la fine della Grecia o peggio. Il federalismo va fatto". Poi, a riprova che tra lui e l'ex leader di An non ci sono dissidi, Bossi ha offerto la sua solidarietà al presidente della Camera, dopo il nuovo attacco del Giornale di Vittorio Feltri. "Io vengo attaccato quotidianamente anche sul piano personale. Un politico deve far finta di niente, farsi scivolare tutto addosso".

Stamane il presidente della Camera Fini è tornato stamane a ribadire la necessità di imboccare la strada delle riforme. Lo ha fatto intervenendo al convegno "Generare classe dirigente" organizzato dall'università Luiss di Roma. Per Fini la sfida per il futuro del paese si gioca essenzialmente "sulla capacità di operare cambiamenti autenticamente strutturali". Per questo serve "più coraggio" nel mettere in campo le riforme. Non può bastare, infatti, la "tendenza a minimizzare" gli effetti della crisi, "con la speranza più o meno segreta che tutto tornerà come prima. Senza interventi incisivi e strutturali questa speranza sarà vana". Anzi, insiste Fini, se ci si lascia catturare dalla "tentazione di aspettare" che "la bufera" passi, questo atteggiamento "può portare, soprattutto in Italia, a fornire un alibi per l'inerzia, inerzia che difficilmente sarà comprensibile e spiegabile in futuro".

Il presidente della Camera sottolinea poi che serve "più consapevolezza della necessità di superare gli svantaggi che riducono la competitività nel nostro Paese". Per la classe dirigente italiana è indispensabile raccogliere "la sfida ineludibile di dar vita alle riforme", tra cui la terza carica dello Stato indica la riforma fiscale, il disboscamento burocratico, la qualità della formazione universitaria e della ricerca. Insomma, per Fini la politica "deve sapere indicare progetti non solo di tipo economico ma anche di tipo civile", per tornare a una "etica civile comune" e a un "senso di appartenenza".

Il Giornale attacca "la suocera" di Fini

Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini

Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione

28 aprile 2010

 

 

 

 

Il Giornale attacca "la suocera" di Fini, ma Berlusconi difende Gianfranco

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28 aprile 2010

Il Giornale attacca "la suocera" di Fini

"Dai nostri archivi"

Fini: "Non divorzio ma chiedo rispetto"

Fini: non divorzio ma chiedo rispetto

Il Giornale in vendita? Feltri cade dalle nuovole

Pdl a rischio implosione

VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva

Il Giornale diretto da Vittorio Feltri, di proprietà del fratello del premier Silvio Berlusconi, nell'edizione in edicola torna ad attaccare il presidente della Camera Gianfranco Fini, cofondatore del Partito delle Libertà. Lo fa dedicandogli l'apertura della prima pagina, prendendo di mira questa volta la madre di Elisabetta Tulliani, attuale compagna dell'ex leader di An, titolare di una società che cura la produzione di un programma televisivo su Rai Uno.

Scrive Il Giornale, nella firma di Laura Rio, che tra i produttori della tv di stato "c'è fibrillazione per la rottura tra finiani e berlusconiani". Tra di essi c'è anche "Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini Elisabetta. Al "cognato" Tulliani, attraverso un intricato sistema di società, è riconducibile la realizzazione di una parte di Festa italiana, programma del pomeriggio condotto da Caterina Balivo su Rai Uno, la rete diretta dal finiano doc Mauro Mazza. Lo spazio si chiama, Per capirti una sorta di talk dedicato al rapporto tra genitori e figli (...). Un lavoretto che viene lautamente ricompensato: un milione e mezzo di euro. Precisamente ottomila euro a puntata per 183 puntate (...). Nel complicato sistema di scatole cinesi, la maggioranza della società che produce la trasmissione, denominata Absolute television media, (siglia At media) è detenuta da Francesca Frau (....) la mamma di Elisabetta e Giancarlo Tulliani, dunque la "suocera" di Fini". La vicenda è stata raccontata ieri sul sito Dagospia e ripresa dal Giornale. Secondo il quotidiano diretto da Feltri la società di produzione televisiva sarebbe riconducibile ai fratelli Tulliani. La signora Frau, 63 anni, sarebbe solo la titolare della società, perché a Roma nessuno la conosce nel giro dei produttori tv.

Fini incassa, però, la solidarietà del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: "Esprimo la più convinta solidarietà a Gianfranco Fini per gli attacchi personali che quest'oggi il Giornale gli ha mosso", afferma in una nota il premier. "La critica politica, anche più severa, non può trascendere in aggressioni ai familiari e su vicende che nulla hanno a che fare con la politica. Tali metodi, che assai spesso ho dovuto subire personalmente, non vorrei mai vederli applicati, specie su giornali schierati con la nostra parte politica", conclude il presidente del Consiglio.

Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini

Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione

28 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-27

Bocchino agita le acque nel Pdl

e Bondi attacca Fini

di Celestina Dominelli

27 aprile 2010

Il finiano Bocchino sfida il Pdl. "Mi candido a guidare il gruppo"

Acque molto agitate in casa del Pdl. Questa volta ad accendere gli animi èdel finiano Italo Bocchino che si è dimesso da vicecapogruppo alla Camera, ma, in una lettera indirizzata a Fabrizio Cicchitto, numero uno del gruppo, ha annunciato la sua intenzione di candidarsi alla presidenza.

Intanto le posizioni di Gianfranco Fini e dei suoi sono oggetto di un nuovo attacco a parte dei vertici del partito: l'approccio del presidente della Camera e della sua fondazione Farefuturo è "infondato e rovinoso", ha scritto il ministro della Cultura e coordinatore Pdl, Sandro Bondi, sul sito dell'organizzazione Promotori della Libertà nell'ambito della quale ricopre il ruolo di responsabile cultura e formazione. In serata Fini ha incontrato il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, e il governatore del Piemonte, Roberto Cota. L'incontro si è svolto negli uffici di Fini e al centro del colloquio c'è stato il tema del federalismo.

Tornando a Bocchino, si tratta di una sfida in piena regola perché, è la tesi del deputato ex An, se cade il vice anche il presidente deve rassegnare le dimissioni e i vertici vanno rinnovati in toto. "Simul stabunt, simul cadent", scrive il vicecapogruppo del Popolo della libertà nella sua missiva rispolverando una frase che gli annali legano a Claudio Martelli e Bettino Craxi. Le sue dimissioni saranno formalizzate nell'assemblea del gruppo da convocare al più presto.

Nella lettera Bocchino ha chiesto anche di incontrare il premier Silvio Berlusconi. "Ti prego di favorire un incontro con il presidente Berlusconi - è l'invito che il vicecapogruppo rivolge a Cicchitto – anche alla presenza del coordinatore Verdini affinché si possa dar vita a un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare".

Le ragioni del suo gesto Bocchino le ha spiegate nella stessa lettera. La mia candidatura, scrive, sarà presentata "non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso".

Cicchitto, dal canto suo, preferisce prendere tempo. "Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica – ha spiegato il capogruppo – e anche sullo statuto del gruppo. È evidente che il problema delle dimissioni di Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito. Di conseguenza si è deciso di prendere il tempo necessario per un esame della situazione".

Chi dei due ha ragione? L'ufficio stampa del Pdl corregge Bocchino. "L'articolo 8 del regolamento - è la tesi del gruppo – non lega affatto il destino del presidente e del vicepresidente vicario, a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica".

La partita, però, sembra destinata a non chiudersi qui. Perché, poco dopo la lettera di Bocchino, anche il sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia, ha lanciato la sua candidatura. "Lo farò anch'io", scrive il finiano che però sottolinea il clima, non disteso, che regna nella pattuglia di parlamentari vicini all'ex leader di An. "Non so quale consenso egli pensi di avere – sottolinea Menia -, ma non ha certo il mio né di quello di molti che con lealtà seguono Fini e con altrettanta lealtà sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte".

Bondi su Fini: "Approccio infondato e rovinoso"

L'approccio di Gianfranco Fini e della sua fondazione Farefuturo è "infondato e rovinoso" perché "non prevede un necessario lavoro comune che, pur nelle differenze, conduca ad un esito, ad un'unità più alta, a possibili cambiamenti, a innovazioni auspicabili e possibili", ma "scommette sulla frattura, sull'ipotesi di una storia nuova e diversa rispetto a quella nella quale siamo impegnati oggi". Lo scrive il ministro della Cultura e coordinatore Pdl, Sandro Bondi, sul sito dell'organizzazione Promotori della Libertà nell'ambito della quale ricopre il ruolo di responsabile cultura e formazione.

Bondi esorta i Promotori della Libertà che si riconoscono "nel messaggio politico e nei valori di Silvio Berlusconi, a rivendicare con orgoglio l`appartenenza ad una storia che non tolleriamo venga giudicata in modo tanto rozzo e sbrigativo quanto infondato e ingeneroso". Il coordinatore del Pdl, infatti, ribadisce che "le posizioni critiche di Fini possono diventare un motivo di arricchimento e di forza del nostro partito, a condizione che non siano impostate come un continuo, sistematico, pretestuoso distinguersi dalla linea maggioritaria del partito, dalle decisioni assunte dal governo e dalla leadership di Silvio Berlusconi, come purtroppo è avvenuto fino ad ora".

Secondo il ministro il punto decisivo di disaccordo è "come si possa concepire un confronto che si sviluppi non in continuità politica, ideale e programmatica con l'opera del suo fondatore, bensì in radicale alternativa ad esso. Tutto il ragionamento di Campi e di Farefuturo è su questa lunghezza d'onda: dimostrare che "il finismo è altro dal berlusconismo", che "un'altra destra, un'altra politica, un'altra Italia" è possibile dopo che finirà, secondo Alessandro Campi, l'incantesimo che avvolge l`Italia. E qui si avverte chiaramente il vero e proprio fastidio, l'avversione nei confronti dell'attuale destra e delle "truppe vocianti del Cavaliere"".

Napolitano: "La magistratura faccia una seria riflessione critica su se stessa"

Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione

27 aprile 2010

 

 

 

Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione

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27 aprile 2010

Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione

"Dai nostri archivi"

Federalismo, prove d'intesa

Federalismo, Bankitalia: aumentare l'autonomia impositiva degli enti locali

Ritmi serrati per il federalismo

Calderoli: "Ridurremo l'Irap rafforzando i controlli sull'Iva"

Federalismo: in settimana al via l'iter del Ddl in commissione

La nuova tassa sarebbe legata ai servizi che l'ente locale gestisce

 

Nessuna reintroduzione dell'Ici da parte del Governo, ma piuttosto l'introduzione di una "service tax" legata ai servizi che gli enti locali gestiscono e offrono al cittadino. Non si ritornerà, dunque, all'Ici, ha ribadito il ministro per la Semplificazione, normativa, Roberto Calderoli, nel corso dell'audizione sul federalismo demaniale dinanzi alla Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, presieduta da Enrico La Loggia. "Intendo ribadire ancora ufficialmente e definitivamente - ha detto Calderoli - che nessuno intende reintrodurre l'Ici. Il nostro obiettivo non è solo l'autonomia impositiva ma anche la semplificazione di numero delle entrate, tributarie e non, degli enti locali. La nostra idea è quella di arrivare a una unificazione, una così detta service tax legata ai servizi che l'ente locale gestisce e offre al cittadino e in questo senso stiamo facendo un lavoro di sfoltimento. Non si può infatti semplificare a livello statale e lasciare una serie infinita e non sempre classificate di entrate a livello di ente locale".

L'alleanza con Fini non è in discussione. Il ministro della Semplificazione normativa, poi, non crede che le tensioni nel Pdl abbiano messo fine all'alleanza con Gianfranco Fini. "Non c'è nulla in discussione del genere. Credo ci sia un po' di assestamento rispetto alla riunione di giovedì, ma mi sembra si stia andando nella direzione giusta".

Nessun rischio per la coesione sociale. C'è stata da sempre la volontà di affrontare la questione del federalismo, ha detto Calderoli, "in termini di garanzia della coesione sociale". Il provvedimento sul federalismo demaniale, ha detto il ministro, ha avuto una condivisione a tutti e tre i livelli di governo ottenendo un parere favorevole anche se condizionato, un coinvolgimento non solo dal punto di vista degli enti locali e delle Regioni ma anche in senso geografico, avendo raggiunto in tutte le occasioni l'unanimità delle votazioni".

Codice delle autonomie e riforme costituzionali di pari passo al federalismo. "Il federalismo fiscale da solo non basta - ha sottolineato Calderoli - funziona se si fanno insieme il codice delle autonomie e le riforme costituzionali". Per quanto riguarda le riforme costituzionali Calderoli ha sottolineato che esiste già una condivisione su temi come la fine del bicameralismo perfetto e della riduzione del numero dei parlamentari. Calderoli si è detto favorevole a un'ipotesi di "bicameralismo paritario e specializzato" nel senso che "non ci sono camere di serie A e di serie B, ma i due rami del Parlamento svolgono compiti diversi". Secondo Calderoli, si deve pensare anche a un rivisitazione degli articoli 117 e 116 della Carta. Il ministro sottolinea che "la possibilità che alcune regioni possano avere ulteriori competenze rispetto ad altre è condivisibile, ma così come è conformato oggi no". (N.Co.)

27 aprile 2010

 

 

 

2010-04-26

Fini promette lealtà al governo nella riunione con i fedelissimi

26 aprile 2010

Fini promette lealtà al governo nella riunione con i fedelissimi (LaPresse)

"Dai nostri archivi"

Fini: pronto a gruppi autonomi

Stop alle correnti e vincolo di scelte a maggioranza

Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta"

Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo"

Duro scontro Berlusconi-Fini Il premier: si allinei o è fuori

 

La nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza non è in discussione. È questo il messaggio che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha consegnato ai suoi fedelissimi nella riunione convocata oggi pomeriggio nella sala Tatarella di Montecitorio. "Sono qui per ascoltarvi, per sapere cosa ne pensate. Per far capire a chi va in tv o fa dichiarazioni che il nostro comportamento è di assoluta lealtà nei confronti del governo e della maggioranza, di rispetto del programma elettorale".

L'ex leader di An prova così a stoppare le accuse di quanti, dentro il Pdl, continuano a parlare di una sua precisa volontà di mettere in difficoltà la maggioranza con possibili imboscate parlamentari. Per questo Fini ha ribadito che anche "il massimo rispetto del programma sottoscritto dagli elettori deve essere un punto fermo in assoluto". Sul tavolo della riunione ci sono poi le dimissioni, pronte, del vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino.

Dentro la compagine del presidente della Camera continuano comunque le fibrillazioni e le prese di distanza. Oggi è stata la volta di Amedeo Laboccetta. Che si è tirato fuori sostenendo che non ci sta a seguire chi, "come Italo Bocchino, è un elemento di rottura" .

Conversando con i cronisti a Montecitorio, mentre é in corso la riunione tra Fini e i suoi fedelissimi, il deputato ha ribadito che il vice capogruppo vicario alla camera deve rimettere l'incarico. "Bocchino è un soggetto che divide, che lacera- spiega- non è uno che sa mediare. Non sono di quelli che dicono che gli va tagliata la testa, ma indubbiamente, visto che si fanno tentativi di ricucitura,dovrebbe dimettersi". E anche il sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia, critica le ultime sortite dell'ex leader di An. "Ma dove vogliamo andare a sbattere? Una settimana fa si parlava di gruppi autonomi, e quindi si prefigurava un certo tipo di quadro che oggi non c'è". Anzi, dice, c'è "un palese rinculo".

26 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-25

Fini: "Non ci saranno imboscate. Ora tre anni per le riforme"

25 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo"

Duro scontro Berlusconi-Fini Il premier: si allinei o è fuori

Fini: non esco e non starò zitto

Bossi: riforme o si va a votare E su Fini: "È un problema"

Inizia la sfida tra Berlusconi e Fini nella direzione del Pdl. Il premier: congresso entro l'anno

"Vorrei innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco: non ho alcuna intenzione di fondare altri partiti". Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo a In mezz'ora su Rai 3. Fini ha ribadito di aver intenzione di "discutere dentro il Pdl su problemi politici perchè penso che così il Pdl ci guadagna". Nessuna contestazione, poi, sulla leadership di Berlusconi: "credo che sia emerso dalla televisione che non si tratta di questioni personali e io non ho mai messo in discussione la leadership di Berlusconi. Lui è il leader, è il presidente del Consiglio, e ha diritto di governare".

"È da irresponsabili il solo parlare di elezioni anticipate perchè gli italiani non capirebbero e sarebbe il fallimento di Berlusconi che ha una maggioranza come non si vedeva da tempo - ha proseguito - non ci saranno imboscate, noi saremo leali e faremo la nostra parte". "Abbiamo davanti tre anni di Legislatura per fare le riforme" ha poi detto Fini.

Sullo scontro avvenuto in Direzione il presidente della Camera ha spiegato: "Non mi sono pentito, credo che anche il premier si sia accorto che non potrà mai essere vero che il presidente della Camera si dimetta perché ha opinioni diverse dal partito e dal presidente del Consiglio".

"Io mi sento sereno - ha aggiunto Fini - perché credo di aver fatto ciò che dovevo fare anche come punto riferimento della destra. Non mi sono pentito di aver fatto il Pdl, voglio aiutare Berlusconi a migliorare. E quindi perché sentirsi pentiti o pensare di essersi suicidati?".

Perché non volano le rondini delle riforme (di Gianni Riotta)

VIDEO / Fini: "Nessuna ipotesi di elezioni anticipate"

VIDEO / Fini: "Non voglio fondare un nuovo partito"

VIDEO / Fini: "Io rappresento una destra moderna"

Bersani alle opposizioni: uniti, situazione imprevedibile

Bossi: riforme o si va a votare. E su Fini: "È un problema"

SONDAGGIO / Crisi Pdl e stabilità di governo

25 aprile 2010

 

 

 

Perché non volano le rondini delle riforme

di Gianni Riotta

25 Aprile 2010

Tra Berlusconi e Fini, perché non volano le rondini delle riforme

Nella primavera del 2006 gli elettori italiani diedero una maggioranza, pur sottile al Senato, al centro sinistra di Romano Prodi. In breve fu smarrita la rotta, il paese tornò alle urne nel 2008 e stavolta il consenso in parlamento fu solido per Silvio Berlusconi. Dopo qualche chiacchiera di dialogo tra Partito democratico e Pdl sulle riforme, l'insuccesso in Sardegna persuase alle dimissioni il segretario fondatore del Pd Veltroni e nel 2009 il premier, il Pdl e gli alleati, si trovarono padroni del ring.

E le elezioni regionali del 2010 confermavano il feeling tra Berlusconi e settori chiave del paese, mentre la Lega Nord guidata dal suo Kagemusha Umberto Bossi, indebolito ma guerriero indomito, guadagnava terreno tra i ceti moderni, perfino quelli un tempo vicini alla sinistra.

Qualcuno ha azzardato - contando sui tre anni da qui al 2013 senza confronti alle urne - il sogno di 36 mesi per avviare finalmente le riforme, economiche e istituzionale, di cui il paese ha bisogno da una generazione. Il confronto promosso a Parma da Confindustria, con le conclusioni della presidente Marcegaglia davanti al premier Berlusconi, poneva dati inequivocabili su un sistema Italia a rischio di gripparsi. Come dimostra l'articolo di Marco Fortis in questa pagina non c'era derby ottimisti-pessimisti: da una diversa lettura dei dati, gli studiosi concludevano che è comunque l'ora di muoversi. E martedì sul Sole 24 Ore, Guido Tabellini e Giorgio Barba Navaretti proveranno a articolare in proposta l'analisi.

Ma né l'urgenza della crisi economica, né quella istituzionale, né il miraggio dei tre anni di "pace", hanno reso stabile il nostro sistema. Altri si diletteranno a calcolare, dopo l'aspra frizione tra il premier e il presidente della Camera Gianfranco Fini, quanti seguiranno l'uno o l'altro, quanti video YouTube rappresenteranno meglio lo scontro, se il duello finirà in tregua armata, in guerriglia parlamentare o - come accennato da Bossi - perfino in un voto anticipato.

Perdersi in un gioco di personalismi "quei due non si sopportano più", come tante vecchie volpi spelate di Roma fanno, è ridicolo: Berlusconi e Fini sono veterani politici, ogni loro parola e gesto fanno parte di un complesso "body language" né più né meno di un documento, una nomina, un discorso.

E ora? Se era ingenuo aspettarsi riforme dopo la meschina campagna delle regionali, sperare adesso che leader di maggioranza e opposizione, sotto l'egida del capo dello stato, pongano mano al lavoro indispensabile sembra miraggio. Le elezioni precoci sono l'ultima scena di cui il paese ha bisogno, e a che pro del resto? Per ritrovare una maggioranza di centro destra che, perduto Casini perda anche Fini, in un distillarsi di purezze e fedeltà sempre più angosciante, che non riesce però a sostituire un disegno di governo?

L'opposizione, Bersani al centro, resta guardinga, suggerisce schieramenti, ma continua a cercare la soluzione nella somma di sigle, non nelle proposte sociali ed economiche per i ceti del Nord e del Sud, tra ricchezza e arretratezza, ostili o indifferenti alla proposta riformista. È curioso che il Pd, partito erede di Dc e Pci, resti ipnotizzato davanti ai nuovi bisogni del paese: eppure l'Aldo Moro capace con il celebre discorso di San Pellegrino di tessere tra politica e società, è padre nobile del Pd!

La Lega di Bossi può sognare un futuro inedito, il successore di Bossi come Nick Clegg a Londra, incomodo tra laburisti e conservatori, o se preferite come i democristiani Csu della Baviera, contrappeso moderato della Cdu nazionale. E sarà - anche qui - curioso che Nord d'Italia e Sud tedesco condividano un sistema gemello.

Fini sa di dover camminare su un filo sospeso nel vuoto. È un Capricorno raziocinante e non avrà vertigini: non conta affatto su questo o quel reduce del Msi-An. Scommette sulle conseguenze dell'immobilismo che ci tormenta dal 2006, sa che non basta più vincere ogni elezione, contare su un'opposizione inerte e sulla solerzia degli yesmen: il paese ha bisogno di ripartire e premia Berlusconi perché spera rimetta in moto l'economia. Giocherà dunque d'attesa: decise di far politica da ragazzo per godersi in pace il film "Berretti verdi", il Vietnam di John Wayne, ora alternerà lui tregua e guerriglia. Quanto al ministro Giulio Tremonti, bene accorto a confermare solidarietà al premier ma senza toni servili contro Fini, tanti condividono ora quel che questo giornale ha scritto quando non era troppo di moda. Trichet, Barroso, l'editore di Repubblica Carlo De Benedetti in un saggio sul Foglio di Giuliano Ferrara, riconoscono che il suo rigore è stato utile. E sentire Tremonti che ricorda alla troppo timida cancelliere Merkel che "quando la casa del vicino brucia occorre dare una mano" a proposito di Grecia fa piacere. Ma, con il governatore di Bankitalia Mario Draghi a ricordarci che "i prossimi mesi saranno decisivi", e De Benedetti che lancia la sfida al Pd su tasse, riforme ed economia, anche Tremonti sa che la guerra di posizione non gli basterà nel 2010. Se ha a cuore - e noi crediamo di sì - una nuova fase politica per il suo destino, tra non molto dovrà muoversi: e dare quella scossa che a Parma gli è stata chiesta.

Per ultimo tocca a Silvio Berlusconi. Più di una volta, meritoriamente, il suo braccio destro Gianni Letta gli ha impedito lo scatto che avrebbe bruciato i ponti. Dovrebbe temere come i peggiori nemici i sicofanti che lo assediano a ogni passo, a Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. Un ceto politico che gli deve tutto e che in cambio non avrà mai il coraggio di dirgli la verità: "Presidente il consenso resta forte, la maggioranza degli italiani è con lei, non sarà certo un franco dibattito o un partito capace di dividersi sulle prospettive il pericolo, ma se restiamo per tre anni immobili, concentrati solo sulle rivalse interne, può darsi che non sia malissimo per lei, o per il partito o magari anche per il governo, ma sarà un disastro per il paese".

Parlando ieri a Milano in occasione del 25 aprile, commosso con il pensiero a Toscanini e Pertini, il presidente Napolitano ha chiesto ancora quello scatto di orgoglio nazionale che sarebbe indispensabile. Niente ci condanna al declino, niente ci fa presagire un esito greco. Niente però ci salverà dal perdere le posizioni di oggi, a Nord come a Sud, se impiegheremo i prossimi mesi tra velleità elettorali e manovre ciniche. Un esito che premier, governo, maggioranza e classe politica tutta devono scongiurare, se non vogliamo che la prossima generazione si ricordi della nostra con disprezzo e ilarità.

gianni.riotta@ilsole24ore.com

twitter@riotta

25 Aprile 2010

 

 

 

 

Berlusconi sul 25 aprile: ora scrivere pagina condivisa

di Enrico Bronzo

25 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile"

Perché non volano le rondini delle riforme

Garanzia per Expo, in arrivo la firma

25 aprile, Berlusconi: "Sempre grazie a gli Usa"

Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna"

"La sfida è ora. Bisogna scrivere insieme una nuova pagina condivisa della storia della nostra democrazia e della nostra Italia, sempre nel rispetto dei principi di democrazia e libertà". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel videomessaggio trasmesso in occasione della ricorrenza della liberazione. Berlusconi indica qual è l'obiettivo, andando oltre il compromesso trovato dai padri costituenti per scrivere la Carta: "Rinnovare la seconda parte della Costituzione del '48, già in parte modificata, per definire l'architettura di uno Stato moderno più vicino al popolo, su basi federaliste, di uno Stato moderno più efficiente nell'azione di governo, più equo nell'amministrazione della giustizia veramente giusta".

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo aver deposto una corona di alloro all'Altare della patria a Roma, ha incontrato al Quirinale le rappresentanze delle Associazioni combattentistiche, d'arma e partigiane decorando di medaglia d'oro al merito civile (alla memoria) Zosimo Marinelli - fucilato il 27 gennaio 1944 al poligono di tiro di Borgo Panigale - e i gonfaloni dei comuni di Sasso Marconi e di Castelnuovo di Garfagnana. Il presidente ha sollecitato "un clima di serenità che può e deve circondare ovunque le celebrazioni del 25 aprile":

A Roma la presidente della Regione Lazio Renata Polverini - che oggi ufficializzerà i nomi dei componenti della giunta - è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta san Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. La presidente è stata bersagliata da urla "buu, buu" e lancio di uova e frutta e alcuni fumogeni. Un frutto ha colpito all'occhio il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti che le era accanto. Polverini è stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso che non ha svolto lasciando la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele "Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita". Anche Zingaretti, che porta visibile il segno dell'oggetto che l'ha colpito in volto, ha lasciato Porta san Paolo.

A Milano il sindaco di Milano, Letizia Moratti, entrata nel corteo in corso Vittorio Emanuele all'altezza della chiesa di San Carlo, è stata accolta da fischi, insulti e slogan da giovani dei centri sociali con gli slogan "Fuori i fascisti dal corteo", "Vergogna, vergogna", "La resistenza è partigiana, Moratti te ne devi andare". La Moratti, scortata dalla polizia, è rimasta nel corteo insieme al presidente della Provincia Guido Podestà.

VIDEO / 25 aprile, il messaggio di Berlusconi

IL PUNTO / Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna" (di Stefano Folli)

Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile"

Berlusconi: d'accordo con Napolitano. Fini? Mai litigato

Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa"

25 aprile 2010

 

 

 

STEFANO FOLLI

Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna"

25 aprile 2010

Mai come quest'anno Giorgio Napolitano è riuscito a fare del 25 aprile la festa dell'Italia "riunificata". La guerra aveva lacerato e distrutto il paese, lo aveva spezzato a metà. E oggi, 65 anni dopo, il giorno della Liberazione ha un senso soprattutto se serve a riunire una nazione sfilacciata e corrosa da un male oscuro. Aiutandola a ritrovare il senso di un'identità profonda, al di là delle polemiche politiche. Si poteva immaginare che il capo dello Stato non si sarebbe limitato a commemorare una data storica. Ma il discorso di Milano ha avuto uno spessore civile che contrasta in modo evidente con la povertà e l'astiosità del dibattito politico.

A un'Italia in cui la memoria storica evapora e in cui qualcuno crede che il Tricolore sia una moda di cinquant'anni fa, Napolitano ha offerto una lettura del 25 aprile come festa non di parte (e perciò obsoleta), bensì come autentico giorno della nazione. Proprio perché la Liberazione è anche riunificazione. In altre parole è la riscoperta di ciò che unisce gli italiani, anzi di ciò che li ha riuniti dopo un immenso trauma.

Tutto questo è stato detto senza retorica e con vera commozione, come estremo messaggio a un paese distratto e nevrotico. E non è un caso che il presidente abbia rievocato il discorso di Berlusconi, un anno fa, a Onna, la cittadina abruzzese devastata dal terremoto. Quell'intervento viene considerato ancora oggi come un punto alto della lunga stagione politica del presidente del Consiglio. L'uomo che in precedenza aveva sempre ignorato il 25 aprile, in quanto festa "comunista" e quindi ostile, l'anno scorso fece della ricorrenza un motivo di riconciliazione, con parole misurate e attente che furono apprezzate anche dall'opposizione. Dopodiché si entrò, di lì a qualche settimana, nel tunnel buio delle Noemi e più tardi delle "escort". Lo spirito di Onna si dissolse e con esso la vaga speranza che la volontà di riconciliare il paese fosse tradotta in gesti concreti.

Ora Napolitano cita Onna per stimolare sia Berlusconi sia l'opposizione a ritrovare quel clima. Ovviamente non è affatto semplice, dato che in questi dodici mesi il confronto pubblico si è piuttosto degradato. Ma è l'unico modo per non arrendersi al manierismo per cui tutti invocano le riforme, meglio se "condivise", ma nessuno compie passi concreti per individuare un minimo di convergenza in Parlamento. Nel frattempo aumentano i rischi di strappi e forzature di tipo politico-istituzionale.

È noto dalle indiscrezioni che il capo dello stato ha osservato con inquietudine lo scontro dell'altro giorno tra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera: due politici rivali, certo, ma anche due tra le massime cariche istituzionali. Il rischio di confondere i piani, in una foga polemica sempre più veemente, è reale. Il che aprirebbe scenari ambigui che Napolitano di sicuro non gradisce. Si torna a parlare di legislatura fallita e di elezioni anticipate. E sappiamo quanto il Quirinale sia attento alla difesa delle sue prerogative al riguardo. Ma l'unico modo per evitare nuove tensioni e magari pressioni improprie ai vertici delle istituzioni consiste nel tentare sul serio e non solo in forma propagandistica la via delle riforme, nei fatidici tre anni che abbiamo davanti. Il senso di questo 25 aprile, in cui la memoria del passato si fonde con le ansie del presente, è tutto qui.

 

 

 

Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile"

24 aprile 2010

Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile"

"Dai nostri archivi"

Berlusconi sul 25 aprile: ora scrivere pagina condivisa

Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna"

150 anni Italia Napolitano scrive a Berlusconi: "Serve chiarimento"

Il Vietnam cerca in Italia la porta d'accesso all'Europa

Unità d'Italia: via dal comitato Maraini e Zagrebelsky

Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha confessato la sua "sincera emozione" a intervenire a Milano alle celebrazioni del 25 aprile. Il capo dello Stato ha spiegato la sua emozione "per quel che Milano ha rappresentato in una stagione drammatica, in una fase cruciale della storia d'Italia. E tanto più forte è l'emozione nel rivolgere questo mio discorso dal palcoscenico del glorioso teatro la Scala, che seppe risollevarsi dai colpi distruttivi della guerra per divenire espressione e simbolo del mondo intero, della grande tradizione musicale e culturale italiana".

Unità d'Italia irrinunciabile. L'unità d'Italia "rappresenta oggi, guardando al futuro, una conquista e un coraggio irrinunciabili. Non può formare oggetto di irrisione, nè considerarsi un mito obsoleto, un residuo del passato". "Solo se ci si pone fuori dalla storia e dalla realtà si possono evocare con nostalgia, o tornare a immaginare, più entità statuali separate nella nostra penisola. Se non si consolidasse questa unità - ha concluso - finiremmo ai margini del processo di globalizzazione che vede emergere nuovi giganti nazionali in impetuosa crescita e anche ai margini del processo di integrazione europeo".

Il presidente della repubblica si è commosso due volte ricordando il ruolo di Pertini nella lotta contro l'occupazione tedesca. "L'immagine conclusiva del suo impegno - ha ricordato con voce spezzata - come poi dirà la motivazione della medaglia d'oro al valore militare è rimasta consegnata alla fotografia che lo ritrae mentre tiene il suo primo discorso dopo decenni di privazione della libertà".

Uscire dalla spirale delle contrapposizioni. Giorgio Napolitano dice che in Italia si sono accumulati "nei decenni" problemi complessi, "talvolta per eredità di un più lontano passato", e per risolverli occorre "un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità".

Occorre, sottolinea, "uscire da una spirale di contrapposizioni indiscriminate".

Standing ovation. La conclusione del discorso di Giorgio Napolitano è stata accolta da un lunghissimo applauso di tutto il pubblico che si è levato in piedi ed ha applaudito per cinque minuti. Ad applaudire, fra gli altri, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha scambiato qualche battuta amichevole con la vicepresidente della Camera Rosy Bindi. Quando Napolitano è rientrato in sala ed ha scambiato una stretta di mano con Berlusconi, da alcuni palchi si sono levati dei fischi. Napolitano si è congedato ed è partito per fare rientro in serata al Quirinale.

Berlusconi: d'accordo con Napolitano. Fini? Mai litigato

Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa"

24 aprile 2010

 

2010-04-24

Berlusconi: d'accordo con Napolitano. Fini? Mai litigato

24 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo"

Dimenticate Lady D e Charles, ora litigano Veronica e Silvio

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Fini e Berlusconi sfidano Casini

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha negato di essere stato protagonista in questi giorni di "burrasche" politiche. "Io - ha detto Berlusconi - non sono mai stato protagonista di burrasche. Io non ho mai litigato perchè per litigare bisogna essere in due. È questo che ho detto anche a chi ha tentato di dire che ho litigato. Io sono assolutamente sereno, non ho mai dato nessuna risposta piccata in tanti mesi e continuo ad essere sereno, convinto di ciò che sto facendo".

Quanto al passaggio del discorso del capo dello Stato che invitava le forze politiche a superare le contrapposizioni per il bene comune del Paese, il miglioramento del clima tra loro, Berlusconi ha detto: "Ne sono assolutamente convinto. Opero e mi attivo in quella direzione da sempre".

24 aprile 2010

 

 

 

 

Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa"

24 aprile 2010

Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa"

"Dai nostri archivi"

La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile"

Fini: non esco e non starò zitto

Il doppio incarico dell'onorevole a volte diventa triplo

Cesaro in vantaggio di 24 punti. Stop all'era del centro-sinistra

 

Alla vigilia del 25 aprile, scoppia il "caso Salerno". Il presidente della provincia Edmondo Cirielli, ex deputato di An (oggi Pdl) e presidente della commissione Difesa della Camera – accusa il centrosinistra – ha "cancellato" la Resistenza e la lotta di liberazione dall'occupazione nazifascista dal manifesto celebrativo della provincia: resta solo un elogio all'esercito americano per un intervento "che ha salvato l'Italia dalla dittatura comunista". "La Resistenza – si difende Cirielli – era un movimento composito che intruppava anche persone che non combattevano per la libertà e per la democrazia, ma per instaurare una dittatura comunista in Italia; se ci avesse liberato l'Armata rossa, anziché gli americani, per 50 anni non saremmo stati un paese libero".

24 aprile 2010

 

 

 

 

Bersani alle opposizioni:

uniti, situazione imprevedibile

24 aprile 2010

Bersani alle opposizioni: uniti, situazione imprevedibile

"Dai nostri archivi"

Ora Bersani offre la "sponda" a Fini

D'Alema: ora liberiamo i prigionieri del Pdl

Ora Bersani offre la "sponda" a Fini

Bersani: il premier non dialoga

Berlusconi: no a correnti nel Pdl

"Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, in un intervista all'Ansa, chiama all'unità le forze di opposizione.

"Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il parlamento.

"Siamo di fronte - sostiene Bersani analizzando la tensione nella maggioranza - ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici".

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova". Da qui l'imprevedibilità dello scontro nel centrodestra e la necessità per Bersani di accelerare il confronto nelle opposizioni.

24 aprile 2010

 

 

 

 

 

Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo"

di Donatella Stasio

24 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione

"Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini

Duro scontro Berlusconi-Fini Il premier: si allinei o è fuori

Il duro botta e risposta tra Fini e il Cavaliere

Stop alle correnti e vincolo di scelte a maggioranza

"Sabotare? Non lo abbiamo mai fatto e non abbiamo intenzione di farlo neanche in futuro". Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della camera e alter ego di Gianfranco Fini sulla giustizia, rivendica il ruolo "costruttivo" svolto finora dall'ala finiana del Pdl e considera "offensivo" che si possa soltanto ipotizzare - come ipotizzano i fedelissimi di Silvio Berlusconi - un'azione di sabotaggio.

Giovedì, però, Fini ha marcato una netta distanza dal leader del Pdl, che sembra preludere a una strada in salita per alcune riforme.

Fini ha esclusivamente posto questioni politiche e ha chiesto attenzione per queste questioni, che peraltro segnala da tempo e che sono state sempre minimizzate.

Come il dissenso?

Come la mancanza di un vero e proprio dibattito all'interno del Pdl; il ruolo trainante della Lega; il problema dei decreti attuativi del federalismo fiscale. Oltre a indicare contenuti, ha fatto anche presente che è fondamentale affrontare i problemi e che è necessario esprimere il dissenso, quando c'è. Ciò non significa mettere in discussione la leadership di Silvio Berlusconi né trasformare il dissenso in una sorta di arbitrio assoluto. Perciò non capisco perché si tema il sabotaggio.

Si parla di rivedere la geografia di alcuni posti chiave, come la presidenza delle commissioni parlamentari. Lei, che non è molto amata dal premier, si sente precaria?

In questi giorni abbiamo letto sui giornali e sentito dire che ci sarebbe questa volontà. Ma finora non ci è arrivata alcuna richiesta ufficiale in tal senso. Il tema, però, è questo: nessuno può sostenere che la nostra condotta abbia mai ostacolato l'azione di governo. Personalmente, ho votato tutti i provvedimenti, che mi piacessero o no, dopo aver partecipato a discussioni per approfondorli.

Ma allora, che cosa volete, esattamente? O meglio, come pensate di continuare a coabitare nel Pdl?

Potrei riassumerla così: la confutazione, diceva Platone, è la più grande e potente forma di purificazione.

E dunque?

Criticare un argomento aiuta di fatto a liberarlo da errori.

Quel che per voi è un errore, per Berlusconi è spesso essenziale. Basti pensare alla giustizia.

Lo spirito che ci ha costantemente animato è sempre stato costruttivo: rispetto a un determinato obiettivo, abbiamo prospettato alternative possibili o segnalato problemi...

Problemi, appunto. Berlusconi dice di lei: "Crea sempre problemi sui testi di legge"...

Lui dice che io creo problemi; io dico che i problemi li vedo. Li ho visti in alcuni testi, finché mi venivano sottoposti. La mia partecipazione ai "tavoli" ha sempre avuto questa funzione: portare con me l'esperienza maturata nelle aule di giustizia e cercare di trasferire il dato di esperienza in modo da valutare le conseguenze e l'impatto dei provvedimenti.

Anche il consigliere giuridico del premier, Niccolò Ghedini, dovrebbe avere questa funzione. Spesso voi due siete stati in conflitto.

Non c'è dubbio che su alcune questioni abbiamo avuto diversità di vedute e abbiamo discusso; ma alla fine io ho sempre votato i provvedimenti, anche se non ho raggiunto l'obiettivo che mi prefiggevo. Piuttosto, è singolare leggere, il giorno dopo le riunioni, virgolettati attribuiti al premier del tipo: "Levatemela dai piedi".

Si stupisce?

Sì che mi stupisco. Perché considero mio dovere portare il contributo che ho sempre portato. Anche se mi scontro con il tecnico del premier, non significa che sia una sabotatrice.

Però, quando Berlusconi voleva la "prescrizione breve" (taglio di 1/4 della prescrizione per i reati con pene fino a 10 anni commessi entro maggio 2006) o insisteva per sfilare la corruzione dalle intercettazioni, lei si è sempre opposta e,con Fini, lo avete messo nell'angolo.

Anzitutto ricordo che Fini ha sempre riconosciuto che nei confronti di Berlusconi c'è un accanimento giudiziario, tant'è che il lodo Alfano lo abbiamo votato senza problemi. Ma di fronte a provvedimenti - come la prescrizione breve - che, per raggiungere un obiettivo rischiava di spazzar via 600mila processi, è doveroso segnalare il rischio di un'amnistia mascherata e battersi per evitarlo. Ecco, a questo ruolo non rinunciamo. Anzi: lo rivendichiamo. Un ruolo doveroso di segnalazione degli eventuali problemi che possono sorgere.

Sulla corruzione avete avuto gli scontri maggiori.

Sì perché per me la corruzione è un reato rispetto al quale, ad esempio, non si può rinunciare all'uso delle intercettazioni, come si vorrebbe fare. È un reato molto grave e, per farlo emergere, le intercettazioni sono indispensabili non foss'altro perché corrotto e corruttore spesso si accordano proprio al telefono. Io, però, sono sempre stata contraria all'abuso delle intercettazioni e, quindi, ho proposto una ricetta diversa per evitarne gli eccessi. Per farlo, non c'è bisogno di toccare i reati, ma soltanto di evitare la spropositata dilatazione del ricorso a questo strumento investigativo.

Però non è mai riuscita a convincere il premier.

Negli incontri in cui c'era anche lui, ho sempre espresso le mie perplessità tecniche e, per la verità, non ci sono mai stati violenti litigi. Ma dalla lettura dei giornali del giorno dopo capivo che no, proprio non l'avevo convinto e che, anzi, chiedeva di farmi togliere di torno.

Tanto non l'ha convinto, che al senato il governo ha presentato emendamenti al ddl intercettazioni per cancellare, ad esempio, le modifiche introdotte alla camera con la mediazione dei finiani, in particolare sul bavaglio alla stampa. Che farete quando il testo tornerà a Montecitorio così modificato?

Finché non leggo il testo e, soprattutto, finché non sarà stato approvato dal senato, non posso e non voglio esprimere giudizi. Al momento opportuno valuteremo. Piuttosto, dico fin d'ora che condivido, e spero sia approvato al più presto, il ddl "svuotacarceri" sulla detenzione domiciliare, su cui c'è stata, in commissione giustizia, una presa di distanza della Lega, che ha espresso perplessità e posto alcuni problemi, al contrario del Pdl.

Si sta togliendo un sassolino?

No, ma solo perché si dice sempre che la Lega è un alleato fedele. Non credo che queste cose mettano in crisi un rapporto. Io stessa, ad esempio, ho dovuto prendere atto che la maggioranza è contraria a un provvedimento per me importantissimo, la legge sul doppio cognome, che introdurrebbe davvero un mutamento culturale. Ne ho preso atto, e basta.

IL PUNTO / Bossi guida il treno che corre verso le elezioni anticipate (di Stefano Folli)

Bossi: riforme o si va a votare. E su Fini: "È un problema"

Gli squilibri nel Pdl pesano sulla giunta del Lazio

Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera"

BERLUSCONI / "Buona la prima", il premier esclude un nuovo predellino

VISTI DA LONTANO / "Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini (di Elysa Fazzino)

SONDAGGIO / Crisi Pdl e stabilità di governo

24 aprile 2010

 

 

 

 

 

Stefano Folli

Bossi guida il treno che corre verso le elezioni anticipate

24 aprile 2010

È singolare come Umberto Bossi sappia rivelarsi sincero, il che per un politico è spesso più un difetto che una virtù. Ma il capo della Lega sa essere diretto come nessun altro quando è in gioco il rapporto con il suo mondo, il suo elettorato. Perciò vale la pena leggere con attenzione l'intervista alla Padania di ieri. È il vero manifesto politico del centrodestra, annunciato dall'autentico vincitore, se così si può dire, di questa fase convulsa.

Perché Berlusconi può aver dimostrato ai telespettatori che è ancora lui il capo incontrastato del Pdl, come tale in grado di sgominare il ribelle Fini. Ma la verità è che il partito di maggioranza relativa si ritrova adesso con un'immagine incrinata. In direzione non si è discusso, si è litigato ferocemente: e pochi hanno capito su cosa. Il grande progetto del Pdl risulta quanto meno offuscato. Persino Berlusconi avrà bisogno di un po' di tempo per risalire la china nei sondaggi. Per cui la Lega può a buon diritto considerarsi la beneficiaria del putiferio nel partito alleato.

S'intende che a questo punto la legislatura è come una nave inclinata su un fianco. Non è ancora affondata, ma si avvia a esserlo. Per rasserenare il clima il presidente del Consiglio usa senza risparmio la retorica delle riforme da fare al più presto, addirittura "condivise" con l'opposizione. Ma tutti sanno che l'agenda delle cose possibili è ormai ridotta a poca cosa. E non solo per responsabilità (presunta) del gruppo dei dissidenti finiani e del loro "filibustering parlamentare", come dice Franco Frattini in anticipo sugli eventi.

La vera ragione è che sulle riforme non c'è mai stata chiarezza. Tanto è vero che il primo a non credere al "presidenzialismo" nelle varie versioni proposte è proprio Berlusconi. In fondo, per quanto sia paradossale, l'unico punto fermo del premier (e di Bossi) è una non-riforma: ossia l'assoluta intangibilità della legge elettorale attuale. Non a caso uno dei punti di maggiore dissenso proprio con Fini.

Per il resto, c'è il tema della giustizia, cui è annesso di fatto il disegno di legge sulle intercettazioni. È una bandiera importante per Berlusconi, ma anche un eccellente pretesto per consumare prima o poi un'eventuale rottura in Parlamento con il gruppo di Fini. Un "casus belli" che potrebbe portare alla chiusura anticipata della legislatura. E in fondo le elezioni anticipate appaiono sempre più come l'esito plausibile di una stagione in cui le riforme sono invocate e propagandate, ma restano virtuali.

Qui torniamo all'intervista di Bossi. E al punto cruciale del federalismo, cavallo di battaglia leghista. Il leader usa parole definitive: "Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita per ciò che non siamo riusciti a fare". E ancora: "Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione...". È un'intervista amara, in cui si capisce che Bossi è deluso e infastidito anche dal modo in cui Berlusconi ha gestito il caso Fini. Al punto da dare per morto il governo ("ha subito un crollo verticale") e in crisi persino l'alleanza tra Pdl e Lega.

In sostanza si tratta di un addio alla legislatura e dell'annuncio che ci si prepara alla battaglia elettorale, anche se è presto per dire quando. Di sicuro su Fini e sulle sinistre si riversa ogni responsabilità. Ma è anche la conferma che non ci sarà più una delega in bianco a Berlusconi su nessuna questione.

 

 

 

 

Gli squilibri nel Pdl pesano sulla giunta del Lazio

23 aprile 2010

Gli squilibri nel Pdl pesano sulla giunta del Lazio. Nella foto Renata Polverini

Nessuna conseguenza. È questo il leit motiv che i neo governatori di centrodestra vanno ripetendo a poche ore dalla rottura tra Fini e Berlusconi, mentre la Lega già preme per un redde rationem. Ma è davvero ipotizzabile che questo polverone politico non impatti sui governi regionali? Lo scenario appare diverso. Anzi, a livello regionale lo strappo consumatosi nel Pdl ha come conseguenza più evidente quella di riaprire un nuovo caso Lazio.

Qui le previsioni davano a 5 il numero degli ex An in predicato per un posto da assessore, due dei quali in quota Augello, finiano doc. Ed era stato lo stesso Fini a volere candidare Renata Polverini. Stamattina la presidente ha gettato acqua sul fuoco, assicurando che la nuova giunta si farà a breve e "non ci sarà nessuna ripercussione e cambiamento di equilibrio". Una linea confermata anche in serata. Prima, però, la presidente del Lazio è andata da Berlusconi a Palazzo Grazioli e lì dello scontro tra il premier e il presidente della Camera si è parlato "abbastanza", come lei stessa ha ammesso. Perchè "bisogna mantenere unita bla forza politica".

In agguato c'è anche l'Udc, che la Polverini l'ha sostenuta, scegliendo in Lazio di affiancarsi al Pdl, e che proprio ora chiede il conto. In termini di assessorati. "La Polverini rispetti gli impegni assunti prima, durante e subito dopo" il voto, ha detto il segretario nazionale, Cesa, al termine di una riunione del nuovo gruppo consiliare in Regione. Altrimenti l'Udc è pronta a passare all'appoggio esterno. "Leale e sereno", ma esterno.

Salendo al nord, in Lombardia nessun finiano entrerà in giunta. E neppure in Consiglio. Non è una novità, era già accaduto cinque anni fa. All'indomani dell'infuocata direzione nazionale del Pdl si replica. Formigoni ha presentato oggi la sua 'squadrà di 18 elementi: due sono ex An (erano 3 nel 2005) ora in forza al Pdl e vicini a La Russa (uno, Romano, è fratello del ministro). La Lega raddoppia con 5 assessori e un sottosegretario. Tutto il resto è del Pdl.

Zaia in Veneto e Cota in Piemonte hanno già fatto la giunta nei giorni scorsi. La compagine di Cota include 4 leghisti e 8 azzurri, tre dei quali hanno militato nelle file di An. Lo scontro Berlusconi-Fini, assicura il governatore, "non avrà alcun riflesso". Con un cambio in corsa, invece, ha già dovuto fare i conti Zaia: le deleghe sull'Agricoltura, ufficiosamente appaltate in un primo tempo a Massimo Giorgetti sono poi andate al leghista Franco Manzato. Giorgetti, oggi nel Pdl, proviene da Alleanza nazionale. Alberto Giorgetti, suo fratello, anche lui ex An, attuale coordinatore del Pdl veneto e da sempre vicino a Fini, chiede oggi di "ricucire lo strappo" in casa Pdl, rilancia l'idea di una "sincera alleanza con la Lega" condita però da una "competizione sulle proposte" per i cittadini e assicura che per la giunta veneta non c'è nulla da temere.

Al Sud, in Calabria, la giunta è operativa da una settimana: Scopelliti, in passato segretario del Fronte della gioventù, l'ha messa su in 48 ore. Nell' esecutivo sono entrati gli assessori del Pdl ampiamente annunciati alla vigilia, eccetto Franco Morelli, ex An, fedelissimo di Gianni Alemanno. In Campania, nella giunta a cui sta lavorando il neo governatore Stefano Caldoro, non sarebbe previsto nessun assessore riconducibile al presidente della Camera. Da approfondire, invece, le posizioni nel gruppo consiliare del Pdl, dove Fini dovrebbe contare su due-tre consiglieri.

23 aprile 2010

 

 

 

 

 

Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera"

23 aprile 2010

Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera" (Ansa)

Sulle riforme istituzionali "ognuno deve rinunciare a piantare la propria bandiera" e questo "vale tanto per il centrodestra quanto per il centrosinistra". Lo sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in un intervento all'Istituto Stensen di Firenze. Intervistato dal docente di Relazioni Internazionali, Luciano Bozzo, Fini ha spiegato che "questo dibattito oggi non appassiona più perché non ha dato frutti. Nel 1983 c'era già la prima commissione bicamerale per le riforme, siamo nel 2010 e siamo sempre a parlare di riforme". Invitando le parti in causa al dialogo evitando riforme a colpi di maggioranza, Fini ha aggiunto che "più che contrapporre questo a quel modello, dobbiamo bandire riforme che siano convenienti ad una parte e non gradite ad un'altra". Tra le priorità istituzionali il presidente della Camera ha riconosciuto che "bisogna definire con chiarezza quali sono le competenze dello stato e quali delle regioni". L'argomento più difficile su cui "far convergere centrodestra e centrosinistra", ha riconosciuto Fini, "resta quello della forma di Governo. Non è una difficoltà insormontabile, comunque, se si lavora con una certa buona volontà. Però ognuno deve rinunciare a piantare la propria bandiera".

23 aprile 2010

 

 

 

 

"Buona la prima", il premier

esclude un nuovo predellino

23 aprile 2010

Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi alla presentazione del suv della Uaz da lui acquistato per una scommessa con Vladimir Putin (Infophoto)

Un altro predellino? "No, certe cose non si ripetono mai. Buona la prima". Silvio Berlusconi il giorno dopo lo scontro pubblico con Gianfranco Fini trova il modo di ironizzare sul discorso del predellino che fondò il Pdl. Il presidente del consiglio alla presentazione del suv della Uaz da lui acquistato per una scommessa con Vladimir Putin, osserva la nuova jeep prodotta in joint venture dalla Fiat e commenta: "c'è anche un meraviglioso predellino", ma ai fotografi che gli chiedono di salirci sopra per una foto risponde con un sorriso "no, certe cose non si ripetono mai".

Il premier in mattinata ha avuto una serie di colloqui con ministri ed esponenti del Pdl. E al termine della seduta del Consiglio dei ministri ha brevemente salutato Umberto Bossi, mentre nella sede del Governo si sono fermati anche i ministri della Giustizia, Angelino Alfano, della Gioventù, Giorgia Meloni e della Difesa, Ignazio La Russa. Il premier ha ricevuto inoltre i capogruppo di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri.

A gettare acqua sul fuoco, dopo una riunione a palazzo Chigi è il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il quale si dice convinto che "non ci saranno ripercussioni sul governo e nemmeno sulla tenuta della legislatura". E ai cronisti che gli chiedono quali sviluppi avranno le tensioni tra Berlusconi e Fini, risponde: "dobbiamo riflettere su come uscirne". Renato Schifani si augura che "dopo la tempesta, come sempre, arrivi la quiete". Per il presidente del Senato ora tutto dipenderà "dall'atteggiamento che la componente minoritaria che ieri si è disegnata nella direzione nazionale avrà in Parlamento". Si dice preoccupata Renata Polverini, perché "un grande partito che si è diviso anche in maniera molto plateale non può che destare preoccupazione". La presidente della regione Lazio però crede che una ricucitura sia possibile.

Il giorno dopo lo strappo Gianfranco Fini non si scompone e nei suoi uffici a Montecitorio riceve la visita inattesa di alcuni suoi fedelissimi, che probabilmente gli hanno voluto dimostrare fiducia e solidarietà per lo scontro con il premier e per gli attacchi rivoltigli da alcuni quotidiani. Il presidente della Camera ha incontrato, tra gli altri, il presidente della commissione Lavoro Silvano Moffa, il deputato Benedetto Della Vedova e il vicepresidente dei deputati del Pdl Italo Bocchino. Ma a far visita a Fini sono stati anche altri fedelissimi, certificando la compattezza della componente. Non si è trattato, in ogni caso, di riunioni o summit di corrente che alimenterebbero soltanto polemiche interne al Pdl.

Intanto Italo Bocchino dal sito di Generazione Italia, chiede uno statuto dell'opposizione interna. "Vogliamo il diritto di discutere sull'attuazione del nostro programma elettorale. E vogliamo farlo nelle sedi di partito, a partire dalla Direzione nazionale e dai gruppi parlamentari", scrive il vice presidente dei deputati Pdl.

23 aprile 2010

 

 

 

 

"Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini

di Elysa Fazzino

23 aprile 2010

"Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini

Una scena "senza precedenti", un "match urlato", una "rottura in diretta tv".

La stampa straniera ne ha certamente viste tante in Italia, ma lo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl ha sorpreso anche gli osservatori più blasé.

"La faida interna di Berlusconi esplode in uno scontro tv" è uno dei titoli sul sito web del Financial Times. Le divisioni nel partito sono esplose in un congresso "degenerato in un match urlato", scrive Guy Dinmore. "Le scene di disunione senza precedenti" –continua - seguono mesi di tensione tra i due alleati su "questioni fondamentali di politica e identità", che, secondo i leader di partito, rischiano di portare a elezioni anticipate se Berlusconi dovesse perdere la sua maggioranza parlamentare.

Il Ft descrive un Berlusconi "chiaramente furibondo" di fronte al "lungo ed emotivo" discorso in cui Fini ha attaccato la sua leadership. Fini, spiega Dinmore, ha le sue radici in un movimento che vuole "uno stato e un governo centrale forte". Questo lo pone in rotta di collisione con la Lega Nord. E "senza la Lega Nord, il centrodestra perderebbe la sua maggioranza in Senato".

I toni gridati dello scontro e la gestualità dei reciproci attacchi sono in evidenza in tutte le cronache. In particolare una Reuters sottolinea che le tensioni minacciano la stabilità del governo italiano, parla di "raro dibattito pubblico" nel quale Fini ha criticato "lo stile e la sostanza della leadership di Berlusconi", mentre un "irato" Berlusconi cercava di interromperlo. Il lancio d'agenzia è ripreso sui siti dell'Independent e del Telegraph e, oltre Atlantico, su quelli del New York Times e del Washington Post.

Lo spagnolo El Pais mette la notizia in rilievo sulla homepage del suo sito: "Berlusconi e Fini rompono". I cofondatori del Popolo della Libertà "inscenano la loro rottura davanti alla televisione e al partito". Per Miguel Mora, la democrazia italiana ha vissuto una giornata storica. Berlusconi e Fini si sono lanciati "critiche, rimproveri, panni sporchi e frecce avvelenate".

La lite ha messo in piazza la "profonda divisione" del partito di governo e Fini ha dimostrato che "la battuta che lo definisce come capo dell'opposizione contiene gran parte di verità". Il quotidiano spagnolo ricorda la contrapposizione tra "lo stile elegante e riflessivo" di Fini e "il carisma aggressivo e populista" del primo ministro.

Se la "teatrale messa in scena" sfocerà in una crisi definitiva, scrive El Pais, Fini può contare su una cinquantina di parlamentari che abbandonerebbero il Pdl. "Una cifra sufficiente per frenare le riforme costituzionali di segno autoritario che Berlusconi vuole portare avanti, il che potrebbe convincere il Cavaliere a optare per elezioni anticipate" .

"Convertito in squalo dopo essere stato delfino", osserva ancora El Pais, "Fini almeno ha ottenuto un obiettivo minimalista: ridare un poco di dignità alla politica italiana".

El Mundo vede i due alleati "sull'orlo della separazione". Berlusconi e Fini "sfilato i coltelli in pubblico", titola il sito spagnolo Abc descrivendo "un triste spettacolo di attacchi, grida e gesti di disprezzo" davanti alla platea de loro partito e alle telecamere della tv, "per la prima volta ammesse in un dibattito interno". Alla fine, Berlusconi ha dato "una specie di ultimatum" a Fini, che ha detto di non avere nessuna intenzione di lasciare la presidenza della Camera.

Il sito di Les Echos parla di "battibecco" nel titolo di un pezzo Afp che racconta come Berlusconi abbia mostrato i muscoli e lanciato una sorta di ultimatum a Fini. Le tensioni ricorrenti tra i due si sono rafforzate – osserva l'agenzia – dopo l'affermazione della Lega Nord alle regionali. Secondo Fini, spiega, una parte del Pdl si preoccupa del prezzo che la Lega farà pagare a Berlusconi per continuare a dargli un sostegno sempre più indispensabile.

23 aprile 2010

 

 

 

2010-04-21

Berlusconi: no a correnti nel Pdl

di Celestina Dominelli

21 Aprile 2010

"Dai nostri archivi"

IL PUNTO / Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl?

Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni

"Opa" di Bossi sulle banche del Nord

La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile"

Fini: "Berlusconi accetti il dissenso, io non starò zitto"

Per la resa dei conti finale e per sapere come il premier Silvio Berlusconi risponderà all'ultima mossa di Gianfranco Fini, bisognerà attendere la direzione nazionale di domani. Ieri, però, una certezza è emersa dal vertice che si è tenuto a Palazzo Grazioli: il Cavaliere non è disposto a dare alcun riconoscimento formale alla minoranza che Fini si appresta a varare. Una posizione granitica che il premier ha consegnato ai due coordinatori, Sandro Bondi e Denis Verdini, ai capigruppo del partito Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, al vicecapogruppo a Palazzo Madama Gaetano Quagliariello, al ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli e al sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Unico assente, Ignazio La Russa: a trattenerlo lontano da Roma nessuna incertezza politica, ma solo la sua Inter schierata a San Siro per la Champions League.

Chi ha visto il premier ieri sera lo descrive comunque molto cupo e deciso a rispondere colpo su colpo alle richieste messe nero su bianco da Fini. Non a caso agli organizzatori della mega-riunione di domani Berlusconi ha posto un paletto imprescindibile: il suo intervento dovrà essere l'ultimo, per consentirgli di replicare a tutte le contestazioni dell'ex leader di An.

Ieri a palazzo Grazioli il Cavaliere ha anche incontrato una rappresentanza del Carroccio (i due ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni e la vicepresidente del Senato, Rosy Mauro) per definire la contropartita dopo l'ok leghista all'avvicendamento tra Luca Zaia e Giancarlo Galan al ministero dell'Agricoltura. A qualche agenzia che aveva accomunato le due riunioni, Calderoli ha poi precisato che non c'è stato alcun vertice tra Lega e Pdl e che l'incontro (durante il quale Berlusconi ha detto sì alla richiesta leghista di avere gli assessorati all'agricoltura nelle regioni del Nord) era stato programmato da giorni.

A far crescere l'ira del premier ha poi contribuito la notizia che il finiano di punta, Italo Bocchino, avrebbe partecipato la sera al programma Ballarò. Una scelta che il Berlusconi non ha affatto gradito, tanto da aver provato, fino all'ultimo minuto, a bloccarla, senza successo.

Così il Cavaliere ha preso atto di questo ulteriore "sgarbo" e ha ribadito ai suoi di non essere assolutamente disposto a dare legittimazione a una corrente interna che faccia capo a Fini perché un'apertura di questo tipo si tradurrebbe in una battaglia campale dentro il parlamento. Con i berlusconiani e gli ex An staccatasi da Fini costretti a trattare su ogni tema con la pattuglia del presidente della Camera.

Ma con quale posizione si presenterà il Cavaliere domani alla direzione Pdl? Il premier non vuole ingessare la discussione interna nel partito in un meccanismo di correnti. Un conto è la libertà di dissenso, il confronto libero tra opinioni diverse che il Cavaliere, almeno a parole, vuole garantire. Altra cosa è formalizzare una minoranza e riconoscerle diritti di espressione e di rappresentanza all'interno del partito. Se Fini vorrà portare fino in fondo la sua sfida, la risposta di Berlusconi non potrà dunque che essere durissima, fino all'estromissione dal partito nel caso in cui la frattura non si potesse più ricomporre. "Non posso permettere che qualcuno tenti di logorarmi e non voglio più trattare con certe persone", è la riflessione di Berlusconi.

Per il momento, però, il Cavaliere preferisce rimandare qualsiasi decisione. A dissuaderlo soprattutto Umberto Bossi. "Non possiamo rompere, occorre trovare un accordo", continua a ripetere il Senatur, preoccupato che una rottura tra Fini e Berlusconi possa vanificare tutto il lavoro svolto sul federalismo fiscale.

In serata, poi, Berlusconi ha partecipato al quinto anniversario dell'elezione di Benedetto XVI al soglio pontificio dove ha avuto un breve colloquio con il segretario del Pd, Pierluigi Bersani.

Se guerra alla fine sarà, dunque, lo si saprà solo domani. Ma qualcuno, come il ministro Matteoli, continua a sperare in una riconciliazione. "Dalle dichiarazioni di chi ha partecipato oggi alla riunione con Fini emerge che ci sono tutti i presupposti affinché il partito resti unito e auspico che questo avvenga per la mia storia e perché il partito vince". Più tranchant, invece, il ministro La Russa. "Le vicende interne di questi giorni portano a una frammentazione del Pdl che torna utile alla sinistra e in qualche modo fa sorridere anche gli alleati della Lega. Ciò poteva essere facilmente evitato". Un chiaro messaggio al suo ex segretario.

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21 Aprile 2010

 

 

 

Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl?

21 aprile 2010

Adesso che Gianfranco Fini ha fatto l'unica scelta logica (e prevedibile), decidendo di contare i suoi seguaci e di restare nel Pdl, sia pure in netta minoranza, la parola è al leader. Può tollerare Silvio Berlusconi l'esistenza di un dissenso organizzato dentro i confini della sua creatura politica? In termini politici la risposta dovrebbe essere affermativa. L'esistenza di una minoranza è fisiologica in un grande partito, a maggior ragione in un sistema bipolare, e il premier dovrebbe essere il primo a rallegrarsene.

Ma la fisionomia del Popolo della libertà è peculiare, come insegna la storia del "predellino". E di sicuro Berlusconi non ha mai contemplato l'ipotesi di una fronda. Non stupisce quindi che abbia reagito con stizza agli ultimi avvenimenti.

A esser precisi, il presidente del Consiglio vede la corrente finiana alla stregua di un cavallo di Troia incuneato nel fortilizio del Pdl. Già immagina i guerrieri del rivale uscire dalla pancia del quadrupede e sabotare il programma di governo. Probabilmente Berlusconi sta commettendo un errore e qualcuno, a cominciare proprio da Umberto Bossi, glielo sta facendo notare in queste ore. Del resto la riunione cruciale della direzione è convocata per domani: c'è tempo per rasserenare il clima, sempre che si voglia farlo.

La verità è che il Pdl non è abituato al dibattito interno. Sotto questo aspetto il partito berlusconiano è tutt'altra cosa rispetto ai conservatori inglesi o ai democristiani tedeschi. Tanto più che l'ambizione di Fini è molto alta: aprire il confronto fra le due destre con l'obiettivo di farne prevalere una, la sua. Ossia – nel suo schema – la destra liberale e moderata, attenta ai vincoli costituzionali, rispetto alla destra legata al carisma del leader, plebiscitaria e poco incline a lasciarsi frenare dal quadro istituzionale.

È ovvio che il rapporto di forza è tutto a favore di Berlusconi, come dimostra il documento dei 75 parlamentari ex An che non aderiscono alle posizioni di Fini e che hanno voluto confermare la loro fedeltà al premier. Ma è la prima volta che le due anime della destra si misurano in campo aperto, sia pure nella cornice dello stesso partito. Può essere l'occasione di chiarire molti equivoci che la nascita del Pdl si è portata dietro. Berlusconi ha ragione nell'intravedere rischi per la buona navigazione del governo. Specie al Senato dove i numeri della maggioranza sono più esigui. Ma una resa dei conti con i ribelli, che sulla carta chiedono solo rispetto per le loro idee, sarebbe un sicuro lasciapassare per l'instabilità e forse per la crisi ravvicinata dell'esecutivo.

Tutto lascia pensare quindi che il presidente del Consiglio, per quanto contrariato, lascerà che il gruppo dei finiani si organizzi ed esponga le sue tesi a partire da domani. La condanna degli eretici e il successivo rogo sarebbe in questa fase un atto di autolesionismo con effetti negativi anche sul piano istituzionale. Si dimostrerebbe che non è possibile nel centrodestra la convivenza di opinioni diverse. Di conseguenza anche il tragitto delle riforme sarebbe ostruito. Del resto Berlusconi vede con crescente sospetto proprio il capitolo delle riforme istituzionali. Giudica la questione del presidenzialismo una trappola di Fini, un modo per far passare una nuova legge elettorale. E si mette in guardia. Ma come gli ripete Bossi, in questo frangente non c'è che tentare la coabitazione con il presidente della Camera. La coesistenza delle due destre.

 

 

 

 

La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile"

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La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile"

"Dai nostri archivi"

Fini: non esco e non starò zitto

Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta"

Fini: "Berlusconi accetti il dissenso, io non starò zitto"

La delusione di Fini: elusi i problemi

Berlusconi: no a correnti nel Pdl

"I partiti possono sempre organizzarsi in correnti, ma mi sembra che il primo a considerarle non positive sia stato proprio Fini". Così il ministro Ignazio La Russa, uno dei tre coordinatori del Pdl, ha bocciato in tronco la posizione assunta dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, suo ex "capo" quando era leader di Alleanza nazionale. Concetto ribadito da un maggiorente ex aennino a margine del vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli nel pomeriggio. "Non credo che (una corrente, ndr) sia una cosa che si può ipotizzare, non ha alcun senso".

Il Pdl, del resto, rappresenta "una scelta giusta ed irreversibile". E' quanto si legge in un documento firmato dagli ex colonnelli di An - Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, che direttamente o indirettamente hanno preso parte al vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli nel pomeriggio - e da 75 parlamentari in tutto (tutti provenienti da An). "Vogliamo contribuire ulteriormente a rafforzare il PdL restando all'interno del partito", proseguono i 75 (tra questi anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni). Tagliente la replica di Fini alla Velina Rossa di Pasquale Laurito: "Credo che in cuor loro siano d'accordo con me, ma ufficialmente non vogliono che si sappia".

Tuttavia secondo i 75, scelta "giusta e irreversibile" non significa "ignorare i problemi politici e organizzativi che il Pdl deve affrontare procedendo nella sua strada, e le stesse osservazioni avanzate dal presidente della Camera Gianfranco Fini che debbono ovviamente essere oggetto di corretta valutazione. Quindi, per difendere e rafforzare l'unità del Popolo della Libertà, è necessario dare luogo ad un costante, libero, proficuo confronto di idee, che si basi sul regolare e sempre più frequente incontro degli organi statutari del partito e dei Gruppi parlamentari. Lì le idee e i progetti si devono confrontare per attuare, integrare e aggiornare il programma elettorale e le decisioni politiche scaturite dal congresso di fondazione".

"Vanno garantiti il massimo della democrazia interna e il rispetto di tutte le posizioni, affidando le decisioni finali, impegnative per tutti, agli organi di volta in volta competenti", sottolineano i parlamentari ex An.

"Il progetto del Popolo della Libertà - affermano i 75 nel documento - contribuisce in maniera decisiva alla costruzione di una democrazia bipolare, nella quale le istanze e i valori del centrodestra hanno raccolto la maggioranza dei consensi degli italiani. Alla netta affermazione alle elezioni politiche del 2008, hanno fatto seguito le vittorie alle regionali in Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Sardegna nonché le ultime elezioni regionali e significative affermazioni nelle città e nelle province. Risultati che rappresentano un chiaro giudizio positivo sul Governo guidato da Silvio Berlusconi. Pertanto, in ogni caso siamo fermamente convinti che il PdL rappresenti una scelta giusta ed irreversibile. Vogliamo contribuire ulteriormente a rafforzare il PdL restando all'interno del partito".

"Questo - proseguono - non significa ignorare i problemi politici e organizzativi che il Pdl deve affrontare procedendo nella sua strada, e le stesse osservazioni avanzate dal Presidente della Camera Gianfranco Fini che debbono ovviamente essere oggetto di corretta valutazione. Quindi, per difendere e rafforzare l'unità del Popolo della Libertà, è necessario dare luogo ad un costante, libero, proficuo confronto di idee, che si basi sul regolare e sempre più frequente incontro degli organi statutari del partito e dei Gruppi parlamentari. Lì le idee e i progetti si devono confrontare per attuare, integrare e aggiornare il programma elettorale e le decisioni politiche scaturite dal congresso di fondazione".

"Vanno garantiti - sottolineano - il massimo della democrazia interna e il rispetto di tutte le posizioni, affidando le decisioni finali, impegnative per tutti, agli organi di volta in volta competenti. Deve essere valorizzata l'azione delle rappresentanze elettive, a livello centrale e a livello locale, e intensificata l'opera di proselitismo, tesseramento, radicamento del Partito, con la piena funzionalità degli organi comunali, provinciali e regionali, anche attraverso i congressi previsti dallo statuto, affinché sul territorio una scelta democratica prenda il posto delle prime designazioni avvenute tenendo conto delle 'quote di provenienza' tra gli ex di An e di Forza Italia. Queste quote devono essere superate definitivamente attraverso la convocazione di un nuovo Congresso nazionale da celebrare nei tempi più rapidi possibili".

"Deve essere difeso il sistema bipolare - insistono i 75 - aprendo la stagione delle riforme istituzionali per il rafforzamento della democrazia diretta che consente ai cittadini di scegliere i massimi vertici del governo e delle istituzioni e per garantire una effettiva governabilità al Paese. Deve essere forte e ricca di contenuti l'azione del Popolo della Libertà su tutto il territorio nazionale e per i temi di principale interesse dei cittadini. È evidente che le questioni dell'economia e del lavoro, dello sviluppo del Sud, della sicurezza e del contrasto all'immigrazione clandestina, della tutela della vita e della famiglia, devono vedere protagonista il Popolo della Libertà, prima forza politica italiana e guida della coalizione di centrodestra".

Secondo il documento degli ex aennini "deve essere centrale la nostra vocazione a tutela dell'unità nazionale nel rispetto delle specificità locali e delle diversità territoriali. Per questo è necessario attuare, insieme al presidenzialismo, il federalismo fiscale in modo efficace e solidale con un forte snellimento del sistema burocratico per ridare slancio all'economia dei territori, in particolare quelli del Nord, da sempre locomotiva dello sviluppo. Non deve essere trascurato, o peggio ancora accresciuto con messaggi equivoci, il disagio dei cittadini a fronte dei guasti provocati dall'immigrazione clandestina".

"L'unità del Popolo della Libertà, il bipolarismo, il rafforzamento della democrazia interna, i valori della destra, la modernizzazione dell'Italia attraverso una forte agenda di riforme, sono obbiettivi e contenuti che quanti provengono dalla esperienza di An, decisiva per l'affermazione del centrodestra e per la nascita del Popolo della Libertà, ritengono prioritarie ed essenziali".

I firmatari del documento sono: Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Giorgia Meloni, Francesco Amoruso, Francesco Aracri, Filippo Ascierto, Alberto Balboni, Antonio Battaglia, Viviana Beccalossi, Domenico Benedetti Valentini, Anna Maria Bernini, Filippo Berselli, Francesco Bevilacqua, Maurizio Bianconi, Francesco Biava, Giorgio Bornacin, Alessio Butti, Antonino Caruso, Giuseppina Castiello, Maurizio Castro, Basilio Catanoso, Carlo Ciccioli, Edmondo Cirielli, Manlio Contento, Gennaro Coronella, Massimo Corsaro, Riccardo De Corato, Cristiano De Eccher, Mariano Delogu, Fabrizio Di Stefano, Egidio Digilio, Giovanni Dima, Vincenzo Fasano, Andrea Fluttero, Tommaso Foti, Paola Frassinetti, Alessandra Gallone, Pierfrancesco Gamba, Agostino Ghiglia, Alberto Giorgetti, Domenico Gramazio, Giorgio Holzmann, Pietro Laffranco, Mario Landolfi, Maurizio Leo, Gianni Mancuso, Alfredo Mantica, Alfredo Mantovano, Marco Marsilio, Marco Martinelli, Riccardo Migliori, Eugenio Minasso, Franco Mugnai, Bruno Murgia, Domenico Nania, Vincenzo Nespoli, Carlo Nola, Antonio Paravia, Vincenzo Piso, Carmelo Porcu, Fabio Rampelli, Luigi Ramponi, Michele Saccomanno, Stefano Saglia, Barbara Saltamartini, Filippo Saltamartini, Raffaele Stancanelli, Marcello Taglialatela, Achille Totaro, Michele Traversa, Giuseppe Valentino, Marco Zacchera.

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L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione

di Donatella Stasio

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20 Aprile 2010

L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione

"Dai nostri archivi"

Fini: "Berlusconi accetti il dissenso, io non starò zitto"

Giustizia: due anni dal rinvio a giudizio per la prescrizione

"Vado in sala stampa e faccio l'annuncio"

PILLOLA POLITICA /Fini-Berlusconi: il patto onorevole sulla giustizia e le distanze sul Pdl

Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana

Intercettazioni e prescrizione breve: è su questi due fronti che la finiana Giulia Bongiorno si è "guadagnata" l'antipatia di Silvio Berlusconi ("crea sempre dei problemi", "levatemela dai piedi"). Nell'uno e nell'altro caso, la presidente della commissione giustizia della Camera, alter ego di Gianfranco Fini sulla giustizia, ha mandato in fumo i programmi del presidente del Consiglio: lui spingeva per soluzioni radicali che tenessero fuori dalle intercettazioni il reato di corruzione; lei gli rispondeva che il malaffare non viene a galla senza le registrazioni; lui insisteva per azzerare con la "prescrizione breve" migliaia di processi, anche sulla corruzione, lei replicava che sarebbe stata un'amnistia mascherata. Il pomo della discordia era sempre lo stesso: il reato di corruzione.

Due date, in particolare, hanno segnato il rapporto tra B e B, e misurato la loro distanza: il 21 gennaio 2009 e il 10 novembre dello stesso anno. In entrambe le occasioni, il premier capì che l'avvocato Bongiorno sarebbe diventato la sua spina nel fianco. E con lei il presidente della Camera Gianfranco Fini.

Le cronache ricordano che il 21 gennaio 2009, durante una cena-vertice a palazzo Grazioli, si chiuse il braccio di ferro sull'esclusione o meno della corruzione dalla lista dei reati intercettabili. Prima della presentazione del Ddl Alfano, la Bongiorno aveva concordato con Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del premier, una formula che non escludesse i reati contro la pubblica amministrazione (almeno quelli più gravi); ma subito dopo il varo del provvedimento, ricominciò il pressing di Berlusconi per far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Doveva però superare l'ostacolo di Fini. Il 22 gennaio il premier si trovò di fronte la Bongiorno, che puntò i piedi sulla lista dei reati intercettabili, evitando che Berlusconi sfilasse corruzione e concussione. Ebbe la meglio (la lista, anzi, si allungò), anche se Berlusconi fece ingoiare a Fini una durata degli ascolti "limitata nel tempo" e, soprattutto, i "gravi indizi di colpevolezza", poi divenuti "evidenti" (ma destinati a tornare, in quest'ultimo giro di boa al Senato, "gravi indizi di reato").

L'ulteriore dispiacere dato al Cavaliere fu quando la Bongiorno, in una lettera al presidente dell'ordine dei giornalisti, annunciò che "un divieto totale di pubblicazione di atti giudiziari fino alla conclusione delle indagini o fino al termine dell'udienza preliminare" avrebbe "azzerato qualsiasi forma di conoscenza nelle prime fasi dell'attività giudiziaria relativa a delitti di grave allarme sociale". E dunque preannunciò alcune correzioni poi inserite al testo per attenuare il "bavaglio alla stampa".

Ma lo scontro più forte tra B e B si consumò a Montecitorio il 10 novembre 2009, all'indomani della bocciatura del Lodo Alfano da parte della Consulta. La presidente della commissione Giustizia affiancava Fini in quel faccia a faccia, uno dei più tesi che abbia avuto con il premier, a sua volta affiancato da Ghedini. Era presente anche Gianni Letta. Berlusconi si presentò con due testi, uno sul "processo breve" e l'altro sulla "prescrizione breve" (taglio di 1/4 della prescrizione per i reati puniti con non più di 10 anni commessi prima di maggio 2006). Il premier li voleva entrambi, in particolare il secondo, che avrebbe chiuso una volta per tutte i suoi processi in corso. Il Quirinale era in allarme, perché si prospettava la morte di circa 600mila processi. La Bongiorno obiettò a Berlusconi quello che in tanti, anche nel Pdl, pensavano ma non dicevano: sarebbe stata un'amnistia. E per di più, con dentro la corruzione. Come spiegarla agli Italiani? Fini fece muro: "Danneggerebbe i cittadini. Non si può fare". E il cavaliere incassò "soltanto" il "processo breve". Che però, dopo l'approvazione del Senato, è rimasto bloccato in commissione giustizia alla Camera.

IL PERSONAGGIO

Giulia Bongiorno

Avvocato cassazionista e presidente della commissione giustizia di Montecitorio, ha da poco compiuto 44 anni. La sua notorietà risale a diversi anni fa, quando giovanissima (28 anni) fece parte del collegio di difesa di Giulio Andreotti, processato con l'imputazione di associazione mafiosa. La Bongiorno fu l'assistente del difensore principale, Franco Coppi. Nella sua carriera ha difeso, tra gli altri, Piero Angela (in un processo per diffamazione) e Sergio Cragnotti.

IL PUNTO /A Fini conviene costituirsi minoranza nel Pdl. Pensando al futuro (di Stefano Folli)

Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana (di Sara Bianchi)

Rutelli (Alleanza per l'Italia): "Il terzo polo adesso è possibile" (di Alberto Orioli)

Briguglio (Pdl): possibile un nuovo partito ispirato a Fini

20 Aprile 2010

 

 

 

Un terzo polo con Fini?

Per ora resta un'ipotesi lontana

di Sara Bianchi

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19 aprile 2010

Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana

"Dai nostri archivi"

Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta"

Credibile e onesto ma meno simpatico

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

A Fini conviene costituirsi minoranza nel Pdl. Pensando al futuro

Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti"

In attesa del confronto tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, finiani si preparano all'incontro di domani con il presidente della Camera, ma l'attivisimo è alle stelle anche tra gli aennini che non stanno con l'ex leader.

Ignazio La Russa e altri 17 parlamentari di Lombardia, Piemonte e Liguria hanno sottoscritto un documento in cui dichiarano che rimarranno all'interno del partito qualunque cosa accada, perché "è una scelta irreversibile".

I finiani lavorano alla stesura del documento per la direzione nazionale di giovedì, quando i due leader si confronteranno apertamente. Una prova di forza che si annuncia più aspra del previsto, perché se nel documento inziale dei finiani i toni erano abbastanza concilianti ora le cose sembrano mettersi diversamente, con accenti più duri.

Le ipotesi sul tappeto restano due: l'effettiva costituzione di una minoranza interna al Pdl, oppure la formazione di gruppi parlamentari autonomi, considerata dal presidente del Consiglio una scissione a tutti gli effetti. Scenario che potrebbe dare origine a un terzo polo con Casini, Fini e Rutelli. Idea quest'ultima lanciata dall'ex leader della Margherita dalle pagine del Sole 24Ore e che non raccoglie, almeno per il momento, grandi entusiasmi tra i possibili alleati. "Gianfranco Fini è stato categorico: appoggiamo questo governo, abbiamo ricevuto dai nostri elettori il mandato a governare con Berlusconi e comunque vadano le cose non li tradiremo", dice il Senatore Giuseppe Valditara. "La nostra volontà - sottolinea - è rafforzare il Pdl, non romperlo, far sì che il partito sia costruito in modo che ognuno si senta a casa propria". Valdirata ricorda come il Pdl sia composto da varie anime e "tutte devono essere rappresentate". E cita un recente sondaggio, secondo il quale il 38% degli elettori del Pdl preferisce Fini a Berlusconi: "si tratta dunque di una minoranza che va ascoltata". Intanto l'attesa per il confronto pubblico tra i due leader cresce. "Quella che stiamo vivendo grazie a Fini", dice Valditara "è una stagione decisamente affascinante: giovedì si confrontano per la prima volta nel nostro partito ai massimi livelli Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. È un dibattito che sarà di insegnamento anche per il Pd". E poi "un vero liberale appoggia le istanze di Fini, non le contrasta". Il Carroccio? "Le dichiarazioni di Bossi che considera la Padania una nazione sono la prova che la Lega non può esprimere il presidente del consiglio, il pilastro dell'alleanza resta il Pdl".

Anche per Benedetto Della Vedova "la discussione è circoscritta al Pdl. Altre ipotesi non esistono. L'iniziativa è sul futuro del Pdl".

Nemmeno l'Udc crede alla possibilità di realizzare un terzo polo con Casini, Fini e Rutelli.

"È un'ipotesi fantasmagorica, un esercizio intellettuale notevole, ma non realizzabile", dice Luca Volontè. Il deputato centrista ricorda come il Pdl goda di un'ampia maggioranza in Parlamento e non vede alle porte una scissione che possa mettere in difficoltà la coalizione di governo. "Oltretutto - sottolinea - dai toni aspri tra i vari colonnelli si è passati ora a una discussione dentro gli organi di partito". Del resto la condizione politica di cui "soffre" il Pdl era già "stata denunciata dall'Udc mesi fa, perché la Lega è ormai di fatto alla guida della maggioranza". Insomma quello in atto per Volontè non è altro che "un aspro confronto" dentro il Pdl. Ora invece bisognerebbe pensare alle riforme: istituzionali, dello Stato sociale, del fisco. "Noi vogliamo lavorare per un'alleanza di centro, a partire dal territorio e dalle regioni e una sciossione nel Pdl non la auspico, come non auspicavo che avvenisse nell'Udc, perché una forza di centro non deve attendersi scissioni da altri soggetto per avere successo".

19 aprile 2010

 

 

Il terzo polo adesso è possibile

di Alberto Orioli

18 Aprile 2010

Francesco Rutelli : "Il terzo polo adesso è possibile"

Ha parlato con Fini e ha mandato un messaggio a Clegg, il leader dei Libdem che a sorpresa ha vinto il match televisivo in Gran Bretagna.

Francesco Rutelli, fondatore dell'Api (Alleanza per l'Italia) dopo aver creato il Pd ed esserne rimasto presto deluso, vede un percorso possibile e più ravvicinato per la sua idea di terzo polo. "Clegg è mio buon amico, veniamo dallo stesso gruppo parlamentare europeo, sono molto contento del suo successo e dell'attenzione che ha catalizzato su di sé. Per me era fin dall'inizio la migliore offerta politica sul proscenio inglese".

Parla di Clegg per parlare di lei?

Tengo i piedi per terra. I libdem sono premiati per l'opposizione e le idee nuove. Quanto a noi, se guarda le 4 regioni dove Api si è presentata e somma i voti con l'Udc, già trova un risultato a due cifre. In pochi mesi, siamo già presenti in quasi mille consigli comunali. Sapevamo di dover nuotare contro corrente, però di fare la cosa giusta. E il tempo ci darà ragione.

È vero che ha sentito Fini?

Ci siamo parlati. L'ho trovato lucido sul senso della sua scelta, ma anche amareggiato per come viene percepita nel suo schieramento. Quello che non trova nel Pdl è il gioco di squadra.

Non è un bluff dunque?

Vede, la politica è una scienza esatta. Lo dico da tempo: se il Pd è un partito mai nato, il Pdl è un partito nato troppo. Fini non ha potuto dire di no nel momento del famoso discorso del predellino che di fatto ha sancito la nascita del Pdl. Ma è stato da subito un partito personale e ora questo nodo è arrivato al pettine nel momento in cui il suo leader finisce per appoggiarsi alla parte più estrema dello schieramento, cioè la Lega.

C'è spazio per un terzo polo Fini-Casini-Rutelli?

Non mi metterei a correre troppo. E non voglio in nessun modo inserirmi indebitamente nel confronto in atto nel Pdl, ma penso che ciò che oggi è minoranza può diventare in un tempo medio maggioranza. L'Italia non è più quella dei due poli, e tanto meno dei due partiti, che hanno perso milioni di voti in pochi mesi. L'astensione, poi, è un segno molto forte. Otto mesi fa ho lasciato il Pd sulla base di un'analisi poggiata su quattro convinzioni: che il Pd era destinato a restare un forza di minoranza assimilabile al Pds; che si sarebbe rafforzata l'ala giustizialista che pretende di liquidare il premier nelle aule di giustizia, mentre le soluzioni spettano alla politica; che il Pdl si sarebbe spostato sull'asse con la Lega; che Fini avrebbe rotto il fronte. Non mi sembra di avere sbagliato. Prima il centro destra era Berlusconi-Fini-Casini–Bossi, ora è solo Berlusconi-Bossi.

La mossa di Fini ha accelerato o allontanato le riforme istituzionali?

Le modifiche plebiscitarie fortunatamente vanno in archivio. Per fare le riforme istituzionali utili al Paese serve comunque un equilibrio che oggi non vedo. Ha ragione Fini a chiedere conto al Pdl, ad esempio, della mancata abolizione delle province: ma come – dice – è nel programma e nel momento in cui la Lega ne conquista qualcuna abbandoniamo tutto?

Se Fini fa il suo gruppo, l'esito sono le elezioni anticipate?

Non credo sia l'unico esito prevedibile. D'altro canto Fini ha subito annunciato la fedeltà allo schieramento del Pdl. Semmai mi colpisce come sia il Pd a dire che non vuole eventuali elezioni anticipate. È il primo caso al mondo di un partito di opposizione che non vorrebbe giocarsi la chance di ribaltare l'esito delle votazioni che lo ha visto perdere.

Su che basi una nuova alleanza politica se non quella delle riforme che nessuno ha trovato il coraggio di fare o il consenso per farle?

Certo: significa unirsi per fare le cose che servono davvero al paese in nome di un politica che non sia solo tattica. C'è una nuova pagina bianca da scrivere. Una terza forza è credibile solo così: se si resta ai Guelfi e ai Ghibellini vince sempre Berlusconi. Che però non riesce a riformare questo paese.

Quali riforme allora?

Io farei una nuova coalizione della crescita. È il primo vero punto su cui far convergere le energie del paese, tutte le migliori energie. Bisogna trovare il modo per tagliare la spesa e cambiare il fisco. E aggredire i nodi strutturali su cui Berlusconi (al governo ormai per otto anni negli ultimi 10) non ha fatto nulla: tasso di crescita, tasso di occupazione, livello di sommerso, tasso di produttività.

Non ci sono i fondi, c'è il secondo debito pubblico del mondo e la concorrenza del debito di altri paesi.

C'è il debito ma c'è anche la forte sensazione – corroborata dalle dichiarazioni più o meno esplicite che fanno anche alcuni ministri – di un titolare dell'Economia che ha fatto da sponda nella gestione dei fondi solo alla politica del territorio voluta dalla Lega strozzando le altre iniziative. Alla fine la spesa nelle amministrazioni pubbliche è salita del 4%, il conto della sanità è cresciuto ancora, la pressione fiscale è aumentata e allo sviluppo sono finite le briciole.

Ora il tema è la riforma fiscale

Per me la pagina più bella del fisco negli ultimi anni è la detrazione del 36% per i lavori di ristrutturazione: il gettito è aumentato, l'evasione diminuita, il volto del fisco è risultato più amichevole (e oggi dovremmo aggiornarla in chiave di modernità ecologica). Sono anche per una cedolare secca sugli affitti del 20% che avrebbe lo stesso esito (e non una diminuzione di gettito). L'Italia delle dichiarazioni dei redditi non è il paese reale: le aliquote vanno ridisegnate e va recuperata l'evasione fiscale anche creando il conflitto di interessi tra fruitori e prestatori di servizi. Se si dialoga con i professionisti a cominciare dai commercialisti – categoria molto matura – si potranno fare riforme importanti in questo campo e non solo. Penso ad esempio alle liberalizzazioni che i nostri governi hanno imposto senza dialogare con chi temevano avrebbe avuto una reazione corporativa. Ma è stato un errore.

La Lega ora è il partito trionfatore. Anche il Carroccio vuole meno tasse sulle pmi e sul lavoro autonomo.

La Lega è uno strano partito di governo: una miscela di gestione del potere e di opposizione permanente. Il paradosso è che ha successo perché rifiuta di avere un progetto nazionale.

Il radicamento sul territorio ha premiato...

È un falso mito quello di chi vuole dipingere la Lega come il nuovo Pci, quello delle sezioni. La Lega è un partito delle balere e dei bar, e non lo dico con disprezzo. Anzi, è un ottimo mezzo per arrivare alla gente, ma arrivarci dai bar radica gli amministratori, ma non aiuta a guardare l'interesse generale. Non c'è un progetto culturale o civile, una visione strategica, c'è solo un gran bel tifo. La Lega non c'è dubbio ha una classe dirigente nuova e giovane, ma forse non è un caso che qualunque giornale straniero la assimili al Fronte nazionale al Bnp o al Blocco xenofobo fiammingo. Insomma, alle formazioni di destra estrema.

Ora ha conquistato la parte più ricca del paese e punta alla grande finanza.

Io che mi sono battuto nel mio campo quando si ipotizzava di avere una banca rossa, resto sbalordito per il silenzio che circonda la rivendicazione di Bossi di voler suoi uomini ai vertici delle banche. Stiamo tornando alla parte peggiore degli anni 80 con grande disinvoltura. E con poche critiche. È la stessa disinvoltura con la quale la Lega è passata dal paganesimo del Dio Po al clericalismo di certa retorica sull'aborto. Non mi sono battuto contro i comunisti di ieri per plaudire ai nuovi leninisti padani oggi.

18 Aprile 2010

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Fini: "Berlusconi accetti

il dissenso, io non starò zitto"

di Celestina Dominelli e Andrea Franceschi

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20 aprile 2010

Fini: "Berlusconi accetti<br/>il dissenso, io non starò zitto"

"Dai nostri archivi"

Fini: non esco e non starò zitto

Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta"

IL PUNTO / Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl?

Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana

La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile"

Nella riunione con i parlamentari a lui vicini il presidente della Camera ha detto che "si apre una fase nuova nel partito" escludendo però scissioni o voto anticipato. Il presidente del Consiglio incontrerà i coordinatori del Pdl, Bondi, Verdini e Larussa, alle 17 e 30

 

ROMA - Non ha intenzione di togliere il disturbo, né di stare zitto. Ma rimarrà con una propria corrente nel Pdl affinché si apra "una fase nuova con un confronto aperto nel partito". Esordisce così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nella riunione con gli ex parlamentari di An (circa 40 i presenti) convocata oggi nella sala intitolata a Pinuccio Tatarella. "Ci sono dei momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio.

Decidere se si è disposti a rischiare per le proprie idee. Questo è il momento". Più o meno le stesse parole usate stamane, nel suo editoriale, anche dal direttore di Ffwebmagazine, il periodico on line di Farefuturo, la fondazione di Fini. "Arriva il momento in cui disobbedire è morale – scrive Filippo Rossi -. Arriva il momento delle scelte e delle decisioni. Arriva il momento in cui i nodi vengono al pettine".

E quel momento sembra essere arrivato per il cofondatore del Pdl. Che ha deciso di svelare le sue carte e di portare avanti il progetto di una minoranza interna che servirà, lo aveva spiegato ai suoi nei giorni scorsi ma lo ha sottolineato anche oggi, "non per destabilizzare il Pdl, ma per rafforzarlo". "Questa è una fase complicata – aggiunge il presidente della Camera – non ce la facevo più a porre sempre le stesse questioni al presidente del Consiglio". Questioni che Fini ribadirà alla direzione di giovedì quando, davanti al premier Silvio Berlusconi, metterà in fila i motivi del suo dissenso e la necessità di un cambio di passo per il Pdl, troppo appiattito sulle istanze leghiste.

Un partito in cui Fini non si riconosce più e ai parlamentari ex aennini lo dice senza troppi giri di parole citando il celebre aforisma di Ezra Pound. "Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui". Poi il messaggio al Cavaliere. Berlusconi, rimarca Fini, continua a pensare che si tratti "di incomprensioni", invece "il problema è solo politico". "Ci sono punti di vista diversi tra me e il premier", osserva ancora il presidente della Camera. "Se giovedì usciremo con un'ampia maggioranza sul documento del presidente nel Consiglio, ma con una pattuglia minoritaria in polemica con la maggioranza significa che ci sarà un confronto aperto. Il problema - aggiunge ancora Fini - che si porrà sarà: il dissenso interno può esistere o siamo il partito del predellino?. Sarà il momento della verità, un momento anche delicato", conclude Fini.

Per la terza carica dello Stato, quindi, "la fase del 70 a 30 è finita. Spero che Berlusconi accetti che esista un dissenso, vedremo quali saranno i patti consentiti a questa minoranza interna". È questo dunque l'approdo finale del percorso del co-fondatore del Pdl. Che ha chiesto ai parlamentari presenti di firmare un documento di sostegno alle sue posizioni che saranno ribadite giovedì.

Le tensioni e il documento

Nessuna scissione, dunque, per il momento. Ma il clima tra i finiani è molto caldo e anche oggi, prima della riunione, è andato in scena un nuovo scontro tra il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino, e il sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia. "Ho detto senza peli sulla lingua a Bocchino di smetterla perché ha già fatto abbastanza danni". La tensione insomma resta alta. "Non ho nessuna intenzione di togliere il disturbo, nè tantomeno di stare zitto. E spero che Berlusconi accetti il dissenso. Qui si vedrà se siamo un partito in cui si discute liberamente e il dissenso è legittimo o se siamo il partito del predellino in cui tutti devono essere d'accordo e dire che va tutto bene". Lo ha detto Gianfranco Fini, secondo quanto viene riferito, nella riunione con i parlamentari a lui vicini (una quarantina di ex An secondo indiscrezioni ndr.).

 

Fini ha anche spiegato di "non aver mai parlato di scissioni o di voto anticipato: se qualcuno li evoca è perchè auspica che io me ne vada". A questo proposito, Fini ha anche criticato "chi in questi giorni ha cercato di interpretare il mio pensiero, andando da una parte all'altra in tv ad incendiare il dibattito". "Ora - ha concluso Fini - si apre una fase nuova", con l'esplicitazione di un dissenso interno nel partito, e "chi avrà più filo da tessere tesserà". A questo proposito ha osservato che "la componente ex An avrebbe dovuto restare unita, ma invece è andata diversamente".

Ecco alcuni stralci del documento firmato dai fedelissimi del presidente della Camera. "In merito alle polemiche che l'incontro tra Fini-Berlusconi ha suscitato nei media e nell'opinione pubblica - si legge - riteniamo necessario esprimere solidarietà a Gianfranco Fini contro il quale sono stati espressi giudizi ingenerosi con toni a volte astiosi. Per parte nostra riteniamo che le questioni poste da Fini meritino un approfondimento e una discussione attenta nelle competenti sedi di partito. Nel corso della direzione di giovedì prossimo sarà lo stesso presidente della Camera a chiarire le sue proposte, aprendo un dibattito che ci consentirà di articolare e aggiornare un progetto di rilancio del Pdl, aperto alla partecipazione di tutte le componenti del partito".

"La prospettiva di una escalation e anche il suo parlare di scissioni ed elezioni anticipate - è scritto ancora nel testo - risultano incomprensibili per noi e per l'opinione pubblica che invece si aspetta una fase più incisiva dell'azione del nostro governo. Bisogna quindi riportare il confronto sul piano costruttivo, isolando quanti più o meno consapevolmente stanno in queste ore lavorando per destabilizzare il rapporto tra i cofondatori del Pdl. Per questi motivi confermiamo la fiducia al presidente Gianfranco Fini a rappresentare tali istanze".

Berlusconi: no a correnti nel Pdl

IL PUNTO / Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl? (di Stefano Folli)

L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione (di Donatella Stasio)

Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana (di Sara Bianchi)

Rutelli (Alleanza per l'Italia): "Il terzo polo adesso è possibile" (di Alberto Orioli)

Briguglio (Pdl): possibile un nuovo partito ispirato a Fini

20 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-17

Berlusconi elogia "San Tremonti" e dice che le riforme più importanti non sono quelle istituzionali

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17 aprile 2010

Berlusconi in visita al Salone del mobile a Milano

"Dai nostri archivi"

Il Times elogia Tremonti, "buon candidato a miglior ministro delle finanze europeo"

Caso Emergency, Berlusconi scrive a Karzai

Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti"

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

"Opa" di Bossi sulle banche del Nord

In visita al Salone del Mobile in corso a Milano, il premier Silvio Berlusconi elogia l'operato del ministro dell'Economia Giulio Tremonti: "Se i conti non fossero stati in ordine e gli investitori avessero potuto avere dei timori sulla tenuta dello Stato italiano - ha detto Berlusconi - poteva succedere quello che è successo in Grecia e avremmo avuto un esito che avrebbe distrutto la nostra economia e la nostra immagine nel mondo. Quindi... san Giulio Tremonti, un personaggio difficile con cui io mi trovo dialetticamente contrapposto tutti i giorni, anche perché è molto intelligente".

 

A seguire, Berlusconi ha detto anche che "le riforme istituzionali non credo siano la cosa più importante". Secondo il premier, dopo aver dato la possibilità all'elettorato di votare direttamente il loro sindaco e presidente di Regione, "poter scegliere anche il presidente dell'Italia credo sia un diritto in più per i cittadini".

Il sistema delineato dalla Costituzione "risente del fatto che i padri costituzionali l'abbiano fatta dopo venti anni di dittatura ed avevano timore del ritorno di un regime e tutti i poteri sono stati dati all'assemblea parlamentare". La conseguenza, per il premier, è che quello italiano "è l'esecutivo con meno poteri al mondo". Il presidente del Consiglio "è un primus inter pares - ha concluso - vive solo della sua personale autorevolezza e infatti gli altri sono durati 11 mesi".

In ogni caso, Berlusconi ha detto che le riforme costituzionali si faranno "sentendo tutti" e possibilmente "con l'assenso di una opposizione responsabile, se diventerà responsabile". "Nessuna critica - ha aggiunto - nei confronti dell'ottimo capo dello Stato".

Infine, una nota di distensione sul confronto di questi giorni con Gianfranco Fini: "Sono quindici anni che andiamo d'accordo; cos'è sta roba che non andiamo d'accordo? Ma vediamo... questa settimana gli ho fatto la corte".

17 aprile 2010

 

 

 

Alfano non esclude il voto e dice che con Fini serve una soluzione definitiva

17 aprile 2010

Nella foto il ministro Angelino Alfano

"Dai nostri archivi"

Alfano rilancia sulla giustizia, Fini si smarca un po'

Tornano i "gravi indizi di reato"

Vuoti in procura: magistrati pronti allo sciopero Alfano: "Fatto gravissimo"

Alfano attacca il Csm sull'inchiesta Agcom-Rai "Violata la Costituzione"

Alfano: sì alla costruzione di nuove carceri

"Lo strappo con Fini richiede una soluzione, ma deve essere una soluzione definitiva". E la strada potrebbe essere anche quella delle elezioni anticipate. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, a margine della nona Conferenza nazionale della Cassa forense a Baveno sul lago Maggiore, afferma di fare fatica a trovare una spiegazione alla situazione di tensione che si è creata tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. "Dopo tanti successi è difficile spiegare a noi stessi prima che ai nostri elettori quale sia la regione del contrasto dopo tanti successi elettorali – ha detto il Guardasigilli – ma se la maggioranza che ha vinto le elezioni non sarà più tale, si dovrà tornare a chiedere il consenso". Alfano si rammarica di una preziosa occasione che potrebbe essere sprecata - si è, infatti, dichiarato, "non certo" di una soluzione positiva - quella di tre anni senza elezioni da impiegare per fare delle riforme. Il Guardasigilli si è invece dichiarato tranquillo sulla posizione che la Corte costituzionale potrà prendere in merito alla compatibilità con la Carta delle norme sul legittimo impedimento.

17 aprile 2010

 

 

 

 

La delusione di Fini: elusi i problemi

di Barbara Fiammeri

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Sabato 17 Aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Gioco d'anticipo per evitare alla destra una lenta agonia

Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti"

Fini: pronto a gruppi autonomi

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

Dal 7 al 14%: fondamentale il fattore tempo

ROMA - La prima conta comincerà oggi, quando i senatori vicini a Gianfranco Fini si incontreranno a tavola per valutare le prossime mosse. Martedì sarà la volta dello showdown alla Camera, dove Fini ha convocato gli ex An. All'appuntamento avrebbero già aderito – secondo fonti vicine al presidente della Camera – una cinquantina tra deputati e senatori che alla fine della riunione firmerebbero un documento a sostegno delle posizioni espresse da Fini. Da quel momento partirà il conto alla rovescia che si concluderà giovedì, alla direzione del Pdl dove il presidente della Camera ha annunciato che interverrà e dove sarà chiaro se il Pdl è prossimo alla scissione. Al momento le posizioni restano le stesse. Fini attendeva risposte che non sono giunte. Berlusconi ritiene che non ci siano interrogativi da sciogliere.

 

Ma questa è la facciata pubblica. Dietro le quinte si sta trattando. L'ex leader di An chiede un "segnale di discontinuità". Che può anche tradursi in un avvicendamento, in un cambiamento dell'organigramma del Pdl. Non si tratta però di un mero gioco di poltrone. Il presidente della Camera chiede di essere rappresentato perché oggi coloro "che hanno ricevuto incarichi perché in quota come ex An" non sono affatto in sintonia con Fini. "È chiaro che il problema è tra gli ex An – spiega uno dei principali esponenti del Pdl presente all'ufficio di presidenza –. La Russa è coordinatore perché Fini lo ha indicato, non lo ha mica deciso Berlusconi d'autorità. Se vuole venire lui basta che lo dica!".

In molti da una parte e dall'altra sono convinti che alla fine non si arriverà alla rottura. Gianni Alemanno è tra i pontieri in questo momento all'opera. Il ruolo di sindaco di Roma gli consente di giocare meglio di altri da battitore libero. Ieri ha incontrato Fini, ha sentito al telefono Berlusconi e il suo entourage, prima di entrare a Palazzo Grazioli per l'ufficio di presidenza che – a suo dire – rappresenta "un passo in avanti". "Come sempre ribadisco che il Pdl deve rimanere unito, rispettando i ruoli, quello di Berlusconi e quello di Fini", ha sottolineato. Ma è appunto sul ruolo di Fini e della sua linea politica che è cominciata questa partita dagli esiti alquanto incerti e sulla quale si sta spendendo non poco anche Gianni Letta, unico sempre presente ai colloqui tra l'ex leader di An e il premier.

 

Certo molto dipenderà da quanti finiani si presenteranno all'appello. Nei calcoli fatti a Palazzo Grazioli si fermerebbero al massimo a 30 alla Camera e a una decina o poco più al Senato. Troppo pochi per arrivare allo strappo? Forse. Certo è che sono numeri che potrebbero anche far venir meno la minaccia del voto anticipato. La conta dei finiani è ovviamente più ottimista: si parla di almeno 20 senatori e di 50 deputati. Si vedrà. Perché se fosse un numero tale da poter, anche solo per ipotesi, rendere possibile una maggioranza diversa il quadro potrebbe drasticamente cambiare. "Una concausa dell'attuale crisi politica del Pdl è dovuta al fatto che ambienti politici e giornalistici interessati hanno orientato Berlusconi sulla tesi di un Fini nemico e per di più con quotazioni al ribasso tra i parlamentari ex An", diceva ieri Carmelo Briguglio, tra i fedelissimi del presidente della Camera.

 

Adesso si tratta di capire se davvero Fini è intenzionato a compiere lo strappo finale, la costituzione di un gruppo autonomo che per Berlusconi significherebbe "la scissione". Ipotesi che è ancora oggi verosimile, nonostante le colombe – da una parte e dall'altra – stiano operando per scongiurarla. Del resto un piccolo esempio c'è già: in Sicilia esistono due gruppi del Pdl, una miniscissione che vede tra i suoi protagonisti tanto esponenti ex An che, primo fra tutti, il forzista Gianfranco Miccichè che ieri non a caso inviava al Cavaliere un messaggio per invitarlo a desistere perché "a rischio è il cammino cominciato nel '93".

Sabato 17 Aprile 2010

 

 

 

 

D'Alema: ora liberiamo i prigionieri del Pdl

di Lina Palmerini

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Sabato 17 Aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Ora Bersani offre la "sponda" a Fini

Ora Bersani offre la "sponda" a Fini

Fini: il Pdl non è la fotocopia della Lega

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

Il Pd trova la "pax" sul modello inglese

ROMA - La crisi del centro-destra non diventa un'opportunità per il Pd ma un ulteriore elemento divisivo. Perché proprio nella lettura di questa crisi della maggioranza e degli eventuali sbocchi si spaccano le due macro-areee del partito. I temi del contendere sono la fine del bipolarismo e l'offerta di una sponda a Fini per facilitare quel terzo polo con Casini. La tesi dalemiana riprende corpo con lo scontro tra premier e presidente della Camera, ma la minoranza franceschiniana-veltroniana si mette di traverso. Come farà oggi nella direzione aspettando al varco le conclusioni di Pierluigi Bersani.

L'anteprima si è avuta ieri al meeting dei Liberal del Pd, a Valmontone, dove hanno duettato Massimo D'Alema e Dario Franceschini. Un duello dialettico che ha tirato dentro anche il moderatore della tavola rotonda, Stefano Menichini (direttore di Europa), bacchettato da D'Alema quando ha ricordato che la strategia delle alleanze non ha funzionato in Puglia ma ha funzionato Nichi Vendola. "Con Boccia e l'Udc avremmo vinto, stai dicendo una totale stupidaggine", lo ha rimbrottato il presidente del Copasir con il tono che lo distingue.

Ma andiamo nel vivo del botta e risposta che, chi era a Valmontone, ha potuto gustare dal vivo. La lettura di D'Alema di questa crisi è che "Berlusconi può essere tentato da una soluzione plebiscitaria" e, di fronte a tale minaccia, il Pd non può rispondere con la difesa astratta del bipolarismo, che "in 15 anni non ha dato nessuna riforma" e che ributterebbe verso Berlusconi chi oggi sta scomodo nel Pdl. "Occorre rompere questa gabbia bipolarista in modo che certe forze si sentano libere". E chi non si sente libero? Per D'Alema è Gianfranco Fini, nonostante la sua provata fede al bipolarismo. Ma seguiamo il ragionamento dalemiano. "Ci può essere un'accelerazione della crisi se anche il Pd offrirà una sponda a Fini e Casini". L'approdo? "Una fase costituente democratica".

Agli antipodi la visione di Dario Franceschini che difende il bipolarismo non soltanto perché solo in questo sistema ha senso la sopravvivenza del Pd, ma perché "non si può mettere in dubbio un meccanismo che esiste in tutte le democrazie mature solo per affidare tutto a partiti minoritari in grado di cambiare maggioranze anche durante la legislatura. Non si può vivere di tattiche e di alchimie". L'osservazione sembra infastidire molto l'ex ministro degli Esteri che scatta: "Franceschini la smetta di dire che c'è chi vuole l'innovazione e chi vuole le alchimie. Su questa linea comiziesca mi è difficile rispondere. E poi smettiamo di dire chi vuole le alleanze e chi il progetto, altrimenti ci portano alla neuro".

Certo, il rischio paventato da D'Alema è concreto, perché ora sembra ci sia anche da decidere se siamo già – o non ancora – nell'emergenza democratica. Perché è su questa differenza che Franceschini costruisce il suo ragionamento sull'apertura a Fini: "Un conto è l'emergenza democratica verso cui tutte le forze devono fare fronte comune, altro conto è smontare l'attuale sistema bipolare che vede ancora Fini come un avversario". D'Alema, però, vede un altro spartito: "L'emergenza c'è già e Berlusconi tenterà di uscirne con una spallata plebiscitaria". Ecco dunque che occorre facilitare il gioco di Fini che "è un interlocutore attento sui temi dell'immigrazione e bioetica".

L'evoluzione del quadro politico non è affatto nelle mani del Pd per quanto ieri Pierluigi Bersani abbia azzardato un "prendiamo in mano la situazione". Ma su due punti è stato chiaro: "le elezioni anticipate sono una pazzia" e serve un patto repubblicano "con tutte le forze che non accettano la deriva populista". E Fini? "Per ora non sta qua", diceva senza sbilanciarsi.

Sabato 17 Aprile 2010

 

 

 

 

 

 

2010-04-16

Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti"

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26 aprile 2010

Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti"

"L'invito che rivolgo al presidente Fini è quello di superare qualsiasi incomprensione".

Lo afferma Silvio Berlusconi nel corso di una conferenza stampa al termine dell'Ufficio di presidenza del Pdl. Il premier precisa di aspettarsi "una risposta positiva, anche perchè l'invito è rivolto all'unanimità"

Gianfranco Fini "desista dall'iniziativa" di formare dei gruppi autonomi e invece si impegni a "continuare insieme l'avventura storica" del Pdl. Così il presidente del Consiglio chiede al presidente della Camera di "superare le incomprensioni". E se anche Fini dovesse decidere di varare gruppi autonomi "il Governo andrà avanti per tutta la legislatura", ha detto il premier.

Berlusconi ha poi preannunciato il congresso del Pdl tra un anno. Ma ha chiarito: "Se Fini farà gruppi autonomi allora si tratterà di scissione", è una posizione "condivisa da tutto il Pdl". L'invito a Fini a desistere dall'idea di creare gruppi autonomi è contenuto in un documento approvato all'unanimità dall'ufficio di presidenza del Pdl.

Per il presidente del Consiglio il ruolo di presidente della Camera è incompatibile con la formazione di un gruppo parlamentare autonomo.

La Lega? "È portatrice di esigenze che riguardano in modo particolare il Nord", ammette il premier ma "non c'é mai stato dissenso tra Pdl e Lega" sul programma di governo.

 

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

Secondo il premier "Gomorra e Saviano promuovono la mafia"

La posta in gioco (più poteri ai Finiani) all'Ufficio di presidenza del Pdl (di Celestina Dominelli)

Galan al Quirinale per il giuramento da ministro dell'AgricolturaIl pm: no al rinvio dell'udienza Mills per il Consiglio dei ministrix\

Il procuratore generale di Palermo chiede 11 anni per Dell'Utri

IL PUNTO / Una sconfitta per tutti una legislatura a rischio (di Stefano Folli)

Gli scissionisti: siamo almeno 65

Berlusconi mette in campo le urne (di di Luca Ostellino)

Ora Bersani offre la "sponda" a Fini (di Lina Palmerini)

Bossi rilancia sulle banche del Nord

INTERVISTA / "Lega legittima, ma non si torni indietro" (di Franco Locatelli)

16 aprile 2010

 

 

 

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

di Celestina Dominelli

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16 aprile 2010

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

"Dai nostri archivi"

Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni

VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva

Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti"

"Vado in sala stampa e faccio l'annuncio"

Fini: pronto a gruppi autonomi

Per capire se oggi ci sarà l'atto finale della rottura tra i due cofondatori del Pdl o se invece proveranno a riavvicinarsi basterà attendere l'ufficio di presidenza del partito che è stato convocato a palazzo Grazioli alle 16 per "comunicazioni urgenti del presidente Silvio Berlusconi".

Il nodo dell'incontro saranno ovviamente le richieste avanzate ieri dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, e soprattutto la minaccia di creare suoi gruppi parlamentari se il Cavaliere non lancerà segnali concreti. Che per Fini significano un deciso smarcamento del Pdl rispetto alle istanze leghiste e un maggiore rispetto di quel rapporto (70 per gli ex azzurri e 30 per gli ex aennini) che i due cofondatori del Pdl avevano fissato come metro di divisione delle poltrone al governo e dentro il partito. Una spartizione quasi cencelliana che, alla prova dei fatti, non si è mai verificata e che ora Fini esige sia messa in atto. Pena la scissione dentro il Parlamento che resta sempre dietro l'angolo.

Non a caso oggi dopo le esternazioni della mattinata, quando aveva commentato positivamente la notizia della convocazione della direzione nazionale allargata per il 22 aprile ("una prima risposta positiva ai problemi politici che ho posto ieri"), il presidente della Camera Fini ha comunque continuato a vedere i suoi. Che alla spicciolata lo hanno raggiunto al primo piano di Montecitorio. Evidentemente l'operazione di conta dei fedelissimi prosegue anche oggi e va portata avanti con molta attenzione. Tanto più che alcuni deputati, inseriti ieri dalle cronache nella girandola dei finiani di più stretta osservanza, stanno cominciando a prendere le distanze.

Ad ogni modo Fini e i suoi attendono la riunione di oggi pomeriggio prima di decidere la strategia. Ma la tensione resta altissima e certo le ultime affermazioni del premier, che dopo il Cdm ha liquidato la questione come "piccoli problemi interni a una forza politica", non contribuiscono a stemperare i toni.

A far salire la temperatura ci si è messo poi anche il leader lumbard, Umberto Bossi, che agita lo spauracchio delle elezioni nel caso in cui la frattura tra i due cofondatori del Pdl non dovesse ricomporsi. "Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni", ha detto il Senatur. Salvo poi auspicare la pace tra i suoi alleati. "Silvio e Gianfranco farebbero bene a non strappare, farebbero bene a trovare l'accordo". Anche perché per il leader della Lega la priorità resta una sola. "L'importante è avere i numeri per fare il federalismo fiscale, qualunque altra cosa si risolve". Il premier è avvisato.

 

 

 

 

Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni

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15 aprile 2010

Umberto Bossi e Silvio Berlusconi in un'immagine del 20 marzo scorso (Ansa)

"Dai nostri archivi"

I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto

VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva

Fini: pronto a gruppi autonomi

"Vado in sala stampa e faccio l'annuncio"

Berlusconi mette in campo le urne

Interrogato in conferenza stampa il premier ha detto che su Fini ci sono "piccoli problemi interni a una forza della maggioranza", ma non ha voluto rispondere più approfonditamente. Oggi pomeriggio è previsto il consiglio di presidenza del Pdl per discutere della crisi interna. Secondo indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore.com. I finiani chiedono, oltre a un ridimensionamento dell'influenza della Lega nord sulla maggioranza, un cambio della classe dirigente del Pdl, ovvero la sostituzione di Ignazio Larussa come coordinatore, visto che il ministro della Difesa non è più considerato rappresentante della minoranza finiana dai finiani stessi

 

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è pronto a rompere con Silvio Berlusconi e l'incontro di oggi con il premier non ha fatto altro che accelerare un progetto già allo studio del cofondatore del Pdl. Che è pronto a costituire un suo gruppo autonomo in Parlamento. Un'ipotesi è che il gruppo potrebbe chiamarsi Pdl-Italia, riferiscono alcune fonti vicine all'ex leader di An. Secondo le stesse fonti i deputati che ci starebbero sono circa 50, 18 quelli al Senato.

Il Cavaliere avrebbe risposto chiedendo a Fini di lasciare la terza carica dello Stato in caso di rottura. Tra i tanti motivi di attrito pesa oggi molto l'eccessivo appiattimento di Berlusconi sulle posizioni del Carroccio, uscito rafforzato dall'esito delle elezioni regionali. "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori", ha commentato il presidente del Senato Renato Schifani e anche il leader del Carrocio, Umberto Bossi, ha manifestato dubbi sulla possibilità che il premier e il presidente della Camera trovino un accordo. "Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni", ha ribadito anche il senatùr.

Nela serata di ieri Fini aveva diffuso un comunicato per fornire una sua chiave di lettura dell'incontro. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - scrive il cofondatore del Pdl -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perchè ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito". Un rafforzamento che secondo il presidente della Camera dovrebbe passare attraverso tappe precise. "Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi - conclude Fini -. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni".

Insomma, tra i due è sceso il gelo.

D'altronde, quale sarebbe stato il menu del pranzo di oggi con il premier a Montecitorio lo aveva fatto già intendere. Perché il presidente della Camera va ribadendo da giorni ai fedelissimi la sua contrarietà rispetto all'asse sempre più saldo tra Berlusconi e Bossi. Un patto che, è il suo ragionamento, ha finito sì per emarginare lui (tanto da spingere il Cavaliere a fissare l'incontro solo dopo un secondo vertice con il Senatur), ma rischia di sconquassare lo stesso Pdl. Dove molti non fanno mistero di non sopportare l'eccessivo protagonismo della Lega, inaugurato dalla salita al Colle del ministro Roberto Calderoli con la bozza delle riforme e proseguito con le esternazioni di Bossi su banche e Palazzo Chigi.

Così oggi i due cofondatori del Pdl si sono seduti allo stesso tavolo per scoprire le carte. Berlusconi non è disposto a inimicarsi il suo alleato più fedele e non ha gradito le ultime uscite di Fini sul semipresidenzialismo che la terza carica dello stato lega necessariamente a una modifica della legge elettorale. Anche se ha poi aperto alla possibilità di un modello tutto italiano smorzando in qualche modo i toni.

Il pranzo, però, non li ha riavvicinati e i laconici commenti rilasciati alla fine con un rimpallo tra i due parlano da soli. Il portavoce del presidente della Camera ha subito detto che Fini non avrebbe rilasciato dichiarazioni. E anche Berlusconi si è limitato a un "ho mangiato benissimo".

Evidentemente si riferiva solo alle portate e non allo scambio con Fini deciso ormai ad andare per la sua strada. Tanto che, poco dopo la fine del pranzo, i deputati più vicini alla terza carica dello stato si sono riuniti a Montecitorio. Obiettivo: una conta rapida per arrivare a un gruppo parlamentare autonomo. Il segno evidente di un divorzio irreversibile tra i due cofondatori del Pdl.

In serata c'è stato un vertice a Via del Plebiscito tra Berlusconi, lo stato maggiore leghista e i coordinatori del Pdl Ignazio La Russa e Denis Verdini. La Russa inoltre intervenendo ad "Annozero" ha detto che "non c'è alcun contrasto tra Fini e Berlusconi, solo una questione politica, aggravata dal fatto che abbiamo fatto nascere un grande partito come il Pdl quando Fini è andato a fare il presidente della Camera".

nterrogato in conferenza stampa il premier ha detto che su Fini ci sono "piccoli problemi interni a una forza della maggioranza", ma non ha voluto rispondere più approfonditamente. Oggi pomeriggio è previsto il consiglio di presidenza del Pdl per discutere della crisi interna. Secondo indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore.com. I finiani chiedono, oltre a un ridimensionamento dell'influenza della Lega nord sulla maggioranza, un cambio della classe dirigente del Pdl, ovvero la sostituzione di Ignazio Larussa come coordinatore, visto che il ministro della Difesa non è più considerato rappresentante della minoranza finiana dai finiani stessi

"Probabilmente, col senno del poi - ha aggiunto - sarebbe stato più adatto che Fini rimanesse al governo e al partito perché è difficile, ricoprendo un ruolo istituzionale, svolgere bene quel ruolo e intervenire in una fase così delicata com'è la costruzione del partito. In più Fini, in quel ruolo, ha proiettato il suo impegno più sul fare futuro che sul fare presente. Sulla situazione attuale - ha concluso - credo che bisogna operare per evitare conflitti insanabili".

15 aprile 2010

 

 

 

VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva

di Elysa Fazzino

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16 aprile 2010

Berlusconi-Fini, riforme in pericolo

"Dai nostri archivi"

Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni

"Vado in sala stampa e faccio l'annuncio"

Berlusconi mette in campo le urne

Berlusconi mette in campo le urne

Fini: pronto a gruppi autonomi

Non è un cataclisma come l'eruzione del vulcano islandese, ma lo scontro tra Berlusconi e Fini si è guadagnato comunque un posto sulla prima pagina del sito web del Financial Times. "Crescono i dissidi nel partito di governo di Berlusconi", titola il quotidiano britannico, sottolineando il pericolo di una spaccatura dopo la tesa riunione tra il primo ministro e il cofondatore del Pdl.

Le divergenze tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini erano evidenti da mesi, ricorda Guy Dinmore, ma hanno raggiunto un nuovo livello nell'incontro nel quale Fini ha minacciato di formare un suo gruppo parlamentare. Le tensioni- spiega il Ft - si sono inasprite per via delle accuse di Fini, secondo cui il partito si sta "subordinando" alle richieste della Lega nord.

Le riforme sono a rischio: "Il dissidio crescente tra Berlusconi e Fini – che si estende alle ambizioni del primo ministro di rafforzare i poteri dell'esecutivo - probabilmente indebolirà la capacità del governo di mantenere la sua promessa di concentrarsi sulle riforme politiche ed economiche nei prossimi tre anni", avverte il Financial Times.

Fini – conclude il Ft – che ha spostato Alleanza nazionale al centro allontanandolo dalle sue radici post-fasciste, "è considerato come uno dei vari contendenti alla successione di Berlusconi, anche se è dubbio che i suoi ex colleghi di partito lo seguiranno nella scissione".

Nel richiamo sulla homepage, il quotidiano ripropone un commento di Geoff Andrews pubblicato online il giorno di Pasqua: "L'Italia ancora incapace di guardare oltre Berlusconi". L'elettorato – nota l'opinionista - ha deciso che non c'è nessuna chiara alternativa a Berlusconi. Tuttavia, l'obiettivo principale delle riforme sarà di "consolidare il suo potere e neutralizzare gi oppositori". E l'Italia non riesce a uscire dall'impasse.

Del diverbio tra Berlusconi e Fini si occupa anche la stampa spagnola. "Crisi nell'alleanza di governo in Itali", titola El Pais. E' "crisi aperta" secondo Miguel Mora, che vede la rottura più vicina che mai. Il giornale parla di dialogo "tumultuoso" e riferisce che, secondo altri esponenti della maggioranza, il clima è di "rottura definitiva".

La divergenza tra i fondatori del Pdl è "conosciuta", continua El Pais, ma le posizioni "si sono andate radicalizzando" e l'avanzata della Lega nord alle ultime elezioni "ha distanziato ancor più Fini dalla linea ufficiale del partito".

El Mundo presenta la vicenda come un "ennesimo aggiustamento di conti": "Il numero due di Berlusconi minaccia di creare un suo proprio gruppo parlamentare", recita il titolo. I punti salienti sono così riassunti: Fini accusa il primo ministro di lasciarsi troppo influenzare dalla Lega nord, pretende che il Cavaliere sia "attento alla coesione di tutto il paese", il presidente del Senato minaccia elezioni anticipate. L'articolo riferisce che secondo i media italiani il capo del governo si prender 48 ore di riflessione. E ricorda che il ruolo della Lega si è rafforzato dopo il "trionfo" alle elezioni regionali.

16 aprile 2010

 

 

 

Secondo il premier "Gomorra e Saviano promuovono la mafia"

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16 aprile 2010

 

La Piovra e Gomorra come enti di promozione della mafia nel mondo, dal momento che l'organizzazione criminale risulta sesta in classifica, ma senz'altro prima per notorietà nel mondo. Miscelando i dati degli osservatori istituzionali agli indicatori mediatici, Silvio Berlusconi è tornato a criticare i programmi basati sul storie di criminalità organizzata. La sua avversione per "La Piovra" era nota, oggi, dalla sala stampa di Palazzo Chigi, in "black list" finisce anche Roberto Saviano.

Il presidente del Consiglio, con i ministri di Interno e Giustizia al suo fianco, osserva che la mafia ha goduto di "un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un fatto di giudizio molto negativo per il nostro Paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra, programmate dalle televisioni di 160 Paesi nel mondo, e tutto il resto, tutta la letteratura, il supporto culturale, Gomorra e tutto il resto".

Inevitabili le polemiche. Secondo l'ex procuratore nazionale Antimafia, Pierluigi Vigna, le dichiarazioni di Berlusconi contro "Gomorra" sono "improprie perché il libro di Saviano ha aperto gli occhi a gran parte dell'opinione pubblica sulla camorra". Gomorra, continua l'ex procuratore nazionale Antimafia, "è molto utile. Certe cose non le sapevo e anche gli addetti ai lavori ne sapevano meno di quanto esposto con una prosa molto bella". Attacchi al premier anche da sinistra. "È davvero assurdo quanto dichiarato per l'ennesima volta oggi dal premier a proposito di Gomorra e Saviano. Manca solo che ora si metta ad accusare i magistrati, le forze dell'ordine e le associazioni anti racket e tutti coloro che combattono e lottano contro la criminalità organizzata", ha commentato la presidente del gruppo pd a palazzo madama, Anna Finocchiaro. Polemico Walter Veltroni: "Roberto Saviano - ha detto l'ex segretario del Pd - è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del consiglio del nostro Paese avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo".

E Antonio Di Pietro ha chiesto al premier pubbliche scuse. "Berlusconi - dice Di Pietro - si scusi con Saviano che rischia la vita per le sue denunce e a tutti quegli operatori di giustizia che, nonostante le minacce in stile mafioso fatte da un Presidente del Consiglio, hanno ancora oggi il coraggio di tenere alto il senso dello Stato e delle istituzioni. Tra l'altro è singolare che Berlusconi parli di successi del governo nella lotta alla criminalità nel giorno in cui è stata chiesta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo luogotenente Marcello Dell'Utri. Infatti, se fosse stato realmente interessato alla lotta alla mafia, non lo avrebbe candidato per assicurargli l`impunità. Così come non avrebbe dovuto impedire l`arresto del suo sottosegretario Nicola Cosentino. Berlusconi, quando parla di lotta alla criminalità, farebbe bene a guardarsi allo specchio e darsi una ripulita".

16 aprile 2010

 

 

 

Galan giura al Quirinale come nuovo ministro dell'Agricoltura

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16 aprile 2010

Galan al Quirinale per il giuramento da ministro dell'Agricoltura (ImagoEconomica)

"Dai nostri archivi"

Ai produttori agricoli piace Galan ministro

Le elezioni regione per regione - Veneto

Berlusconi a Venezia per cercare casa

Il governatore Galan va a nozze, Berlusconi testimone. Colli euganei blindati

Pdl veneto per Galan: "Pronti a correre da soli"

 

Giuramento al Quirinale per il nuovo ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan, che prende il posto del neo governatore del Veneto Luca Zaia. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa mattina il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. All'incontro era presente anche il segretario generale della presidenza della Repubblica, Donato Marra. Napolitano ha quindi firmato il decreto con cui sono state accettate le dimissioni di Zaia ed é stato quindi nominato ministro Galan.

16 aprile 2010

 

 

 

Stefano Folli

Una sconfitta per tutti una legislatura a rischio

16 aprile 2010

Se Berlusconi e Fini accettassero un consiglio, occorrerebbe dir loro: attenzione, siate prudenti. Perché la situazione nel Popolo della Libertà sta per sfuggire di mano ai due fondatori ed è plausibile che alla fine del braccio di ferro essi saranno entrambi sconfitti. Un punto è abbastanza certo: l'esasperazione del presidente della Camera aveva superato il limite, così come l'impossibilità per lui di influire sulla linea politica della maggioranza.

Ma l'eventuale nascita di gruppi parlamentari autonomi promossi da Fini equivarrebbe a una scissione del Pdl, con tutte le conseguenze del caso. Saremmo di fronte a un singolare episodio di suicidio politico da cui l'unico a trarre vantaggio sarebbe Umberto Bossi. Se è vero che già oggi la Lega è in grado di condizionare le scelte del presidente del Consiglio, si può immaginare come crescerebbe il suo potere dopo il fallimento conclamato della fusione Forza Italia-Alleanza Nazionale.

Il paradosso è infatti questo. La crisi nasce perché il Pdl sembra a Fini e ai suoi amici troppo incerto nella sua funzione di "grande partito nazionale attento alla coesione sociale dell'intero paese". In parole povere, troppo cedevole verso la Lega e distratto rispetto ai rischi del federalismo, in particolare a danno delle regioni meridionali.

Ma se si dovesse davvero consumare la frattura, Berlusconi sarebbe più debole e non più forte nei confronti di Bossi. Questi potrebbe decidere di approfittarne, alzando il prezzo dell'alleanza, oppure al contrario potrebbe addirittura scegliere di svolgere in prima persona un ruolo di mediatore nel centrodestra. In un caso come nell'altro sarebbe padrone della scena più di quanto già non sia.

È chiaro quindi che l'azzardo può costare caro a Fini, ma Berlusconi avrebbe poco da sorridere. I vari "falchi" del Pdl che cento volte hanno invitato il premier a saldare i conti con l'indocile presidente di Montecitorio, dovranno spiegare dove porta la strategia del pugilato permanente all'interno del partito di maggioranza relativa. La risposta è palese: porta solo al collasso della legislatura, dal momento che le fatidiche riforme, già difficili in tempi normali, diventeranno impossibili dopo la scissione. E una legislatura fallita a tre anni dalla sua conclusione rende pericolosamente reale l'ipotesi di elezioni anticipate.

Come dire che il premier potrebbe cogliere al balzo la circostanza per spingere presto o tardi il paese verso le urne, attribuendo ogni responsabilità a Fini. Un gioco fin troppo facile, di cui s'intravedono già oggi evidenti indizi. È comprensibile, quindi, che il presidente della Camera si sia affrettato a precisare che "Berlusconi è stato eletto dagli italiani e deve governare fino al termine della legislatura". Ma la realtà è più complicata e una frattura verticale del Pdl cambierebbe lo scenario parlamentare.

Del resto, se il problema è il populismo, la deriva presidenzialista senza controlli, il cedimento alla Lega, perché i "gruppi autonomi" finiani dovrebbero garantire sempre e comunque la loro lealtà a un premier così duramente criticato?

D'altra parte, Berlusconi non può essere sicuro che gli elettori accetterebbero di buon grado l'ennesima corsa al voto provocata dall'insipienza di una maggioranza incapace di darsi una regola e un equilibrio; una maggioranza interessata a tutto tranne che a compiere scelte di governo responsabili in nome dell'interesse generale. Il paese è già abbastanza lacerato senza doverlo sottoporre a un ulteriore trauma, destinato peraltro – è probabile – a provocare un maggiore sbilanciamento.

Sappiamo che la rottura tra Berlusconi e Fini è figlia di una lunga stagione di incomprensioni. Ed è anche, forse soprattutto, la prova che il Pdl era nato in modo facilone e approssimativo. Le contraddizioni ora esplose derivano dal famoso "predellino", celebrato a suo tempo come sinonimo di genialità politica. Ma forse l'attuale presidente della Camera avrebbe dovuto porre allora una serie di condizioni vincolanti, prima di "cofondare" il Pdl e di scoprire in seguito che la visione politico-istituzionale di Berlusconi e Bossi è diversa dalla sua.

Ora si tratta di salvare il salvabile. Le riforme sono un processo complesso e il presidente della Camera ha rappresentato in queste settimane un punto di vista equilibrato che sarebbe assai pericoloso liquidare con un'alzata di spalle arrogante. Ad esempio sul ruolo essenziale del Parlamento e degli istituti di garanzia. O sulla legge elettorale. Quindi il presidente del Consiglio non può non essere consapevole di quali effetti avrà la scissione. D'altra parte, Fini ha il dovere del realismo: le impuntature sui principi non portano lontano. Se davvero il contrasto può essere ricomposto con una migliore distribuzione del potere al vertice del Pdl e dei gruppi parlamentari, in modo che il presidente della Camera si senta più rappresentato, forse il compromesso è possibile. Altrimenti, rassegnamoci al peggio. Ma in questo caso la classe politica, anziché rivolgersi di nuovo agli elettori, dovrà prima o poi chieder loro scusa.

 

 

 

 

"Lega legittima, ma non si torni indietro"

di Franco Locatelli

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16 Aprile 2010

"Lega legittima, ma non si torni indietro". Nella foto Giuliano Amato

"Dai nostri archivi"

Bossi rilancia sulle banche del Nord

Ciò che Bossi vuole è maggiore potere e identità ben distinta

Uomini del Carroccio in corsa per il risiko

Uomini del Carroccio in corsa per il risiko

Ma le Fondazioni tengono (per ora) i "loro" banchieri

"È del tutto legittimo che la Lega voglia essere pienamente partecipe del legame con il territorio che si realizza nelle Fondazioni bancarie e che cerchi più spazio all'interno di queste realtà. Ma mi auguro che comprenda l'importanza di non snaturare il ruolo delle Fondazioni stesse di investitori istituzionali di lungo periodo e di garanti della stabilità e dell'autonomia delle banche in cui sono presenti e che sono la condizione necessaria del loro successo". Nessuno meglio dell'ex premier Giuliano Amato, che è il padre delle Fondazioni con la legge che porta il suo nome, può valutare l'esatta portata del proposito di Umberto Bossi di lanciare la Lega alla conquista delle banche del Nord attraverso le Fondazioni. E anche stavolta, come emerge in questa intervista al Sole 24 Ore, le risposte di Amato, che da qualche settimana è tornato ad occuparsi direttamente di banche come senior advisor di Deutsche Bank in Italia, non sono né banali né scontate.

Presidente, come interpreta la mossa di Bossi sulle banche? È un segnale prevalentemente politico rivolto all'elettorato e agli alleati di governo o è il preavviso dell'intenzione di rimettere le mani sul credito?

Bossi è una persona troppo intelligente per pensare alla seconda delle due alternative. Credo che le sue parole sulle banche abbiano un senso più generale e vogliano sottolineare che la Lega è un partito che conta e che deve avere la sua parte nella distribuzione del potere. Bossi conosce perfettamente le ragioni per le quali i partiti sono stati esclusi dalla gestione del credito e penso che riconosca la bontà di quelle ragioni. Proprio ieri ho letto sul "Giornale" un articolo molto equilibrato dove si spiegava come i partiti possano avere con le Fondazioni un ruolo istituzionale nelle banche ma senza intervenire minimanente nella gestione del credito. Il senso delle riforme promosse negli anni Novanta era proprio questo: creare, da un lato, le banche spa e dall'altro le Fondazioni come enti no profit che garantissero la stabilità e l'autonomia delle banche come condizioni per generare i maggiori profitti attraverso i quali le Fondazioni stesse potessero ottenere le risorse necessarie alla promozione delle loro attività socio-culturali.

Non teme che, al di là delle intenzioni, le Fondazioni possano diventare i cavalli di Troia della politica nel mondo del credito?

Il rischio c'è sempre, ma basterebbe pensare ai danni che la politica ha creato ogni volta in cui ha pensato di intervenire direttamente nella gestione del credito per evitare di tornare indietro.

Finora le Fondazioni si sono avvalse della lungimirante gestione di una dirigenza, composta per lo più da ex dc e di cui Giuseppe Guzzetti è l'emblema, che ha interpretato corettamente il ruolo di investitore istituzionale nelle banche: che cosa succederà quando questa generazione di gestori uscirà di scena?

È un problema molto serio ed è giusto porselo. È stata una fortuna e insieme un grande vantaggio che la transizione dal vecchio al nuovo assetto bancario attraverso le Fondazioni fosse gestito da persone di grande esperienza politica ma senza più un partito alle spalle. Questo ha permesso alle Fondazioni di crescere interpretando perfettamente lo spirito della riforma e di garantire la massima autonomia alle banche, proprio perché i gestori delle Fondazioni come Guzzetti hanno compreso che il dividendo della redditività degli istituti di credito toccava anche a loro ed era la via per finanziare le attività sociali e culturali previste dagli statuti degli enti.

E in futuro?

Il passaggio dalla dirigenza delle Fondazioni di prima generazione a personale più giovane e legato a nuovi partiti può certamente comportare nuovi problemi, ma la Lega ha in generale allevato ottimi amministratori locali, se si eccettuano le impostazioni spesso sostenute sui problemi dell'immigrazione. Questi giovani amministratori conoscono i problemi del territorio e possono contribuire al positivo sviluppo delle Fondazioni se ne rispetteranno fino in fondo lo spirito e il ruolo.

Come pensa che risponderanno le altre forze politiche alla mossa della Lega sulle banche?

Ha già risposto l'elettorato, che ha dato alla Lega di Bossi i voti che sappiamo e che, dopo le recenti elezioni, l'autorizzano a chiedere un maggior spazio nei consigli d'amministrazione delle Fondazioni.

L'offensiva della Lega si estenderà anche ai vertici delle ex municipalizzate e dei ricchi monopoli locali?

Non è da escludere. Il cosiddetto socialismo municipale fa gola a tutti. Mi auguro però che la Lega non vada a caccia solo di posti ma si preoccupi della qualità degli uomini che manderà ai vertici delle società locali a controllo pubblico. Il ricambio ai vertici dei gruppi pubblici è un'esperienza che, a livello nazionale, abbiamo già vissuto nel '92-93 quando si decise di nominare manager scelti per merito e competenza al di fuori dei partiti. Già allora mi chiedevo se quell'esperienza così innovativa e legata alla delegittimazione dei vecchi partiti sarebbe stata transeunte o potesse mettere radici.

La spartizione partitica che in molti casi avviene nelle Asl sembra autorizzare i peggiori pensieri.

Quello della sanità è proprio l'esempio negativo dei guasti che può provocare la politica quando dimentica il merito e non premia le competenze. Però proprio la Lega, che è una forza giovane, potrebbe contribuire a voltare pagina e a ritrovare la virtù del merito e della competenza nella scelta degli amministratori e dei manager pubblici. C'è da augurarsi che comprenda le potenzialità di una scelta innovativa e che abbia la forza di sostenerla.

Per molti anni la Lega ha costruito i suoi successi sulla diversità rispetto al resto del sistema politico, ma la mossa sulle banche è un atto che può portarla ad omologarsi alle altre forze politiche: come andrà a finire?

Credo proprio che oggi la Lega sia al bivio tra omologazione e diversità e, al di là delle frasi ad effetto, spetterà ancora una volta a Bossi compiere la scelta che ne orienterà il futuro.

franco.locatelli@ilsole24ore.com

16 Aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

2010-04-15

Fini e Berlusconi verso la rottura.

Schifani: "Non resterebbe che il voto"

15 aprile 2010

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è pronto a rompere con Silvio Berlusconi e l'incontro di oggi con il premier non ha fatto altro che accelerare un progetto già allo studio del cofondatore del Pdl. Che è pronto a costituire un suo gruppo autonomo in Parlamento. Un'ipotesi è che il gruppo potrebbe chiamarsi Pdl-Italia, riferiscono alcune fonti vicine all'ex leader di An. Secondo le stesse fonti i deputati che ci starebbero sono circa 50, 18 quelli al Senato.

Il Cavaliere avrebbe risposto chiedendo a Fini di lasciare la terza carica dello Stato in caso di rottura. Tra i tanti motivi di attrito pesa oggi molto l'eccessivo appiattimento di Berlusconi sulle posizioni del Carroccio, uscito rafforzato dall'esito delle elezioni regionali. "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori", ha commentato il presidente del Senato Renato Schifani.

In serata Fini ha diffuso un comunicato per fornire una sua chiave di lettura dell'incontro. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - scrive il cofondatore del Pdl -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perchè ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito". Un rafforzamento che secondo il presidente della Camera dovrebbe passare attraverso tappe precise. "Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi - conclude Fini -. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni".

Insomma, tra i due è sceso il gelo.

D'altronde, quale sarebbe stato il menu del pranzo di oggi con il premier a Montecitorio lo aveva fatto già intendere. Perché il presidente della Camera va ribadendo da giorni ai fedelissimi la sua contrarietà rispetto all'asse sempre più saldo tra Berlusconi e Bossi. Un patto che, è il suo ragionamento, ha finito sì per emarginare lui (tanto da spingere il Cavaliere a fissare l'incontro solo dopo un secondo vertice con il Senatur), ma rischia di sconquassare lo stesso Pdl. Dove molti non fanno mistero di non sopportare l'eccessivo protagonismo della Lega, inaugurato dalla salita al Colle del ministro Roberto Calderoli con la bozza delle riforme e proseguito con le esternazioni di Bossi su banche e Palazzo Chigi.

Così oggi i due cofondatori del Pdl si sono seduti allo stesso tavolo per scoprire le carte. Berlusconi non è disposto a inimicarsi il suo alleato più fedele e non ha gradito le ultime uscite di Fini sul semipresidenzialismo che la terza carica dello stato lega necessariamente a una modifica della legge elettorale. Anche se ha poi aperto alla possibilità di un modello tutto italiano smorzando in qualche modo i toni.

Il pranzo, però, non li ha riavvicinati e i laconici commenti rilasciati alla fine con un rimpallo tra i due parlano da soli. Il portavoce del presidente della Camera ha subito detto che Fini non avrebbe rilasciato dichiarazioni. E anche Berlusconi si è limitato a un "ho mangiato benissimo".

Evidentemente si riferiva solo alle portate e non allo scambio con Fini deciso ormai ad andare per la sua strada. Tanto che, poco dopo la fine del pranzo, i deputati più vicini alla terza carica dello stato si sono riuniti a Montecitorio. Obiettivo: una conta rapida per arrivare a un gruppo parlamentare autonomo. Il segno evidente di un divorzio irreversibile tra i due cofondatori del Pdl.

In serata c'è stato un vertice a Via del Plebiscito tra Berlusconi, lo stato maggiore leghista e i coordinatori del Pdl Ignazio La Russa e Denis Verdini. La Russa inoltre intervenendo ad "Annozero" ha detto che "non c'è alcun contrasto tra Fini e Berlusconi, solo una questione politica, aggravata dal fatto che abbiamo fatto nascere un grande partito come il Pdl quando Fini è andato a fare il presidente della Camera".

"Probabilmente, col senno del poi - ha aggiunto - sarebbe stato più adatto che Fini rimanesse al governo e al partito perché è difficile, ricoprendo un ruolo istituzionale, svolgere bene quel ruolo e intervenire in una fase così delicata com'è la costruzione del partito. In più Fini, in quel ruolo, ha proiettato il suo impegno più sul fare futuro che sul fare presente. Sulla situazione attuale - ha concluso - credo che bisogna operare per evitare conflitti insanabili".

15 aprile 2010

 

 

 

 

L'OSSERVATORE ROMANO

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IL MATTINO

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2010-02-11

La GAZZETTA dello SPORT

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2010-02-11

CORRIERE dello SPORT

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2010-02-11

LA STAMPA

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2010-02-11

 

 

SORRISI e CANZONI

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2010-02-11

 

WIKIPEDIA

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GENTE VIAGGI

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AUTO OGGI

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QUATTRO RUOTE

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INTERNAZIONALE

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2010-02-11

PUNTO INFORMATICO

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2010-02-11

 

IL SECOLO XIX

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LIBERO

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IL MONDO

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IL MANIFESTO

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